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Autore: _LilianRiddle_    05/09/2016    2 recensioni
Erica annuì, spostando lo sguardo sul campo di girasoli tutto intorno a loro.
Anche Vita si lasciò distrarre da fiori che raccontavano molto più di lei, di una bellezza che non le sarebbe mai appartenuta, che apparteneva solo alle cose fragili.
- Sono così belli – disse, una mano a sorreggerle il mento, proprio dove prima altre mani le scaldavano il viso.
- Quali ti piacciono di più?
- Quelli che si nascondono sotto i fiori gialli come il sole. Quelli che sembrano una goccia di sangue in un mare di luce.
- I papaveri?
- Si chiamano così?
- Sì. Ti sono sempre piaciuti.
- Davvero?
- Sì, a me piacciono i girasoli.
- Quali sono i girasoli?
- Quelli lì gialli. Quelli che si lanciano nel mare e sembra che lo abbraccino.
- Son più belli i papaveri.
- Questo discorso lo avremo affrontato mille volte.
- Non me ne ricordo neanche una.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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A Francesca,
perché i girasoli possono essere belli quanto i papaveri.
E forse anche di più.





 

-Capitolo 1-







 

Passò un colpo di spugna sul suo ricordo, lo
cancellò del tutto,
e nello spazio che occupava la sua memoria
lasciò che fiorisse un campo di papaveri.

Gabriel Garcia Marquez.



 

Tatto.


Il lenzuolo che l’avvolgeva aveva la leggerezza delle cose speciali, come se dovesse coprire un oggetto prezioso, che il mondo, con la sua ruvidezza, avrebbe potuto rovinare.
 

Olfatto.


Intorno a lei percepiva l’asprezza della salsedine e la dolcezza della brezza che spirava da quello che doveva essere un mare calmo. Come se il mare, con il suo andare e venire, sarebbe mai potuto essere calmo.
 

Gusto.


Sulle labbra sentiva il sapore del sudore e del sale, un sapore strano, contraddittorio, che le apparteneva e che le ricordava casa, ma che, allo stesso tempo, le era sconosciuto, come quello di una vita nuova.
 

Udito.


Sentiva le onde del mare che si infrangevano sulla spiaggia, mentre giocavano coi gabbiani, da sempre loro chiassosi compagni.
 

Vista.


Finalmente aprì gli occhi, tentando di mettere a fuoco il mondo che la circondava. Le pareti della camera in cui si trovava riflettevano i colori della natura appena fuori da lì. Girasoli che si spingevano quasi fino al mare, il turchese che sembrava abbracciare il giallo come se fosse un vecchio amico.
Nell’aria un profumo di fiori che sapeva di lei, che le apparteneva.

Era bello, tutto intorno a lei.
C’era bellezza ovunque.
E come ogni volta che la bellezza riempiva i suoi occhi, lei si spaventò a morte.
Il cuore, prima silenzioso spettatore della sua indagine sensoriale, tornò a farsi sentire, battendo in maniera furiosa, aritmica.
Come se tutta quella bellezza non facesse per lui. Come se non fosse abituato a tanta bellezza.
Guardandosi intorno, notò che era circondata da libri.
Sorrise, di un sorriso che si regala solo agli amici più sinceri.
Era assediata dai libri e, al posto del senso di claustrofobia che tutti avrebbero provato, lei si sentì protetta.
Difesa.
Il sole faceva capolino appena sopra la linea del mare, rivestito di quella timidezza che solo le cose più belle hanno. L’unica stella che aveva l’ardire di bruciare di giorno.
La luce del sole colpiva la sabbia in mille e mille modi, creando luccichii che solo occhi attenti avrebbero colto nelle loro innumerevoli diversità.
Si sentì pervadere da una sorta di frenesia, che la obbligava a rincorrere tutte quelle luci, tutti quei piccoli soli, per riuscire a catturarne almeno uno che la illuminasse. Voleva essere riempita dal sole come se fosse stata una luna.
Alzandosi in piedi, si trascinò fino alla grande porta-finestra che occupava una parte di quella stanza di mare e girasoli.
Turchese e giallo colpirono ancora i suoi occhi, lottando l’uno contro l’altro come antichi amanti, mai sazi l’uno dell’altro, troppo orgogliosi per lasciare la loro personalissima guerra.
All’improvviso sentì la sabbia sotto i suoi piedi, di una morbidezza inaudita.
Era una sensazione così bella – c’era bellezza ovunque – che il suo cuore aritmico sembrò quasi impazzire e le guance le si colorarono di rosso – come sempre quando la bellezza la colpiva.
Si sentì rivestire di straordinaria dolcezza, mentre le onde lambivano le sue caviglie, quasi a convincerla che il suo posto fosse con loro, giocando a rincorrersi coi gabbiani, irretendo gli uomini con la propria bellezza nascosta.
Una folata di vento più forte la incuriosì tanto da spostare la testa verso est, dove nere nubi avanzavano portando la minaccia di un temporale.
La calma che il mare le aveva donato cedette il posto ad un’agitazione che doveva essere tipica del suo carattere, vista la fiducia con cui il suo corpo vi si abbandonò, come se tornasse a casa dopo lungo tempo.
Quelle nubi che promettevano di riversare su di lei la loro furia la spaventavano tanto quanto la bellezza che stava contemplando poco prima, ma non riusciva a staccare gli occhi dallo spettacolo che promettevano.
Bello e terribile.
Improvvisamente, come il vento, una mano si strinse alla sua.
Voltandosi verso quel calore inaspettato, fu investita dalla luce del sole che combatteva contro le tenebre delle nubi che volevano soffocarla.
La prima cosa che vide fu un sorriso uguale ai girasoli. Un sorriso che sembrava seguire il sole e che si fermò proprio quando incontrò i suoi occhi.
La bellezza che vi lesse dentro cancellò definitivamente la calma del mare, rendendola quello che le onde cercavano di dirle da quando l’avevano sfiorata: agitata.
Non sapeva se fu il tuono o le sue labbra che chiamavano il suo nome – Vita - a spaventarla di più. Non riuscì ad impedirsi di trasalire, di fronte a tanta bellezza. Dovette lasciare quella mano che riscaldava la sua, che scioglieva la freddezza congenita che doveva caratterizzarla. Forse come l’agitazione.
Non fece in tempo ad allontanarsi che quegli occhi, dello stesso colore del mare, bloccarono ogni sua via di fuga.
Si vestì del rosso scarlatto così tipico della sua frenesia e la sua voce spaccata risuonò sopra le onde e le nubi.
- Sei come il mare e i girasoli.
La persona di fronte a lei scosse la testa, spostandole i capelli lambiti dai venti.
- Sei come la pioggia e i papaveri.

Era scappata da quell’insostenibile bellezza che la rivestiva.
Si era guardata per la prima volta, e quello che aveva visto l’aveva spaventata.
Aveva scoperto chi era guardando dentro lo sguardo di un’altra persona, cercando di carpirne i segreti per avere una sorta di vantaggio nella lotta che avrebbero dovuto sostenere.
Cercava di difendersi, e si era ritrovata disarmata.
Era scappata e le nubi l’avevano punita con le loro stille ghiacciate, che si infrangevano sulla sua pelle come a volerla tirare via, per scoprirne una nuova, vera, pallidissima.
Ma aveva visto troppa bellezza per restare calma. Era sempre stato quello il suo problema. Chi vede troppo inevitabilmente finisce per agitarsi. E lei era più che agitata.
E il rossore, così familiare alla sua pelle, mangiava anche quella nuova, appena scoperta dalla pioggia.
Non c’era scampo dall’estate che la stava divorando se non dentro un sorriso di girasoli, che le ridonava l’inverno che l’aveva sempre vestita così bene.
Ancora una volta riconobbe il mare dentro uno sguardo che aveva una luce che sarebbe bastata per illuminare tutte le estati che le restavano, proprio come se fosse stata una luna.
Nulla aveva di quell’astro irriverente, ma un sole l’aveva scelta, forse molto tempo prima, e lei aveva lasciato che esso la scegliesse, forse solo per la curiosissima vita che ne sarebbe potuta derivare.
- Vita.
Il suo nome pronunciato da quel sorriso di mare e girasoli prendeva tutto un altro significato, colorandosi di colori che prima non avrebbe neanche immaginato.
Turchese e giallo.
Uno specchio adamantino la stregò mentre la sua mano s’incastrava nuovamente in quella di un’altra persona, che non sembrava spaventata dalla bellezza – c’era bellezza ovunque.
Rimase pietrificata dall’immagine che colpì i suoi occhi.
Per la prima volta, si ritrovò a pensare di essere bella anche lei, di una bellezza che sembra la nota stonata e perfetta di una lunga sinfonia, l’armonia discorde di un cuore troppo agitato e una mente troppo curiosa.
Si ritrovò a pensare che, forse, poteva essere una di quelle storie che nessuno ha il coraggio di finire, perché non raccontano una bugia dorata a cui tutti crederanno, ma la verità che sta dietro solo alle realtà difettose, quasi sbagliate.
Si ritrovò a pensare che, forse, avrebbe concesso alla bellezza di renderla calma.

Vita.
Il suo nome le riecheggiava nelle orecchie come un’eco lontana.
Aveva un nome strano. Ma non strano strano. Strano bello.
Vita.
Rimbombava nella sua testa con i suoi spigoli di verità e oblio, di caos e menzogna.
Non c’erano vie di scampo.
Mosse una mano sul lenzuolo leggero, mentre le sensazioni raccolte durante quei minuti lontani le sembravano il ricordo di un sogno, o forse il sogno di un sogno.
Sentiva il mare, vicino a sé.
Decise di aprire gli occhi per accertarsene e si ritrovò in una stanza di mare e girasoli, piena di libri.
C’era qualcosa di familiare in quegli scaffali, nella macchina da scrivere sulla scrivania, nei fogli sparsi, ma non ricordava dove avesse già visto tutto quello.
Qualcosa, dentro di lei, le diceva che aveva vissuto, tutto quello.
Fece leva sui palmi delle mani e si mise seduta.
Fu in quel momento che la vide.
Guardava il mare che si vedeva dall’ampia vetrata, tempestoso e terribile.
Un fulmine spaccò in due il cielo, mentre il tuono che ne seguì le mandò in corto circuito il cuore, già alle prese con la sua agitazione abituale.
La ragazza che guardava il mare in tempesta non sembrò turbata dalla furia degli elementi, anzi, aprì la porta-finestra, lasciando entrare il vento, ora libero di giocare con i suoi capelli rossi.
Quel rosso contrastava talmente tanto con il colore del mare e dei girasoli che ne era totalmente incantata. Non ricordava di aver mai amato un colore così forte.
In quel momento, la ragazza si girò verso di lei, osservandola con il suo sguardo di mare.
Il suo cuore aritmico perse un colpo.
- Ti sei svegliata. – disse, nella voce la stessa stanchezza dei girasoli piegati dal vento.
Pur di fuggire ai suoi occhi, volse lo sguardo alla distesa di turchese e giallo davanti a lei, ma quello che notò con agitazione fu che il vento aveva scoperto, sotto quelle coltri di petali solari, il rosso vivo dei papaveri.
Pur di non guardare ancora una volta la ragazza davanti a lei, vagò con gli occhi sulle figure familiari e rassicuranti dei suoi libri, che la scrutavano con i loro occhi attenti di carta ed inchiostro.
- Vita.
Ancora una volta il suo nome riempì l’aria intorno a lei, vibrando di mille note diverse, tutte discordi.
- Guardami.
Non poteva guardarla.
Era troppo bella.
C’era bellezza ovunque.
- Rimani con me, Vita. Guardami.
Un panico mal celato pervadeva la voce della ragazza davanti a lei, inaspettato, strano.
La guardò, sforzandosi di far cessare la corsa del suo cuore aritmico, spaventato, solo.
Ancora una volta si lasciò colpire dalla bellezza del suo sorriso di girasoli, ora incrinato da quella malcelata paura; dai suoi occhi come il mare, che la scrutavano ansiosi, cercando chissà che cosa; dai suoi capelli come i papaveri, troppo intensi per non lasciare segni.
Aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma nessun suono fuoriuscì dalle sue labbra.
La ragazza la guardava come si guarda un animale strano allo zoo, con quel misto di timore e attrazione che hanno tutte le cose pericolose.
Si rese improvvisamente conto che non ricordava nulla di se stessa.
Riaprì la bocca e, questa volta, le parole uscirono in un sussurro dalle sue labbra.
- Sono una creatura pericolosa?
Non era questo che voleva chiedere e sicuramente non era questo che la persona di fronte a lei si aspettava.
La ragazza sospirò.
- Sì e no. Ti ricordi come ti chiami?
- Vita.
- Che altro ricordi, Vita?
Fece per parlare, ma non riuscì ad articolare nessuna frase.
Non ricordava nulla, a parte questo strano nome che le riecheggiava nella testa come un’eco lontana.
- Ti ricordi come mi chiamo io?
Sentiva il suo cuore battere furiosamente.
Si domandò perché andasse così veloce.
Si rese conto di star stringendo troppo le lenzuola.
Domandarsi perché lo stesse facendo era superfluo.
Sentiva le guance invase da quel fuoco che così spesso doveva divampare in lei, di ansia e paura, familiarissimo al suo corpo e alla sua mente.
Abbassò gli occhi sulle sue mani contratte, proprio mentre la ragazza di fronte a lei le serrava le mani intorno al viso, costringendola a guardarla.
- Vita, ti ricordi come mi chiamo?
Cercò di svicolare da quegli occhi che le paralizzavano i pensieri, ma la ragazza non glielo permise.
- Tergiversare non è da te.
- Non… non so cos’è da me.
- Lo so io. Ti conosco.
Scosse la testa, confusa, cercando di allontanarsi dalle sue mani.
Ma non aveva vie di scampo, non più.
E lo sapeva.
- Vita, devi ascoltarmi.
- Perché?
- Perché io ti conosco.
- Come ti chiami?
- Erica.

 

  
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