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Autore: KaienPhantomhive    26/08/2016    2 recensioni
[NUOVA EDIZIONE - VERSO LA PUBBLICAZIONE
Dopo 7 anni di blocco dello scrittore, riprendo in mano finalmente questo progetto, con una revision e correzione integrale dei capitoli già pubblicati, oltre a proseguire la storia.
Indispensabili lettori e recensori, aiutatemi a trasportare questo sogno da EFP alle pagine di un libro!
Completa | Prosegue in: "EXARION - Parte II"]
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"Quando i Signori della Luna penetrarono per la prima volta il nostro cielo, ciò avvenne come un monito, portando con sé il Freddo Siderale. [...] E da quel giorno il Cielo fu d'Acciaio."
Anno 2050: dopo più di un secolo, l'Umanità imparerà ad affrontare nuovamente la sua più mortale nemesi; se stessa.
Zeitland, Natasha, Helena, Arya, Misha, Màrino, Aaron: qual'è il filo invisibile chiamato 'Exarion' che lega queste anime? Quale la vera natura e il segreto del contratto che li lega alle misteriose sWARd Machines, gigantesche entità bio-meccaniche dai poteri soprannaturali? Una storia di Amore e Odio, Ricordi e Desideri, conflitti, legami, alchemiche coincidenze e destini incrociati. La Storia dell'Amore Egoista e dell'ultima Guerra del Mondo.
Genere: Guerra, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'EXARION: Tales of the EgoSelfish sWARd Machine'
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10.

 

Di nuovo

 

 

Dipartimento Ricerca e Sviluppo; Quartier Generale del Corpo di Difesa Nazionale Russo; Mosca.

 

I passi del Caposquadra Sergej Ivanovič risuonarono freddi e ridondanti sul pavimento di ferro maltrattato da anni di stivali militari. Quando si fermò davanti all’uomo e alla donna che lo attendevano batté i tacchi e si portò una mano alla fronte:

“Il soggetto richiesto è arrivato, signore.”

“Fallo entrare.”

 

La porta automatica rinforzata si aprì e Miša Vasyljev mosse pochi passi incerti verso l’interno. Salutò marzialmente e parlò con più calma possibile: “Voleva vedermi…signor Novikov?”

La giacca elegante che stava fissando si voltò di tre quarti, mostrandosi come il padre di Nat; il suo sguardo era più cupo del solito, le sopracciglia inclinate; al suo fianco l’onnipresente dottoressa Asimov. Miša non poteva fare a meno di pensare a qualche relazione non strettamente lavorativa tra i due.

“Sì. Ben arrivato, Miša. Volevo parlarti a proposito di un progetto a cui stiamo lavorando.” – spiegò subito – “Salterei i convenevoli, dato che credo di potermi fidare di te.”

“M-ma certo.” – il ragazzo deglutì; se da un lato quella frase gli infuse soddisfazione, dall’altro lo mise all’erta.

“Penso sia inutile fingere riguardo a quanto successo a Baksheevo; la posizione di mia figlia, in questa storia, è ormai chiara.”

“Già. Me ne rendo conto.” – il ragazzo abbassò lo sguardo.

Nat: la sua migliore amica, fin da piccolissimi. La piccola, bella, delicata Nataša Novikov; la ballerina sorridente e a tratti petulante a cui si era abituato aveva improvvisamente assunto un altro aspetto, ai suoi occhi. Una pilota di robot da battaglia, un’eroina impreparata. Forse persino una rivale.

“Non voglio coinvolgerla oltre il dovuto ma non posso neanche impedirlo.” – continuò l’uomo – “Tu sei un militare e sei suo amico; meglio di chiunque altro dovresti comprendere la delicatezza della situazione.”

“Sì. Certo.” – annuì ancora, per nulla allegro.

“Quindi voglio che tu la protegga.”

“Cosa?” – la testa del giovane scattò meccanicamente, colto alla sprovvista.

“Presto dovrete compiere una missione e voglio che te ne faccia carico, che ti renda responsabile della sua vita.” – disse ancora, duro e privo di empatia – “La sua incolumità deve essere il tuo obiettivo primario.”

Ok, qui si inizia a correre un po’ troppo.

“Un momento, non saltiamo subito la parte dove devo ancora accettare!” – gli venne istintivo mettere le mani avanti – “Io voglio molto bene a sua figlia, lei lo sa, ma non so se posso accollarmi una simile responsabilità!”

“Sei un soldato, no? Non c’è bisogno che sia tu ad autorizzare un mio ordine.” – le parole Novikov pesarono come macigni – “Io devo essere un punto fermo per un’intera Nazione. Tu pensi di poter badare a una sola persona?”

Stava quasi per rispondere di no, ma con che coraggio? Stava parlando con il Presidente in persona. Stava parlando col padre della ragazza che da sempre era stata il suo unico chiodo fisso.

Si parlava di Nat. Rifiutare di proteggerla sarebbe stato un gesto di viltà peggiore che vendersi al nemico.

“Io…cioè…” – si morse un labbro e ingoiò, poi sospirò – “…cosa vorrebbe che faccia?”

Edvard annuì con il capo e si voltò verso la donna al suo fianco:

“Dottoressa?”

“Abbiamo analizzato i tuoi ultimi risultati alle esercitazioni volo.” – disse lei, calcandosi i sottili occhiali e scorrendo con lo sguardo il tablet che reggeva – “I tuoi punteggi oscillano oltre la media, il che è rilevante per uno della tua età. Pensiamo tu sia adatto.”

“Adatto per cosa?” – chiese sospettoso.

“Per questo.”

 

Con un cigolio meccanico, una struttura simile a una gabbia si sollevò dal grande spazio hangar oltre il loro piano, ruotando lentamente oltre la loro altezza: un caccia da guerra era saldamente ancorato in verticale. Era molto più ampio di quelli standardizzati, con ali ricurve a ‘W’ e alettoni stabilizzanti extra sulla fusoliera e sulla coda, senza contare le due strutture rigonfie su di esse inserite che Misha riconobbe subito: box di sganciamento missilistico automatizzati, una rarità. La forma era elegante e i post-bruciatori diversi dal solito: stretti e rettangolari, senza cono centrale di deflusso termico, probabilmente alimentati con un combustibile differente dalla nafta b-4. E, soprattutto, come non notare l’appariscente – forse perfino fuori luogo – tinta rosso magenta?

Miša sentì pendergli la mascella: “È strepitoso…non ho mai visto nulla del genere.”

“Motore a propulsione ibrida: azoto liquido e biomasse combustibili; intelaiatura termica a trattamento anti-subzero; sistema di puntamento automatico, ventiquattro missili termo-ricettori e due testate speciali all’astrolite.” – spiegò la donna, con una vena di autocompiacimento – “La struttura è internamente integrata con fibre staminali sintetiche e il computer di bordo adotta gli schemi neurali dei rapaci.”

“Sarai tu il suo pilota.” – aggiunse Novikov, sorridendo impercettibilmente.

Miša rimase a fissarlo come un bambino davanti a un nuovo giocattolo: Io pilotare una cosa simile? Un aereo del genere…sarebbe imbattibile!

Non si rese nemmeno conto di aver presto dimenticato il suo cruccio per Nat.

“Lo abbiamo denominato Stealth Fighter Multiruolo di decima generazione, Modello Sperimentale ad Algoritmi Bionici, ma dato che si tratta di un aereo rivoluzionario forse meriterebbe un nome con più…carattere.” – riflettè ad alta voce la Asimov.

Rivoluzionario, sì…un termine più appropriato non sarebbe potuto esistere. Un mezzo con cui compiere la propria personale Resistenza, con cui dimostrare a tutti il proprio valore. Essere vicino a quella ragazza, proteggerla. E poi, ovviamente, purgare la Terra da quella feccia d’uomini in nero. Non era un compito di poco conto, ma il fatto che lo avessero affidato a lui lo riempiva di orgoglio e quell’aereo la avrebbe aiutato ad adempiervi.

Earnest.” – un sorriso soddisfatto si dipinse sul volto squadrato del giovane cadetto – “Lo chiamerò così.”

 

*   *   *

 

Giorno seguente, ore 16:21; Mosca.

 

Nat attendeva già da qualche minuto l’arrivo della metro, quel giorno stranamente in ritardo. Sedeva sulla panca della metro moscovita, che versava in uno stato di decoro che avrebbe potuto vedere giorni peggiori, ma di certo ne aveva visti anche di migliori. A dispetto del resto dell’elegante Linea 3 – il biglietto da visita della rete sotterranea di Mosca – la stazione del quartiere in cui quel giorno si era trovata a dover frequentare preferiva il freddo e squadrato marmo scuro ai muri bianchi e agli eleganti lampadari che adornavano le fermate risalenti alla metà del XIX secolo.

Se ne stava rincantucciata in una delle nicchie antistanti i binari, con un paio di auricolari a isolarla dal mondo esterno. Avrebbe dovuto vedersi con Irma e Anya alla fermata di Park Pobedy – erano state loro a insistere per una passeggiata dopo la sparizione di Nat di qualche giorno prima – e nonostante l’idea di poter trascorrere un po’ di tempo tra sole ragazze non le dispiaceva, sentirsi pienamente felice le riusciva impossibile. Probabilmente captare i mozziconi dei discorsi dei passanti, che accennavano tremanti alle ultime notizie di politica internazionale o azzardavano teorie cospirazioniste intorno alle foto di Baksheevo non la aiutavano.

Era sul punto di messaggiare le sue amiche del lieve ritardo in cui versava, quando lo smartsquare si accese e vibrò. L’ icona di un lucchetto sullo schermo e la parola ‘ENCRYPTED’: una chiamata sulla linea privata che Novikov le aveva fatto installare. Si sentì ancor più sconfortata di prima e si preparò passivamente a cambiare i piani del pomeriggio già prima di rispondere. La notizia che le venne comunicata dalla voce di uno sconosciuto segretario di suo padre la costrinse a cambiare il “metro in ritardo, 10 min” che aveva intenzione di scrivere in “contrattempo, non posso venire. sorry”. A poco servì la chiamata di Anya, tempo un paio di minuti dopo, scongiurandola di graziare le sue amiche di un po’ del suo tempo, specie per un impegno preso da tempo e a cui lei replicò con le giustificazioni più blande e generiche che la fantasia le suggerì.

 

*   *   *

 

Poco dopo.

Sala privata insonorizzata; Ministero di Difesa Nazionale.

 

Quando Nat entrò nella stanza strategica non si aspettava che le sarebbe apparsa così: relativamente stretta, non più lunga di sette od otto metri e di uno sgradito color grigio-bluastro; un tavolino di acciaio su cui galleggiava l’ologramma del planisfero occupava il centro della stanza mentre ai lati erano posti due bassi divani e perfino un frigo-bar. La parete in fondo era occupata da un enorme schermo curvo, sul quale si ripeteva fisso il logo dell’ONU.

Non si sarebbe neanche aspettata che una stanza del genere avesse potuto ospitare tanta gente: in tutto dovevano esserci quasi una ventina di persone, tutti in divisa militare. Tranne uno.

“Sei arrivata, finalmente.” – suo padre, che tentò di rivolgerle un’espressione di sintetica serenità.

“Che sta succedendo?” – chiese lei, passando in rassegna i volti poco amichevoli dei militari in piedi.

Poi ne notò uno, seduto nel divano di destra, gomiti sulle ginocchia: “Miša? Che ci fai tu, qui?”

Lui abbassò in fretta lo sguardo, stentando appena un sorriso di circostanza.

“Stavamo per discutere della prossima missione.” – Novikov riprese la sua attenzione.

“Quale missione?” – decise in fretta che l’argomento non era dei suoi preferiti.

Il Presidente iniziò a far scorrere con l’indice la mappa del pianeta, concentrandosi e zoomando sulla Polonia: “Domani si terrà un incontro a Varsavia tra il Presidente polacco e un portavoce del Reich. In quanto Stato confinante con il nostro Paese, non possiamo permettere che venga assorbito dall’Asse: perderemo un anello della nostra cintura di sicurezza troppo delicato.”

“Mi scusi, signore.” – intervenne il sottoufficiale Ivanovič – “I nostri nemici possiedono aeronavi molto più all’avanguardia delle nostre; a cosa servirebbe un controllo territoriale, se possono attaccarci dal cielo? Senza contare quella Machine rossa, che sembra potersi materializzare ovunque.”

“Vero.” – asserì l’altro – “Ma per quanto potenti le loro armi non sono infinite. Anche se non lo danno a vedere, ci temono. È per questo che sperano di rompere le nostre Intese internazionali: per privarci di risorse.”

“Non starete pensando di boicottare l’incontro?” – li interruppe Nat, contrariata – “Così, aprendo uno scontro, in mezzo a una città per giunta?! Che immagine daremo di noi?!”

Un lieve brusio si levò in sala, interdetto ma in qualche modo accondiscendente.

“In vero c’è la probabilità di una manifestazione popolare antinazista.” – precisò l’uomo – “Dati i precedenti è quasi certo che apriranno il fuoco contro i civili, a quel punto avremo un pretesto per passare all’azione.”

“Ma non ha senso!” – Nat alzò la voce, contravvenendo a ogni norma di rispetto verso un capo di Stato – “E poi combattere in piena città? E i danni?! Chi ha pensato a questo piano?!”

Ivanovič e Novikov si scambiarono uno sguardo allucinato, tossendo con disappunto.

“Nat…” – Miša avrebbe voluto arginare i disastri ma lei era già oltre.

“Non siamo nemmeno certi che ci sarà la rivolta!”

“Ne siamo piuttosto certi.” – la corresse suo padre, irritato dalla tanta sfiducia della figlia.

Quando la ragazza capì che tentare di far valere le proprie ragioni era del tutto inefficacie buttò fuori l’aria dai polmoni e tentò di calmarsi, solo per aggiungere dopo: “Che cosa mi hai chiamato a fare?”

“Prenderai parte alla missione.”

Una sfera di piombo era cascata al suolo. Un soffitto era crollato, una bomba era esplosa nel bel mezzo del nulla. Quella frase. Quella singola frase stordì Nat come un pugno.

“Che…cosa?” – le sembrava di non avere più lo stomaco e che il pavimento si stesse incurvando come un’onda.

“Mi dispiace dirtelo con così poco preavviso, ma non c’è scelta.” – commentò suo padre con gli occhi di tutti puntati addosso.

“Nat, stai tranquilla…” – Miša le si avvicinò ma lei si fece da parte, lo sguardo perso e terrorizzato.

“Avevi detto che non mi avresti sempre tirata in mezzo.” – mormorò rivolta al padre – “Che avresti ricorso a me solo come ultima scelta.”

“Questa è una situazione d’urgenza.” – rispose lui.

“No…non è possibile…non puoi…” – iniziò a salirle la nausea e le lacrime le offuscarono la vista – “…non di nuovo! Non puoi chiedermi di combattere ancora, non così presto!”

“Nataša, per favore.” – Novikov sollevò le mani, quasi ad arginarla.

“No!” – gemette lei, portandosi le mani nei capelli, parlando a bocconi – “Io…non posso…non ce la faccio! Non lo voglio fare!”

E fuggì via dalla stanza, le guance in fiamme: “Ho bisogno d’aria!”

Prima che il silenzio divenisse ancora più imbarazzante, Miša la seguì rapido, lanciando un’occhiata al Presidente: “Ci penso io.”

 

Fuori, Nat mosse pochi passi nervosi per il corridoio, portandosi le mani al viso umido di lacrime, passandosi le dita tra i capelli; si poggiò al muro con le spalle, preda di un singhiozzo irrefrenabile.

“Nat! Ehi!” – Miša comparve dall’angolo; provò a sfiorarla ma lei lanciò un gridolino.

“Per favore, lasciami! Basta!” – fremette tra le convulsioni che le impedivano perfino di udire le parole del ragazzo, ridotte a un ronzio confuso.

“Dai, aspetta, calmati!”

“No, lasciami, lasciami! Non voglio, non voglio…!”

Stava raggiungendo il limite dell’isteria, quando l’amico l’afferrò per le braccia e la scosse con vigore: “PIANTALA!”

Lei si congelò.

Le aveva urlato contro con una violenza e una forza che non si sarebbe mai aspettata, ma in qualche modo non ne rimase offesa.

“Adesso calmati!” – continuò lui, con la voce tremante dal senso di colpa ma senza mollarla – “Guardami, Nat!”

Lei gli rivolse un’espressione persa e disperata.

“Andrà tutto bene.” – la rassicurò, con il tono di chi cerca di far calmare un neonato – “Affronteremo questa cosa insieme.”

Lei scosse la testa, provando a trattenere altre lacrime: “Alla fine ha coinvolto anche te…”

Suo padre. Dopotutto era riuscito a invischiare nella melma nera e disgustosa della guerra anche il suo migliore amico. Iniziava davvero a odiare quell’uomo che l’aveva messa al mondo.

“Questo non è un problema.” – fece Miša, accarezzandole la spalla che prima stringeva – “Mi sta bene così, se siamo insieme. Farò in modo che non ti accada nulla, vedrai.”

Lei annuì piano. La cosa non le dava per niente sicurezza e di certo non le faceva andare più a genio l’idea di salire a bordo della spaventosa Arma Umanoide del Lago Baksheevo, ma d’altro canto sapeva che in un modo o nell’altro suo padre avrebbe ottenuto ciò che voleva. Tanto valeva rendere meno complicato il processo. Scrutò ancora negli occhi ingenui e melanconici del suo amico, con quel suo sorriso forzato che cercava di trasmetterle fiducia. Quel viso le dava così tanto conforto. Ma nonostante ciò era certa, intimamente convinta, che alla fine di tutta quella storia non ci sarebbe stato spazio per entrambi.

 

*   *   *

 

Giorno seguente. Ore 8:07.

 

Con un grande frastuono una squadra di dieci Sukhoi T-80 si sollevarono dalla pista di decollo della base militare di Mosca; al centro della formazione un gigantesco aeromobile squadrata dalla tinta verde scuro diresse i suoi repulsori verso il basso, sollevandosi in verticale. Un Dollhouse: un cargo operativo da trasporto, supporto e manutenzione temporanea appositamente ideato per una sWARd Machine. Essa e la sua pilota stavano volando verso il prossimo rimpianto.

 

 

   
 
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