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Autore: Miss Halfway    29/08/2016    2 recensioni
REVISIONATA FINO AL CAPITOLO 5
«All'improvviso sentii un soffio gelido spirarmi sul collo, mentre una mano, altrettanto gelida, mi accarezzava i capelli e coi polpastrelli mi sfiorava la pelle. O forse no: quella mano dal tocco glaciale in realtà non mi stava affatto accarezzando i capelli ma me li stava semplicemente spostando delicatamente dal collo per scoprirmi la carotide, sfiorandomi appena. Continuavo a percepire un venticello fresco, nonostante ricordassi chiaramente di aver chiuso la finestra quella notte per via dei lupi che ululavano alla luna e gli spifferi di corrente andavano diffondendo nell'aria un profumo che avevo già sentito e che ormai conoscevo bene.» (cap. 11)
Streghe, vampiri, licantropi... Saranno solo vecchie leggende e sciocche superstizioni? O la realtà, in fondo, cela qualcosa di sovrannaturale? Cosa nasconde la biblioteca scolastica? Chi è il ragazzo misterioso e qual è il suo segreto?
In seguito alla morte della nonna materna, la quale lascia in eredità l'antica Villa dei Morgan, Meredith insieme alla sua famiglia allargata farà ritorno a Salem, sua città natale. Lì comincerà per lei una nuova vita alle prese con un potere sovrannaturale, sogni premonitori, bizzarre amicizie e il coinvolgimento in uno strano triangolo amoroso...
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Triangolo
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5) Su in soffitta.


      Ero senza parole. Insomma, potevo giustificare il carattere e certi atteggiamenti di Jeremy fino a un certo punto, ma al Ballo di Primavera aveva avuto dei comportamenti talmente assurdi e fastidiosi che non riuscivo proprio a digerirli. Innanzitutto, sapendo bene che io volevo stringere amicizia con Alexis e che lei fosse stracotta di lui, perché diamine l'aveva baciata e poi piantata lì? Per farmi semplicemente uno sgarbo? Seconda cosa, perché cavolo si era messo in mezzo trascinandomi via quando si stava avvicinando il Re del Ballo? Che avesse una sorta di sesto senso nel giudicare le persone e lo ritenesse, in un certo senso, pericoloso? Probabilmente, però, Heric non si stava nemmeno dirigendo verso di me ed era tutto frutto della mia immaginazione ma se così non fosse stato, avrebbe pensato senz'altro che Jeremy fosse il mio fidanzato geloso. Indipendentemente dal fatto che Heric si stesse o meno incamminando verso di me, ero arrabbiatissima con Jeremy. Lo stavo odiando in quel momento.
    Andai a dormire coi nervi a fior di pelle.
   
Dopo essermi lavata bene la faccia e svestita, presi un pigiama pulito da una delle valigie già aperte e mi misi a letto, ripromettendomi ancora una volta di non andare mai più ad un ballo scolastico, tanto ogni volta mi capitavano cose spiacevoli. Infatti, forse, ancor peggio del venir vomitata addosso, era stata la sceneggiata messa in piedi dal mio fratellastro.
    Nella mia camera c'erano ancora tutti gli scatoloni a terra e i bagagli non disfatti come se fossi in procinto di partire di nuovo. In una settimana non avevo ancora trovato il tempo (e la voglia) di riordinare.

    Quando chiusi gli occhi, impressa e nitida nella mia mente c'era l'immagine di quel ragazzo: Heric William Browning e tutti i cattivi pensieri e la mia rabbia verso Jeremy si affievolirono. Presi subito sonno quella notte, resa piacevole dalla figura di quel ragazzo che riempiva la mia testa stanca e iniziai a sognare.
    Stavo andando a scuola, ma non era mattina. Sarà stato intorno alle sei dunque in tardo pomeriggio. C'era una fioca luce arancione nel cielo che filtrava dalle nuvole, probabilmente il sole stava tramontando. Mentre camminavo non percepii alcun controllo sul mio corpo, era come se le mie gambe si muovessero da sole e sapessero esattamente dove guidarmi, proprio come mi era successo la settimana scorsa quando andai a cercare la prozia Sarah e mi ritrovai di fronte alla drogheria della signora Xiang che mi indicò l'indirizzo esatto della Signora Morgan. Nel sogno però, invece di entrare nell’edificio scolastico, attraversai il giardino esterno per andare sul retro e trovai un piccolo portoncino, anzi, più che altro somigliava a un'uscita segreta, inserita tra le mura e nascosta dai rami dell'edera. Era come se sapessi che quella porta era lì, incastrata tra i mattoni e coperta dal fogliame. Poi all'improvviso ci fu un mutamento, come un cambio di scena: quando varcai quella porta mi ritrovai catapultata in un bosco e non era più l'ora del tramonto, era buio pesto. Il sole sembrava essere svanito totalmente in una frazione di secondo.
    Camminavo sicura di me percorrendo un sentiero angusto delimitato da due linee parallele di alberi dalle folte fronde. Dopo aver camminato per una ventina di minuti tra gli alberi arrivai dinanzi ad una sorta di recintato in pietra, accessibile tramite un cancello in ferro battuto completamente arrugginito: aveva l'aria di essere molto vecchio e con un semplice tocco riuscii ad aprirlo.
    Ero finita in un cimitero il quale aveva l'aria di essere molto antico e abbandonato da tempo. Era veramente tetro ed inquietante ma non avevo paura nel sogno e passeggiavo come uno spettro fra le tombe in cui le date di morte riportate, solitamente, non superavano il 1850.
    Mi fermai di fronte ad una maestosa cripta di marmo bianco cui nella testata d'ingresso era incisa una didascalia che recitava: Dal 15 78 al 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish. 
    Nel momento in cui stavo per mettere piede all'interno dell'imponente ipogeo ci fu una folata di vento che mi scaraventò a terra violentemente.
    «Meredith» una voce flebile alle mie spalle sussurrò il mio nome che rimbombò in quel luogo oscuro e macabro. Mi voltai e vidi una figura slavata, evanescente, con due occhi luminosi che mi scrutavano dolcemente, due occhi familiari: gli occhi della nonna. Stava lì di fronte a me, ferma a fissarmi fluttuando a pochi centimetri da terra come uno spirito diafano.
    «Nonna?» mormorai a quella figura eterea.
    «Mia cara Meredith, mia adorata nipotina. Devi stare molto attenta» proferì a bassa voce. Prima che potessi farle qualunque domanda mi parlò di nuovo: «Nella soffitta della Villa, devi andare su in soffitta...» asserì. 
    Non feci in tempo a chiederle nulla che di colpo mi svegliai, madida di sudore e con il cuore a mille. Ero terrorizzata, avevo paura, una tremenda paura che mi riempì la testa di domande e che riconfermò i miei dubbi sulla sua scomparsa. Appena il mio cuore riprese a battere normalmente, il respiro non fu più affannoso e mi calmai, calzai le pantofole e salii le scalette in legno in fondo al corridoio fino alla soffitta entrandoci guardinga in punta di piedi.
    Il soppalco era piuttosto ampio e impolverato e ne percepivo il polverume che ricopriva i mobili dall'odore stantio diffuso nell'aria. La luce non si accendeva, probabilmente si era fulminata la lampadina, ma riuscivo a vedere perfettamente per via dei raggi della luna che filtravano dalla finestra. La stanza era piena di scatoloni e cose attempate, un televisore, una vecchia radio e delle scaffalature tarlate con alcuni grossi libri sui ripiani dalla copertina di tessuto. La busta di carta che conteneva le erbe, le varie boccette utilizzate dalla nonna per preparare le sue pozioni ed altri utensili vari era stata abbondata all'ingresso da mia madre che sicuramente lasciò lì sull'uscio della porta per non addentrarsi troppo all'interno della soffitta. Ciò che invece catturò la mia attenzione attirandomi a sé fu un grosso baule polveroso attaccato al muro e posto sotto l'unica finestra presente, una finestra circolare dalla quale entrava la luce lunare. Il mio istinto curioso mi spinse ad aprirlo: dentro c’era un enorme libro dalla copertina di velluto color porpora che, per paura di ciò avrei potuto leggervi tra quelle odorose pagine vecchie e consumate, non aprii in quel momento, poi vi era una sorta di diario, un cofanetto con all'interno varie ampollette e sacchetti, e uno scrigno di legno.
    Misi da parte lo scrigno e cominciai a sfogliare il diario senza prestare molta attenzione alle parole che vi erano scritte. Tra le ultime pagine trovai una lettera in cui vi era indicato il destinatario: Per Meredith. Ero io la destiataria. Era dunque per me. Decisi di aprirla all'istante.
    La busta conteneva un foglio in cui erano scribacchiate poche righe con una calligrafia antiquata. Quella decisi di leggerla subito senza curarmi né del diario stesso né di tutto il resto.


5 marzo 2010, Salem.

«Cara Meredith, ormai non mi resta più molto tempo. Sebbene la mia vita sia stata piuttosto lunga e per la maggior parte serena, la mia fine è ormai sopraggiunta senza che io abbia modo di reagire e di combattere. Purtroppo, nonostante la saggezza e la conoscenza acquisita negli anni, la mia forza non è più quella di una volta e non sono in grado di lottare contro il mio destino, posso semplicemente attendere che si compi.
Ricordi quando ti ripetevo spesso che un giorno avresti scoperto i miei misteri e avresti capito le mie stranezze, come le chiamava il tuo papà e, a volte, la tua mamma? Ecco. Qualcosa sicuramente ti avrà portato qui a leggere questa mia lettera oggi e ciò significa dunque che probabilmente io già non ci son più. Per questo tu dovrai prendere il mio posto e comprendere tutto da sola. Tu sei speciale, possiedi un potere magico e dovrai imparare ad usarlo e a dominarlo. Avrei voluto insegnati io tutto quanto ma non mi sarà possibile, non mi è stato possibile, quindi aiutati con il grimorio nel baule e con questo diario. Riuscirai così sempre a trovare una soluzione.
Dentro lo scrigno di legno troverai una catenina con un ciondolo: indossala SEMPRE e soprattutto stai attenta a ciò che fai e a chi incontri. Nessuna delle persone che ti circonda, neanche la più vicina, è realmente come appare ai tuoi occhi.
Ti voglio bene nipotina mia, ti farò percepire la mia presenza al più presto.

Ti voglio bene,

Nonna Elizabeth.»



    Una lacrima mi attraversò il viso.
    Sapevo che la sua morte non era dovuta a un malore ma ad un qualcosa di misterioso che mia madre, la prozia Sarah e la signora Xiang cercavano di nascondere.
    Ero triste, spaventata e arrabbiata contemporaneamente che volevo piangere. Alle domande sulla sua scomparsa si aggiunsero quelle sul significato della lettera: mi ero sempre reputata una persona razionale e scettica, sebbene fossi da sempre affascianta dal sovrannaturale e dalle leggende, ma quello che avevo appena letto mi sconvolse totalmente, soprattutto la data riportata nella lettera: 5 marzo 2010. La nonna aveva scritto quella lettera tre giorni prima di morire, ma come poteva sapere che presto sarebbe giunta la sua ora? E a quale mio potere magico alludeva? E infine, io come potevo sapere che in soffitta, dentro ad un vecchio baule ricoperto di polvere e fra le pagine di un diario vi era una lettera per me tramite un sogno? 
    Stavo per impazzire!
    Riposi delicatamente il cofanetto nel baula, infilai la lettera nella sua busta, presi il diario e lo scrigno che avevo messo da parte per ricordarmi di portarlo con me e, in punta di piedi, tornai in camera mia cercando di non far rumore. Appoggiai il diario sul comodino e aprii il prezioso scrigno.
    Nonostante sembrasse una banale scatola di legno, dentro era rivestito da un prezioso tessuto rosso che copriva una morbida imbottitura.
    «Questo dev'essere il ciondolo!» pensai meravigliata. Era una catenina d'oro dalle maglie sottili a cui era agganciato un ciondolo sempre d'oro in cui era incastonata una pietra azzurra che scintillava abbagliata dalla luna ogni qual volta facevo roteare lo scrigno per osservarla meglio. Come aveva scritto la nonna, indossai subito il ciondolo prima di ricoricarmi. Non me ne sarei mai più separata.
    Il resto della notte trascorse pacificamente: non feci altri strani sogni, ma mi fu però difficile riprendere sonno. Così la mattina seguente nonostante fosse domenica, mi alzai presto e con due borse enormi sotto gli occhi. 
    Mia madre era uscita presto, aveva trovato impiego in uno dei numerosi musei di Salem, il Peabody Essex Museum*, Joseph era a lavoro, l'ospedale dove lavorava si trovava poco distante dalla città, a Lynn, ed Ashley invece dormiva ancora, lei si era trattenuta molto più di noi al ballo. Jeremy invece era già in piedi anche lui e stava seduto in cucina a bere una tazza di caffè. Dai noi non era usanza fare colazione tutti insieme né la domenica né qualunque altro giorno della settimana.
    Ignorando la sua presenza, aprii il frigorifero e presi il cartone del latte per scaldarne un po' in un pentolino.
    «Stanotte ho sentito dei passi su per le scale...» mi disse guardandomi sottecchi mentre sorseggiava il suo caffè.
    Non risposi. Era notte fonda perché era ancora sveglio?!
    «Cosa ci facevi in soffitta alle tre del mattino?» insistette voltandosi di scatto per guardarmi.
    «E tu cosa ci facevi sveglio alle tre del mattino?!»
    Non era possibile: era già la seconda volta che iniziavamo un discorso e finivamo per discutere.
    «Sembravi un elefante salendo su per le scale e mi hai svegliato. Tu invece?»
    Lo ignorai. Quella sua affermazione non meritava risposta.
    «Capisco tu stia cercando di ignorarmi ma so per certo che muori dalla voglia di darmi una rispostaccia» aggiunse sogghignando.
    «Oh Jer, sei così pesante ultimamente. Basta!»
    Presi la confezione di biscotti sul tavolo e andai a sedermi sul divano nell'altra stanza per evitare altri inutili battibecchi.
    Mi raggiunse poco dopo portandomi la tazza di latte che avevo dimenticato nel bollitore.
    «Se la tua intenzione fosse stata quella di bruciare la casa infestata, avrei lasciato volentieri il latte sul fuoco.»
    Alzai gli occhi al cielo: stava diventando davvero troppo irritante ultimamente.
    «Meredith, stai attenta a quello che fai.»
    Il suo avvertimento sembrava più un ti tengo d'occhio.
    Tornai al piano di sopra e misi in ordine la mia camera: dopo settimane ero riuscita finalmente a svuotare tutti gli scatoloni e a rendere vivibile quella stanza. Sulle mensole c'erano ancora i miei vecchi peluche che avevo lasciato prima di trasferirmi in Florida e con quelli riempii gli scatoloni ormai svuotati. Di fronte alla porta si trovava la finestra da cui potevo vedere il bosco cui i vetri erano coperti da una graziosa tendina di raso, nella parete a sinistra era posto il letto in ferro battuto mentre l'armadio, che da bianco era diventato giallastro con il tempo, si trovava dalla parete opposta. I muri erano rivestiti da una carta da parati lillà con alcune macchie sparse e riquadri più scuri dove, presumibilmente, prima vi erano appese delle cornici e dei dipinti. Nonostante lo stile un po' antiquato, non volevo cambiare nulla di quell'arredamento né rinfrescare le pareti o la moquette: quella stanza era passata di generazione in generazione prima a mia nonna, poi a mia madre e infine a me e sarebbe rimasta tale anche per le generazion avvenire. Ero una tradizionalista e una sentimentale in fondo.
    Finito di riordinare andai in soffitta con la scusa di portare lo scatolone con i peluche che avevo appena riempito e cominciai a sfogliare il grosso volume che, per paura, evitai di aprire la notte appena trascorsa. Sembrava un libro di incantesimi, e pure molto vecchio, datato 1689 come riportato nella seconda pagina. Insomma una vera e propria reliquia.
    «Avevo ragione che fossi qui stanotte!» la voce di Jeremy alle mie spalle mi spaventò. Non lo avevo sentito arrivare perché ero troppo concentrata a curiosare come un ladro.
    «Non ero io. Mi hai incuriosita! E poi dovevo sbarazzarmi di alcune vecchie cose e così sono salita» replicai.
    «Sì, certo. Abbiamo un elefante nottambulo in casa wow!»
    «Ci sono i piatti da lavare nel caso fossi annoiato.»
    «Mmmh no. Allora cosa ci fai qui?» mi domandò di nuovo e stavolta con tono più insistente.
    «Mi hai incuriosita e sono salita. Te l'ho detto.»
    «Credi davvero a queste cose?» disse inginocchiandosi accanto a me dando un'occhiata fugace al libro di incantesimi che tenevo in mano.
    «Quali cose?»
    «Le streghe» pronunciò la parola streghe con enorme scetticismo e con una vena disprezzo.
    «Non saprei. Mia nonna lo era., cioè affermava di esserlo.»
    «Stai attenta, non metterti nei guai» disse di nuovo quel tono da ti tengo d'occhio mentre si alzava in piedi.
    «Tu non ci credi?» gli domandai. Esitò un momento prima di rispondermi.
    «No. Mmh boh non lo so, ed è proprio perché non lo so che preferisco stare fuori da queste cose. Vado a farmi un giro, ciao!»
    Non riuscivo a capire quello che mi diceva: come si poteva non sapere di credere o no a un qualcosa?
    «Bella collana comunque» osservò prima di uscire dalla soffitta facendomi un cenno con la testa per indicareil ciondolo.
    Chissà perché la nonna aveva espressamente richiesto nella lettera che io lo indossassi. Anche questo ciondolo aveva un potere magico? C'erano solo due persone qui che potevano aiutarmi sebbene mi scocciasse un po' disturbarle e non avevo neanche la certezza che mi avrebbero davvero aiutata.
    «Pazienza se dovessi disturbarle!» pensai tra me e me.
    Jeremy era uscito e decisi di uscire anche io.

***

    Ricordavo perfettamente la strada. In meno di mezzora mi ritrovai già di fronte alla casa di Sarah Morgan, la mia misteriosa prozia di cui fino alla settimana scorsa non sapevo di avere. Quasi tutti i parenti dalla parte di mia madre erano deceduti mentre i parenti dalla parte di mio padre non liavevo mai incontrati.
    Titubante ritrassi il dito dal pulsante del campanello diverse volte prima di premerlo a fondo. Mi feci coraggio e suonai.
    Non attesi molto.
La donna era ancora in pigiama e visibilmente assonnata quando mi aprì.
    «Sei di nuovo qui? Cosa vuoi?» brontolò la Signora Morgan seminascosta dalla porta socchiusa.
    «Io...la prego non mi mandi via. Vorrei parlarle.»
    La donna borbottò qualcosa e sbuffando mi fece accomodare.
    «Sei fortunata, stavo giusto preparando la colazione.»
    Mi servì un té fumante e una montagna di pancake traboccanti di sciroppo di mais.
    «Sei identica a Elizabeth quando aveva la tua età, però sei così smagrita cara. Mangia» disse spingendo verso di me il piatto di frittelle che aveva preparato.
    Addentai un boccone e improvvisamente mi tornarono in mente i miei primi tre anni di vita a Salem, quando era la nonna a prepararmi la colazione. Questi pancake erano uguali a quelli che faceva anche lei, avevano lo stesso identico buon sapore. Erano ricordi flebili e fugaci, ma quel profumo e quel gusto erano inconfondibili.
    «Il segreto è lo sciroppo di mais- disse osservandomi mentre mi abbuffavo -Comunque, dimmi perché sei venuta.»
    Incrociò le braccia e con aria severa mi fissò in attesa di risposta.
    Deglutii l'ennesimo pezzetto di frittella e senza tanti preamboli le chiesi se conoscesse la vera causa della morte della nonna, sua sorella, Elizabeth Morgan.
    Ebbe un sussulto e fece spallucce. 
    «Sa, io non sapevo che la nonna avesse un'altra sorella. Pensavo fossero solo in quattro, o così mi aveva detto la mamma.»
    Annuì e brevemente mi raccontò il motivo del perché non avessi mai sentito parlare di lei né l'avessi mai sentita nominare dalla mamma o dalla nonna. Era stata praticamente spodestata dalla nostra famiglia, la stirpe dei Morgan.
    «Quel che ti sto per raccontare forse non avrà molto senso, ma se sei qui a farmi certe domande sicuramente non ti spaventerai. Eravamo cinque sorelle in realtà: Adele, Virginia, Elizabeth, io e Candice, la più piccola. Le prime tre, fra cui tua nonna, ereditarono un potere magico che si tramanda alternativamente tra una generazione e l'altra ma solo ad un certo numero di figli (sia che questi siano maschi sia che siano femmine) viene concesso il dono. Questo numero raggiunge un massimo di tre poiché la leggenda vuole che 3 sia il numero perfetto in tutte le culture e in tutte le religioni, dunque a me e a Candice non ci era stato trasmesso. A lei non importava molto, non si sentiva diversa, anzi, essendo la più piccola (di dieci anni rispetto a me che ero la più giovane) era coccolata come se fosse una di loro, una strega. Io no. Io mi sentivo esclusa, mi sentivo diversa soprattutto durante l'adolescenza. Adele, Virginia ed Elizabeth stavano spesso con nostra nonna, Elvira, per imparare a padroneggiare il loro potere, anche Candice a volte vi partecipava ed io rimanevo nella mia stanza da sola. Un giorno, quando non c'era nessuno in casa, frugai fra le cianfrusaglie magiche delle mie sorelle e di mia nonna perché volevo provare a fare un incantesimo anche io e mostrare a tutte quante che anche io potevo essere una strega come loro e che quella del numero 3 era solo una sciocchezza per contenere il numero delle streghe e per evitare che la vostra specie si moltiplicasse a dismisura. Di conseguenza, per aver tentato di lanciare un incantesimo, mi bruciai completamente le braccia e le mani» si interruppe un momento alzandosi le maniche della vestaglia per mostrarmi gli arti con delle profonde cicatrici d'ustione.
    
«Nostra madre tornò a casa dal lavoro e, preoccupata per il fuoco che fuoriusciva dalla finestra della soffitta, si precipitò fino a lì ma non essendo nemmeno lei una strega (perché era strega solo da parte di madre dunque il gene si eredita come ti ho detto a generazioni alterne a meno che entrambi i genitori non siano degli stregoni o per lo meno questo è ciò che viene raccontato), nel tentativo di risolvere il guaio che avevo combinato, prese fuoco come un barile di benzina. So che questo che ti sto dicendo è molto cruento, ma tu vuoi sapere la verità, non è vero?»
    Annuii con la testa invitandola a proseguire il racconto.
    «Chiamai i vicini i quali chiamarono i vigili del fuoco e scappai, la lasciai lì a bruciare insieme alla nostra casa. Ero spaventata e mi sentivo tremendamente in colpa, non sapendo cosa fare mi nascosi nel bosco dietro la villa. Appena i pompieri spensero l'incendio, stranamente la villa non subì danni particolarmente gravi, tornai a casa aspettando il ritorno delle mie sorelle e di mia nonna. Erano affrante. Tentai di spiegare l'accaduto ad Elvira ma lei mi maledisse. Ero stata avvisata e messa in guardia: non dovevo nemmeno pensare alla magia. Dunque mi fece un incantesimo: se avessi provato a farne un altro o se avessi interferito nuovamente con l'ordine naturale della magia sarei morta. Da quel giorno, ogni notte in sogno mi appare il fantasma di mia madre che brucia fra le fiamme, l'altra parte della maleduzione fattami da mia nonna. È terribile, mi tormenta ancora oggi» gli occhi le diventarono lucidi e abbassò il capo.
    «Per finire, nostra nonna mi diseredò cacciandomi via. Nostro padre era morto non appena nacque Candice ed io non avevo alcun posto dove andare. Avevo solo diciassette anni all'epoca ma riuscii a cavarmela accettando la proposta di matrimonio di un giovane di qui di cui, pace all'anima sua, non ero innamorata. Per questo conservai il cognome Morgan nonostante tutto. Ora ho sessantotto anni, sono più di quattro decenni che non ho a che fare con la magia e con le streghe» chiuse quel resocconto sospirando.
    Avrei voluto farle mille domande, ad esempio come erano morte le sue sorelle (e la nonna soprattutto), se aveva conosciuto mio nonno, se avevo altri parenti dalla loro parte, oltre un lontano cugino e sua moglie che vennero al funerale della nonna, ma non volevo sembrare inopportuna. Fu lei però ad accennare all'argomento.
    «Se te lo stai chiedendo non so come sia morta esattamente tua nonna. Adele morì di malattia una decina di anni fa, Virginia morì a causa di un infarto nel 1991 nonostante fosse molto giovane e Candice fu investita quando aveva poco più di trentanni. Tua nonna fu l'unica a rimanere in quella villa dopo la morte di Elvira, le altre andarono per la propria strada. Tua nonna fu anche l'unica ad aver avuto una figlia e poi una nipote, tu. Steven, che era al funerale, venne adottato da Adele.»
    Rimanemmo un po' in silenzio senza dire una parola fissando il vuoto del tavolo come diversivo.
    «Lei sa a cosa serve questo?» le chiesi poi mostrandole il ciondolo che tenevo nascosto sotto la maglietta per smorzare quell'atmosfera.
    La donna inorridì.
    «Sta attenta a quel coso. Chissà che razza di ordigno sia! Ora ti prego, va, ti ho detto fin troppo.»
    Mi accompagnò alla porta raccomandandosi nuovamente di fare attenzione e di non presentarmi mai più a casa sua.




Angolo autrice.
*Peabody Essex Museum: è un museo realmente esistente a Salem https://www.pem.org/
   
 
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