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Autore: AlchiMimesIstantanea    01/09/2016    1 recensioni
Lo vidi per caso, voltando distrattamente lo sguardo verso le mansuete acque di un canale addormentato.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Venezia ,4 Maggio 1923
Lo vidi per caso, voltando  distrattamente lo sguardo verso le mansuete acque di un canale addormentato. Passeggiavo lungo i diversi marciapiedi senza una meta precisa mentre le prime luci dell’alba  ridestavano la Serenissima e mai mi sarei aspettato che una piccola scintilla di diamante , baciata dall’aurora , attirasse la mia attenzione. Sapevo che non  sarei andato oltre senza prima aver avuto la possibilità di tener fra le mani il responsabile di quello scintillio, cosi mi accovacciai sul bordo del canale, tirai su la manica della camicia ed immersi l’intero braccio in acqua riuscendo, dopo svariati  tentativi, ad afferrare quella piccola goccia di sole.
Riaffiorato il braccio dall’acqua già avvertivo che il  mio pugno stringeva qualcosa di particolarmente piccolo inizialmente pensai fosse una moneta di un certo valore caduta a qualche riccone o almeno ci speravo dato che non potevo certo definirmi  una persona abbiente, ma la mia speranza venne spezzata nel momento in cui la mia mano si aprì ,permettendomi di constatare che sul mio palmo era adagiato,ricoperto di alghe, un vecchio anello.

Se il  mio defunto padre fosse stato li in quel momento me la sarei vista brutta,  mi avrebbe sicuramente tempestato di rimproveri dicendo -“Ludovico!”- oh si, Ludovico sono io, dicevo-
- “…Ludovico! Possibile che tu non abbia niente di meglio da fare che vagabondare di notte come uno squilibrato e fissare l’acqua in attesa che ti risponda!? Mona!”-
“Mona” ,questo avrebbe detto, certo non era la persona più amabile del mondo ma sono costretto ad ammettere che senza il suo “contributo”  non sarei qui. Ancora mi chiedo come mia madre fosse riuscita a sposare un personaggio simile,lei si che era  una brava persona ,una colomba,che ,ahimè,è volata via troppo presto .Posso affermare che, momentaneamente, la solitudine mi tiene compagnia.

Comunque, ritorniamo all’anello.
Lo privai d’ ogni residuo e iniziai ad osservarlo più da vicino. Una piccola fascia di metallo nobile, molto probabilmente oro,quasi perfettamente levigata. Sembrava in condizioni accettabili, nonostante quell’anello fosse rimasto a stagnare in una delle “vene”della Serenissima per non osai immaginare quanto.

Non era ne uno Zecchino ne una Giustina ma si trattava ugualmente di qualcosa con un valore abbastanza elevato, l’avrei potuto vendere e con il ricavato assicurarmi una condizione economica migliore, almeno  in quel modo sarei anche riuscito a pagare l’affitto al  Sior Leandro, il mio padrone di casa, che non valuterei come il più affabile degli uomini. Avrei sicuramente evitato parecchie rogne se l’avessi portato al monte dei pegni per un prestito ma le  decisioni affrettate a volte  possono rivelarsi disastrose ed inoltre quel piccolo gingillo aveva un particolare fascino che azzarderei definire mistico. Quindi, dopo aver passato un ‘intera notte insonne  a salire e scendere da ponti e saltare da una sponda all’altra attraversando  una Venezia “ancora sotto le coperte”, decisi di tornare al mio alloggio di pochi metri quadri  portando il piccolo gioiello con me , riposto  accuratamente nel taschino del mio gilet, purtroppo quello della giacca era forato, forse avrei  dovuto informare  il Sior Leandro riguardo ai topi.

Arrivato a casa posai le chiavi sul comò e mi buttai di getto sul letto, o almeno quel che ne restava perché sinceramente non credo che un materasso sorretto da quattro palafitte di legno possa pregiarsi di tale nome. Venezia si svegliava ed io non sapevo cosa avrei dato per chiudere un po’ le palpebre, era buffo ma non una novità, ormai l’insonnia si era troppo affezionata a me. Riuscivo già a percepire le diverse sinfonie e sfumature della città:
le campane di San Marco rintoccare le sei, le prime chiacchierate dei gondolieri sotto casa, le onde della laguna molleggiare, i gatti sbadigliare, l’odore del caffè appena servito al ”El Baxìn” il bar della Siora Iole ed in particolare la musica di un grammofono provenire  dall’abitazione del Sior Alvise , celibe ed amante d’ogni tipologia d’ arte ,non per niente si recava al Correr ogni giorno ,diceva sempre che l’unico luogo dove avrebbe trovato l’amore sarebbe stato un museo, non c’è bisogno che dica che è ancora scapolo.
Seguendo il ritmo della melodia di quell’aggeggio finii con il  tamburellarmi il ventre , spontanea reazione che mi rammentò la presenza del famoso anello nel mio taschino,al quale, sinceramente, avevo smesso di pensare dal momento in cui mi ritrovai davanti agli occhi il mio letto.
Con l’anello nuovamente in mano ,mi alzai e mi diressi verso la finestra , mentre ruotavo quel piccolo cerchio fra le dita i raggi solari lo tempestarono di luce come se volessero dimostrare quanto splendore fosse capace di emettere il gioiello, mi allontanai dall’infisso e mi sedetti sul letto,  sedie non c’e n’erano e un altro possibile piano d’appoggio oltre al letto ed il comò, era il gabinetto ed ovviamente, come tutti, volevo usufruire di quel seggio senza fondo solo ed esclusivamente in determinati momenti.

Stavo ancora giocherellando con l’anello osservando il vuoto in cerca di una distrazione, finche mi resi conto che da quando avevo trovato il gioiello non avevo mai provato ad indossarlo. Quella stessa  mattina sarei andato al banco dei pegni per ricavarne qualcosa, giusto per fare un tentativo, ma prima volevo togliermi una piccola soddisfazione: vedere come mi stava.

La mia famiglia non è mai stata molto agiata e gli unici gioielli che mi capitava di vedere in casa mia erano i monili , spille , orecchini e gemme varie addosso alle “patrone” ,le nobildonne  per le quali mia madre lavorava  facendo da lavandaia e ciò che era peggio ,quelle arpie tutte in ghingheri pagavano anche la metà del servizio, tuttora mi domando come riuscivano ad entrare in quei vestitini da bambola visto che la loro stazza era tale da far imbarcare acqua ad una gondola.

Dovete perdonarmi per questi intermezzi malinconici ,non vorrei farvi perdere il filo del discorso, comunque, un goccio di raffinatezza nella miseria non poteva guastare così  ,senza altre esitazioni,  feci lentamente scivolare quel cerchio dorato lungo l’anulare della mia mano destra. Calzava alla perfezione, ne troppo lento ne troppo stretto, come se l’anello si fosse adattato al mio dito.
Il mio sguardo era talmente rapito dal gioiello che quando feci per sedermi, in un batter d’occhio ,atterrai sul pavimento, cosa che naturalmente mi fece trasalire. Il motivo poteva essere plausibile, sicuramente indietreggiando non sapevo dove andavo ed avevo mancato il materasso. Ragionamento abbastanza logico ,ma che venne ,inaspettatamente, smentito non  appena mi rialzai in piedi e realizzai che il mio povero posteriore non era atterrato sul morbido per il semplice motivo che il letto era sparito !

Sparito come tutto il resto, gabinetto compreso,lasciando il posto però ad altra mobilia, una tipologia decisamente più antica e la disposizione dell’ armadio , del letto e dei vari suppellettili era cambiata ,si era aggiunta  anche una scrivania, completa di penna, calamaio e carta da lettere e ,adagiato  su un comò in mogano, vi era un orologio da taschino d’argento. Ancora mezzo stralunato mi diressi proprio verso il ticchettio di quel marchingegno ed una volta adagiato nel mio palmo notai un piccolo dettaglio che mi provocò quasi uno svenimento. Sul retro di quel cipollotto vi era inciso un numero a quattro cifre: 1796.

Iniziai a camminare per la stanza  senza staccare lo sguardo da quella cifra, finche non venni distratto dall’immagine che uno specchio attaccato alla parete aveva catturato, sembrerà sciocco dirlo ma, fidatevi ,essere spaventati  dal proprio riflesso può essere fatale. Non che mi fossi tramutato in una bestia ma mi accorsi solamente in quell’istante che i miei stracci bucherellati  avevano lasciato il posto ad una camicia e calze di seta bianca, un gilet in sfumatura corallo, una giacca ed un pantalone color crema,scarpe con fibbie in bronzo ed un magnifico  tricorno nero con decorazioni in pizzo lunghi i lati, inoltre ,alcune delle mie ciocche castane erano unite da un nastro color avorio.
Non riuscivo ad assegnare una logica a ciò che stava accadendo, le opzioni erano due , o le passeggiate al chiar di luna mi avevano dato alla testa conducendomi alla pazzia oppure tutto ciò che avevo davanti era soltanto un bel sogno. Confuso ,mi diressi verso la finestra, tutto quello sfarzo mi stava soffocando, necessitavo d’aria  e, cosa più importante, dovevo svegliarmi, così aprii una delle ante ed affidai il volto ad un lieve soffio di vento.

Con ancora gli occhi socchiusi e le labbra sfiorate dalla brezza,venni distolto da un forte rumore,una specie di colpo, seguito subito da grida.

-De diana !Guarda cossa ga fato sto mona!-

-Mi no go fato gnente!-

- Cossa xe sta cagnàra!-

-Oe! Adesso adesso ve chiapo per un pie  e ve meno de fasa al Doze! -

Attirato  da quel baccano, spostai lo sguardo verso il basso e mi ritrovai davanti una scena a dir poco assurda. Due gondolieri se ne stavano dicendo di tutti i colori  in dialetto stretto a causa di un tamponamento avvenuto tra le loro imbarcazioni e come se non bastasse ,i diversi inquilini avevano iniziato a lamentarsi per tutto quel disordine ,ma ciò che mi fece veramente ribrezzo fu l’ultima frase detta da uno dei due :

“Vi prendo e vi porto davanti al Doge”


Per quale motivo aveva citato  il Doge, ormai a Venezia non se ne vedeva uno dal 1797. Gia…dal 1797.
In quel momento la mia mente si mise in moto, avevo ancora l’orologio tra le mani ,le mie dita sfioravano accuratamente quell’incisione a quattro cifre,cifre che non erano li per caso e che forse mi avrebbero suggerito quale delle due strade prendere nel bivio della mia mente: pazzia o fantasia? Esisteva forse una via di mezzo fra queste due fazioni?Magari ve ne era una terza, l’unica che la mente umana rifiuta ed è quasi incapace di tollerare : la magia.

Fortunatamente per me, riguardo a quest’argomento, potrei classificarmi nella categoria dell’ eccezione.
Con l’aggiunta di quell’essenziale ingrediente, nella mia testa ogni stranezza stava iniziando ad avere un senso:un tripudio  di vecchio stile, mobili sbucati dal nulla, io conciato come un damerino ed un orologio con una data assurda che ora tanto assurda non era. Catapultato nel passato senza accorgermene, ma la domanda cardine era : Come diavolo ci ero riuscito?
Ero a pochi centimetri dal davanzale, assorto nei miei più impensabili ragionamenti, quando una strisciolina di luce mi offuscò per pochi secondi la vista ,costringendomi ad  indietreggiare dalla finestra, poco dopo una probabile riposta alla mia domanda mi balenò in testa, mi diressi nuovamente verso la finestra ,distesi il   braccio verso la luce e finalmente ebbi la conferma che aspettavo:

la soluzione al mio rompicapo  era aggrappata all’anulare della mia mano destra. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un oggetto così piccolo fosse stata la causa di tutto ciò che mi era accaduto ,abiti e mobili compresi.
Poi feci un secondo ragionamento: se nel momento in cui indossai l’anello feci un salto temporale di oltre un secolo forse sfilandolo dal dito sarei tornato nel presente. Senza pensarci troppo provai a togliermi il gioiello di dosso ma ogni tentativo era vano , non ne voleva sapere di venire via, era come incollato alla mia pelle.

Sicuramente aveva dimostrato di  non essere un anello come tutti gli altri ed io non facevo altro che chiedermi in continuazione chi potesse essere stato il suo precedente proprietario, di certo non una persona comune.
Resta da dire che ero comunque bloccato in una Venezia settecentesca e se volevo uscirne dovevo trovare una soluzione al più presto, tutto quello che potevo fare in quel momento era scendere di casa e sentire che sensazione si provasse a  passeggiare per le vie della propria città prima ancora di nascerci, e se questo non è un   privilegio ditemi vuoi cos’è.
   
 
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