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Autore: Madison Alyssa Johnson    28/08/2016    1 recensioni
La misteriosa mortre di Victor Cavendish, visconte di Vidal e figlio del duca di Devonshire, attira l'attenzione della regina Vittoria sulle misteriose morti che stanno devastando Dublino. Un nuovo Jack lo Squartatore, che i dublinesi chiamano Molly Mangiauomini, si aggira per le vie della città seminando morte e terrore. Tocca a Ciel e al suo fido Sebastian recarsi sul posto per risolvere il problema.
« Perché Molly Mangiauomini? » rifletté a voce alta. Doveva togliersi quel vizio, ma a volte non riusciva a farne a meno.
« Voi siete troppo piccolo per saperlo, padroncino, ma è così che sono chiamate le donne molto... esperte. » gli rispose il maggiordomo, senza smettere di sbattere le uova. « E se non sbaglio c'è una leggenda che parla proprio di una donna di quella risma che si chiamava appunto Molly, Molly Malone. Pare le abbiano anche dedicato una canzone, di recente. »
« Jack lo Squartatore era una donna... e mezza. » obiettò Ciel. Era arrossito, ma non avrebbe comunque permesso a quel dannato demone di metterlo in ridicolo.
« Certo. » assentì Sebastian.
« E una donna sola non potrebbe sopraffare un uomo di media corporatura. »
« Non se fosse umana... ma non ne avrebbe bisogno. »
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis, Shinigami, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Colmore Row era una strada ampia, pensata per il traffico abbondante di una città che ambiva a trasformarsi in metropoli. Il suo solo difetto era che offriva ben poco riparo dal sole di agosto agli stanchi viaggiatori che si lasciavano alle spalle la stazione di Snow Hill – un grande edificio in mattoni rossi dal sapore neoclassico.
« Signorino, dovreste stare all’ombra, mentre cerco una carrozza. » disse Sebastian. Nonostante avessero viaggiato insieme, non gli aveva rivolto la parola, né lo aveva guardato per tutto il viaggio. Era irritante quasi quanto rendersi conto che di colpo le sue azioni avevano tanta rilevanza.
« Sbrigati. » gli rispose e andò a sedere sull’unica panchina libera che trovò. Anche con addosso solo una camicia a mezze maniche e una marsina estiva, moriva di caldo. Si fece vento con la tuba e si soffiò via il ciuffo dagli occhi.
Il maggiordomo era poco più in là, che contrattava con un vetturino appoggiato con le spalle ad una carrozza coperta, che di tanto in tanto si lisciava i baffi cespugliosi. « Signorino, ha detto che per oggi può portarci solo fino a Ludlow e domattina continuare fino a Devil’s Bridge. »
« Va bene, digli di caricare i bagagli. »
« Sì, signorino. »
Umano e demone tirarono su le valigie e le caricarono la berlina, quindi uno montò a cassetta e l’altro aiutò il ragazzo a entrare nella vettura.
« Sarà un lungo viaggio. » disse Sebastian, mentre la pariglia di bai si metteva in moto. « Perciò, signorino, vi consiglio di usare questo tempo per studiare. E poiché sarebbe davvero scortese pugnalare le orecchie del vetturino con la vostra “musica”... » Gli porse Le Metamorfosi di Ovidio. « Aprite a pagina trecentotredici e cominciate a leggere in metrica. »
« Ma...! »
« Niente “ma”, signorino. Gli esametri sono la base della letteratura latina. Non potete non saperli leggere. »
Ciel gli strappò il libro di mano. « Da che verso? »
« Cinquecentonovantadue. »
Il conte sfogliò fino a trovare il passo in questione, che descriveva la grotta del sonno. Essendo un libro da studio, non aveva accanto la traduzione in inglese e mettere segni sulle sillabe da accentare non era possibile. Non poteva barare. « Èst propè Cimmèrios lò... »
« Cimmeriòs. » lo corresse Sebastian. « Ve l’ho detto cento volte, signorino: le parole terminanti in -as, -es, -is, -os e -us sono sempre lunghe. »
« Lo so. » lo rimbeccò il ragazzo, piccato.
« Eppure continuate a sbagliare. Da capo. »
« Èst propè Cimmeriòs longò spelùnca recèssu
mòns cavùs, ignàvi domùs et penetràlia Sòmni,
quò numquàm radiìs orièns mediùsve cadènsve
Phoèbus adìre potèst; nebulaè calìgine mìxtae
èxhalàntur humò dubiaèque crepùscula lùcis. »
« Se siete in grado di farlo, non dovreste lamentarvi. La pigrizia non si addice a un lord. » commentò il maggiordomo. « Ora traducete. »
« Sta’ zitto. » protestò Ciel, nonostante il colorito pallido tradisse un accenno di rossore. « C’è presso i Cimmeri una grotta nel profondo recesso di un monte cavo, dimora e penetrale del Sonno imbelle, dove mai Febo può entrare con i suoi raggi, né quando nasce, né quando è a metà, né quando muore; fumi misti a polvere sono esalati dal terreno e ci sono penombre di debole luce. »
« Abbastanza letterale. » concesse il demone. « Continuate. »
Ciel sospirò e riprese la lettura con voce stentorea. Nonostante la tendenza ad ammorbidire troppo i suoni e a leggere certe parole “all’inglese”, aveva una buona pronuncia. Continuava a sbagliare l’accentazione, specie quando accelerava troppo e perdeva il ritmo nella lettura, ma almeno nella traduzione se la cavava bene. Riusciva a non tentennare e a non farsi riprendere dal demone, che almeno su quella non aveva da ridire.
« Potete fare una pausa, signorino. » gli concesse il demone, cinquanta versi più tardi. Controllò l’orologio e gli porse un bauletto di cristallo in cui si intravedevano dei dolci. « È un po’ presto, ma per la merenda di oggi vi ho preparato dei macaron. State attento a non sporcarvi. »
« Non sono un bambino, Sebastian. »
« Lo so bene, signorino. » gli assicurò il diavolo, con un sorrisetto che riuscì a farlo arrossire.
« Allora smettila di trattarmi come tale » protestò il giovane lord e aprì il bauletto con delicatezza.
I dolci erano tutti di colori diversi e, oltre al bell’aspetto, avevano anche un profumino che faceva venire l’acquolina in bocca. Erano troppo grandi per metterli in bocca interi e poteva scommetterci che il maggiordomo li aveva fatti apposta di quella grandezza per impedirglielo.
Ne addentò uno verde, menta e cioccolato. Il biscotto gli si spaccò tra le dita e la crema gli sporcò le labbra e le dita.
Sebastian si irrigidì e strinse le palpebre, ma non aveva motivi per trattenersi. « Siete un disastro, signorino. » mormorò, e gli prese la mano. Gli tolse il dolcetto e si portò alla bocca quelle piccole dita, che prese a leccare e succhiare piano. Non provava nessuna attrazione per il cibo umano, ma sulla pelle del ragazzo faceva tutto un altro effetto.
« S-Se... Sebastian... c-cosa... » tentò di protestare Ciel, rosso in viso come mai in vita sua. Cosa stava facendo quel demone perverso? Non era normale! Doveva smetterla subito! Schiuse le labbra per dirglielo, ma la lingua che le ripulì lo paralizzò. Forse avrebbe dovuto morderlo, per ricordargli chi comandava, ma non era così spiacevole come avrebbe voluto. Se solo lo fosse stato, avrebbe trovato la forza di respingerlo, invece era già tanto se riusciva a trattenere i versetti indecenti della sera prima.
Del resto, quel maledetto demonio non sembrava curarsi delle sue tenui proteste. Gli ripulì le dita fino a lasciarle lucide di saliva e si impossessò delle labbra. Le leccò con la punta della lingua, quasi a ridisegnarne i contorni, e le mordicchiò piano.
Ciel sospirò. Come poteva essere attratto da una cosa del genere? E perché provava quella strana sensazione al bassoventre?
« Siete delizioso, signorino. » commentò il diavolo, che scese a giocare con il suo collo. « Ma sto dimenticando il mio dovere e ciò non è degno di un maggiordomo. » mormorò al suo orecchio, che addentò e succhiò piano.
« S-Se... Sebas... tian... » mugolò il ragazzo, che ormai non capiva più nulla, travolto da quel piacere a cui non era preparato. Chiuse gli occhi e voltò il capo per sfuggire a quegli occhi che riuscivano a leggergli dentro, ma così facendo espose il collo.
« Sono qui per voi, signorino. » gli assicurò quello, con una voce calda che non gli aveva mai sentito fare prima. « Per accontentare ogni vostro capriccio. » Gli poggiò il resto del dolcetto sulla lingua e con la punta della lingua disegnò i contorni del collo.
Il giovane lord schiuse le labbra per ricevere il dolce. Il boccone era piccolo e non fu l’unica cosa ad accarezzargli la lingua: l’indice del diavolo ne sfiorò la punta in un tocco casuale, leggero. Rabbrividì e, per una ragione sconosciuta a lui stesso, leccò quel polpastrello sporco di crema.
Il suo servitore ghignò e ritrasse il dito per dargli il tempo di masticare il macaroon, ma continuò a giocare con il suo corpo efebico. Lo prese in braccio e lo tirò sulle proprie gambe per avere migliore accesso alla sua pelle chiara. « Rilassatevi, signorino: penserò a tutto io. »
Il conte lo spiò con la coda dell’occhio. Lo aveva sempre fatto, specie in quei mesi, eppure in qualche modo si sentiva inquieto, al pensiero di lasciarsi andare. Era piacevole, non lo negava, ma non poteva permettere che il demone prendesse il controllo su di lui. Non voleva diventare il suo giocattolo. Lo spinse via. « Fermati, Sebastian. È un ordine. »
Il maggiordomo si interruppe e incrociò il suo sguardo. « Sì, mio Lord. » rispose. « Finite pure con calma di mangiare. »
Ciel non rispose. Sgusciò via dal suo abbraccio e tornò a sedersi sul sedile di fronte, ma quello strano formicolio non gli dava tregua. Perché, con tutti gli umani che c’erano al mondo, doveva essere attratto proprio dal mostro che avrebbe divorato la sua anima? Perché non poteva innamorarsi di Lizzie, se proprio doveva? « Cosa mi hai fatto, Sebastian? »
« Signorino...? »
« Hai usato qualche incantesimo su di me, per farmi sentire così? »
Il demone sorrise. « Ovviamente no, signorino. » Gli prese il mento delicato tra indice e pollice e lo costrinse a incrociare il suo sguardo. « Non mi serve la magia per questo. »
Il giovane lord arrossì, ma sostenne il suo sguardo. « Ti vieto di riprovarci. » disse e si sporse in avanti. « Sono ancora io a comandare, demone. Non devi mai dimenticarlo. »
Sebastian chinò il capo e gli prese la sinistra. « Non potrei mai, signorino. » mormorò e ne baciò il dorso senza interrompere il contatto visivo.
« Sarà meglio. » Ciel ghignò e ribaltò la presa. « Tu sei mio, ma io non sono ancora tuo. Se mi vuoi, dovrai sudare. »
Il maggiordomo annuì e avvicinò le labbra a quelle del ragazzo. « Lo farò, signorino. Non c’è niente che non farei per avervi. »
« Staremo a vedere, demonio. »

 

Il boscaiolo li fissò come fossero pazzi. « E perché dovreste voler entrare nella Foresta del Non Ritorno? » chiese, incapace di accettare l’idea che qualcuno potesse fare una cosa del genere senza essere costretto.
« Nessun motivo di cui dobbiate preoccuparvi. » gli assicurò Sebastian. « Non dovrete nemmeno farci da guida. Diteci solo dov’è. »
« Ma vi perderete! » obiettò l’uomo, che, in coscienza, proprio non se la sentiva di mandare un ragazzino a morire in quel modo.
« Sebastian, utilise la force, si vous devez, mais dépêchez.[1] » ordinò Ciel. «  Je ne veux pas manquer une minute de plus avec ce rustre.[2] »
« Vous ne devriez pas parler comme ça, jeune maître.[3] » lo rimproverò il maggiordomo, con un sorrisetto divertito. « La violence est inutile dans ces cas.[4] » Mostrò all’uomo una ghinea e gli sussurrò poche parole all’orecchio.
Il taglialegna deglutì. Se il ragazzo voleva così tanto andarci, voleva dire che sapeva proteggersi, no? E, se non glielo avesse detto lui, lo avrebbe fatto qualcun altro. « P-Prendete il sentiero a ovest, quello che scende verso valle, e proseguite per due miglia. La foresta sarà alla vostra destra. » spiegò. « È fitta come poche e non ci sono sentieri. Noi usiamo corde attaccate al confine per ritrovare la strada, ma non ci addentriamo mai più dell’indispensabile. »
Il conte sogghignò, ma tenne per sé i propri commenti. Se gli avesse spiegato quanto aveva intenzione di inoltrarsi, quel pavido omuncolo sarebbe morto di terrore, ma un ibrido come l’Ombra non era certo la cosa più spaventosa che avesse mai visto, specie dopo essere stato quasi mangiato vivo. Face cenno al demone di andare.
Sebastian lasciò cadere la moneta tra le dita tozze dell’umano e seguì il padroncino. « Di recente siete diventato impaziente, signorino. » disse, mentre aiutava il ragazzo a montare il pezzato che avevano noleggiato alla Locanda del Sole.
Il giovane lord arricciò le labbra. « Voglio tornare a casa il prima possibile. » rispose. « Non mi fido a lasciare Anthea senza protezione e la signorina Beresford in mano alle fate più del necessario. »
« Siete preoccupato per loro? » chiese il diavolo, dando gambe al baio che aveva scelto per sé. Avrebbe preferito andare a piedi, ma non poteva destare sospetti nemmeno in un angolo di mondo tanto isolato dalla modernità incombente.
Ciel annuì. « Se questo ibrido è riuscito a rapire la fata, non sappiamo fin dove si potrebbe spingere e non intendo correre rischi. »
« Di questo non dovete preoccuparvi, signorino. » gli assicurò Sebastian. « Si tratta di poche ore, ormai. Sarà tutto finito prima ancora che possiate rendervene conto. »
Il conte gli scoccò una rapida occhiata e sospirò. « Sarà meglio per te che sia vero. » 

 

« Siamo arrivati, padroncino. » Sebastian smontò per primo e aiutò il ragazzo a scendere. Ordinò ai cavalli di restare nei dintorni e aspettarli, quindi diede un’occhiata a quella famigerata Foresta del Non Ritorno. Forse ne aveva viste troppe, ma era meno imponente di quanto si aspettasse. Almeno secondo i suoi standard, non reggeva il confronto con i boschi che fino a pochi secoli prima terrorizzavano i viaggiatori, così fitti e bui che mostri d’ogni sorta potevano trovarvi riparo e banchettare con le carni ancora calde degli incauti viaggiatori che osavano inoltrarsi fino al loro cuore. « Gli umani, al giorno d’oggi, sono davvero pavidi. »
« Lo dici come se voi mostri non li preferiste così. » gli rinfacciò Ciel, che lo precedeva di pochi passi e di guardava attorno come fosse del tutto a proprio agio in quell’ambiente ostile.
« Che cosa crudele da dire, signorino. » chiocciò il demone, beffardo. « E poi la paura vi rende più cauti... a volte. »
Il giovane lord rise e voltò il capo verso di lui. « Perché dovrei essere cauto, se ho te? »
Il maggiordomo ghignò. « Perché no? » rispose e lo prese in braccio. « Aggrappatevi a me: così faremo prima. » Strinse a sé quel corpicino minuto, inspirò a fondo e corse, attratto dall’odore dolciastro della fata e da quello più aspro dell’Ombra, che si intrecciavano tra loro e disegnavano una pista invisibile tra gli alberi, fino a una radura tre miglia a ovest del villaggio.
Al centro di essa stava un rovere secolare, che con la sua sola stazza dominava metà dello spiazzo e il laghetto sotto di esso. Da uno dei rami più spessi pendeva la gabbia di Tallulah, in ferro battuto.
La prigioniera sedeva su una specie di fazzoletto piegato e non osava muoversi, per paura di ustionarsi. Premeva il viso tra le ginocchia e non si accorse di loro.
« Saluta i nostri ospiti, cugina. » le ordinò l’Ombra, a proprio agio nello studiare la scena dallo stesso ramo, con la schiena appoggiata al tronco e le gambe penzoloni.
Tallulah sobbalzò, si guardò intorno e sobbalzò, quando li riconobbe, ma non riuscì a dire nulla.
Il suo rapitore attirò a sé la gabbia con una rotazione pigra del polso. La aprì e ne trasse la creaturina tremante, che non somigliava affatto alla caparbia fanciulla che aveva tenuto testa a entrambi. « Proprio non capisco perché un demone sia venuto in soccorso di questa cosa inutile. » dichiarò annoiato. « Non ne vale la pena. »
« Infatti non siamo qui per questo. » lo corresse Ciel. « È per la tua testa che abbiamo fatto tutta questa strada. »
« Oh, capisco. » rispose l’Ombra. « Allora non vi spiacerà se... » Strinse la presa sul corpo minuscolo e ne graffiò il petto, dal quale zampillò il sangue dorato.
La fata neanche tentò di lottare.
Se la portò alle labbra e bevve quella linfa acquosa e zuccherina fino all’ultima goccia. « Deliziosa. » commentò e gettò via il cadavere come fosse un fazzoletto usato.
Sebastian non attese oltre. Balzò in avanti mentre l’ibrido saltava via dal ramo e lo inchiodò contro il tronco con la mano destra. « Finiamo in fretta questa cosa. » sussurrò, scoprendo la dentatura demoniaca in un ghigno beffardo. Affondò la mano sinistra nel petto dell’Ombra, che si dibatté e lo infilzò con il manico della frusta. Sputò sangue, ma non lasciò la presa sul collo dell’avversario e continuò a scavare nel torace fino a trovare il cuore.
Batteva più in fretta di quello di un normale umano ed emanava l’aura in ondate di calore che avrebbero potuto sciogliere la mano di una persona normale. Quell’energia corrotta manteneva ancora un che di fatato, che chissà come riusciva a mantenersi in equilibrio con la dominante nota demoniaca.
La risucchiò, strappandola a forza dalla sua sede.
L’Ombra urlò e spinse più a fondo la lama d’argento nel torace del maggiordomo.
Il diavolo strinse i denti e serrò la presa sul collo, mentre quella dannata luce lo avvelenava dall’interno. Lo avrebbe sopportato e si sarebbe rifatto la bocca più tardi, ma il vero problema era la tenacia della preda, che non la smetteva di lottare.
Poco a poco, la sua pelle sbiadiva e si raggrinziva, eppure aveva ancora la forza di rigirare il pugnale e spingerlo nella carne con tutta l’elsa.
« Muori... in silenzio. » ringhiò il maggiordomo, strappando con forza l’ultimo lembo di vita da quel corpo maledetto. Lo gettò via e saltò a terra. Gli fischiavano le orecchie e aveva le tempie umide, ma sarebbe tornato tutto a posto appena avesse eliminato il veleno. Strappò la frusta dalla propria schiena e la gettò sul cadavere dell’Ombra, che andava dissolvendosi.
« Sbrighiamoci a tornare. » ordinò Ciel. « Prima chiudiamo questa storia, meglio sarà. »

 

Tallulah riposava sul davanzale. Non aveva aperto bocca, da che l’avevano raccolta dall’erba umida, e l’unica ragione a cui Ciel riusciva a pensare era che l’Ombra l’avesse torturata.
« Venite, signorino. Vi preparo per la notte. » lo chiamò Sebastian.
« Arrivo. » rispose e si lasciò condurre nella propria camera, adiacente a quella del maggiordomo. Avrebbe preferito ripartire subito per Londra, ma Frederick – il cocchiere – aveva paura a guidare col buio su strade che non conosceva. Sbuffò, mentre il servitore gli sbottonava la camicia e la sfilava dalle spalle minute.
« Qualcosa non va, signorino? »
« Non è niente. » negò il conte. « Voglio solo tornare a casa. »
« Domani sera sarete a Villa Phantomhive. » gli assicurò il demone, che ormai non nascondeva più il proprio desiderio.
Il ragazzo deglutì. Avrebbe potuto impedirgli di toccarlo con una sola parola, eppure il suo corpo rispose a quello sguardo con un fremito d’aspettativa. Voleva ciò che l’altro gli stava offrendo.
« Vi basta una parola, signorino. »
Arrossì, ma si lasciò distendere al centro di quel letto piccolo e duro. « B-Ba... Baciami. »
Sebastian assaggiò le sue labbra con le proprie, le leccò e le mordicchiò. « Soltanto? »
« I-Io... » ansimò il ragazzo. Essere mezzo nudo sotto un demone millenario che un giorno avrebbe divorato la sua anima non avrebbe dovuto eccitarlo, eppure non poteva negare le reazioni del suo corpo. Quei bacetti a fior di labbra non bastavano affatto. « C-Come hai osato mettermi sotto? » sbottò. « Sono io il tuo padrone. Dovrei stare sopra. »
Il maggiordomo ghignò. « Avete ragione, signorino. Vi porgo le mie scuse. » Invertì le posizioni con un colpo di reni e lo fece sedere su di sé, a contatto con il suo corpo, che reagiva come quello di un qualunque umano. « Meglio, ora? »
Il giovane lord sussultò, sorpreso dalla situazione, ma soprattutto da se stesso. L’eccitazione lo stava facendo sragionare, forse? Perché si offriva a quel modo alla bocca dell’altro, che si appropriava del collo e delle spalle a colpi di lingua? « N-Non... non osare lasciare segni. » ordinò, preoccupato che il servitore potesse morderlo o marchiarlo in qualche modo.
« Come desiderate. » replicò quello. « Ma farete bene a tener bassa la voce. » aggiunse, prima di calare su un capezzolo minuscolo quanto turgido. Lo titillò con la punta della lingua, mentre provvedeva a finire di spogliare il ragazzo, che alla luce della luna appariva più pallido e grazioso che mai.
« C-Che...? » tentò di chiedere il ragazzo, che faceva del proprio meglio per trattenere quei versetti così strani. Non se ne sarebbe preoccupato, se non fosse stato per le parole del diavolo, ma era meglio che nessuno lo sentisse. « N-Non puoi trattarmi... come il tuo spuntino. » protestò, nonostante il suo tono suonasse tutt’altro che offeso.
« Ma siete delizioso. » obiettò il demone, intento a leccare e mordicchiare anche il ventre morbido. Inspirò il profumo di quella pelle liscia che avrebbe morso volentieri, se non fosse stato per l’ordine del ragazzo. « E meritate di essere gustato a pieno. »
« I-Il giorno in cui p-potrai mangiarmi è... ah... ancora m-molto lontano. » lo rimbeccò Ciel, che aveva sempre più difficoltà a mostrarsi fermo e intoccabile come al solito.
« Divorarvi così è molto più interessante, signorino. » gli assicurò Sebastian. « E adesso tacete, o potrei cambiare idea. »
 
[1] Sebastian, usa la forza, se devi, ma sbrigati.
[2] Non intendo perdere un minuto di più con questo zotico.
[3] Non dovreste parlare così, padroncino.
[4] La violenza è inutile in questi casi.
 

Come sempre, buona domenica, cari. <3 Non mi sono dimenticata di voi. 
Come avevo preannunciato, Sebasrian ha capito di essere attratto da Ciel e non ha intenzione di lasciarselo sfuggire - pervertito! Non che il suo padrone sia da meno. Fanno coseh, belle coseh. Ho deciso di concentrare tutto il blocco di Devil's Bridge in un unico capitolo - con annessa morte dell'Ombra - perché, a differenza che a Dublino, non avevano niente da scoprire in senso proprio. Dovevano solo andare e ammazzare, come hanno fatto. Insomma, un lavoro semplice e veloce - ma soprattutto velice, per evitare che la regina Vittoria scopra cose che non deve.
Spero che la storia vi stia piacendo e che continuerete a seguirla. Come sempre, se avete voglia di chiacchierare, ci sentiamo nelle recensioni. Kissini!

 
   
 
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