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Autore: Emmastory    26/08/2016    4 recensioni
La sfortuna della giovane Rain continua a perseguitarla. Sono passati due anni, e il regno di Aveiron è ancora in ginocchio, sotto la costante minaccia dei Ladri, persone assetate di ricchezza e potere, che faranno di tutto per ottenere il completo controllo del regno. Alla ricerca di salvezza, Rain è fuggita verso il villaggio di Ascantha alla ricerca dei suoi genitori, e nonostante i contrasti avuti con loro, è ora fiduciosa e pronta. Sa bene di dover agire, e di non essere sola. I nostri protagonisti si trovano quindi catapultati in una nuova e pericolosa avventura, costretti a far del loro meglio per fronteggiare il pericolo. Si assiste quindi alla nascita di amicizie, amori, gioie, dolori e tradimenti, ma soprattutto, e cosa ancor peggiore, oscure minacce provenienti da voci sconosciute. A quanto sembra, il regno nasconde molti segreti, e toccherà alla nostra Rain e al suo amato Stefan risolverli dando fondo ad ogni grammo di forza presente nei loro corpi. Nelle fredde e buie notti, l'amore che li lega è la loro guida, ma nessuno sa cosa potrà accadere. In ogni caso, bentornati nel regno. "Seguito di: "Le cronache di Aveiron: Segreti nel regno)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-III-mod
 
Capitolo XIV

Espiar colpe e peccati

Con lentezza, passava un nuovo giorno, e mia sorella si svegliava dal suo breve sonno, alzandosi dal divano di casa e notandomi indaffarata come sempre, e divisa fra le normali faccende domestiche e il nervosismo dovuto ai pericoli di Aveiron. “Ben svegliata.” Le dissi semplicemente, sorridendole e lasciando che il caldo e dorato sole illumini e inondi la stanza. Mantenendo il silenzio, lei mi guardò, muta. Sembrava non aver alcuna voglia di rivolgermi la parola, e per qualche strana ragione, fissava un punto del salotto. Aveva infatti gli occhi fissi sull’orologio appeso al muro, che per quanto vecchio, funziona ancora. Era strano a vedersi, ma per lei sembrava essere una sorta di conforto. Intanto, il tempo scorreva, e improvvisamente, ruppe come vetro il silenzio presente nella stanza. “Dobbiamo parlare.” Dichiarò, rimanendo ferma e inerme e limitandosi a fissarmi. “D’accordo, di cosa…” ebbi il solo tempo di biascicare, prima che parlando, lei mi interrompesse “È importante, ma Stefan e la bimba non devono saperlo.” Esordì, per poi tacere al solo scopo di concentrarsi e ordinare le idee. “Rain, ascolta, mi è difficile dirlo, ma mi dispiace.” Disse poi, sollevando nella mia mente una metaforica nebbia fatta di dubbi e incertezze. “Alisia…” sussurrai, pronunciando il suo nome con la voce spezzata da un’improvvisa tristezza. È passato molto tempo, ci siamo appena riviste, e non sai quanto io ne sia felice, ma ora mi sento malissimo. È come se in questi anni io ti avessi mentito.” Continuò, parlandomi e facendo uso di un tono di voce sempre più instabile e corrotto dal dolore. Guardandomi negli occhi, lottava con tutte le sue forze per non permettere alle lacrime di vincere, ma fallendo, si avvicinò, e continuando a fissarmi, pronunciò una frase che ricorderò finche avrò vita. “Io ero ovunque.” Quelle le semplici parole che abbandonarono le sue labbra in quel momento, e che stordendomi, mi resero incredula. Non sapevo cosa volesse dire, e l’enigma che le sue parole nascondevano, non faceva che tormentarmi. “Ero ovunque.” Ripetè, riuscendo a suonare perfino più enigmatica di quanto non fosse in precedenza. “Ero presente in ogni occasione. Nel giorno della tua fuga, in quello della tua cattura e in quello del tuo matrimonio.” Concluse, facendo involontariamente in modo che quella confessione mi colpisse arrivandomi dritta al cuore, ferendolo quindi assieme alla mia anima. Non proferendo parola, ascoltai ogni sua parola in religioso e rispettoso silenzio, ma in quel momento, scelsi di agire. “Allora perché? Perché non hai agito? Perché non ti sei avvicinata? Perché non hai provato a salvarmi? Perché?” gridai piangendo, ponendole quelle domande con tutta la rabbia e il dolore presenti nel mio cuore e nel mio povero corpo. A quelle parole, mia sorella non rispose, ma guardandomi negli occhi, si limitò a mantenere il silenzio. Da quel momento in poi, calma piatta. Una quiete che mi rese inspiegabilmente sorda, spezzata come un fragile fuscello da una semplice e al contempo articolata risposta. “Non potevo.” Disse soltanto, per poi arrendersi e scivolare nel più completo silenzio. “Ma perché? Perché l’hai fatto? Sapevi dov’ero, perché non hai voluto aiutarmi?” chiesi, confusa, ferita e desiderosa di risposte che non avevo ancora ricevuto.“Rain, te l’ho detto! io non ho potuto! Ho visto il dolore nei tuoi occhi nel giorno del nostro addio, e dopo essermene andata, ho creduto che non volessi mai più rivedermi! Ecco perché!” un urlo che trovò la libertà solo grazie alla sua voce, e che una volta ascoltato, mi fece comprendere ognuno dei miei errori. Avevo dubitato di lei, non mi ero fidata, e avevo finito per dare inizio ad una furiosa lite. In quel momento, nessuna di noi due osava guardarsi né proferire parola. Lo screzio appena avuto ci aveva lasciate senza, e una volta rintanatami nella mia stanza, non riuscii a fare altro che piangere e pensare. In quella semplice mattina, avevo commesso un madornale errore. Avevo difatti finito per incrinare il rapporto che mi legava alla mia tanto amata sorella, l’avevo inconsciamente ferita e delusa, e tutto questo prima di ascoltarla espiare quelli che lei stessa percepiva come colpe e peccati.  
   
 
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