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Autore: Marianna 73    26/08/2016    15 recensioni
Scelte che uniscono, trascinano, separano e ricongiungono. Scelte che condizionano un'esistenza ma che spesso poco possono contro l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un anno, due mesi ed un giorno.

"Monsieur Grandier, Monsieur Grandier, siete pronto?"
La voce squillante del piccolo Jules, fuori dalla porta, accompagnata da un bussare contenuto, lo induce a riaprire lentamente gli occhi, strappandolo a quel limbo senza pensieri da cui si era lasciato avvolgere. Volta appena la testa a cercare la piccola pendola sulla mensola del camino alla sua destra e un piccolo sorriso gli increspa le labbra. Le quindici in punto... potrebbe benissimo fare a meno dell'orologio, tanta è  la precisione dei ragazzi nello scandire i vari appuntamenti della giornata. Ogni lezione viene attesa con gioia e partecipazione e quell'entusiasmo, e l'affetto nei suoi confronti che si cela dietro a quell'attenzione, lo stupiscono ogni volta.
Si stiracchia un istante prima di rispondere, accogliendo grato  lo scrocchio della clavicola quando stende le braccia oltre la testa, poi si alza in piedi  e si avvcina alla porta.
"Arrivo", risponde mentre apre e sorride alla zazzera castana ed ai profondi occhi scuri  che lo accolgono. "Lezione di scherma in giardino poi partita a scacchi in veranda, giusto?" domanda al ragazzino, che annuisce anche se non con il solito entusiasmo.
"Certamente Monsieur... ma... sarebbe possibile invertire le lezioni quest'oggi? Etienne è impaziente di avere la rivincita." Il sorriso si fa più ampio, sul volto di André.
"È  impaziente di perdere un'altra volta vorrai dire!"
Gli sfugge una risata leggera di fronte al disagio del ragazzino, poi lo rassicura in fretta, scompigliandogli allegramente i capelli.
"Sto scherzando, naturalmente," risponde. "Non c'è nessun problema a scambiare le discipline. Ora và, vi raggiungo subito." 
Accosta l'uscio mentre Jules scompare frettolosamente lungo il corridoio e poi giù per le scale e si avvicina allo scrittoio, per calzare gli stivali e recuperare la spada per le esercitazioni appoggiata al fianco del comó.
Lo sguardo corre al  libro che gli ha prestato il dottor Delacroix, un trattato di anatomia che sta provando a studiare nel tempo libero. Una piccola ruga di preoccupazione gli si disegna sulla fronte al pensiero della portata di quella sfida che ha deciso di accettare e, nel dare un'occhiata alla pagina rimasta aperta, richiama alla mente l'argomento che sta approfondendo con tanto impegno. Poi, ritrovate con successo le nozioni ben chiare nella mente, accarezza con le dita le ultime parole del paragrafo e recuperato il nastrino che funge da segnalibro lo ripone nell'incavo tra le pagine e richiude con cura il libro.

Un piccolo sospiro gli gonfia il petto rievocando le parole del medico.
"Siete sicuro di volerci provare, Monsieur? La prova che vi attende è grande e richiederà abnegazione e concentrazione, non vi resterà  molto tempo per voi."
È esattamente ciò che vuole, si ripete ancora una volta.
Non avere il tempo di pensare, non avere che le energie per giungere al suo letto la sera, prima di crollare. Non dare tempo al suo cuore di rievocare alcunché, non dargli modo di avvolgersi in quel velo di nostalgia e struggimento che nei primi tempi lo hanno quasi spezzato.
Scuote la testa come a scacciare un pensiero che non può  permettersi di affrontare e con un gesto veloce ravvia con le dita i capelli che gli lambisco appena la nuca in corte ciocche ricciolute: una decisione presa di slancio qualche tempo prima, quella di tagliare i capelli, quasi a voler spezzare anche quell'ultimo legame con ciò che non sarebbe più  stato. Un movimento altrettanto veloce e preciso per lisciare la camicia bianca sul petto ed è  pronto a lasciare la stanza.
Il grande scalone illuminato dalle ampie vetrate lo porta direttamente al vestibolo e da lì  gli è facile raggiungere l'uscita secondaria, quella che affaccia sull'ampio giardino che si estende sul retro della palazzina.
L'arenaria color burro dei muri trasmette il tepore del  sole del primo pomeriggio e le foglie lussureggianti dei cedri insieme a quelle argentee degli ulivi stormiscono appena nella brezza tiepida intrisa di un accenno di salsedine amara.
Nemmeno una nuvola, nel cielo cobalto. Celeste soltanto a perdita d'occhio, sopra le chiome frondose.... Non più il cielo pallido di afa dei pomeriggi parigini, non più il marmo freddo e l'oro inanimato dei cancelli, non più il bianco ed il nero dei pavimenti lucidati a specchio. Non più...

Il fulgore del sole che lo accoglie non appena abbandona l'ombra dell'ingresso per raggiungere la veranda lo obbliga a socchiudere per un attimo gli occhi e  non si accorge dell'arrivo di Jules sino a che non ne sente la manina, piccola e fresca, nella sua.
"Avete fatto tutto da solo" lo sente ridacchiare.
"Vi aspettavo qui per dirvi di chiudere subito gli occhi, ma non è  stato necessario," continua.
"Continuate a tenerli chiusi, dunque, Monsieur" gli sente dire, l'ilarità a stento repressa "e affidatevi a me, vi guido io."
Andrè scuote la testa e la bocca gli si allarga in un sorriso mentre già muove i primi passi, consapevole di attraversare il vialetto di ghiaia,  guidato verso il patio circondato di  gelsomini dalle movenze sicure del ragazzino.
"Ma che novità è mai questa ???"
Gli riesce di dire, stupito, prima che un coro di voci ridenti sovrasti la sua.
"Sorpesa!" Sente esclamare da un numero considerevole di voci, mature e non, ma tutte egualmente allegre, "Buon compleanno!!!"

È questione di un istante... Una piccola vertigine ed uno spiraglio di quell'abisso freddo e ridondante di sofferenza e solitudine si riaffaccia prepotente alle soglie del suo cuore evocato dalla dolcezza di un ricordo iimprovviso.
Rose, nell'aria, a sostituire i gelsomini.
Un altra casa e un'altra vita, lontanissime.
Un cespuglio ombroso e verdissimo costellato di corolle bianche e di spine. Un tovagliolo disteso a terra ad accogliere un piatto e due fette di torta di mele lasciate a metà.
La bocca dolce di Oscar, in cui di quella torta ritrovare il sapore, e briciole tra i suoi riccioli biondi, seta profumata di zucchero a velo tra le sue dita. Un sussurro morbido, la sua voce nell'orecchio: "Buon compleanno..." ed il cuore gonfio di una felicità così immensa da farlo traboccare.
Poi, altrettanto indelebile, il ricordo di quella cucina buia e di quell'azzurro impietoso che gli aveva gelato il cuore. Non si era più dissolto, quel gelo, nemmeno in quella grande casa luminosa dove tutti lo consideravano un componente della famiglia.

Un anno, due mesi ed un giorno, dal suo arrivo a Montpellier. Un anno due mesi ed un giorno, da quando...

Il rumore di un battimani festoso lo costringe a tornare, a trovare la forza necessaria ad aprire gli occhi per scoprirsi davvero piacevolmente sorpreso da quell'accoglienza affettuosa.
Le labbra si stendono morbide nel cogliere i sorrisi di Agnese, l'anziana governante di casa, e quello più compito di Claude, il maggiordomo e di Marcel, il maggiore tra i suoi figli, strappato ai suoi doveri nelle scuderie.
Persino gli occhi di Monsieur Guillome brillano di allegria, mentre risuona la risata felice di Jules che, terminato il compito di condurlo al rinfresco, raggiunge il gruppo degli adulti per lasciate ad Etienne l'onore di fargli gli auguri a nome di tutti. È lui infatti ad avvicinarsi, aiutato da Claude che sospinge la strana sedia dotata di ruote che suo padre ha da poco acquistato per lui in Germania, le gambe inerti coperte da un drappo malgrado il caldo della giornata.
"Buon compleanno, Monsieur Grandier" gli dice quando lo raggiunge, gli occhi nerissimi per una volta illuminati da una luce birichina. "L'idea di attirarvi qui con una scusa per questo piccolo rinfresco in vostro onore è stata mia...spero non me ne vorrete, se vi ho ingannato."

André  sorride, l'abisso freddo e desolato riposto lontano, lieto a sua volta che la riuscita di quel piccolo evento abbia portato un guizzo di serenità  in quello sguardo sempre cupo e con la mano raggiunge la spalla gracile di fronte a lui e la stringe forte.
Non hai nulla di cui farti perdonare Etienne" gli sussurra. "Anzi, ti ringrazio... È  passato davvero molto tempo dall'ultima volta che qualcuno ha festeggiato con me il mio compleanno."
Rialza le spalle, richiamato da un fruscio di seta e da un profumo lieve ad accompagnare la voce profonda di Madame Elise, giunta alle spalle del figlio.
"Davvero, Monsieur?" Le mani lunghe ed eleganti scendono ad appoggiarsi sullo schienale della sedia e il viso ombreggiato dall'onda morbida dei capelli cerca quello pallido del figlioletto, gli occhi viola colmi di ombre, nel raccoglierlo con lo sguardo. "Allora dobbiamo essere doppiamente grati ad Etienne per avere avuto l'idea di farvi una sorpersa...Ma venite a sedere, vi prego." Indica il tavolo poco lontano e con un gesto aggraziato si muove ella stessa, le movenze sicure malgrado il ventre gonfio che tende la seta del vestito. Andrè è pronto a porgerle il braccio.
"Lasciate che vi aiuti, Madame, è il minimo che posso fare, per ringraziarvi per tutto il disturbo che vi siete presa per preparare tutto questo."
Lei gli si appoggia, il respiro appena un poco affannato dal peso della gravidanza, e insieme si dirigono al gruppo di persone che li attendono accanto al tavolo. "Mi ha fatto piacere farlo" gli risponde, la mano già tesa verso quella del marito che si fa loro incontro. "E poi i bambini ci tenevano così  tanto... Voi non avete idea di quanto siete divenuto importante, per loro." Gli rivolge un sorriso lieve, velato dalla tristezza che ne opacizza lo sfavillio ogni volta che i suoi occhi sfiorano il piccolo Etienne. " E non avete idea di quanto mio marito ed io vi siamo grati per quello che state facendo per Etienne. È la prima volta, sapete, che accetta di provare a cambiare la sua condizione, da quello sfortunato  incidente." La voce si smorza in un bisbiglio dolente, subito sostituita da un'altra. "Mia moglie ha ragione, Andrè" continua Monsieur Guillome, mentre aiuta Elise ad accomodarsi su un 'ampia poltrona di vimini  e si china a depositare un bacio leggero sulla sua guancia morbida. "Voi siete divenuto un collaboratore prezioso, direi quasi insostituibile".
Fa una breve pausa prima di prendere due calici colmi di vino bianco poi, mentre si sofferma ad osservarne le bollicine impazzite rivestire i bordi del vetro, prosegue " E' per questo motivo che vi prego di riflettere a lungo su quanto sto per proporvi."
Beve un piccolo sorso e cerca lo sguardo di André. "È un progetto che Elise ed io abbiamo in mente da tempo e che contiamo di concretizzare non appena il piccolo sarà  venuto alla luce."
Un guizzo alle spalle di André ed i riccioli scomposti di Jules si materializzano tra loro, il tono euforico della voce a mala pena trattenuto.
"Padre, Monsieur Grandier, venite, aspettiamo voi per tagliare la torta!"
Le labbra dell'uomo di allargano in un sorriso sincero di fronte all'entusiasmo del figlio.
"Ma capisco che non è  il momento... Ne riparleremo stasera, con calma, nel mio studio."
Compie un cenno con il braccio ad indicare la tavola imbandita di dolci e il sorriso si allarga ad illuminare gli occhi scuri, sino ad un istante prima seri e concentrati.
"Vi lascio ai festeggiamenti!"conclude.
André  risponde al sorriso con un piccolo cenno del capo.
"Vi raggiungero' questa sera, Dominique, potete starne certo. E ancora grazie."
Si accosta al tavolo e gli applausi lo accolgono, inducendolo ad un inchino teatrale che strappa un altro coro di risate. Ma il pensiero di quella proposta che con ogni probabilità lo porrà nuovamente di fronte ad altre scelte laceranti diventa di colpo presente ed ombroso, una piccola sfumatura grigia nel giallo dorato di quella gioia e gli percorre la schiena come un refolo di aria gelida.

 

****  ****

Il caldo che arroventa il cortile della caserma giunge un poco smorzato, nel corridoio dalle alte volte a botte, e la luce che si riflette sulla scacchiera delle mattonelle appare fredda anch'essa, nel rigoroso susseguirsi dell'ordinato disegno geometrico.
Il suo secondo le si è affiancato non appena ha varcato la porta d'ingresso ed ora la segue, impassibile e perfetto come sempre nella sua uniforme cinerina.
Nessuna parola superflua, come sa che il suo Comandante desidera, solo il saluto militare ed i passi cadenzati
, decisi e sicuri, pietra su pietra.

E' lei a parlare, una volta giunta di fronte all'ingresso del suo ufficio.
"Sono stata informata che mi saranno recapitati dei documenti, dal Parlamento di Parigi, Tenente."
Si ferma dritta ed altera di fronte alla porta e volge appena la testa, la mano guantata di bianco già appoggiata sulla maniglia. Non deve terminare la frase, la risposta di Girodel è tempestiva.
"Sì, Comandante," la sua voce ha lo stesso tono neutro e risoluto di sempre, come si conviene ad un ufficiale che risponde al suo superiore.
"Sono stati consegnati stamattina. Ho già provveduto a farli portare nel vostro ufficio."
Ancora ferma davanti alla porta annuisce di nuovo, il movimento accompagnato dal fruscio della massa dorata di riccioli stretta nella coda ordinata in cui ora è solita serrare i capelli.
"Vi ringrazio Girodel" replica. "E vi prego allora di non disturbarmi, se non per urgenze improcrastinabili."
Congedato il sottoposto entra nella quiete ombrosa  del suo studio e si ferma per  abituare gli occhi alla luce meno intensa rispetto al fulgore del corridoio; la tentazione di sciogliere i muscoli delle spalle irrigiditi dalle lunghe ore passate in piedi negli appartamenti di Sua Maestà è tanta ma l'autocontrollo ferreo che si è imposta negli ultimi tempi glielo impedisce.
Ogni cosa deve essere compiuta nel più asettico e controllato dei modi, non una sbavatura, non un cedimento, nulla deve lasciar intendere che qualcosa, nel profondo di sé  stessa si è spezzato e l'ha mutata, dentro, per sempre.
E tanto più è sola, tanto più diventa importante non lasciar affiorare di nuovo quella parte fatta di calore e tenerezza che ha tenacemente deciso di cancellare dal suo animo.
Basterebbe uno spiraglio, piccolissimo, e la sofferenza la farebbe nuovamente sua, togliendole linfa e respiro.
Le ci è  voluta tutta la sua forza per raggiungere quell'equilibrio fatto di rigido scorrere dei giorni...
Ha dovuto lasciare definitivamente la sua casa, troppo ricolma dei fantasmi vivi e gioiosi di un tempo che non sarebbe stato più e decidere di risiedere in pianta stabile a Versailles, dove i muri erano silenti ed i giardini non profumavano del profumo che avvolgeva la sua vita con lui.
Ha dovuto annichilirsi col lavoro, esasperare le ore di addestramento, annullarsi nel compimento del dovere sino a spremere da sé stessa l'ultima goccia di volontà, e tutte le sue forze usarle per provare a scacciare quel verde dal profondo del suo cuore, una scheggia alla volta, una più  dolorosa dell'altra.
Ma non era stato sufficiente.
Ciascuno di quei giorni, in quell'aula di tribunale, circondata dallo sdegno della folla e colpita nel più infamante dei modi dalle accuse di Jeanne Valois, l'aveva portata a comprendere fino a che punto quella vita trascorsa in un limbo avvolto di malignità aveva fatto di lei una specie di scherzo della natura da denigrare e sbeffeggiare.... quelle accuse lascive l'avevano colpita come frustate, scavando nel suo animo privo di scudi ferite profonde che l'avevano costretta a dover ammettere con se stessa tutti gli errori commessi.
Un piccolo brivido la percorre mentre ricorda l'angoscia devastante che l'aveva colta ogni notte, le lenzuola attorcigliate intorno al corpo ghiacciato come un sudario di spine, a cercare disperata il respiro successivo, soffocata dalla solitudine e terrorizzata dal timore di non farcela, di essere schiacciata dalla conzapevolezza di quanto aveva avuto ed egoisticamente perduto.
Finché, finalmente,  aveva compreso....

Serra forte i pugni nel ricordo poi respira a fondo,  decisa a mantenere il controllo.
Raggiunge la poltrona dietro la scrivania togliendosi svelta i guanti ed un sospiro di disappunto le increspa le labbra  mentre scorge il plico di fogli che la attende sul piano della scrivania scura.
Gli atti del processo a Jeanne Valois de la Motte ed ai suoi complici che si è  concluso da qualche mese.
Il Parlamento di Parigi l'aveva informata che glieli avrebbe fatti pervenire affinché potesse apporre la sua firma e potesse autenticarla con il suo sigillo, in calce alle sue deposizioni.
Non le resta che sedersi e dedicarsi con attenzione alla lettura di ciascuno di quei fogli ammonticchiati in una pila ordinata, la mente sgombra da ogni altro pensiero.

È  quasi il tramonto quando imprime per l'ultima volta il sigillo sulla ceralacca  bollente. Ancora qualche minuto per scrivere un biglietto di accompagnamento che manifesti i suoi rispetti ai magistrati del Parlamento e poi potrà considerare definitivamente conclusa la vicenda legata a quel processo e a tutto quello che di avvilente ha portato con sé.  
Intinge la piuma d'oca nell'inchiostro con il cuore ancora traboccante di sdegno al ricordo delle accuse terribili uscite a gran voce dalla bocca malevola di Jeanne e d'istinto muove la mano per scrivere le sussiegose frasi di circostanza che l'etichetta vuole vengano usate quando  ci si rivolge ad un magistrato. È solo un istante dopo aver vergato la data al temine della missiva, mentre la guarda, quasi stupita di essere stata lei a scriverla, innocente e distruttiva insieme come spesso le parole sanno essere, che il cuore le trema e gli occhi sbarrati non riescono a staccarsi dai numeri e dalle lettere che brillano ancora fresche d'inchiostro sul candore della carta.
26 agosto 1786.
È  difficile riuscire a respirare di nuovo, il suono caldo di una voce che malgrado i suoi sforzi non è mai riuscita a dimenticare a coprire il frastuono del sangue dentro le oreccchie.
Il battito accelerato del cuore deborda al ricordo di labbra calde sul suo collo e mani nervose tra i suoi capelli sciolti, il libro ricevuto in dono abbandonato sul velluto cremisi del salottino e le sue parole, un sussurro bollente sulla pelle: "Grazie Oscar... ma il più  bello tra i doni resti tu..."
E poi il profumo di sapone della sua camicia che non ha piu voluto ritrovare nemmeno sui suoi abiti e il sapore della sua bocca che ha dovuto imporsi di non desiderare più ed il tepore del suo abbraccio che si è sforzata di smettere di bramare...
Trema ancora la mano, le dita convulse sullo stelo traslucido della piuma, bianche e fredde nel ricordo di un cavallo lanciato al galoppo oltre il rettangolo della finestra ed il gelo improvviso di quell'alba rinnovato mille volte.

Un anno, due mesi ed un giorno, da quella mattina. Un anno due mesi e un giorno da...

Un bussare discreto la richiama, la obbliga a posare la piuma e a tornare con la mente presente a sé stessa, quel ricordo tiepido ricacciato a viva forza lontano, nuovamente rinserrato in quella parte di cuore che ha deciso di non ascoltare più.
"
Avanti!" risponde, la voce appena permeata di quella dolcezza che un tempo spesse volte la avvolgeva. La figura di Girodel si staglia contro la parete bianca del corridoio, quando la porta si apre.
"Vi domando perdono, Comandante," esordisce con un piccolo moto del capo che lei percepisce appena, impegnata com'è a governare il tremito che ancora le sconvolge le dita mentre cosparge di polvere assorbente il foglio innanzi a sé. Tuttavia tutto è gelido come sempre in lei e nel suo dire, quando gli si rivolge. "Non vi preoccupate, avevo finito. Ditemi, Tenente."
L'altro muove un passo verso lo scrittoio prima di parlare.
"È appena arrivata un'ambasciata urgente dal Generale Bouillet, Comandante. Richiede la vostra presenza, immediatamente".
È tanta la sorpresa per quella convocazione inaspettata che una piccola smorfia di preoccupazione le piega la bocca senza che le riesca di fermarla.
Come uno spiffero freddo e nascosto, un vago presentimento che parla di ignoto da affrontare.
Ma quella sensazione sconosciuta non le impedisce di rispondere, rigorosa ed altera, come si conviene. "Vi ringrazio Tenente, andrò subito."
Il tempo di posare il foglio che ancora stringe tra le dita sul ripiano di legno ed è già alla porta da dove nuovamente si rivolge al suo secondo.
"Nel frattempo vi prego di voler far recapitare i documenti che ci sono sulla mia scrivania al Parlamento di Parigi." 
Risponde appena all'affermazione di Girodel e risoluta affronta i corridoi che la separano dall'ufficio del Generale Bouillet senza permettere a quell'ansia sottile che l'ha pervasa prima di assalirla ancora.
Ogni parte di sé è concentrata nella cadenza del passo e del respiro, nello sgombrare la mente dalla tenerezza e dal dolore dei ricordi di poco prima, che nulla deve apparire sul suo viso di quelle passate emozioni.
Sta per entrare nell'anticamera dell'ufficio di Bouillet per farsi annunciare quando una voce la ferma. "Oscar!"
Si arresta in modo brusco e cerca l'uomo da cui proviene il richiamo per trovarlo ritto in piedi nel cono d'ombra ai lati dell'ampia finestra.
"Padre!" esclama "voi qui?"
Non lo vede da mesi, se non di sfuggita a qualche riunione di stato maggiore e non ricorda quasi quando si sono scambiati qualche parola che non sia il rigido saluto militare adatto a quelle occasioni.
La sua presenza, in quel luogo, in concomitanza a quella convocazione imprevista le accelera il respiro, che fatica a contenere sotto la spesa stoffa dell'uniforme.
"Sono lieto di vedere che stai bene." Suo padre riprende a parlare mentre le si avvicina, sino a fermarsi di fronte a lei, le mani intrecciate dietro la schiena in una posizione che lei conosce bene. Ne cerca lo sguardo di ferro e si stupisce delle ombre che lo velano e delle profonde rughe che gli intagliano i contorni della bocca.
"Vi ringrazio per la vostra premura, Padre." mormora. "Avete ragione, sto bene... Anche voi, vedo."
Qualcosa muta nel portamento del Generale quando incontra i suoi occhi e quel mutamento, che non riesce a definire ma che sa provocato dalla fermezza vuota del suo sguardo, le procura un nuovo impercettibile brivido alla base del collo.
"So che sei stupita di vedermi," riprende la voce maschile, "Ma è necessario che io ti parli, prima che tu entri a conferire con il Generale."
Lo vede stringere leggermente le palpebre, come a voler cercare le parole giuste da dire e lo sente prendere un respiro fondo, prima di continuare.
"Voglio che tu sappia che sono stato io a caldeggiare la proposta che ti verrà fatta tra poco e che ho insistito molto perché Sua Maestà desse il suo benestare."
Ancora una pausa, a sottolineare quanto importante sia per lui ciò  che sta per dire.
"Per questo sono qui, Oscar. Per pregarti di riflettere prima di rispondere, di valutare con calma questa opportunità."
Disserra le mani e con un movimento impacciato prova a cercare quelle di lei, ma la rigidità del portamento di sua figlia lo blocca e le braccia scendono lungo i fianchi, arrese.
"Ora và, Oscar." mormora mentre si volta e guadagna con poche falcate l'uscita, il rumore dei suoi passi che si sovrappone alla voce del secondo del Generale Bouillet, tesa nell'accoglienza ad un superiore. "Prego,  Colonnello De Jarjayes. Il Generale vi attende."

....continua

 

Ben ritrovate amiche care, e subito grazie se ancora avete voluto dedicarmi qualche minuto del vostro tempo.
Solo una piccola precisazione sul contenuto di questo capitolo.
Ogni riferimento storico, che siano date, luoghi o strumenti è avvalorato da piccole ricerche e trova un suo fondamento, tranne il fatto che fosse prassi dei Tribunali far pervenire i documenti relativi ad un processo ad uno dei testimoni perché li sottoscrivesse a procedimento concluso.
In questo caso ho dato sfogo alla fantasia per motivi puramente narrativi.

Grazie ancora per essere tornate tra le righe di Scelte e permettetemi di stringervi tutte quante, indistintamente, nel solito caloroso abbraccio.

A presto.

 

   
 
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