Finnick/Johanna
E
la passione, poi, è una fuga, in cui il ritrovarsi ha solo
il
significato di una solitudine raddoppiata.
–
Robert Musil
Pretendin’
to sleep
«
Oh, Finnick, sono così triste.
Tu sei l’unico che mi
capisce, » singhiozza Dahlia, « mi mancherai
così tanto in questi giorni. Sei
così dolce e buono con me, e io ... io –
»
«
Ehi, ehi, non piangere. Mi
mancherai anche tu, piccola, » dice, asciugandole le lacrime.
« E qualsiasi
cosa di cui tu voglia parlare, io sono qui. Appena tornerai dal tour
dei
Distretti, io sarò qui ad aspettarti; però non
voglio vederti piangere, intesi?
»
Allunga
le mani verso il suo
viso, sorridendole dolcemente. La luce morbida del pomeriggio illumina
la
finestra e filtra tra le tapparelle serrate. Dahlia sta seduta sul
letto con
tutti i suoi vestiti intorno, accanto all’unico ragazzo che
– si dice – potrà
mai amare davvero. « Sei molto più bella quando
sorridi, » le dice lui. Solleva
lentamente la sua sottoveste e la aiuta a rindossarla; «
Questo abito è
meraviglioso » commenta, accennando poi al vestito verde
adagiato sulla sedia.
Come
tutte le ragazze di Capital
City che ricevono un complimento del genere, Dahlia arrossisce.
«
Oh. Oh, grazie, » dice, « mio
marito non è – non ... è mai stato
così gentile con me. Grazie per tutto quello
che – »
«
Di niente, piccola, » la
interrompe lui, baciandole la guancia. « Te lo meriti.
»
Dahlia
finisce di vestirsi, e con
uno sguardo timido lo saluta. Finnick pensa a lei, e a tutte quelle che
come
lei sono passate per il suo letto negli ultimi giorni: dolci,
carine e sposate. Totalmente ignare di cosa sia il vero
dolore.
Si
è affezionato a loro, in ogni
caso; alle storie della giovane, timida Dahlia, ai segreti di Eve, alle
risate
di Myra, a tutte loro a cui basta un bacio, una carezza, una bella
parola sui
loro capelli o sui loro vestiti.
Finnick
è insensatamente innamorato
di tutte quelle donne che, giorno per giorno, nella
semi-oscurità della sua stanza,
gli regalano pezzo per pezzo le loro vite a Capital City; e dai loro
occhi vede
le feste, i pettegolezzi, i tradimenti, gli assassinii, i dettagli sul
Presidente e sulla nuova edizione dei Giochi. Una volta è
addirittura stato con
la moglie di uno Stratega. Si chiamava Stephanie.
Con
un pizzico di rammarico,
Finnick pensa che non sono bastati tutti i suoi segreti a salvare i
tributi di
cui era stato mentore.
Per
altri versi, invece, le odia.
Quelle donne di cui non sa niente se non il nome, che gemono promesse
tra le
lenzuola, vicine a lui (troppo vicine);
quei corpi caldi e morbidi che lo disgustano invece di eccitarlo. Non
pensa ad
Annie, mentre sta con loro. Anche se la cosa renderebbe tutto
più semplice, si
è autoimposto di non pensare a lei – quasi
rischiasse di sporcare la sua idea,
e di tradirla davvero. Ci vediamo presto;
grazie di tutto. Dahlia <3, legge, strofinando i
polpastrelli sulla
superficie liscia e profumata del biglietto. Dev’essere
arrossita, nello scriverlo;
riflette. Dev’essere –
«
Bene. Ho lasciato un messaggio
di segreteria che spero tu possa sentire appena avrai finito con la tua
ragazza, » accenna una voce ironica, che improvvisamente
esplode dal
ricevitore, « ho voglia di vederti. Ho saputo che ti fai
pagare in segreti,
sai? Forse ho qualcosa che ti potrebbe interessare. »
Finnick
sbarra gli occhi,
avvicinandosi al ricevitore. La registrazione ha reso roca la sua voce,
ma dopo
tutto ... – dopo tutto quello che
hanno
passato – gli è impossibile non
riconoscerla.
«
Non ti crea problemi il fatto
che non sia di Capital, vero? Ci vediamo fra un’ora nella tua
stanza, fatti ...
trovare pronto. Non ne parlerò con nessuno, tranquillo.
»
*
Quando
Finnick si sveglia,
qualcuno ha tirato su la tapparella di qualche centimetro. Una striscia
di luce
illumina il parquet della sua stanza. Ha un vago mal di testa, e la
fastidiosa
sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante.
«
Allora, Finnick Odair? » chiede
una voce da qualche parte della stanza; «
Com’è andare a letto con tutta la
capitale? »
Johanna
è sempre stata così, si
dice. Crudele e sarcastica sul suo trono irraggiungibile. Non puoi farmi male, sembrava voler
dire. Nessuno può,
perché non c’è più nessuno
che io ami. Guardava tutti
dall’alto in basso col suo perenne sorriso ironico, coi suoi
occhi che
dicevano: su, feriscimi. Guardami sanguinare. Poi, con una strana,
triste
soddisfazione, contemplava la gente perdersi nel dolore; un dolore con
cui lei
aveva imparato a convivere, fino a renderlo parte di sé.
Come
una brutta cicatrice che tentiamo
di nascondere, pensa Finnick. Che da tempo ha smesso di bruciare, ma
che è
ancora lì, odiosa, in qualche luogo sperduto del tuo corpo,
a ricordarti i
giorni in cui era una ferita aperta. Pensa anche che un giorno qualcuno
spoglierà
Johanna Mason, e vedendo quella cicatrice avrebbe visto le sue lacrime,
e tutto
quello che negli anni aveva seppellito sotto chili e chili di sarcasmo
e
cattiveria.
«
Come dormire assaliti dagli
incubi, » offre,« per poi svegliarsi e rendersi
conto di essere in una stanza
d’albergo anonima a Capital City. È un buon
paragone, ed è una cosa che
dovresti sapere. »
La
vede emergere dal buio nel suo
ridicolo abito da festa, le sopracciglia arcuate in
un’espressione divertita,
le gambe bianche lunghissime e flessuose che scivolano fuori dallo
spacco. Una
striscia di eye-liner sbavata le percorre la parte destra del viso.
« Già, »
acconsente. « Per questo sono venuta qui,
a trovare te. Com’è
che dicono? A
portare un fardello in due si fa meno fatica? Sì, era una
cosa del genere. »
Ridacchia, prendendo posto accanto a Finnick. Sfrega le gambe sulla
federa
morbida del letto.
«
Uh. Queste lenzuola hanno un
buon profumo, » considera, « merito di ...
» – si allunga le coperte fino ad
afferrare il biglietto dimenticato sul cuscino – «
... Dahlia? »
«
Sposata con un ministro. Due
figli, sette e tre anni. Suo marito complotta contro il presidente.
E’ spesso
fuori per lavoro, e lei si sente sola, » risponde lui
automaticamente.
«
E per questo viene da te. »
«
E per questo viene da me, »
conferma. « Come tutte le altre. Qui a Capital sono parecchio
eccentrici
persino riguardo il sesso: hanno idee strane su cosa mi piaccia. Di
tanto in
tanto alcune tentano di sorprendermi in modi assurdi. »
Johanna
solleva le sopracciglia in
un’espressione maliziosa. « E che cosa ti piace
davvero? » chiede, piantando lo
sguardo in quello di Finnick. Lui sorride e scuote piano la testa.
«
Va bene, so che non mi
risponderai. Ma ho una curiosità: come fai a sapere tutte
queste cose? Sono
questi, i segreti? »
«
Questi ed altri. Capital City
non è altro che una regnatela di sangue, complotti e
appetiti sessuali
mascherata a festa. Credo che stiano molto male, sai? »
accenna con tono
pacato, « dev’essere sfiancante, intendo. Conciarsi
a quel modo per poi venire
a piangere nel mio letto. »
«
Oh - oh, come siamo cinici.
Scommetto che le tue ragazze ti trovino molto ... » – allunga una
gamba sopra le sue, e prende a
giocare con una ciocca dei suoi capelli – «
interessante. Anche io ti trovo
interessante. Anche il presidente Snow ti trova interessante. E anche
Annie,
anche se credo che per lei sia molto più dolce e ingenuo. Il
mondo intero è
interessato a Finnick Odair! » esclama. « Al
contrario di quelli come me, la
gente come te interessa sempre. »
Finnick
si perde per qualche
istante nel contemplare i lineamenti delicati di Johanna vagamente
illuminati
dall’ultimo sole del giorno. Sulla pelle della sua guancia
luccicano ancora un
po’ di brillantini.
«
Dovresti essere più morbida, »
dice, sollevando l’angolo
della bocca in una sorta di sorriso, « sai, no, alla gente di
Capital
interessano le persone con cui si può giocare. Loro amano
divertirsi. Tu sei un
po’ troppo aggressiva per i loro standard. » Sente
le labbra di Johanna premere
sul suo collo e riprende a parlare: « E’ una delle
prima cose che hanno tenuto
a farmi sapere. Chi abita nella capitale è fragile come un
bel soprammobile di
vetro intarsiato. Bisogna maneggiarlo con cura e con dolcezza.
»
«
Uhmpf. Noi dei Distretti non siamo
fatti per i capricci di Capital, » replica lei, assestandogli
un morso nella
pelle sensibile appena sotto l’orecchio, « non mi
pare che ci trattassero con cura, durante
i Giochi. Ma ... è questo
che gli piace di noi, vero? Credono di poterci portare in giro come
cani
ammaestrati, » scandisce, « senza immaginare che
– »
Un
gemito di Finnick la
interrompe. È ancora semi svestito, lui, con una giovane
donna arrabbiata sulle
gambe che lo bacia e lo rimprovera insieme. « Uh, »
ridacchia, « dovrei
dare lezione alle tue belle di
Capital. Vuoi che continui? »
Tenta
di farlo suonare casuale,
mentre fa scorrere una mano sulla sua coscia. Finnick vorrebbe
risponderle di
sì, ma a questo punto il pensiero di Annie lo colpisce forte
e chiaro come un
fulmine e si tira indietro.
«
N-no, » tentenna, « non è ...
il caso. Mi stavi dicendo? »
Johanna
lo spinge indietro sul
letto, tenendogli le mani premute appena sotto le spalle; «
ti dicevo, »
riprende, « che non hanno idea di quanto noi influiamo sulle
loro vite. Non
sarebbero niente, se non fosse per la nostra semplice esistenza. Capital non sarebbe niente senza i
Distretti. Snow non sarebbe nessuno senza me,
te ... e tutti gli altri. »
Finnick
sente quanto Johanna
tenti di creare un ‘noi’ che la salvi dal resto del
mondo crudele e ingiusto
che la circonda, un letto sicuro come un porto su cui distendersi,
accanto a
qualcuno che silenziosamente la comprenda e la ami. Sente che
nonostante tutto
sia spezzata – come lui,
più di lui forse
– e nella sua lingua orgogliosa e violenta preghi
perché qualcuno la aggiusti.
Si volta verso di lei e la stringe fra le braccia.
Come quando erano stati vincitori, prima lui e poi lei, e poi mentori
di
tributi che non avrebbero potuto salvare, lui venticinque e lei
ventisei anni –
la stretta di mano prima di ogni nuova Edizione, l’abbraccio
sincero dopo la
fine di ognuna ... a modo suo, Finnick crede di amare
Johanna. L’unica donna al mondo con cui a Capital
può
permettersi di tenere la porta aperta, avere incubi, parlare fino a che
le
lacrime lo soffochino e il sonno lo trascini via.
Adesso
lei è completamente
sdraiata su di lui, e con una sorta di piacevole sfarfallio allo
stomaco,
sentono i battiti accelerati dei loro cuori. Johanna è calda
e piacevole e
Finnick la rovescia sotto di lui.
«
Sei stata a una festa? » le
chiede, accennando all’abito elegante. Johanna fa una piccola
smorfia. « Una
cosa del genere. Mi hanno chiesto cosa ne pensassi dei party esclusivi
a
Capital, e se mi stessi divertendo. »
«
E tu? »
«
Gli ho sputato nel bicchiere
per rispondere a entrambe le domande. Era un tizio coi capelli viola e
verdi,
piuttosto grasso. È rimasto sconcertato. »
Finnick
le appoggia le mani sulla
schiena, e si alza a sedere lentamente. Johanna è seduta a
cavalcioni su di lui
e gli sta rivolgendo un’occhiata spavalda.
«
Ecco cosa intendevo, »
ridacchia, « non sei molto accomodante. »
«
Non nei confronti di un verme
viola, » rettifica lei, « ma per te ... »
lo bacia gentilmente sulla mascella,
« ... potrei esserlo. » Quello che succede dopo
è caldo e lento, e stranamente
gentile.
Un
attimo prima che il sonno li
colga, Johanna si alza dal letto e chiude a chiave la porta.
*
Quando
Finnick si sveglia – dopo l’ennesimo
incubo – ringrazia di non aver urlato. Impiega qualche
istante a capire dove si
trovi, ma un solo attimo per accorgersi di Johanna. Se ne sta in un
angolo del
letto, voltata di spalle, i capelli neri sparsi sul cuscino. Forse si
erano addormentati
abbracciati, ma Finnick non ricorda; quello che sa è che
Johanna si è spostata,
come a voler dire che non ha bisogno di lui, e al contempo non voglia
disturbarlo nell’intimità del suo letto.
Si
chiede se anche lei abbia
avuto gli incubi; si chiede quante volte anche lei si sia svegliata
sola,
persa, senza nessuno da cui andare. Ma lui ha Annie, in fondo. Ha Mags
e tutti
suoi familiari e tutti suoi amici. Ma Johanna? Chi la salva quando gli
incubi
la divorano? Quando si sveglia e crede ancora di essere
nell’arena: chi c’è per
lei?
Quella
notte Finnick ha sognato
Dahlia, che nel suo vestito verde moriva nell’arena, ha
sognato i fantasmi che
ormai non hanno più volto né nome – di
tutti quelli che sono morti durante i
64esimi Hunger Games. Il presidente Snow gli offriva un calice e lui ci
sputava
dentro. Da lontano aveva sentito Johanna ridere, e Annie urlare.
Lentamente
si sporge verso il
comodino e preme il pulsante per accendere la sveglia. I numeri
fluorescenti
segnano le due e quarantuno del mattino. Finnick si volta nel letto.
«
Stai bene? » la voce di Johanna
gli arriva incerta, ma stranamente pulita.
L’oscurità morbida della notte a
Capital City si riflette nei suoi occhi nerissimi. Stringe le labbra in
una
smorfia. « Incubi, scommetto, » dice. «
Succede spesso anche a me. »
«
Da quanto sei sveglia? »
«
Da un po’. Non è quello che
facciamo sempre? ... » s’interrompe, il tempo di
una risata secca e amara; «
fingere di dormire, intendo. È una cosa che valutavo con
Haymitch Abernathy, il
mentore del 12: noi sopravvissuti fingiamo di dormire quando nessuno ci
vede.
L’alternativa sono gli incubi, di solito. »
Le
labbra di Finnick si aprono in
un sorriso caldo. « L’alternativa è
dormire con qualcuno, di solito. »
Johanna,
nel suo angolo freddo
del letto, pensa di capire cosa lo renda tanto seducente agli occhi
delle donne
della capitale. Solo che lei non ha un marito da cui fuggire, o
un’unghia
spezzata per cui farsi consolare; « Per piacere, »
sbuffa, « a furia di
commentare bomboniere di Capital City ti sei scordato che io non sono
Dahlia,
Dalila o come diamine si chiami. La prossima volta farò in
modo di scoprire
dove alloggi Brutus. »
«
La prossima volta volta
potresti provare a dormire. Sai che abbiamo gli stessi incubi, Johanna.
Non
devi giustificarti con me, » le dice.
«
Non mi giustificherei con te in
nessun caso, Finnick. Più
che altro
sei tu a doverti giustificare con Annie. »
E
solo quando vede il suo sguardo
ferito, capisce di essersi spinta troppo oltre. Perché va
bene distruggersi, va
bene pregare, va bene pretendere di amarsi per poi fingere di dormire
– ma
questo è troppo per entrambi.
«
... sì, » mormora lui,
schiarendosi la voce. « Credo proprio che tu abbia ragione.
» Nel silenzio intimo
di quella stanza, col profumo di Dahlia ancora sul letto insieme al
ricordo del
corpo di Johanna impresso tra le lenzuola, Finnick si alza e infila un
paio di
vecchi pantaloni azzurri. Dietro di loro, la finestra mostra le luci di
Capital
City e tutto il suo illusorio splendore. Il calore umano del corpo
sottile di
Johanna è l’unica realtà in
quell’universo di bugie.
«
Dove vai? », gli chiede.
«
A prendere un po’ d’aria. »
Guarda
gli occhi di Johanna farsi
confusi, e lentamente pensa: perdonami,
Annie,
perché lei non è una delle ragazze di Capital
City. La vede alzarsi senza
alcun pudore, nuda e candida col suo solito sorriso; « Torna
a letto, bello, »
mormora, « è meglio se me ne vada io. Ci vediamo
domani per le interviste. »
Prima
ancora che lei possa solo
pensare di riprendersi il suo abito da festa, Finnick le afferra il
polso e
gentilmente le fa cenno di risedersi. « Resta, » le
dice, « vado solo a prendere
un po’ d’acqua. Tu intanto cerca di dormire,
d’accordo? »
Alla
fine, alla fine di tutto,
capita che in certe notti come quella tentino di aggiustarsi a vicenda
– quando
il buio porta gli incubi, ma anche un buon nascondiglio per chi vuole
fuggire. Finnick
sa che non sistemerà mai Johanna, sa che chiunque al mondo
tenterà di riuscirci
finirà per tagliarsi con i pezzi infranti della sua anima,
ma sa anche che le vuole
bene, e quello va oltre ogni limite, oltre ogni paura.
«
Buonanotte, Finnick, » gli
dice. Quando lui torna, lei se n’è andata. Quasi
aveva pensato di trovarla
dormire, rannicchiata come prima nell’angolo sinistro del suo
letto, ma ... no, va bene così.
Meglio così, pensa.
Sospirando,
si stende di nuovo
sul suo letto: allunga una mano nel punto morbido ancora caldo dove
Johanna era
stata e le sue dita afferrano un biglietto. Con il battito cardiaco
insensatamente accelerato, lo tira fuori dalle lenzuola.
Ci
vediamo presto; grazie di tutto –
manca la firma, e Finnick passa il dito
sull’estremità strappata dove prima era
scritto ‘Dahlia <3’.