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Autore: Looking at the Rainbow    02/09/2016    1 recensioni
La voce di Eleonor ci porta per mano nel castello; ci sono i Malandrini, c'è l'amicizia e la lealtà che forse, per qualcuno, è venuta meno.
Dal testo: "Oggi ho deciso di lasciare che la mente di una vecchia signora si abbandoni docilmente alla corrente dei ricordi.
E prima che questo avvenga, lascio le ultime righe per te, Harry Potter.
Se mai leggerai ciò che sto scrivendo sappi che, un po’ lontano da casa tua, c’è qualcuno che non ti conosce, ma che conosce la tua storia.
Una storia che meriti di sentire, finalmente."
Genere: Avventura, Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmeline Vance, I Malandrini, Mary MacDonald | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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C'era una volta il nostro mondo

La pergamena bianca mi guarda, spazientita, invitandomi ad intingere la piuma e iniziare.
Ed io, debole come sempre, l’assecondo.
Non so dirti, Harry, quando vidi tuo padre per la prima volta.
Mi piacerebbe descriverti una sua entrata in scena che mi colpì, ma la mia mente, allora bambina, non ha trattenuto nessuna immagine di quel momento.
La famiglia Potter e la famiglia Thompson erano infatti legate da una profonda amicizia già prima della nostra nascita.
Amicizia che fu certamente rafforzata dall’arrivo di due bambini, ad un mese di distanza l’uno dall’altra.
Questo rapporto garantì a James e me di crescere insieme, di darci quasi per scontati in ogni momento della nostra infanzia.
C’era lui, nelle foto in cui comparivo con due dentini, davanti ad una grande torta, il giorno del mio primo compleanno.
C’era lui quando imparai a camminare, imitando i pochi passi che, più temerario di me, aveva già compiuto.
C’era James quando a sei anni caddi dalla sua scopa giocattolo rompendomi un polso.
C’era in ogni pomeriggio invernale trascorso davanti al camino e in ogni giornata estiva spesa in giardino a fantasticare.
Fantasticare, sognare, ecco, forse si trovava lì la chiave del nostro legame, a quei tempi.
Quello che ci rese complici e compagni.
In tutti quei pomeriggi, in tutte quelle giornate, noi immaginavamo il nostro futuro.
Futuro che, come per tanti altri maghi e streghe, aveva un nome che suscitava sempre un sorriso e uno sguardo brillante di emozione.
Hogwarts.
Nei pensieri di due bambini c’era il giorno in cui, seguendo le orme dei nostri genitori, saremmo saliti su quel treno scarlatto e sbuffante per diventare grandi. Grandi insieme.
E gli undici anni non si fecero attendere.
I gufi, con le due lettere identiche che avevamo tanto agognato, ci trovarono a fare colazione a casa mia.
In quella cucina un po’ troppo gialla come piaceva a mia madre, gomito a gomito, le aprimmo e ci abbracciammo, io con gli occhi lucidi, lui già pregustando il divertimento che lo attendeva.
Nei giorni seguenti ci fornimmo dell’occorrente e, ad ogni acquisto, Hogwarts diventava più vera, più concreta.
La notte che precedette quel lontano 1° Settembre 1971, praticamente non chiusi occhio.
Per la prima volta, lontana da James e dal suo entusiasmo, provai paura.
Paura per quel luogo che non conoscevo, paura di trovarmi magari senza di lui, paura nel dovermi allontanare dai miei genitori.
Alle cinque, seduta sul letto, gettavo uno sguardo al mio baule, già pronto, uno alla finestra, dove la luce del mattino si faceva sempre più intensa e uno alla mia camera che con ogni probabilità non avrei rivisto fino a Natale.
Ogni inquietudine mi abbandonò, tuttavia, sostituita da un entusiasmo che mi impediva di rimanere ferma anche solo per un secondo, non appena misi piede fuori dalla porta, vestita di tutto punto.
Lì trovai James.
Aveva i capelli più scompigliati del solito, gli occhi appannati dietro alle lenti degli occhiali e, grattandosi una guancia borbottò: “Mamma mi ha buttato giù dal letto.”
Io scoppia in una risata liberatoria che sicuramente non comprese.
Eravamo insieme e, con lui al mio fianco, sarebbe andato tutto bene.
I nostri genitori ci accompagnarono al binario, ci strinsero entrambi in un abbraccio mozzafiato e con sorpresa vidi Dorea Potter, l’Auror intransigente, con le lacrime agli occhi.
Quando salii sul treno capii che tante cose stavano per cambiare, che sarei cresciuta e che della bambina che conoscevo avrei ritrovato a breve soltanto i lineamenti sottili, i capelli chiari e gli occhi blu.
“Cerchiamo uno scompartimento?” mi chiese James.
Io annuii, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e che nascondeva tante domande.
Alla fine, gli unici posti che trovammo liberi erano in fondo al treno, accanto ad altri tre ragazzi e una ragazzina, tutti, a giudicare dagli sguardi disorientati, al primo anno come noi.
James, ancora scombussolato dall’essere stato svegliato brutalmente, riuscì a crollare con la testa addosso al finestrino in un sonno profondo così io fui libera di fare una delle cose che mi riusciva meglio; osservare.
Senza dare nell’occhio la mia attenzione si focalizzò su coloro che mi circondavano e fu catturata dalla ragazzina.
Era più alta di me, aveva capelli scuri e lucenti e stringeva tra le mani quello che riconobbi per il primo volume di Storia della Magia. Sembrava totalmente presa dalla lettura.
Inspiegabilmente, provai un moto di simpatia nei suoi confronti.
Accanto a lei, c’era un ragazzo che sprofondava di tanto in tanto in un sonno leggero, dal quale riemergeva con un sussulto; la sua testa, come se seguisse un ritmo sconosciuto, scendeva sul collo e si rialzava di scatto.
Mi colpì il suo volto, che pur essendo segnato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra, non sembrava affatto minaccioso.
Provai l’impulso di rassicurarlo per qualcosa che non conoscevo, ma che sembrava tormentarlo.
Scostando lo sguardo da lui, andai a posarlo su colui che sedeva accanto a me e che se ne stava raggomitolato sul sedile.
Quando si accorse che lo guardavo, si allontanò un po’, quasi intimorito, e notai che era un po’ pienotto e che aveva piccoli occhi chiari.
Infine mi concentrai sull’ultima persona che occupava lo scompartimento.
Avevo evitato accuratamente di osservarlo, perché a differenza degli altri, cercava il mio sguardo, come se stesse cercando di catturare la mia attenzione per sfidarmi a studiarlo.
Pur avendo incisi sul volto la morbidezza e la dolcezza tipiche dei bambini, sembrava più grande e iniziava a far mostra di una notevole bellezza che mi fece inspiegabilmente arrossire.
Non appena sollevai gli occhi per fissarli nei suoi, celesti e freddi come il ghiaccio, quello curvò le labbra in un sorriso strafottente.
“Come ti chiami?” mi domandò.
“Eleonor” risposi, tentando di rimanere distaccata quanto lui. “Tu?”
“Sirius Black” si presentò “ma non mi piace essere paragonato a quelli della mia famiglia, qualsiasi cosa tu sappia su di loro”.
Io scrollai le spalle.
Avevo sentito mia madre parlare dei Black di tanto in tanto, ma non avevo mai dato orecchio a ciò che diceva, quindi a parte la loro esistenza non avrei saputo dire molto altro.
“E quello lì chi è?” mi chiese dopo qualche minuto, indicando con un cenno del capo James.
“Oh, lui è James Potter, il mio migliore amico”.
“Beh, lasciatelo dire, il tuo amico è vergognoso.”
Senza capire lo guardai e vidi che, nel sonno, la sua guancia si era attaccata al vetro, la bocca si era aperta e gli occhiali pendevano storti sul naso.
Era vergognoso, davvero, ma il tono in cui quello lo aveva detto mi infastidì tanto che gli risposi con un po’ di arroganza.
“Non sono problemi tuoi.”
Quel Black sbuffò e, stringendo la manopola del finestrino, lo abbassò in un colpo solo, facendo sbattere la testa a James e facendo entrare il vento generato dal treno in corsa.
Probabilmente fu allora che iniziò il mio astio nei confronti di Sirius Black.
Mi alzai, con la bacchetta sguainata, come se poi sapessi produrre altro che qualche scintilla colorata, decisa a farlo fuori.
James invece, che con l’urto si era svegliato, trovò lo scherzo estremamente divertente e, dopo avermi tranquillizzata, iniziò a parlare con l’artefice dando vita a un’inspiegabile complicità.
Ben presto la conversazione coinvolse tutti, come se il muro, creato dal non conoscerci, fosse crollato al suono della risata di James.
Il ragazzo dolce si presentò come Remus Lupin, passò gran parte del viaggio in silenzio, con un sorriso sulle labbra, come se si sentisse per qualche strana ragione, fortunato a stare lì con noi.
L’altro ragazzino invece, che sembrava ancor più spaventato dopo la mia sfuriata, seguiva con lo sguardo ciò che accadeva e una delle poche cose che disse, quando gli fu esplicitamente chiesto fu un: “Mi chiamo Peter Minus”, pronunciato con voce un po’ acuta.
La ragazza infine, messo da parte il grosso tomo scolastico si rivelò essere dolce e disponibile e, quando passò la signora del carrello, offrì a tutti un bastoncino di liquirizia, guadagnandosi da parte di Minus uno sguardo poco meno che amorevole.
Disse di chiamarsi Mary, Mary MacDonald.
So, Harry, che raccontarti questi pezzi di vita è uno dei regali più belli che tu possa ricevere, ma non ricordo con esattezza come si svolse tutto il viaggio.
Sappi però, che alla fine della corsa, quando il treno iniziò a rallentare tra uno sbuffo e l’altro, avevo avuto modo di conoscere meglio Remus e Mary e di dire che Peter non era poi così noioso, avevo avuto modo di classificare Sirius come un presuntuoso e un arrogante e, soprattutto, avevo iniziato a sentire gli aghi con cui l’invidia sembrava pungermi la pelle.
Tra Sirius e James si erano create una sintonia e un’armonia che non riuscivo a spiegarmi, che non volevo spiegarmi.
Strinsi la mano a Mary quando, scendendo dall’Espresso, Hogwarts si stagliò di fronte a noi, bellissima.
Era lì, il castello dei nostri sogni di bambini, delle nostre speranze.
Ci stava aspettando, oltre la superficie piatta di quel lago che alla luce della luna sembrava inchiostro.
Insieme, senza sapere quello che ci attendeva, iniziammo quel magico viaggio.

NdA: Cercherò di pubblicare tutti i capitoli che sto rivisitando il più in fretta possibile, per passare poi alla parte nuova della storia. Forse non interessa a nessuno, ma mi fa piacere anche solo sapere che qualcuno abbia aperto la storia. Vi ringrazio di nuovo.

  
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