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Autore: BebaTaylor    06/09/2016    1 recensioni
2015. Erikson, Presidente degli Stati Uniti d'America, rivela al mondo l'esistenza di alcune persone dotate di poteri particolari: possono creare il fuoco dal nulla, possono trasformarsi in animali, creano elettricità con le mani, hanno premonizioni... Erikson le vuole catturare e rinchiudere perché sono pericolosi. Mostri assassini, li definisce. Soldier, si definiscono loro.
Crystal fugge dopo la morte della nonna, unica parente. Non si fida più di nessuno, nemmeno dei vicini. Marie-Anne scappa, spaventata da quello che è. Benjamin se ne va dopo la misteriosa scomparsa del padre. Kathy e Samuel fuggono dopo la festa per il loro fidanzamento, Erik segue l'istinto e scappa, Kyle e Jenna scappano perché è l'unica cosa da fare. William, Emily e Sarah scappano dopo che gli uomini di Erikson hanno ucciso la madre davanti a loro. Dawn, della sede Newyorchese della Projeus, momentaneamente trasferita in Canada, cerca di salvarli, perché Erikson è venuto in possesso di una lista con i nomi di tutti i Soldier della parte orientale degli USA. C'è una talpa, alla sede. E ce ne è una anche nei fuggitivi diretti in Canada.
E questa è la loro storia.
*eventuali scene splatter|Azione|Introspezione*
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Projeus:
The Big War

2.
Secondo Giorno

Domenica 6 Settembre, all'alba.

Benjamin si riallacciò i jeans, prese la salvietta umidificata dalla tasca posteriore — l'aveva presa dalla confezione che Crystal aveva nello zaino — e si pulì velocemente le mani. Era appena l'alba e non pioveva più da qualche ora. Lasciò cadere la salvietta in mezzo ai cespugli e si voltò, pronto per tornare in quella baracca, svegliare Crystal e partire.

Superò un grosso cespuglio e si bloccò nel sentire le voci; lentamente si avvicinò al dirupo e fissò il sentiero sottostante: c'erano due militari e capì subito che fossero mandati da Erikson perché i due stavano parlando di mostri, di come li avrebbero uccisi e fatto altre cose, soprattutto alle donne. Benjamin rabbrividì nel sentirli, morsicò il labbro inferiore, strisciò i piedi sull'erba per eliminare il fango dalle scarpe e tornò indietro, calcolando che i due avrebbero impiegato almeno due minuti per raggiungerlo. Si precipitò nella baracca e iniziò ad ammassare le loro cose nell'armadio, sapendo che non c'era tempo per scappare, altrimenti i due militari li avrebbero visti. Ammassò gli zaini e il suo sacco a pelo, infilò i vestiti ancora umidi in un sacchetto preso dallo zaino di Crystal e lo posò sopra le altre cose. Mancava solo lei, che dormiva ancora. «Crystal.» la chiamò, «Crystal, svegliati, dannazione.»

«Piantala.» mormorò lei.

Lui la scosse, poi infilò un braccio sotto la sua schiena, deciso a sollevarla di peso, con la voglia di nascondersi nell'armadio. Crystal reagì, colpendolo allo sterno con una gomitata. «Dio, Crystal.» gemette mentre il fiato gli si mozzava in gola per un istante;«Sei forte.»

«Che c'è?» sbottò lei, ancora assonnata.

«C'è che ci sono due di Erikson sul sentiero.» bisbigliò lui in risposta, «Nell'armadio, subito.» ordinò.

Crystal sbiancò, sgattaiolò fuori dal sacco a pelo, lo afferrò insieme al tappeto da yoga ed entrò nell'armadio, appiattendosi contro la parete laterale.

Benjamin la raggiunse, chiuse l'anta e afferrò il vecchio blocco della serratura, stringendolo e tirandolo verso di sé con tutta la forza che aveva. Crystal, accanto a lui, lo sentì imprecare sottovoce.

«Sicuro che siano i suoi?» bisbigliò, aggrappandosi alla felpa che Benjamin aveva indossato appena sveglio — quella che la sera prima aveva steso su di lei.

«Sì.» soffiò lui, gli occhi che saettavano da una parte all'altra. «Shh.» fece, «Arrivano.» bisbigliò.

Crystal spalancò gli occhi: li aveva sentiti anche lei: erano a cinquanta metri da loro; chiuse gli occhi e strinse ancora di più la presa su Benjamin.

Gli uomini arrivarono e si fermarono proprio davanti alla porta. «Entriamo?» soffiò uno di loro e Crystal lo sentì chiaramente, come se fosse lì accanto a lei.

«Diamo un'occhiata.» rispose l'altro.

La porta si aprì con un cigolio sinistro, i passi pesanti dei due soldati rimbombavano nelle orecchie dei due mutaforma, mentre il loro istinto gridava di trasformarsi e fuggire.

«L'armadio?» chiese uno dei due militari.

«Ma no, non c'è nessuno.» fece l'altro. «Andiamocene, ne ho le palle piene.» disse. Altri passi, altro cigolio.

Benjamin lasciò andare l'anta solo dopo cinque minuti. Inspirò a fondo e lasciò uscire l'aria con uno sbuffo rumoroso. «Sono andati.» disse e guardò Crystal, che non aveva smesso di rimanere aggrappata a lui, il viso distorto dalla paura, «Andiamocene anche noi.» soffiò.

Crystal annuì piano, ancora spaventata. Aveva paura che notassero il fango per terra e che decidessero di controllare meglio, invece se ne erano andati via subito. Uscirono dall'armadio, sistemarono le loro cose in silenzio, indossarono gli zaini e Benjamin uscì per primo. «Non possiamo fare il sentiero.» pigolò lei stringendo spasmodicamente gli spallacci dello zaino, «Potremmo incontrarli.»

Benjamin la fissò e annuì. «Giusto.» disse, «Passiamo per il bosco.» sospirò pensando che avrebbero dovuto fare ancora più attenzione, dovendo fare attenzione sia ai soldati che alle scimmie mutanti. S'incamminarono lungo il pendio con i sensi all'erta.

«Speriamo di non perderci.» soffiò Crystal dopo interminabili minuti di silenzio. «Io conosco solo i sentieri.» mormorò.

«Non ci perderemo.» assicurò lui, anche se sapeva di mentire. Avevano un'altra probabilità di perdersi in mezzo a quei boschi.

«Speriamo.» mormorò lei guardandosi attorno, alla ricerca di un punto di riferimento. Guardò in basso, oltre agli alberi e i cespugli, e vide il marrone del sentiero e si tranquillizzò. «Andiamo dritti.» disse, «Rimaniamo paralleli al sentiero.» sospirò. «Se ci muoviamo, potremmo essere in West Virginia prima delle undici.»

Benjamin si voltò appena e la fissò, poi sorrise e annuì. «Perfetto.» disse, «Muoviamoci.» esclamò. «Non è che avresti una bussola?» domandò senza girarsi.

Lei scrollò le spalle. «Sì, ma è una robina semplice semplice.» rispose.

«Basta che segni il nord.» replicò Benjamin girando appena il viso, «Prendila.» disse e Crystal lo fece, recuperandola da una tasca laterale dello zaino.

❖.❖.❖

Marie-Anne sbuffò, contrariata. Ancora stradine secondarie che s'inerpicavano su per gli Appalachi. Erano in viaggio da quasi due ore ed erano ancora in Virginia, perché Erik si divertiva a girare in tondo, dicendo che c'erano gli uomini del presidente in giro, pronti a fare fuoco se ci fosse stato il minimo problema.

Era ancora convinta che percorrere le statali e interstatali fosse meglio ma gli altri non la pensavano come lei. Era stato inutile dire che lei era la più grande e che avrebbe dovuto decidere lei. Si era sentita rispondere che era la maggioranza che decideva, che erano tre contro uno e che sarebbero andati lungo stradine secondarie.

Kathy la fissò e sopirò, afferrò il piccolo brick di succo alla pesca che aveva preso al distributore del motel e ne bevve un sorso. «Dobbiamo stare in silenzio?» chiese, «È inquietante.» borbottò.

«Se vuoi canto, amore.» rispose Samuel senza staccare gli occhi dalla cartina. Anche se la Lexus aveva un navigatore, avevano preferito usare delle normali cartine, prima che qualcuno s'infiltrasse nel computer di bordo dell'auto e rintracciasse i loro movimenti.

«Dio, no.» esclamò Kathy aprendo gli occhi, «Vuoi rompere tutti i vetri nel raggio di dieci miglia?» rise, ignorando l'occhiataccia di Marie-Anne.

«Ho una voce melodiosa, eh.» replicò Samuel.

«Come un gesso che stride sulla lavagna.» rise Kathy.

«Se canti e rompi uno dei vetri ti do un cazzotto.» esclamò Erik.

Samuel alzò le spalle e riprese a osservare la cartina. «Siamo quasi al confine.» disse. «Circa cinque miglia.»

«Bene.» disse Erik.

«Prenderemo la statale?» domandò Marie-Anne sporgendosi fra i sedili anteriori.

«No.» rispose Erik, «Ne abbiamo già parlato.» disse.

Marie-Anne tornò a sedersi composta, fissando gli alberi che circondavano la strada, pensando che così sarebbero andati di sicuro a cacciarsi nei guai.

«Merda.» esclamò Erik fermandosi di botto.

«Che c'è?» domandò Kathy.

«C'è che c'è un posto di blocco, mezzo miglio più avanti.» rispose Erik, «Torniamo indietro.» rispose, stringendo la presa sul volante.

«L'avevo detto che dovevamo prendere la statale!» squittì Marie-Anne. «Dobbiamo andare sulla statale!» esclamò, arrabbiata con Erik che non voleva ascoltarla.

«No, dobbiamo trovare un'altra strada, possibilmente senza quegli stronzi.» replicò Erik facendo inversione. Andò avanti un centinaio di metri, poi svoltò bruscamente in una strada a sinistra, ancora più stretta della precedente.

Marie-Anne sbuffò, contrariata. Avrebbe voluto prendere Erik a sberle e scuotere Samuel e Kathy per fargli capire che stavano sbagliando tutto. Erik sterzò ancora, andando a infilarsi in una minuscola radura fra gli alberi, grande abbastanza per farci stare l'auto, ma i rami degli alberi la sfioravano, creando un'inquietante cupola che fece precipitare nella semi oscurità l'interno dell'auto.

«Perché ci siamo fermati?» domandò Kathy stringendo con forza il sedile di pelle sul quale era seduto il suo fidanzato.

«Perché siamo circondati.» soffiò Erik. «C'è un'altra pattuglia a tre miglia da qui, verso sud.» disse, «Un'altra a nord. Ancora una a ovest, proprio dopo il confine dello stato.»

Samuel afferrò la mano di Kathy e la strinse, «Cosa facciamo?»

Erik si morse il labbro inferiore, sospirò. «Aspettiamo.» disse.

Marie-Anne emise un urletto, si spinse contro la portiera, si raggomitolò e scoppiò a piangere.

❖.❖.❖

Crystal ansimò, «Guarda lì.» disse, «C'è una di quelle bacheche con le cartine.» esclamò, afferrando il braccio di Benjamin. Avevano camminato per quasi quattro ore senza fermarsi, avanzando fra la fitta vegetazione, ignorando i sentieri.

«Andiamo.» disse lui avvicinandosi al pendio, si levò lo zaino e lo posò ai suoi piedi, iniziò a scivolare piano fino al sentiero. «Passami lo zaino.» esclamò. Crystal lo prese, si aggrappò a un albero e si allungò il più possibile, Benjamin afferrò lo zaino e lo prese per poi lasciarlo cadere a terra.

«Dammi il tuo.»

Crystal annuì e glielo tese, per poi scendere anche lei lungo il pendio, rotolò a terra e imprecò. Benjamin le tese una mano che lei strinse e si rimise in piedi, «Grazie.» esclamò recuperando il suo zaino. «Su uno stupidissimo sasso dovevo inciampare.» borbottò fissando la pietra che sbucava dal terreno fangoso. «Per fortuna non mi sono ancora cambiata i pantaloni.» sospirò e s'incammino con Benjamin verso la costruzione di legno che ricordava una casetta. Fissarono la mappa e Crystal sospirò dal sollievo quando vide che c'era il pallino con la scritta “Voi siete qui”.

«Siamo nella Greenbrier State Forrest.» disse Benjamin. «La città più vicina è...» mormorò, «Tuckahoe.» esclamò.

«Saranno circa...» Crystal cercò dove fosse la scala per capire quanto fosse distante da loro.

«Sei miglia.» rispose Benjamin e fissò Crystal, «Ce l'abbiamo fatta.» disse, «Siamo in West Virginia.» esclamò mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso luminoso.

Anche lei sorrise, «Sì.» disse e distolse lo sguardo, «Uh, guarda,» esclamò puntando il dito sulla cartina «ci sono dei tavoli da pic nic.» disse, «Non sembrano lontani.» osservò.

«Bhe, sono sul sentiero.» Benjamin scrollò le spalle, «Ci fermiamo a mangiare lì.»

Ripresero a camminare, proseguendo sul sentiero, sentendosi più tranquilli. Benjamin pensò che avrebbe dovuto abbandonare l'auto in ogni caso: il sentiero in certi punti non era abbastanza grande da far passare una macchina, senza contare gli uomini di Erikson. Trovarono un piccolo ruscello dove una volpe si stava abbeverando prima di fuggire alla loro vista, così riempirono le bottiglie e ripartirono.

In una manciata di minuti arrivarono al tavolo e Crystal si sedette sulla panca di legno con un gemito. «Dio, adesso manca solo un cesso vero e sarei felice.» sospirò.

«Anche un letto.» rise Benjamin, sedendosi di fronte a lei.

«Già, anche quello.» confermò Crystal e sorrise, «Sono quasi le undici... mangiamo adesso?» chiese.

Lui annuì, «Direi di sì, visto che non abbiamo fatto colazione.» rispose. Pranzarono — barrette e frutta disidratata — e rimasero lì a riposarsi e cambiarsi i pantaloni sporchi di fango — erano scivolati più volte mentre erano nel bosco — si sdraiarono sulle panche e rimasero a godersi il sole.

«Dobbiamo andare.» esclamò Benjamin dopo un po', «È mezzogiorno e mezzo.» disse guardando l'orologio.

Crystal annuì e si mise seduta con uno sbadiglio. «Sì.» mormorò. Ripresero il cammino, guardandosi attorno.

«Ferma.» soffiò Benjamin dopo cinque minuti scarsi, «Arriva qualcuno.» disse e la trascinò dietro un masso.

Crystal chiuse gli occhi e si concentrò o cercò di farlo, escludendo il fruscio delle foglie e i rumori causati dagli animali del bosco, sentendo le voci portate dal vento. «Sono in due.» mormorò e aprì gli occhi, «Sono bambini!» esclamò sbirciando oltre il masso.

Anche Benjamin guardò, fissando il bambino che spingeva un passeggino con accanto una bambina. «Sono qui.» esclamò la piccola.

«Sicura?» domandò il bambino.

«Sì.» rispose la bambina al suo fianco.

Crystal uscì dal suo nascondiglio prima che Benjamin potesse dire o fare qualcosa. «Vi siete persi?» domandò.

«Vai via!» strillò il bambino, lasciando la presa del passeggino, allungò le mani davanti a sé e Crystal sobbalzò quando vide i fulmini scaturire dai palmi delle sue mani.

«Non voglio farvi del male.» esclamò la mutaforma inginocchiandosi, «Vi siete persi?» domandò dolcemente, «Dove sono i vostri genitori?» chiese mentre Benjamin li raggiungeva. Fu come se avesse schiacciato un pulsante: la bambina iniziò a singhiozzare e si buttò fra le braccia di Crystal, seguita dal fratello. La mutaforma si sbilanciò e cadde all'indietro, Benjamin fece per prenderla ma si accorse che il passeggino aveva incominciato a indietreggiare lentamente così lo afferrò, fermandolo, accorgendosi che dentro c'era una bambina piccola

«Bambini...» mormorò Crystal e riusci a sedersi, «Che succede?» domandò, «La vostra mamma dov'è?»

«L'hanno uccisa!» singhiozzò il bambino, «Un mostro orribile.» pianse.

Lei alzò lo sguardo, incontrando quello preoccupato di Benjamin. Aveva capito che il bambino aveva il dono dell'elettrocinesi e che il mostro orribile forse era una di quelle scimmie che avevano incontrato loro la sera che si erano conosciuti.

«Spostiamoci da qui.» disse Benjamin, notò una casetta a cui mancava una parete, con dentro un tavolo e due panche e pensò che l'avessero costruita per chi andava a camminare nei boschi, «Andiamo lì.» disse.

I bambini si spostarono da Crystal ma non smisero di piangere, afferrarono le sue mani, aggrappandosi a lei, stringendo con tutta la loro forza da bambini. Raggiunsero la casetta e Crystal si tolse lo zaino, fece sedere i bambini, guardò nel passeggino e fissò la neonata che la guardava, gli occhi verdi spalancati e le guance bagnate dalle lacrime. La prese in braccio e si sedette vicino ai bambini.

«Come vi chiamate?» domandò Benjamin.

Il bambino tirò su con il naso e Benjamin gli passò un fazzoletto di carta, «William Jackson.» pigolò, gli occhi sgranati dalla paura.

«Io sono Emily.» mormorò la bambina, stringendosi a Crystal, «Lei è Sarah.» indicò la neonata.

«Quanti anni avete?» chiese Crystal e i bambini pigolarono la loro risposta: William ne aveva nove, Emily sette e Sarah sei mesi e una settimana.

“E la loro mamma è morta.” pensò Crystal e rabbrividì. «Io mi chiamo Crystal e lui è Benjamin.» si presentò, «Avete detto che avete incontrato un mostro.» disse, la gola secca, «Che mostro?» chiese, «Cos'è successo?» domandò e sperò di non aver spaventato ancora di più i bambini.

«Era una scimmia strana.» mormorò il bambino prendendo il bicchiere d'acqua che Benjamin gli aveva dato, «Grossa, denti enormi e unghie lunghe.» pigolò, «Ha ucciso la mamma.» scoppiò a piangere.

«Dio mio.» soffiò Crystal e fissò Benjamin. Dovevano andare via da lì e dovevano farlo subito.

«Tu sei un elettrocinetico.» sorrise Benjamin, la voglia di fuggire che scorreva dentro di lui. William annuì. «E tu, piccola?» guardò Emily, ancora aggrappata al fianco di Crystal.

«Una Cercatrice.» mormorò lei e tirò su con il naso.

Benjamin spalancò gli occhi, «Una Cercatrice?» mormorò e la bimba annuì, «Ci hai trovato tu?» sorrise, sapendo quanto fossero rare le persone con quel potere.

La piccola annuì, «Sì.» rispose, «Ho cercato qualcuno che ci aiutasse e ci siete voi.» disse, «Ci aiuterete?» pigolò.

«Sì.» rispose Benjamin. «Vostro padre dov'è?» domandò.

«Papà è un sergente maggiore dell'esercito.» rispose William, «Adesso è in Af... Afo... Afata.»

«Afghanistan?» propose Crystal.

«Sì, lì!» esclamò e bevve l'acqua. «Possiamo andare da lui?»

Crystal sospirò, «Non possiamo, piccolo.» disse, «È troppo lontano.» sospirò e fece un sorriso triste, «C'è un oceano di mezzo.» spiegò, «È troppo lontano.» ripeté

I bambini piagnucolarono, «Voglio la mamma.» mormorò Emily e a Crystal si strinse il cuore, la circondò con un braccio e la strinse a sé.

«Avete i nonni?» chiese la lupa, «Zii, cugini che vivono qui vicino?»

«No.» singhiozzò William, «Non abbiamo nessuno.» soffiò. «Papà viene dall'Irlanda, la mamma era sola.»

Benjamin sospirò, «Crystal, vieni un secondo.» disse. La ragazza scosto Emily, che abbracciò il fratello e raggiunse il ragazzo, appoggiato alla parete. «Non possiamo lasciarli soli.» mormorò e lei annuì. «Sono piccoli, Cristo.» sbottò. «Magari la loro madre ha un auto.» disse.

Lei annuì. «Sì, proviamo.» disse e Sarah scoppiò a piangere. «Che cos'hai?» mormorò cullandola.

«Fame.» rispose Emily. «La mamma le aveva comprato il latte.» indicò la borsa di stoffa appesa ai manici del passeggino. Crystal l'aprì, fissando la confezione di latte in polvere e il biberon completo di tettarella.

«Benjamin, prendi il fornelletto e il pentolino, per favore.» disse, afferrò il barattolo e lesse le istruzioni. Era semplice: doveva solo scaldare l'acqua, riempire per tre quarti il biberon, versare la dose di latte in polvere, agitare, aggiungere altra acqua e agitare di nuovo.

Lui annuì e lo fece, sistemando il fornelletto sul tavolo. Riempì il pentolino d'acqua e fissò i bambini. «Avete fame?» domandò e li vide annuire, così allungò loro due barrette che i bambini mangiarono voracemente. In pochi minuti il latte fu pronto, Crystal controllò che fosse alla giusta temperatura e lo diede alla piccola, che iniziò a succhiare.

«Hai fame.» sorrise lei guardandola mentre allungava le manine verso il biberon.

«William.» esclamò Benjamin, «Siete andati al negozio a comprare il latte?» chiese.

Il bambino annuì, «Sì, dal signor Morris.» rispose.

«E... avete usato la macchina?» domandò Benjamin. Doveva assolutamente sapere se la loro madre avesse un auto. Non erano più solo lui e Crystal che avrebbero potuto camminare nei boschi, adesso c'erano anche tre bambini, di cui una di appena sei mesi.

«Sì.» rispose Emily.

Benjamin si trattene dall'emettere un sospiro, «Bene.» disse, «Dobbiamo andare via da qui.»

«Perché ci sono i mostri cattivi?» chiese William.

«Sì.» rispose Crystal e abbassò gli occhi, accorgendosi che Sarah aveva bevuto tutto il latte. «Oh, hai mangiato tutto.» commentò, posò il biberon vuoto sul tavolo e massaggiò piano la schiena della bimba in attesa che facesse il ruttino. La bambina, però, non lo fece.

«Ci sono delle persone che ci aiuteranno.» disse Benjamin, «Ma non sono qui, sono in Canada.» sospirò.

«Troveranno il nostro papà?» pigolò Emily.

«Sì.» rispose Benjamin, anche se non ne era sicuro, «Lo troveranno.» annuì, «Però ci serve una macchina, perché il Canada è molto lontano.» disse, «Dobbiamo usare quella della vostra mamma, piccoli.»

«Dobbiamo tornare dai mostri?» strillò Emily e pianse di nuovo, «Non voglio.» pigolò.

«Vi proteggo io.» disse Benjamin e fece il giro del tavolo per poi inginocchiarsi davanti ai bambini, «Dobbiamo trovare un auto e andare via da qui, e il più in fretta possibile.» spiegò, «Quei mostri... li abbiamo incontrati anche noi.» raccontò, «Ma li abbiamo uccisi.» continuò, «Per questo ci serve una macchina: per andare lontano da quei mostri.»

William singhiozzò e annuì, «Va bene.» disse. «Ma voi... cosa siete?» chiese.

«Mutaforma.» rispose Benjamin, «Siamo due lupi.» sorrise mentre i bambini spalancavano la bocca dalla sorpresa perché non avevano mai incontrato due mutaforma, «Dai, andiamo.»

Crystal sciacquò il biberon, sistemò la bambina nel passeggino e fissò i bambini e lo stomaco le si strinse in una morsa dolorosa nel pensare che avessero perso la madre così piccoli, che il loro padre fosse dall'altra parte del mondo, ignaro di cosa fosse accaduto alla sua famiglia.

Ripreso il cammino, con Crystal che spingeva il passeggino, mentre Benjamin teneva per mano i bambini.

«Di là.» esclamò William dopo un paio di minuti, allungò un braccio verso destra, «Lì c'è il signor Morris.»

Benjamin annuì, aveva visto anche lui la bassa costruzione con la grande insegna con scritto semplicemente “Da Morris”, notò anche le due pompe di benzina e pensò che avrebbero potuto anche fare il pieno e magari riempire un paio di taniche — sempre se le avessero trovate.

Il sentiero di terra battuta finì, lasciando il posto all'asfalto. Un muretto alto circa un metro e venti separava il parcheggio dal bosco. «Restate qui.» esclamò Benjamin, «Vado a...» deglutì, fissando la figura lontana riversa a terra, «Controllare.»

«La macchina della mamma è un SUV blu scuro.» disse Emily.

Benjamin sorrise e si tolse lo zaino, «Crystal, resta qui.» disse mentre lei si sedeva per terra, accanto ai bambini, «Se succede qualcosa... qualsiasi cosa, prendi i bambini e scappa senza voltarti, chiaro?» le mormorò, chinandosi verso la giovane. Lei spalancò gli occhi, spaventata, ma annuì. Il mutaforma inspirò a fondo, drizzò la schiena e aggirò il muretto, notando subilo il SUV a una trentina di metri di distanza, oltre le pompe di benzina, all'ombra di un grosso pino. Si avvicinò, i sensi all'erta e abbassò la zip della felpa — la giacca di jeans l'aveva infilata nello zaino mentre camminavano nei boschi — pronto a togliersela nel caso avesse dovuto tramutarsi.

Girò il viso verso la porta d'ingresso del piccolo negozio e lo vide subito. Fissò l'uomo, la faccia mangiata per metà. Deglutì e andò avanti, avvicinandosi piano alla donna stesa a terra.

Benjamin portò una mano alla bocca, sentendo lo stomaco ribellarsi alla vista della donna. I vestiti erano squarciati, aveva graffi profondi ovunque, mentre la pancia era... il ragazzo sentì la nausea assalirlo, mentre fissava gli intestini della donna. Con orrore, si accorse che qualcuno aveva iniziato a mangiarseli. Si chinò, raccogliendo la chiave del SUV da una pozza di sangue e andò avanti, fissando il mezzo con il quale sarebbe fuggito.

«No, no, no.» mormorò fissando le ruote — tutte e quattro — squarciate. «No.» gemette mentre si rendeva conto che il SUV, in quelle condizioni, era inutilizzabile, anche perché il cofano era aperto e il motore era mezzo distrutto. A occhio e croce giudicò che dovesse mancare la coppa dell'olio.

Lasciò cadere le chiavi e tornò indietro, lo sguardo inchiodato a terra, fissando le sottili bruciature sull'asfalto e capì che William aveva reagito e cercato di difendere la madre e le sorelline. Inspirò a fondo, gettò un'occhiata alla madre dei tre e si sentì morire. C'era una cosa che non aveva visto prima e che non avrebbe dovuto esserci. Una cosa che una scimmia — anche se mutante — non avrebbe potuto fare se non in un possesso di un'arma: in mezzo agli occhi grigi della donna c'era un foro causato da un proiettile.

Benjamin trattenne un urlo e iniziò a correre, giungendo da Crystal in pochi istanti, la superò e si gettò nell'erba, accanto al ruscello che scorreva quasi parallelo al sentiero. Vomitò, mentre le lacrime gli rigavano le guance.

«Benjamin!» strillò lei raggiungendolo insieme ai bambini. «Cosa c'è?» gli chiese.

«Niente.» soffiò lui, mise le mani a coppa nell'acqua e si sciacquò il viso per poi bere. «Il SUV è fuori gioco.» ansimò mettendosi seduto.

«Fuori gioco?» squittì Crystal stringendo la presa sul passeggino mentre i bambini si aggrappavano a lei.

«Ruote squarciate, coppa d'olio che manca.» mormorò Benjamin bevve ancora e si appoggiò al tronco di un albero lì vicino. «Non è uno bello spettacolo.» sospirò passandosi le mani umide sul volto.

«Hai visto se ci sono altre auto?» domandò Crystal.

Benjamin scosse la testa, «No.»

«Vado io.»

Lui la fissò, «Cosa?» gracchiò, «No, Crystal!» esclamò.

«Io voglio il mio pupazzo.» pigolò Emily, «Voglio Mr Pig.»

«È in macchina, tesoro?» domandò Crystal togliendosi lo zaino e controllando che il passeggino non andasse avanti o indietro, «Vado a prenderlo.» disse, «Torno subito.» aggiunse e si allontanò, stringendosi le braccia al petto. Lanciò appena un'occhiata all'uomo riverso sull'uscio, guardò la madre dei bambini e portò una mano alla bocca, terrorizzata e trattenne un gemito quando si accorse che le avevano sparato. Avrebbe potuto esserci lei al suo posto se non ci fosse stato Benjamin a salvarla. Fissò il SUV, notando le gomme squarciate. Se fosse stata una avrebbe potuto cambiarla, ma tutte e quattro... guardò nel cofano.

“L'hanno fatto di proposito.” pensò, fissando il motore inutilizzabile. La portiera posteriore sinistra era socchiusa, così la spalancò, notando tre pupazzi buttati sul sedile. Li afferrò e afferrò anche le due copertine e un grosso asciugamano accuratamente ripiegati e sistemati sulla cappelliera, dentro un sacchetto di plastica verde. Trovò due zainetti sul pavimento del SUV, fra il sedile del guidatore e quello posteriore. Li raccolse, pensando che fossero dei bambini. Stringendo tutto quanto al petto si guardò attorno, alla ricerca di una macchina, pensando che Morris ne avesse una con cui andare al lavoro. Girò l'angolo e si bloccò alla vista della vecchia bicicletta da uomo. Gemette frustata e si voltò, oltrepassò il SUV e la madre dei bambini e si bloccò nel sentire il fruscio. Girò la testa verso il bosco e fissò gli alberi, alla ricerca della fonte del rumore. Avrebbe potuto essere un uccello qualsiasi, o uno scoiattolo, un ghiro o uno degli animali che abitavano il bosco... oppure no.

Oppure poteva essere una di quelle scimmie mutanti.

Corse dagli altri e diede i pupazzi a Emily e William, infilò l'ultimo nel passeggino dove Sarah dormiva tranquilla, ignara di tutto.

«C'è?» domandò Benjamin.

«Solo una bicicletta.» sospirò lei. «Lo senti?» chiese.

«Cosa?» chiese il ragazzo e si zittì, girò di scatto la testa verso il bosco e sbiancò, «Potrebbe essere un animale qualsiasi.» mormorò.

«O forse no.» replicò Crystal alzandosi in piedi, «I soldati, Ben.» sospirò, «Noi abbiamo allungato la strada perché siamo passati nel bosco, ma loro hanno seguito il sentiero e sono arrivati prima di noi.» disse, «E se fossero ancora qui?»

Benjamin si morse le labbra, «Giusto.»

«La macchina di papà è ancora a casa. È bianca e grande.»

Benjamin e Crystal fissarono William, «Sai la strada per arrivarci?» domandò il lupo.

Il bambino annuì, «Sì.» rispose, «Si va di là.» indicò a sinistra.

Il gruppetto s'incamminò in silenzio, seguendo le indicazioni dei bambini. «Non è tutto troppo... silenzioso?» commentò Crystal guardandosi attorno. Aveva capito di essere in un piccolo quartiere, con villette singole dai giardini ben curati ma in giro non c'era nessuno e non si udivano né radio né tv né persone che parlavano.

«Già.» esclamò Benjamin, «Muoviamoci.» disse.

«Mi fa male il piede.» piagnucolò la bambina, «Qui.» indicò il tallone.

«È una vescica.» disse Crystal, «Ce l'ho anche io.» sbuffò.

Benjamin prese in braccio Emily e continuò a camminare, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno o qualcosa che non fosse quel silenzio

Erano quasi arrivati alla casa dei bambini quando udirono delle voci. Si appiattirono dietro un muro, Benjamin fece scendere Emily e sbirciò oltre l'angolo. Fissò la villetta bianca con un bel giardino davanti, aiuole di fiore ben curate e il numero appeso a una delle colonne del portico: centoventidue. Era la casa dei bambini, ne era sicuro perché aveva chiesto il numero a William. Benjamin deglutì alla vista di un grosso carro attrezzi che stava trainando una comunissima utilitaria bianca. Il ragazzo chiuse gli occhi e li riaprì, per essere sicuro di aver letto bene, di non aver visto male. Trattenne un gemito quando si accorse di aver letto bene. Sulle fiancate del carro attrezzi e sulle giacche dei sei uomini c'era scritto: L'Esercito di Erikson. Per la libertà degli Uomini.*

«Andiamo via.» bisbigliò Benjamin voltandosi.

«Perché?» chiese Emily.

«Ci sono uomini cattivi.» rispose Crystal, che aveva sentito le voci e capito che qualcosa non andava guardando il viso del ragazzo. Benjamin annuì, prese in braccio Emily mentre Crystal faceva salire William sulla pedana del passeggino.

«Torniamo nel bosco.» soffiò Benjamin, «Subito.» mormorò. Fecero dietro front con il rumore delle voci e del carro attrezzi nelle orecchie, arrivarono al limitare del bosco, «Lì.» esclamò, indicando un piccolo ponte, largo un paio di metri, che attraversava un ruscello. In quel tratto c'erano solo un paio di centimetri d'acqua, forse a causa del un tronco caduto qualche metro più a nord. Gli argini del ruscello erano ricoperti da una fitta vegetazione, creando così un luogo abbastanza riparato e nascosto. Benjamin e Crystal si sedettero su due massi sporgenti, la schiena contro la parete umida, William salì in braccio alla ragazza mentre lei sfiorava con una mano Sarah, sperando che non scoppiasse a piangere, attirando così l'attenzione dei militari.

Il carro attrezzi passò con un gran fracasso che svegliò Sarah: Benjamin afferrò William e Crystal slacciò in fretta le cinghie che tenevano al sicuro la bambina e la prese in braccio, la posò contro il suo sento e le accarezzò la schiena, supplicandola di smettere di piangere. Dopo interminabili secondi, la bimba si calmò, appena un attimo prima che il carro attrezzi si allontanasse e tornasse il silenzio, rotto solo dal vociare dei soldati.

«Signora!» gridò uno di loro, la cui voce sembrava provenire dalla destra dei cinque.

«Mi dica.» rispose la donna.

«Ha visto tre bambini?» esclamò il soldato.

«Bambini?» fece la donna, «No. Chi cerca?»

«I Jackson.»

Benjamin sentì le mani dei bambini aggrapparsi a lui ed Emily gli graffiò il collo.

«I Jackson?» continuò la donna, «Oh, sì, li conosco. Bravi bambini.» commentò, «Ma non li ho visti oggi.»

«Mi dica la verità, vecchia!» sbraitò un altro soldato, «Sono dei mostri, dobbiamo eliminarli, subito.»

I bambini emisero uno strillo, attutito dalle urla del soldato che continuava a minacciare la donna.

«Non li ho visti.» replicò quella, «Sono bambini!» esclamò, «Non potete fargli male!»

«Sono mostri.» ringhiò l'uomo, «Lo ha voluto lei.» disse. Poi si sentì un fruscio e un rumore sordo, come se qualcuno fosse caduto a terra.

Poi il soldato si allontanò, borbottando di quanto fosse stupida e cocciuta la gente, specialmente i vecchi.

Poi fu solo silenzio. Crystal e Benjamin attesero a lungo per essere sicuri che se ne fossero andati, che non ci fossero più soldati lì attorno.

«Sarah ha fatto la cacca.» mormorò Emily, «Puzza.»

Crystal la fissò e annuì, «Sì.» disse, posò la bambina nel passeggino e guardò nella borsa appesa ad esso: c'erano quattro pannolini. Strinse fra i denti il labbro inferiore prima di sospirare, «La cambio.» disse e si accorse di un fasciatoio arrotolato nella borsa, lo prese e lo stese sul passeggino, fissando gli orsetti che la guardavo dalla stoffa dallo sfondo giallo chiaro.

«Lo ha fatto la mamma.» pigolò Emily, infilò il pollice destro in bocca e si strinse a Benjamin.

«È brava.» commentò Crystal prendendo un pannolino pulito, le salviette umidificate e della crema allo zinco. Afferrò Sarah, l'adagiò sul fasciatoio e abbassò i pantaloni di un tessuto che ricordava il jeans, tolse il pannolino sporco e lo lasciò cadere per terra.

«Puzza.» commentò William.

«Sì.» esclamò Benjamin, «Hai ragione.» disse fissando Crystal che lavava la bambina con le salviette ma stando attento al minimo rumore, pronto a dire di scappare al minimo accenno di pericolo.

Pochi minuti dopo Sarah era di nuovo nel passeggino, «Fra poco avrà fame di nuovo.» disse Crystal, «Non possiamo stare qui.» alzò gli occhi da Sarah e li puntò su Benjamin, «Dobbiamo andarcene.» esclamò.

Lui annuì e si alzò in piedi, «Andiamo.» disse, «Dobbiamo trovare un riparo per la notte.» esclamò, «Lontano da qui, possibilmente.» sospirò e uscirono dal ruscello. Solo Crystal e Benjamin videro l'anziana dai capelli grigi riversa a terra, con un buco in fronte, proprio in mezzo agli occhi castani aperti.

Camminarono al limitare dal bosco, al riparo, protetti dagli alti alberi e dai cespugli. I militari erano ancora in giro e loro riuscivano a sentire le loro urla, le loro grida, gli inulti che rivolgevano alle persone che incontravano, quando loro rispondevano che non sapevano dove fossero i bambini.

Crystal pensò che fosse per quello che non c'era in giro nessuno. Forse alcuni erano in vacanza, forse alcune di quelle case venivano usate per le vacanze, ma il resto delle persone era rintanata in casa. Pensò che Erikson fosse sempre più pazzo perché sparare a sangue freddo a una donna che non sapeva dove fossero delle persone era folle.

«Giù.» disse Benjamin, «Stanno arrivando.» mormorò guardando Crystal.

Si acquattarono dietro un muretto di pietre dove, dall'altro lato, si trovava una fontanella pubblica. Dietro di loro il bosco era praticamente in silenzio. Si sedettero per terra e Crystal prese Sarah e la strinse contro di sé e sperò, supplicò che non piangesse. Emily rimase aggrappata a Benjamin, piangendo silenziosamente, mormorando ogni tanto che voleva la mamma. William si strinse a Crystal che lo abbracciò con il braccio destro — l'altro era impegnato a sorreggere la più piccola.

«Voi due!» gridò l'uomo di prima, quello che aveva sparato all'anziana, «Sono il Sergente Nelson, sono mandato qui dal nostro Presidente Erikson.» disse e Crystal voltò piano la testa, scoprendo una fessura abbastanza ampia da cui poteva sbirciare. Vide due anziani, un uomo e una donna, a una ventina di metri di distanza, intenti a sistemare un cespuglio di rose davanti alla loro casa. C'era quell'uomo, il sergente Nelson, accompagnato da due persone: uno era vestito da militare, l'altro indossava dei boxer rossi e Crystal si domandò perché fosse praticamente nudo.

«Sì?» esclamò la donna, «Cosa possiamo fare per voi?» domandò. Aveva una voce dolce e gentile a a Crystal venne in mente sua nonna.

«I Jackson» rispose Nelson, «I bambini.» disse, «Sono mostri, sono pericolosi e dobbiamo catturarli.»

Emily si strinse ancora di più a Benjamin, che l'abbracciò forte, fissando Crystal che continuava a spiare.

«No.» rispose l'anziano, «Non li abbiamo visti.» disse.

«Non mentite.» ringhiò Nelson.

«Non li abbiamo visti!» replicò l'anziano, «Siamo appena tornati da Dickson.» spiegò, «Siamo andati al vivaio.»

Crystal li fissò e trattenne un gemito quando vide Nelson portare una mano alla cintura ed estrarre una pistola, completa di silenziatore.

«Avete un'altra occasione.» ringhiò il sergente. «Ditemi dove sono.»

«Non lo sappiamo.» disse l'uomo facendo un passo avanti, coprendo la moglie — o almeno Crystal giudicò che fosse la moglie.

«Bhe, se è così...» Nelson scrollò le spalle, alzò il braccio e sparò, quasi a bruciapelo, all'uomo, che cadde a terra. La donna urlò e si buttò su di lui, piangendo e invocandone il nome: “Oscar”.

Nelson non perse un secondo, le posò la canna sulla nuca, fra i ricci bianchi e sparò.

Crystal respirò velocemente e fissò gli altri due. L'altro soldato era fermo, immobile, il fucile posato sul fianco, mentre il ragazzo in mutande spostava il peso del corpo da un piede all'altro, con impazienza, come se aspettasse quel momento, come un bambino la mattina di Natale, davanti a una montagna di regali.

«Chandler.» disse Nelson, «Sono tutti tuoi.» esclamò.

Anche Benjamin girò il viso, trovando anche lui un punto in cui spiare, fra i sassi che componevano il muretto. Quello che vide gli fece mancare il respiro: Chandler, il ragazzo in boxer rossi, si trasformò, diventando una grossa ed enorme volpe, con denti enormi, così lunghi che doveva tenere le fauci aperte per non ferirsi. La coda sembrava dotata di aghi o qualcosa di appuntito e affilato. Era alta, molto alta, almeno un metro al garrese, giudicò, con orrore, Crystal.

La bestia si mosse verso i due cadaveri, le zampe dai lunghi artigli che sollevavano brani di terra ed erba, stridendo quando incontravano sassi. Poi, la volpe mutate piegò la testa e iniziò a divorare il ventre dell'uomo, strappandone la camicia a scacchi, ingoiando pezzi di stoffa assieme a pelle, muscoli e carne.

Benjamin tornò a guardare avanti poi sentì qualcuno artigliargli il polso sinistro. Guardò: era Crystal che lo stava stringendo, infilzandogli le unghie nella pelle. Spostò piano la mano e gliela strinse, continuando a fissare il viso terreo della giovane.

«Signore!» esclamò un altro soldato. «Le altre case sono vuote.» disse.

«Le avete controllate tutte?» chiese Nelson, raggiunto dall'altro.

«Sì, signore.» annuì la recluta. «Abbiamo chiesto, ma nessuno sa dove siano i bambini.» disse, «C'è solo...»

«Solo cosa? Parla!» gridò Nelson, facendo sobbalzare sia la recluta sia Crystal, che strinse la mano di Benjamin con forza.

«Solo che una casa, la numero cinquanta, è una casa usata per le vacanze.» rispose l'altro, la voce quasi stridula, «Siamo entrati, abbiamo trovato le chiavi sul retro, sotto un vaso.» spiegò, «Non c'è nessuno nemmeno lì.»

«Come sai che è una casa per le vacanze? Magari sono solo via.» replicò Nelson.

«Me lo hanno detto i vicini quando bussavo e non mi apriva nessuno.» replicò la recluta. «Sono di New York.»

«Okay, andiamocene da 'sto buco.» sospirò Nelson. «Chandler!» gridò, «Smetti di mangiare quei vecchi e vieni subito qui!»

Crystal inspirò a fondo, trattenendo il fiato quando sentì i passi dei soldati avvicinarsi, poi il rombo di un auto fermarsi a pochi metri da loro. Strinse con ancora più forza la mano di Benjamin, cercando in lui quella sicurezza che non aveva.

Attesero a lungo, quasi un'ora, forse di più, prima di alzarsi. Crystal posò la bambina nel passeggino per poi legare le cinghie con mani tremanti.

«Andiamo in quella casa.» esclamò Benjamin.

«Quella dei tizi di New York?» domandò Crystal accorgendosi che la sua voce tremava. Benjamin sì limitò ad annuire. «Va bene.» sospirò Crystal stringendo i manici del passeggino, sentendo sotto le unghie la gomma che ricopriva le impugnature.

«Bambini, in fretta e in silenzio.» sibilò Ben, poi fissò Emily, ancora in braccio a lui e decise di non farla scendere. William scivolò fra Crystal e il passeggino e salì sulla pedana. Benjamin fissò l'orologio che aveva al polso destro — era destrimane ma lo aveva sempre portato lì, lo trovava più comodo — e vide che ormai erano le cinque e ventisette e si stupì di quanto tempo fosse passato da quando aveva incontrato i bambini.

Camminarono per una manciata di minuti quando un rumore proveniente dal sottobosco li fece bloccare: attesero una manciata di minuti e ripresero il cammino, visto che non successe niente. Crystal si guardò attorno, alla ricerca di un qualcosa che non sapeva nemmeno lei quando sentì quell'odore. Annusò e si bloccò.

«Benjamin.» mormorò, facendolo bloccare. «Annusa.»

Lui la guardò sorpreso poi annusò e Emily ridacchiò nel vederlo muovere il naso in un modo che le sembrava così buffo. Il mutaforma sentì quell'odore come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Acre, pungente, selvatico: un cinghiale. Per un attimo gli venne l'acquolina in bocca ma scosse la testa, cercando di scacciare quella parte animale che, in alcuni casi, emergeva prepotentemente. «Lo sento.» disse, «Cinghiale.» mormorò.

Crystal annuì e si udì di nuovo il fruscio: un attimo dopo il cinghiale sbucò dai cespugli e si bloccò alla vista degli umani, li fissò per qualche secondo poi avanzò, ignorandoli. La lupa lo osservò per qualche secondo, mentre lui attraversava la strada e deglutì. «Bambini, adesso chiudete gli occhi.» gracchiò.

«Perché?» domandò William, aggrappato saldamente alla struttura del passeggino.

«Perché.. perché se chiudiamo gli occhi il cinghiale ci lascia stare.» inventò, non volendo dire la verità. Sarebbe stato troppo per i bambini, dopo quello che avevano visto fare alla loro madre.

«Crystal?» domandò Benjamin sorpreso, «Cosa...» mormorò e girò di scatto la testa, fissando il cinghiale che si avvicinava ai due anziani assassinati. «Oh,» fece, capendo quello che Crystal aveva intuito prima di lui, «Sì, bambini, chiudete gli occhi.» esclamò e fissò il cinghiale che cibarsi dei due cadaveri e riprese il cammino, fissando i sacchi di terriccio e le piante ancora nei vasi nel giardino dei due poveri anziani.

«Cammini con gli occhi chiusi?» domandò Emily, «La mamma dice che si cade.» mormorò e iniziò a piagnucolare.

«Io... sto attento.» disse, «Non ti faccio cadere.» esclamò, ignorando il disgusto che provava nel sentire i grugniti del cinghiale. Lui e Crystal avanzarono, aggirando il cinghiale. Camminarono per un minuto fissando le villette i cadaveri disseminati nei giardini, chiedendosi perché Erikson stesse facendo tutto quello. Perché uccidesse persone che non c'entravano nulla.

«Possiamo aprire gli occhi?» domandò Emily.

«Sì.» rispose Benjamin e la fece mettere in piedi su un basso muretto, «Tesoro, adesso devi trovare la casa con il numero cinquanta.» disse, «Cinquanta.» ripeté, «Sai come si scrive?» domandò.

La bambina annuì, «Sì.» rispose e alzò la mano sinistra, aprendo tutte le dita piccole, alzò la destra, la chiuse a pugno e formò uno zero con il pollice e l'indice. «Cinque e zero.»

«Puoi trovarla?» domandò Crystal e gettò un'occhiata alla casa più vicina, scoprendo che il numero civico era il settantacinque.

Emily scrollò le spalle, «Ci provo.» disse. Benjamin le sorride e la riprese in braccio.

«Andiamo, piccola.» esclamò. Meno di due minuti dopo erano sul retro della casa che cercavano. I bambini, troppo stanchi e spaventati, non si erano accorti del cadavere sulla veranda della casa di fronte.

Benjamin trovò la chiave sotto a un vaso e la strinse. «Speriamo che non ci sia l'antifurto.» mormorò.

«Non ce l'ha.» rispose Crystal, fissando Sarah che spalancava gli occhi, sapendo che da lì a poco avrebbe incominciato a piangere perché aveva fame.

«Come lo sai?» domandò Benjamin.

Lei scrollò le spalle, «Bhe, quello ha detto di essere entrato.» rispose, «Avrebbe dovuto suonare e noi lo avremmo sentito.» continuò, «E poi... insomma, se vivi a cinquecento miglia da qui e lasci la chiave sotto il vaso forse non sei così furbo.» disse, «E non metti un antifurto.»

Benjamin si morsicò il labbro, «Sì, giusto.» alzò le spalle, infilò la chiave nella serratura e girò, aprì la porta e attese: niente antifurto. A meno che non fosse uno di quelli silenziosi. «Dentro.» disse e Crystal spinse il passeggino nella cucina della casa. «Niente antifurto.» soffiò Benjamin fissando la parete accanto alla porta. «Avevi ragione.» sorrise a Crystal, nell'oscurità della casa, fissandone gli occhi verdi che brillavano nel buio.

«Accendiamo la luce?» esclamò William, «È buio.»

«No.» rispose Benjamin, «Usiamo le torce.» disse, recuperò quella nel suo zaino e l'accese.

«Devo andare in bagno.» pigolò Emily.

«Anche io.» disse William

Crystal tolse lo zaino, sentendo le spalle e la schiena urlare dal dolore. Posò lo zaino sul pavimento, prese la sua torcia e l'accese, «Andiamo.» disse alla bambina porgendole la mano.

«Io non vado in bagno con le femmine.» obbiettò William. Crystal alzò le spalle andò in cerca del bagno con Emily.

Mentre loro due erano in bagno, Benjamin si guardò attorno, trovò il frigo e lo trovo. Era spento, staccato dalla corrente. Aprì un paio di mobiletti, fino a trovare la dispensa e sorrise nel vedere scatolette di tonno, di mai, pane confezionato, biscotti... avrebbero potuto avere una cena decente e il giorno seguente avrebbero potuto mangiare biscotti a colazione. Afferrò un barattolo e lo illuminò, «Biscotto granulare.» lesse.

«È per i bambini piccoli.» disse William, «Mamma lo mette nel biberon di Sarah»

Benjamin gli sorrise, «Grazie.» disse e pensò che forse c'erano anche dei pannolini. «Mettili sul tavolo, per favore.» esclamò, porgendo a William le scatolette di tonno e quelle di mais. Il bambino trotterellò fino al tavolo e posò lo scatolame su di esso, per poi tornare da Benjamin che stava fissando degli omogenizzati. Li posò sul tavolo, sicuro che Crystal avrebbe saputo cucinarli per la bambina.

«Non credevo che si potesse provare così tanto piacere nel sedere su un gabinetto.» sospirò Crystal uscendo dal bagno, stringendo la mano di Emily. «Oh.» commentò, fissando il tavolo. «Cibo.» sorrise, «Ci sono anche gli omogenizzati!» esclamò.

«Sai come prepararli?» domandò Benjamin e Crystal annuì. «Direi che possiamo mangiare, poi andiamo a dormire.» disse, «È stata una lunga giornata.» sospirò e posò il pane confezionato sul tavolo. «William, andiamo? Devo andare in bagno anche io.»

Il bambino annuì e lo seguì in bagno, mentre Crystal scostava una sedia per far sedere Emily. Si avvicinò al fornello, scoprendo che non era collegato al tubo del gas. Funzionava con la bombola, posta nel mobile sottostante. Recuperò una scatola di fiammiferi dal cassetto delle posate, trovò un pentolino, lo riempì d'acqua del rubinetto e lo mise sul fuoco. Aprì altre antine, trovando succhi di frutta, bottiglie di acqua frizzante da una pinta e le posò sul tavolo. Trovò anche del latte parzialmente scremato a lunga conservazione che sarebbe scaduto a metà Novembre.

«Crystal.» pigolò Emily, «Voglio la mamma.» mormorò.

La mutaforma le si avvicinò, posò la torcia sul tavolo, illuminando la bambina e si inginocchiò accanto alla sedia, «Lo piccola.» disse e le scostò i capelli castani dal viso, «Mi dispiace, tesoro.» soffiò e la strinse a sé. Sarah pianse e Crystal si staccò da Emily e prese Sarah, «Adesso mangi.» le disse. «Emily, apri la confezione di biscotto granulare, per favore.»

La bambina si asciugò gli occhi con la manica della giacca e si allungò per prendere la confezione blu. «Aperta.» esclamò, la voce rotta dai singhiozzi trattenuti.

Crystal le sorrise e preparò il biberon per Sarah, aggiungendo il biscotto granulare. Si sedette accanto ad Emily e diede il biberon alla più piccola, che iniziò a succhiare con avidità. «Benjamin, prepara tu la cena.» esclamò senza alzare gli occhi.

«Okay.» disse lui, infilò la torcia fra i denti e aprì le antine sopra il lavello, recuperò quattro piatti e li posò sul tavolo. Velocemente scolò tre scatolette di tonno, — dicendosi che le altre le avrebbero portate con sé il mattino dopo, quando sarebbero ripartiti — ne aprì due di mais e le mischiò nei piatti che sistemò davanti ai bambini a Crystal e davanti a lui, prese anche posate e bicchieri, che riempì di succo, aprì il pane, dando un paio di fette a testa.

Mangiarono in silenzio, le torce al centro del tavolo che illuminava la stanza, Sarah ancora in braccio a Crystal. La bambina allungò una manina paffuta verso il pezzo di pane che Crystal stava portando alla bocca, emettendo urletti. «Lo vuoi?» domandò la ragazza e sorrise, per poi darne un pezzetto alla bambina, che iniziò a mangiarlo felice.

«Hai trovato i pannolini?» domandò Benjamin, lanciando uno sguardo a Jackson ed Emily.

«Sì.» rispose lei, sistemando meglio Sarah sulle sue gambe, «Sono solo cinque, però.» sospirò, «Ci sono tipo... quattro confezioni nuove di salviette per bambini, due tubetti ancora chiusi di pasta allo zinco ma solo quattro pannolini.» borbottò, «Dovremo prenderli.» disse.

Benjamin annuì, pensando che voleva trovare disperatamente un auto. Si disse che avrebbe potuto prenderla — rubarla — da uno dei vicini morti, caricare tutti quanti e andarsene il più velocemente possibile da lì.


Benjamin fissò l'orologio, guardando le lancette che segnavano l'ora: le nove e mezzo. I bambini erano già a letto, dopo essersi fatti un bagno veloce — Emily con Crystal, William con lui —, ci erano andati subito, senza protestare o fare i capricci. Il ragazzo mosse la torcia, spostandola dalla mensolina di vetro sotto allo specchio al ripiano che circondava il lavandino.

Aprì l'antina accanto allo specchio del lavandino del bagno, alla ricerca di un rasoio, magari usa e getta. Era da venerdì mattina che non si radeva. “Venerdì... oggi è domenica.” pensò. Sospirò, frustato, quando non lo trovò. Aprì un cassetto del mobile del lavandino e frugò li dentro, fra vecchie spazzole, pettini ed elastici vecchi di qualche anno. Trovò un paio di rasoio usa e getta nuovi e qualcos'altro. Afferrò la scatola già aperta e ne guardò il contenuto. Cinque su sei.

«I bambini dormono.»

Benjamin si girò verso la porta, illuminando Crystal. Aveva i capelli umidi, le punte che si stavano arricciando, un pigiama preso dall'armadio e un vecchio maglione con i bottoni, troppo grande per lei. Se lo stava stringendo addosso, tenendo i lembi con le mani. «Bene.» commentò e si accorse che Crystal aveva visto quello che aveva in mano. Fece per rimettere la scatoletta al suo posto ma Crystal non glielo permise: gli si avventò contro, prendendogli il viso fra le mani e lo baciò, premendo con forza le labbra sulle sue.

Benjamin ricambiò il bacio, sentendo la lingua di lei che gli sfiorava le labbra. Le dischiuse e la strinse a sé, lasciando cadere la confezione di preservativi a terra. La spinse contro il muro dopo aver fatto scivolare a terra il maglione. Sentiva contro di sé il seno di Crystal, lo sentiva contro la sua pelle, anche se lei indossava la maglia del pigiama — lui, dopo essersi lavato, aveva indossato solo i boxer che si era portato e un paio di pantaloni della tuta del padrone di casa. Si spinse contro di lei, bloccandola contro il muro, sentendo le sue gambe circondargli la vita, attirandolo ancora di più contro il suo corpo. Benjamin sentiva l'eccitazione crescere, crescere sempre di più e premere contro Crystal.

«Perché?» ansimò quando il bacio finì, la fissò negli occhi, guardando le iridi e le pupille ingrandirsi sempre di più, inghiottendo il bianco della sclera, il verde delle pupille diventare sempre più chiaro. Fissò quello sguardo da lupa e seppe che anche lui la stava guardando allo stesso modo.

«Perché no?» replicò lei.

Lui le tolse velocemente la maglia, fissando il seno sodo. La baciò di nuovo e finirono a terra, sul tappeto bianco posto fra la vasca e il lavandino. La baciò sulle labbra e scese sulla gola e ancor più giù mentre infilava una mano sotto le mutandine di lei. Dopo qualche secondo la denudò completamente e rimase a fissarla, in ginocchio accanto a lei. Si allungò per prendere uno dei preservativi usciti dalla scatola e Crystal fu svelta: gli abbassò velocemente pantaloni e boxer, gli strappò il preservativo dalle mani e glielo mise.

Si fissarono per qualche secondo, poi lui fu su di lei, dentro di lei e la baciò, smorzando il gemito che voleva uscire dalle labbra di lei. Le morse il collo con un basso ringhio — era la parte animale di lui che usciva prepotentemente — e lei gli graffiò la schiena, con forza, prima di mordergli la spalla.

Fu veloce e intenso, travolgente per entrambi. Benjamin rotolò via da Crystal ansimando e fissò il soffitto bianco, accorgendosi della macchia di muffa in un angolo.

«È meglio che vada a controllare i bambini.» soffiò Crystal, recuperò i suoi abiti, li indossò e fuggì dal bagno prima che Benjamin potesse fermala.

Il ragazzo si tirò su, mettendosi in ginocchio e appoggiandosi alla schiena, sentendo la ceramica fresca contro la pelle calda. Inspirò a fondo, imponendosi di calmarsi. Raccolse i preservativi restanti e li infilò nella scatola; si alzò in piedi, gettò il preservativo usato nel cestino sotto al lavandino e si pulì velocemente prima di vestirsi. Tornò in corridoio, la scatola ancora in mano, si accucciò accanto al suo zaino e la sistemò in una delle scatole.

«I bambini non hanno sentito nulla.» esclamò Crystal guardandolo, «Dormono.» soffiò, «Vado in bagno.»

Benjamin si limitò ad annuire, si alzò in piedi, entrò in cucina e bevve un lungo sorso d'acqua. Solo quando sentì Crystal uscire dal bagno e tornare in camera si girò lentamente, prese un respiro profondo e guardò fuori dalla finestra, scostando appena la tenda: pioveva. Si girò e andò in camera, fissò Crystal che abbracciava Emily, William al centro del letto, che stringeva un pupazzo a forma di cane. Gettò uno sguardo al lettino da campeggio ai piedi del letto e fissò Sarah che dormiva tranquilla, il ciuccio in bocca. Con un sospiro scostò le coperte, scivolò sotto di esse e si impose di dormire.

❖.❖.❖

«Cosa vuol vuol dire che non si trovano i bambini?» sbraitò Dawn, «Non possono essere andati sulla luna, cazzo! Nessuno di loro può teletrasportarsi!» continuò ad urlare uscendo dal suo ufficio, «Dove cazzo sono?» ringhiò, fissando il ragazzo davanti a lei, che avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì.

«Io... io non lo so.» mormorò Thomas indietreggiando di un paio di passi, «Non so dove sono.» disse e deglutì, fissando Dawn che lo guardava come se avesse voluto prendere una pistola e sparargli seduta stante, «Mi dispiace.» sospirò indietreggiando ancora.

Dawn sbuffò, «Sì, certo.» esclamò, «Informati!» gridò, «Chi c'è da loro?» chiese.

«Charles.» pigolò Thomas.

Dawn annuì, «Okay.» disse e rilassò le spalle, «Chiamalo e digli di setacciare ogni casa, ogni giardino, ogni cazzo di buca che incontra, okay?» sbraitò, «E cerca di rimetterti in contatto con il superiore del signor Jackson e digli che deve assolutamente tornare qui nel minor tempo possibile.» ordinò, «E se non lo fa... minaccialo.» disse, «Digli che gli verrà portata via la casa, la barca, l'elicottero e qualsiasi gingillo che abbia e che non ha dichiarato al fisco... sono stata chiara?» esclamò, avvicinandosi al ragazzo.

«Sì.» disse lui, «Subito!» esclamò e schizzò via, raggiungendo la sua scrivania e prendendo in mano il telefono ancora prima di sedersi.

Dawn sospirò e avanzò, aprì la porta dell'ufficio di Steven e lo guardò, fissando i capelli castani illuminati dalla luce dei neon, l'espressione concentrata mentre parlava al telefono. Lui si accorse di essere osservato, salutò il suo interlocutore e riattaccò. «Tesoro.» disse e Dawn si avvicinò a lui, «Che hai?» chiese.

«I Jackson» sospirò lei, «Non si trovano neppure loro.»

«Jackson?» domandò lui, non capendo a chi si riferisse Dawn.

«I Jackson, lui è un militare, adesso è in Afghanistan,» spiegò lei «la madre e i bambini di nove, sette e sei mesi non si trovano.» continuò, «Nessuno di loro può teletrasportarsi, la macchina non è passata per nessuno casello, non hanno preso né aerei né treni e non hanno oltrepassato il confine.»

«Sicura?» chiese lui e Dawn annuì, «Bhe, non saranno lontani... tranquilla, li troveremo.» disse.

«Io non resto tranquilla!» sbottò Dawn, «Quel pazzo di Erikson ha una lista con i nostri nomi e manda in giro i suoi soldati a uccidere quelli come noi!» sbraitò, «E quelli sono bambini!» gridò, «Bambini, per l'amor del Cielo! E tu mi dici di stare tranquilla? Ma sei cretino?»

«Dawn... calmati.» disse lui, «Stai tranquilla, li troveremo.» esclamò e si alzò, fece il giro della scrivania e la raggiunse, «Non ti fa bene arrabbiarti così.» mormorò e l'abbracciò. «Andrà tutto bene.» sussurrò.

Dawn sospirò, appoggiò la testa sulla spalla di even e si disse che doveva tranquillizzare ed evitare di sbraitare contro chiunque, perché non era colpa né sua, né di Thomas e neppure di Steven. La colpa era della talpa, se l'avesse avuta fra le mani l'avrebbe strozzata senza pensarci due volte. «Okay.» disse.

«Dawn?» pigolò Thomas affacciandosi, «Abbiamo novità.»

Dawn si staccò da Steven e gli sorrise, «Dimmi.» esclamò girandosi verso l'altro.

«Abbiamo trovato la signora Jackson.» disse lui e si torse le mani, non sapendo come continuare, «E...»

«E cosa?» fece lei avanzando verso di lui.

«La signora è stata uccisa, Charles ha trovato dei graffi profondi sul torace, sulla schiena e sulle braccia, dice che non è un bello spettacolo...» rispose e fece un passo indietro, pronto per fuggire nel caso che Dawn decidesse di prenderlo a calci, «E i bambini non ci sono.»

«Che cosa?» strillò lei, «Merda.» imprecò, uscì dall'ufficio per andare nel suo, lasciandosi dietro gli altri due. Una volta alla sua scrivania indossò l'auricolare, sistemò il microfono e compose il numero di Charles.

«Dimmi che è uno scherzo.» disse quando l'altro rispose.

«Purtroppo no.» sospirò l'altro. «Joey ha appena stordito una scimmia mutante.» disse, «Cazzo, non ha dita ma artigli grossi e affilati come falcetti appena usciti dalla fabbrica.» spiegò, «Stava... stava mangiando la signora Jackson.» disse. «Povera donna... le hanno anche sparato in testa.»

Dawn inspirò a fondo. «Merda.» disse, «Con che cosa l'avete fermata?» domandò.

«Teaser e una tripla dose di sonnifero.» disse l'altro, «È un tizio di quarant'anni, faccia da sfigato e pancia di chi ha bevuto troppe birre.» spiegò, «E c'è altro.»

«Cosa?» mormorò Dawn, sentendosi sempre peggio e pregò che non avessero trovato i corpi dei bambini.

«L'auto di lei ha le gomme squarciate.» rispose Thomas, «Da un coltello.» aggiunse, «Abbiamo trovato una di quelle insegne a libro piena di bruciature.»

«William ha cercato di difendere la madre.» disse Dawn sentendosi sempre peggio, «Merda.» sputò, «Speriamo che Emily usi il suo potere per cercare qualcuno che li aiuti.»

«Già.» fece Charles la voce piatta, «Noi stiamo cercando di setacciare la zona, ma gli uomini di Erikson passano ogni mezzora ed è un po'... complicato.»

«Fate il possibile.» ordinò lei, «Quei piccoli hanno visto morire la loro madre e saranno spaventati a morte.» sospirò, «Chiamami fra mezz'ora.» disse e riattaccò.

Chiuse gli occhi, posò e le mani sul viso e si sentì esausta, con la voglia di stendersi da qualche parte, raggomitolarsi su se stessa e piangere fino ad addormentarsi. Ma sapeva di non poterlo fare, non in quel momento, con i tre bambini in giro per i boschi, con delle scimmie mutaforma e chissà cos'altro partoriti dalla mente di quello stronzo del Presidente. Gli avrebbe sparato lei stessa, se ne avesse avuto occasione. In fondo sarebbe stato semplice: doveva solo prendere un fucile, caricarlo, trovare il Erikson, prendere la mira e fare fuoco. Le telecamere di sicurezza non l'avrebbero vista perché lei sarebbe diventata invisibile anche ai loro occhi. Un giochetto da ragazzi.

Peccato che Erikson non vivesse più alla Casa Bianca, ma che si fosse nascosto chi sa dove. "Probabilmente ha paura di qualche ritorsione." pensò Dawn. Ma avrebbe davvero voluto trovarlo e piantargli una pallottola in mezzo agli occhi, per poi fare lo stesso con la talpa.

Già, la talpa... chi poteva essere? Charles non di sicuro, visto che aveva due gemellini di tre anni e avrebbe ucciso chiunque facesse del male ai bambini. E neppure Nick, che conosceva da dieci anni, che era come un fratello per lei e si fidava ciecamente di lui. Stessa cosa per George e sua sorella, e i genitori dei tre ragazzi. Erano parte del consiglio dei Soldier e in quel momento si stavano dannando l'anima per risolvere la situazione con i vari governi. James... bhe, non era colpa sua se suo padre era uno stronzo e aveva cercato di ucciderla. James poteva essere pure un po' rompiballe, credere di essere il macho man della situazione ma era uno su cui si poteva contare.

Neppure Thomas era da prendere in considerazione, anche perché non aveva i requisiti per accedere alle liste. Quindi chi poteva essere? Senza ombra di dubbio escludeva Steven. Era il suo fidanzato, nella penultima missione avevano cercato di ucciderli entrambi, aveva una fiducia e una stima profonda per lui ed era più che sicura che non fosse lui la talpa. Ma c'era, ed era lì, in quell'imponente ed enorme villa vittoriana. In quel momento c'erano decine e decine di persone al lavoro per risalire alla talpa, uomini e donne che lavoravano giorno e notte per portare alla luce alla verità e lei era convinta che ci sarebbero riusciti. E allora lei avrebbe fatto confessare la talpa, le avrebbe chiesto il perché, il motivo per cui aveva fatto una cosa del genere e poi...

“E poi la ucciderò.” pensò.

❖.❖.❖

Marie-Anne sbuffò. Erano ore che erano in quell'auto, senza poter muoversi. Aveva avuto una mezza crisi isterica quando Erik le aveva detto che se le scappava, poteva andare a pisciare nei cespugli. All'inizio si era rifiutata, poi aveva ceduto.

Quando si erano fermati la prima volta erano rimasti lì per un'oretta, poi Erik era tornato indietro, aveva preso un'altra strada — sempre dissestata — e aveva proseguito, svoltando a caso, senza un senso logico. E Marie-Anne avrebbe voluto riempirlo di schiaffi e guidare lei, imboccare un'interstatale e guidare fino in Canada. Ma non era possibile, Erik non dava il cambio alla guida.

«Smettila di sbuffare.» borbottò Kathy, a metà strada dal voler sbattere giù dall'auto l'altra e il volerle ringhiare contro di tacere. «Siamo tutti stanchi.» soffiò posando il capo sul poggiatesta. Fissò il soffitto della Lexus, chiedendosi come stessero i suoi genitori e le sue sorelle e i genitori di Samuel, pregò un dio in cui non credeva di salvarli, anche se l'istinto le urlava che ormai non c'era più nulla da fare.

«Se mi aveste ascoltato...»

«Se lo avessimo fatto, a quest'ora saremmo nelle braccia di quello stronzo.» Erik interruppe Marie-Anne, che emise uno sbuffo stizzito e tornò a guardare fuori. Erano nel parcheggio di un altro motel, una bettola in cui lei non sarebbe mai entrata.

«Potremmo proseguire.» pigolò lei.

«Riposiamo un paio d'ore e ripartiamo.» sbuffò Erik prendendo sigaretta e accendino dalla tasca della giacca di pelle nera. «Te lo ha mai detto nessuno che ogni tanto sei... noiosa?» sbuffò con la sigaretta fra le labbra.

Marie-Anne girò di scatto la testa, stizzita. «Io lì non ci entro.» esclamò, «Resto qui.»

Erik alzò le spalle, «Come vuoi.» disse e si voltò, facendo due passi verso l'ingresso sgangherato del motel.

Marie-Anne spalancò occhi e bocca quando si rese conto che stava facendo sul serio, che l'avrebbe lasciata lì, così afferrò le sue cose e scese, sbattendo la portiera, «No, no, vengo.» esclamò, raggiungendo gli altri tre.

Erik sogghignò, divertito — Marie-Anne era insopportabile, ma si divertiva a vederla arrossire ogni singola volta che le sorrideva — e schiacciò il pulsante della chiusura centralizzata.

Samuel strinse la mano di Kathy, giurando a se stesso che l'avrebbe protetta, sempre e comunque, anche a costo della sua vita. Osservò Marie-Anne, il modo in cui stringeva lo zaino al petto e sospirò. Secondo lui era strana, con quella mania di voler comandare solo perché nata prima di loro, anche se non aveva il carisma di un leader. Quello era Erik. Era lui il carismatico e di conseguenza leader del gruppo.

Entrarono nel motel, scoprendo che anche quella volta c'era solo una stanza libera, con solo due letti. Marie-Anne sbuffò infastidita. «Uno è mio.» esclamò.

Erik alzò gli occhi al cielo e soffiò fuori il fumo — in quel motel nessuno faceva caso ai divieti e nessuno li faceva rispettare —, «Come vuoi, principessa.» disse. «Io dormo anche per terra.» alzò le spalle e passò a Kathy la carta magnetica.

Marie-Anne entrò per prima, scelse il letto più lontano dalla porta e ci posò sopra lo zaino. Non riusciva a comprendere perché ce l'avessero tutti con lei. Anche al liceo la trattavano così, come se fosse un peso da portarsi in giro. Non aveva chiesto lei di essere in quella situazione anzi, avrebbe voluto essere normale e non una mutaforma.

Andò in bagno, chiuse a chiave la porta e scoppiò a piangere.

❖.❖.❖

Erik aprì piano la porta e uscì, infilò la sigaretta fra le labbra — accorgendosi che era l'ultima del pacchetto — e l'accese. Fissò il fumo che saliva e sospirò. Niente stava andando come aveva previsto: c'erano troppi posti di blocco e lui aveva paura. Sapeva che se la sarebbe cavata con il suo dono che gli permetteva di cercare, trovare e, di conseguenza, evitare i pericoli. Sapeva che Samuel e Kathy se la sarebbero cavata, sia i forma umana che in forma di pantere. Era Marie-Anne che lo preoccupava, sembrava che non accettasse quello che era.

E non si fidava di lui, questo lo sapeva bene. Come sapeva che sarebbe stato un problema se avesse continuato a fare l'isterica Miss-So-Tutto-Io. Aspirò ancora e fissò il cielo nero e la pioggia che cadeva da diverse ore. Ecco, la pioggia era un'altra di quelle cose di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Sentì un rumore e girò la testa, fissando il gatto randagio che correva via, sotto la pioggia. Fu allora che lo vide. Il distributore di sigarette. Si avvicinò, continuando a fumare. Tirò un pugno leggero sul fianco della macchina, poi un altro sul davanti. Si udì un rumore e un pacchetto cadde nel cestello. Erik lo prese: Marlboro rosse. Non erano le sue preferite, ma sapeva accontentarsi. Infilò il pacchetto nella tasca della felpa e tornò alla porta della stanza, fece l'ultimo tiro, gettò il mozzicone in una pozzanghera e tornò in camera. Samuel e Kathy dormivano vicini, probabilmente abbracciati. Anche Marie-Anne dormiva.

Erik sospirò, gettò il pacchetto nuovo nel suo zaino e si sdraiò sul tappeto fra i due letti, si coprì, chiuse gli occhi e si addormentò.


Ed ecco qui il secondo capitolo, con l'arrivo dei bambini. Mancano solo Kyle e Jenna ma arriveranno presto. Molto presto.
E c'è pure la prima scena lime *fischietta*
Per il fatto che qualcuno lasci la chiave delle casa delle vacanze sotto lo zerbino... bhe, non mi pare che nelle serie tv/film americani i proprietari tengano molto alla sicurezza, visto che lasciano la chiave sotto lo zerbino, se non addiritura la porta aperta.
Oh, un tontolone ci deve essere, ogni tanto!
Il sergente Nelson non penso che tornerà. O forse sì, dipende da quello che decide ò.ò
Grazie a chi legge, mette la storia in una delle liste, a chi mi mette fra gli autori preferiti e chi commenta questa storia.
Al prossimo capitolo!

   
 
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