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Autore: Black Nana    26/08/2016    0 recensioni
La mia prima long fiction dopo secoli e soprattutto la prima che pubblico su questo fandom. Con questa storia ho voluto dare spazio ad una delle mie coppie preferite del manga. E'molto probabilmente una ship impopolare ma io li ho amati da subito. I protagonisti di questa particolare storia d'amore e risse sono Adelheid Suzuki ed Hibari Kyoya che sono tra i miei preferiti. Spero possa piacervi e coinvolgervi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 ---> Una settimana di svolte nella routine quotidiana.


In una settimana la routine era stata sempre la stessa, nonostante avessero avuto quella specie di litigio. In sette giorni si era ripetuto lo stesso atto, ormai privo di qualsiasi traccia d'innocenza, semmai ve ne fosse stata nel Demone di Namimori. Gli pareva quasi di sentire la pressione delle unghie di lei che si conficcavano nella sua pelle, riempiendolo di graffi. Quello era il freddo e spietato marchio di una donna gelida, da lui provocata senza esitazioni. Era incredibile quanto Adelheid Suzuki potesse essere meno algida di quanto s'immaginasse. Kyoya acquisiva questa consapevolezza scoprendo, ad ogni bacio, quanto il ghiaccio potesse bruciare. Per quanto fredda potesse essere, nei loro momenti insieme si rendeva conto della potenza della fiamma emanata dalla ragazza. Quella fiamma per quanto in quel frangente potesse essere bollente, era in grado di gelare perfino l'inferno. Non riusciva a capacitarsi di come fossero in grado di passare dalla freddezza che si dimostravano quotidianamente in pubblico, alla passione bruciante che sprigionavano in privato.

I loro erano degli scontri alquanto feroci che non li lasciavano sempre indenni. Ogni volta che gli artigli della ragazza lasciavano tracce del suo passaggio, lui ringhiava sommessamente e quando poteva si vendicava azzannandole il lungo collo. Il loro era un eterno duello tra un lupo solitario ed una feroce pantera nera. A perdere lo scontro sarebbe stato il primo a soccombere al piacere di quell'atto peccaminoso che li aveva uniti. Avevano trovato un modo alquanto bizzarro per sfogare la frustrazione e la rabbia dovute alla loro rivalità. Era come se in quel peccaminoso frangente di scontro i loro cuori fossero congelati. L'attrito creato dalla loro lotta pareva scioglierli, riscaldandoli e guarendoli da quella fiamma che prima pareva quasi opprimerli. Perché anche Kyoya Hibari poteva sentirsi ferito nell'animo, anche se non lo avrebbe mai ammesso neppure a sé stesso figurarsi se avrebbe mai potuto farne parola con lei o con altri. Non era una ferita fisica, ma qualcosa di molto più profondo ed assillante a turbarlo. Quella ferita si faceva sentire soprattutto quando trascorreva il proprio tempo in compagnia di Adelheid. Magari avrebbe potuto curarla in modo indolore, continuando ad osservare la ragazza che riposava al suo fianco e pareva funzionare. Quando però arrivava per lui il momento di fuggire, il calore lasciava il posto ad un gelo che riapriva vecchie ferite. Probabilmente il dolore provocato dai legami che si spezzano per lasciare il posto all'abbandono, lo spingevano a fuggire da lei e dalla situazione da lui stesso creata. La solitudine gli era stata sempre compagna. Fin da ragazzino si era abituato a sentirsi superiore a coloro i quali lo avevano abbandonato al proprio destino. Gli avevano insegnato che al mondo vi erano prede e predatori; se lui avesse voluto trionfare e sopravvivere avrebbe dovuto imparare ad essere uno spietato predatore. L'idea di contare su qualcuno, che per quanto potesse sentire affine, non fosse lui, gli provocava maggior dolore, più di qualsiasi altra cosa. Quell'immagine era fin troppo irrealistica perfino per uno come lui che i sentimenti li aveva seppelliti da tempo immemore. In realtà quelli erano demoni che sapeva lo avrebbero inseguito per tutta la vita ed era giunto il momento che gli rendessero la vita un inferno.

Quotidianamente non appena si svegliava, si alzava in modo tale da sedere accanto alla Regina dei Ghiacci ancora addormentata. Gli piaceva prendersi del tempo per osservarla nella sua tranquilla bellezza, nella quale pareva quasi fosse un angelo. Vedendola così nessuno si sarebbe mai aspettato di trovarsi davanti alla donna più terrificante che si potesse incontrare sul proprio cammino. Mentre si perdeva ad ammirare quella figura e ad imprimerla nella sua mente, sul suo volto compariva qualcosa di molto simile ad un sorriso. Quell'espressione appariva nei momenti in cui si trovava solo con il suo canarino, mentre ne ascoltava le splendide melodie. Ma quel sorriso in quell'occasione era rivolto alla sua rivale. Lei nel frattempo si rigirava tra quelle soffici coperte, cercando inconsciamente qualcosa o meglio cercando di rilevare se lui fosse accanto a lei o meno. Lui non si lasciava mai trovare, bensì si alzava e si rivestiva senza indugio. Una volta pronto, quasi a volersi far perdonare per non essersi lasciato trovare, si soffermava ad osservarla ancora un momento, ma stavolta da lontano.

Funzionava così tra di loro. Lui andava sempre via per primo e non perché quella faccenda fosse spiacevole, anzi tutt'altro, il problema stava nel suo non sapere come comportarsi al risveglio di lei. Come avrebbe reagito vedendolo mentre si soffermava ad osservarla? Sicuramente si sarebbe trovato in una posizione scomoda. Mentre lo immaginava si rendeva conto di quanto fosse meglio evitarlo, per non trovarsi in una situazione decisamente complicata. Era ridicolo fuggire in quel modo, ma non aveva altra scelta. Assolutamente ridicolo per uno come lui. Sapeva che con una parola sbagliata avrebbe potuto mandare tutto a puttane e non ne aveva la benché minima intenzione di compromettere irrimediabilmente il loro più intimo legame. Era semplicemente assurdo e di ammetterlo non se ne parlava affatto, ma ad Hibari piaceva molto l'idea di averla per sé. Allo stesso tempo era frustrante pensare che si stessero semplicemente usando per soddisfare un desiderio o semplicemente per sfogare una qualche specie di tensione. Eppure quello era stato il tacito accordo che avevano stabilito soprattutto per sua volontà. Tenersi alla larga da un qualsiasi coinvolgimento emotivo per non compromettere la loro posizione e l'alleanza fra le famiglie. Per un assurdo scherzo del destino le cose tra lui ed Adelheid stavano cambiando ed il concetto di scambio di favori era stato totalmente travisato. Sbuffando tra un pensiero e l'altro, lasciò l'appartamento per dirigersi nel suo ufficio del liceo Namimori. Ad attendere Hibari vi era una pila di documenti che lo avrebbero tenuto occupato fino a quando lei non si fosse mostrata.

Picchiettò le dita sul tavolo, preda di un'irrequietezza diventata difficile da gestire. In quei giorni poi si era manifestata in modo ancor più devastante per i nervi del presidente del comitato disciplinare. Riusciva a malapena a contenere quella furia distruttiva e quell'impazienza, ormai divenute così forti da rendergli quasi impossibile svolgere il lavoro quotidiano. Tutto a causa di quella donna, la quale non era neppure in ritardo. Gli risultava difficile attendere con calma i quarantacinque minuti di distanza tra il momento in cui usciva di casa e l'arrivo a scuola di lei, annunciato dal rumore dei suoi tacchi a stiletto. Una volta arrivata gli consegnava lo scatolo del pranzo insieme ai soliti documenti, dopo ciò usciva dal suo ufficio senza proferire parola alcuna se non in qualche raro caso. Quotidianamente Adelheid gli preparava il pranzo come a volersi sdebitare del tempo da lui trascorso in sua compagnia. Quella mattina in particolare, nel suo ufficio, era entrato soltanto Kusakabe per portargli il solito caffè. Di certo sarebbe stata l'unica occasione in cui non lo avrebbe sterminato, visto il nervosismo. Se il suo vice non si fosse presentato all'orario stabilito, sarebbe stato costretto mordere a morte uno qualsiasi degli idioti in circolazione nei corridoi. Fosse stato possibile avrebbe sfidato Rokudo come si conveniva e poi lo avrebbe pestato, ma in sua mancanza avrebbe potuto accontentarsi dell'erbivoro idiota con gli occhiali. Un essere la cui utilità si era rivelata solo nel momento in cui Daemon Spade se lo era trovato davanti, decidendo di utilizzarlo come contenitore. Quell'individuo era un inutile illusionista con il complesso del padrone del mondo. Non era molto diverso dal suo discendente dell'attuale famiglia vongola. Entrambi soffrivano di uno strano disturbo. Il nobile coglione aveva scatenato un inutile putiferio per una donna morta, secondo lui, a causa del Primo Vongola e dei suoi guardiani.

A lui quella faccenda non era mai interessata, ma la sfida con Adelheid era stata l'unica nota positiva di quella seccatura. Si erano scontrati per la prima volta sul tetto della scuola media dopo un acceso confronto avvenuto proprio nel suo ufficio. Era stato un nulla di fatto, ma durante la cerimonia di successione era stato sconfitto senza neppure combattere. Lì il suo orgoglio era andato in frantumi e fu allora che giurò vendetta contro la sua avversaria. Nel loro secondo confronto, quello vero, le aveva dimostrato la superiorità del proprio orgoglio sconfiggendola. Quella era stata una vittoria effimera poiché in realtà aveva perso un confronto ben più grosso. Aveva ceduto all'impulso dettato dall'istinto cedendo ad una misteriosa forza che lo aveva attirato fin dall'inizio verso la bruna. Effettivamente la ragazza si rivelò essere un bel pezzo di carne su cui sfogarsi, dimostrandole la netta superiorità della sua determinazione. Però da quel confronto la scintilla che era scoccata nel loro primo scontro si era tramutata poi nell'incendio devastante in cui si ritrovavano coinvolti. Sì, poteva tranquillamente affermare che il Primo Guardiano della Nebbia avesse fatto una sola cosa buona nella sua lunghissima ed inutile esistenza, portare la Famiglia Simon nella SUA città. Quella strana malattia li aveva portati a non riuscire ad allontanarsi da due donne. Se il primo aveva scatenato l'inferno per una donna morta, il secondo aveva sviluppato una forma di ossessione per la sua ex posseduta, Chrome Dokuro colei con cui, in quel branco di erbivori, ricopriva il ruolo di Guardiano della Nebbia. Le stava sempre tra le costole anche se non sempre fisicamente. Spesso utilizzava le sue illusioni per farla spostare da Namimori a Kokuyo facendole perdere numerose lezioni. Ogni volta la ragazza veniva nel suo ufficio per chiedergli timorosamente il permesso di raggiungere il suo innamorato. Le concedeva il permesso semplicemente perché il solo fatto che riuscisse a tollerare Rokudo, dopo tutto ciò che le aveva fatto passare, era ammirevole. Tuttavia non riusciva proprio a capire cosa la ragazza ci trovasse in quel pallone gonfiato. Pur essendo un'erbivora aveva dimostrato di essere una persona quasi interessante con cui avere a che fare. A quanto pare i loro stessi adulti avevano sviluppato una sottospecie di “amicizia”, pertanto anche nel loro tempo erano riusciti ad instaurare un rapporto civile. Gli risultava impossibile comprendere come l'innocente Chrome si fosse innamorata del più sadico ed idiota degli illusionisti. Probabilmente derivava tutto da quella stessa forza misteriosa che lo spingeva verso la Regina dei Ghiacci. Ormai non erano più dei marmocchi. Tutto attorno a lui stava cambiando. Tutti compreso lui stavano crescendo. Persino quell'imbranato di Sawada ed il suo inseparabile Arcobaleno erano cresciuti.

Improvvisamente gli passò per la mente il pensiero che Adelheid potesse trovarsi in compagnia di quella mandria di stupidi erbivori dei suoi compagni e del moccioso col viso truccato ed il casco da motociclista. Quel moccioso era fastidiosamente perverso, in quanto ogni volta cercava di appropriarsi dell'intimo della ragazza. Sarebbe stato molto divertente dargli una lezione e morderlo a morte assieme al suo compagno di bravate preferito, Julie Katou. Già che c'era avrebbe potuto darle di santa ragione a Dino lo sfigato, il quale aveva ben pensato di offrire ad Adelheid la possibilità di allenarsi con lui ed i suoi uomini. Lei per mandarlo su tutte le furie gli aveva anche detto di star considerando l'idea di accettare il suo cortese invito. Lo aveva trovato molto divertente e cortese quel biondo imbecille, che si spacciava pure per professore di inglese solo per attirare l'attenzione delle ragazze e forse pure quella dell'unica ragazza facente parte del SUO Comitato disciplinare. Quella donna sapeva rivelarsi una spina nel fianco non indifferente e soprattutto impossibile da estirpare. Perso nei suoi pensieri gli parve fosse trascorso un tempo alquanto lungo, quando in realtà non erano trascorsi neppure cinque minuti. La tentazione di spaccare l'orologio in mille pezzi era alquanto difficile da reprimere. Dovevano trascorrere ancora trentanove minuti prima che la ragazza lo raggiungesse. A causa di quell'immotivata rabbia feroce si azzannò il labbro superiore mentre cercava di immaginare cosa lei stesse combinando. Era una delle rarissime occasioni in cui lasciava trasparire il proprio stato d'animo, che in quel momento era palesemente nervoso. Nervoso in prospettiva dell'arrivo di qualcosa o meglio di qualcuno. Avrebbero potuto anche condannarlo alla dannazione eterna, tanto non gliene sarebbe fregato niente, ma in quel momento l'unica cosa che voleva era poterla vedere, poterla sentire e soprattutto poterla avere tra le sue grinfie. Sfortunatamente non gli restava altro che immaginare di sentirla arrivare e magari subirsi una delle sue sfuriate colossali, tipiche di quelle volte in cui si divertiva a giocare dei tiri mancini al piccoletto da ciuccio viola e al coglione occhialuto. Pur non sopportandoli erano membri dei Simon e nessuno poteva toccarli senza restare impunito, eccetto lei ovviamente. Era divertente farla incazzare e scoprire ogni volta cosa avrebbe escogitato per vendicarsi dell'affronto, quella ragazza sapeva davvero essere creativa nel rinfacciargli il prezzo delle sue provocazioni. Senza accorgersene si era ritrovato dietro la porta in attesa di aprirla personalmente e di incrociare lo sguardo di Adelheid. Trovarlo appostato in quel modo non prometteva nulla di buono, anzi risultava piuttosto inquietante. Sapeva bene che lei avrebbe capito il perché di tutto ciò. Infondo la nobile causa che lo spingeva a stare lì era proprio lei.

Quando le iridi grigio-azzurre del demonio incontrarono quelle scarlatte della donna di ghiaccio, nell'aria parve essere tornata la calma. Con un sorriso appena abbozzato la invitò ad entrare richiudendole la porta alle spalle. Lei ricambiò con altrettanta cordialità posando la pila di fogli che teneva tra le mani insieme al solito scatolino contenente il pranzo. Prima di andarsene lo salutò rivolgendogli un sorriso sincero ed un occhiolino che le provocò una risata soffocata prontamente. Decisamente voleva vedere la sua reazione, ma preferì restare in silenzio ad osservarla. Lei si allontanò sui suoi stivali a stiletto, richiudendo la porta dietro di sé con delicatezza. Hibari rimasto solo fissò per qualche minuto il pacchetto per poi aprirlo con calma. Una volta scopertone il contenuto sul suo volto si dipinse un'espressione di soddisfazione. Lei lo conosceva meglio di quanto credesse. Una sfilza di piccoli onigiri perfetti ordinati in maniera impeccabile insieme alla classica selezione di verdurine, proprio come piaceva a lui. Accanto alle immancabili bacchette trovò qualcosa di inaspettato. La bruna gli aveva lasciato un bigliettino nel quale lo invitava a cena da lei la sera successiva alle 7 e mezza. Avrebbe atteso una risposta entro il mattino seguente. Ovviamente avrebbe accettato l'invito poiché apprezzava particolarmente la cucina della padrona di casa.

Quella sera al solito orario la bruna si presentò da lui verso ora di cena. Appena arrivata la fece accomodare in sala per comunicarle il responso in merito all'invito ricevuto, che fu ovviamente positivo. Non aveva però previsto di aver irritato la sua ospite che quella sera seppe come punirlo. La regina dei ghiacci lo aveva riempito di profondi segni rossi, mentre lui l'aveva afferrata alle spalle e le aveva azzannato una clavicola con inaudita ferocia lasciandole un segno profondo. Prima di darsi ai piaceri della carne scatenavano sempre una rissa, che era il loro brutale modo di allenarsi e comunicare. Hibari non riusciva proprio a capire perché entrambi fossero così violenti e soprattutto perché i segni che gli lasciava, gli ricordassero i graffi che il gatto della tempesta lasciava al suo stupido padrone. Probabilmente perché entrambi erano felini. La sua era una pantera dei ghiacci mentre l'altra una gattina irritante, fastidiosa e rompipalle come il suo padrone. Il mattino seguente cercò di dare un senso alle assurde riflessioni del giorno prima. In qualche modo quella routine, ormai degenerata, andava spezzata e rimessa in carreggiata. L'algida ragazza che dormiva accanto a lui ogni volta cercava qualcosa nel sonno. In realtà cercava di stabilire un contatto con lui dal quale si ritraeva sempre. Quel giorno decise di non ritrarsi e di lasciarle trovare la sua mano. Lei ne parve contenta e rivolse il volto verso di lui sorridendogli. Non sembrava affatto la donna fredda e quasi incapace di provare emozioni temuta da tutta Namimori, ma una semplice ragazza di diciannove anni spensierata e giovale. L'esatto opposto di colei che aveva conosciuto, sfidato e sconfitto e dalla quale era fatalmente attratto. Lei si prodigava molto per lui preparandogli il pranzo ogni mattina ed il minimo che potesse fare era cercare di ricambiare in qualche modo il favore. Lasciandosi trovare aveva mosso un piccolo passo verso l'annientamento di quel circolo vizioso in cui erano precipitati. Provò ad imporsi di restarle accanto finché non si fosse svegliata, ma non ne fu capace. Tuttavia andò via proprio mentre lei si apprestava ad aprire gli occhi. Infatti fu costretto a darsi alla fuga passando per la finestra della sua camera, dando un'occhiata fugace alla ragazza che si era appena alzata.

   
 
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