2. Welcome to Elvandar
–
Buona fortuna.
Martin
ricambiò quell'augurio con un cenno del capo ed Aredhel abbozzò un
lieve sorriso di commiato. Quindi l'uomo e l'hadati porsero i loro
ultimi saluti alla regina e si allontanarono, scortati da un paio di
guardie elfiche che li avrebbero accompagnati sino ai confini di
Elvandar.
La
giovane eledhel fece per muoversi a sua volta in quella direzione, ma
un'occhiata di Varsel la anticipò.
–
No, Aredhel – le disse suo fratello.
Quella
sola negazione da colui che era un suo diretto superiore bastò alla
ragazza perché sopprimesse sul nascere qualunque tipo di reazione
contrariata e, seppur senza convinzione, voltò le spalle ai pochi
rimasti e si diresse nella direzione opposta, senza una parola.
Varsel
era il primogenito e l'erede della diretta approvazione paterna, ma
questo non aveva impedito all'elfo di instaurare un particolare
legame con la sorellina. Era stato lui ad ispirarla, così come era
lui quello che da sempre aveva avuto la tendenza a proteggerla e
giustificarla di fronte alla disapprovazione del loro genitore, ed
era questo il motivo per cui Aredhel non avrebbe mai sognato di
ribellarsi alla sua parola.
Per
quanto in cuor proprio covasse un'indole che molti eledhel avrebbero
definito difficile, la stima che covava per lui era la chiave della
sua devozione alla causa elfica ed il motivo scatenante che l'aveva
condotta al suo apprendistato presso Tarlen. Non poteva deludere
anche lui.
Con
un sospiro emulato con discrezione, Aredhel lasciò che ogni
sentimento inquieto scivolasse fuori dal proprio corpo e quando tornò
a sollevare gli occhi chiari individuò Lorren in compagnia di una
delle guardie elfiche al comando di suo fratello. L'afflusso di elfi
accorsi a dare il benvenuto al nuovo eledhel sembrava essersi già
placato e la ragazza, senza pensarci più d'un secondo, si avvicinò
ai due.
–
Puoi andare, ci penso io qui – affermò con un ampio sorriso,
comparendogli al fianco.
Il
soldato non ebbe un sussulto ma dallo sguardo che le rivolse ella
comprese di averlo sorpreso, cosa che le causò un piacevole senso di
soddisfazione che le fece piegare un poco di più un angolo delle
labbra verso l'alto. Dopo un paio di secondi di pacato scetticismo ed
uno sguardo ammonitore, l'elfo si allontanò con un saluto, lasciando
il nuovo arrivato a lei.
A
quel punto la sua attenzione fu completamente per Lorren, così come
era stato nel primo momento in cui l'aveva visto. In realtà non
v'era nulla di esteriormente insolito in lui, né era particolarmente
avvenente, ma ciò che rappresentava era fonte di interesse notevole
per una come lei: il suo istinto le diceva che doveva essere un tipo
interessante ed era sempre stata un'elfa piuttosto curiosa, in
special modo nei confronti di tutto ciò che riguardasse la vita al
di fuori della Foresta di Elvandar, caratteristica che in effetti le
aveva causato alcuni guai in passato.
Altri
popoli vivevano oltre i loro confini, non soltanto uomini, ed in
particolar modo la questione dei Fratelli Oscuri era ancora fonte di
svariati interrogativi, nonostante le molteplici spiegazioni che le
erano state date dagli elfi anziani.
Come
poteva esistere un astio tanto profondo e radicato in creature tanto
simili a loro? Davvero la loro esistenza era tutta incentrata
sull'influenza che aveva il Sentiero Oscuro sulle loro anime?
Possibile non ci fosse altro, oltre all'odio, nei loro cuori?
Magari,
parlando con quel nuovo eledhel, avrebbe appreso qualcosa di nuovo
sulla vita dei moredhel, qualcosa che l'aiutasse, se non a
comprendere fino in fondo, a placare la propria irrequieta voglia di
sapere.
I
loro sguardi si incontrarono, argento vivo contro castano scuro, ed
Aredhel distinse un singolare guizzo di curiosità in quell'iridi e
provò un'insolita empatia nei confronti del loro proprietario. Gli
sorrise, un sorriso incoraggiante e solare, e questi dopo un attimo
la ricambiò con un'espressione altrettanto amichevole.
–
Benvenuto ad Elvandar, Lorren – esordì, seppure un istante dopo si
pentì delle parole usate: era un Ritorno, pertanto le circostanze
imponevano che usasse la formula “Bentornato”; per non parlare
della banalità di quel saluto: doveva senz'altro essergli stato
rivolto sino alla nausea.
Eppure
l'altro, seppur non senza inarcare un sopracciglio in un primo
momento, non smise di sorriderle con sincerità e subito la ricambiò.
–
Grazie... – il moro accennò un inchino del capo e lasciò la frase
in sospeso in un modo caratteristico e la ragazza non ebbe dubbi.
–
Aredhel... Aredhel Duhlyn. Lieta di fare la tua conoscenza –
concluse per lui, presentandosi.
–
Il piacere è il mio.
–
Penso ti troverai bene qui... – esordì, in un tentativo di
conversazione piuttosto blando.
Lorren
annuì con un cenno del capo – Sì, lo credo anche io.
–
Vieni – gli disse dopo un momento di silenzio, senza lasciarsi
vincere dall'insicurezza di quel primo incontro – Ti mostro il tuo
alloggio... la tua nuova casa – si affrettò a correggersi,
rendendosi conto di avere non poche difficoltà ad interagire in
maniera naturale con quell'eledhel.
Strano,
si ritrovò a pensare corrucciandosi in volto. Solitamente dava
miglior prova di sé.
Gli
fece strada, conducendolo su per la scalinata più vicina e poi fra i
pontili intagliati e gli spessi rami che conducevano in alto, nella
zona adibita a dimora del popolo di Elvandar. Procedettero dapprima
in silenzio e man mano che avanzavano, passo dopo passo, Aredhel si
rese conto con crescente sollievo che l'impaccio andava sciogliendosi
e ben presto si ritrovarono a sostenere una conversazione spigliata e
dai toni leggeri. Altri elfi nell'incrociarli li salutarono con
sorrisi ed educati cenni del capo, eppure anche in essi la formalità
dei loro gesti non venne meno e, seppur fosse un comportamento a cui
la ragazza-elfa era abituata sin da bambina, il suo subconscio non
mancò di notarlo.
Scacciando
quella sensazione da sé, Aredhel si ritrovò a sorridere quando una
voce conosciuta li trattenne e quando entrambi si voltarono videro
un'elfa dall'aspetto non più giovane e dalla corporatura più
robusta della media ferma sul pianerottolo di uno degli accessi ad
una delle dimore famigliari. Aveva in mano una ramazza ed il richiamo
con cui li indusse ad avvicinarsi non aveva quella velata cortesia
distaccata che sino a quel momento era stata loro riservata.
–
Tu devi essere quello nuovo – esordì una volta che i due l'ebbero
raggiunta, cordiale, rivolgendosi a Lorren – e vedo che hai
individuato la nostra gemma più preziosa...
Lo
sguardo furbo che l'elfa scoccò ad Aredhel la fece arrossire.
–
Per favore signora, non esageri come al suo solito – cercò di
ribattere quella, già pentita per la propria scelta. Per quanto
trovasse piacevole il temperamento insolitamente schietto ed aperto
della signora, se avessero preso un'altra via all'ultimo bivio
avrebbero evitato facilmente quell'incontro che si prospettava
tutt'altro che innocuo.
–
Suvvia non fare quella faccia o finirai per somigliare a un pesce
rosso – ribatté l'altra con quei modi amichevoli e gioviali per
cui era rinomata. Aredhel la conosceva da molto tempo, sin da quando
era bambina, e la considerava una sorta di eccentrica zia acquisita,
e come tutte le parentele vantava pregi e difetti tutti suoi.
Restava
comunque il fatto che l'aveva vista crescere e diventare la giovane
elfa che era, cosa che Aredhel non poteva affatto rinnegare,
nonostante il bonario rimprovero che questa amava rivolgerle di
frequente. Rimprovero che comunque la diretta interessata non poteva
prendere sul serio.
–
Se non fosse per il tuo animo spericolato e la tua propensione alla
carriera militare, avresti una fila di pretendenti davanti alla tua
porta ogni mattina.
Lorren
nel mentre, osservatore silenzioso e discreto come la più delicata
delle brezze, aveva in volto un'espressione che tradiva dietro una
piega seriosa delle labbra un guizzo oltremodo divertito negli occhi
scuri e sembrava del tutto intenzionato a non perdersi un solo
dettaglio di quella conversazione inaspettata.
–
Mia cara signora, un giorno ringrazierà la mia propensione per la
vita da soldato – rispose a quel punto Aredhel, cercando di darsi
un contegno dinanzi ad occhi estranei, battendosi una mano chiusa a
pugno sul petto con fare orgoglioso.
–
Ne sono sicura, cara – ribatté con noncuranza l'altra elfa, prima
di farsi pensierosa e dopo un istante schiarirsi all'improvviso in
volto, come rianimandosi – Quasi dimenticavo! – poggiò la
ramazza di fianco alla porta aperta ed entrò in casa, per uscirne
meno di un minuto dopo recando con sé un un cesto intrecciato
ricolmo di dolcetti elfici.
Aredhel
spalancò gli occhi dalla sorpresa.
–
Sarai affamato dopo il tuo viaggio fino a noi – si rivolse
direttamente a Lorren, porgendogli il cestino – Non fare
complimenti ed accettali come dono di Bentornato, caro.
Seppur
un poco sorpreso, Lorren accettò con un sorriso – Grazie, signora.
–
È un piacere... ma chiamami pure Lihara.
–
Come vuole, signora Lihara – fece allora lui, mentre entrambi si
congedavano con un breve inchino.
Allontanandosi
Aredhel scoccò un'occhiata in tralice all'ex moredhel e non riuscì
a frenarsi dallo sfoggiare un sorrisetto sghembo.
–
Hai fatto colpo su Lihara, i miei complimenti. Di solito è molto
gelosa dei suoi manicaretti: a me ne regala un piattino di tanto in
tanto, di ritorno da una spedizione, ma a te ne ha dato addirittura
un cestino!
Lorren
non parve affatto scomporsi ma ricambiò la sua espressione con
un'occhiata d'intesa, rispondendole a tono – Credo sia stata anche
la tua compagnia a farmeli guadagnare... o sbaglio? – domandò
furbescamente, ridendosela palesemente sotto quell'aria compassata.
Aredhel
fece spallucce e tornò a guardare avanti a sé, senza tuttavia
smettere di gongolare fra sé e sé nell'aver trovato tanta
complicità in un nuovo elfo di Elvandar.
–
In effetti non posso darti torto – ammise alla fine, agguantando un
biscotto con un movimento improvviso e tornando a rivolgergli un
mezzo sorrisetto ironico – Sapeva che non avrei resistito alla
tentazione!
Doveva
aver fatto un'espressione alquanto buffa perché l'ex moredhel
scoppiò a ridere e lei finì per seguirlo a ruota, contagiata da
tanto buonumore. Stavano ancora ridacchiando e scambiandosi battute
di spirito quando giunsero davanti ad uno degli accessi della dimora
elfica che era la loro meta. Questa era stata modellata in parte
all'interno del grosso tronco ed in parte costruita all'esterno, con
l'ausilio di lisce assi di legno finemente lavorato dalle mani dei
fabbricanti di Elvandar. L'atrio e la balconata sospesa antistante
sembravano in tutto e per tutto parte della maestosa pianta a cui
erano fissati per colore ma anche per foggia, ed era un'arte di cui
potevano vantarsi solo loro, anche grazie all'ausilio della magia
insita in quel luogo.
Si
fermarono entrambi sulla soglia e Lorren ebbe così occasione di
guardarsi intorno, ammirando il panorama che da quell'altezza si
apriva sulla città elfica e sulla foresta che ne era parte
integrante ed anima.
–
Elwar ne sarebbe rimasto impressionato... – commentò dopo un po'
l'elfo al suo fianco, facendosi sfuggire un sospiro ed un vago
sorriso malinconico a incurvargli le labbra.
Aredhel
inarcò un sopracciglio, voltandosi a guardarlo.
–
Chi è Elwar?
Incrociandone
i profondi occhi castani l'elfa venne travolta da un mare di
rimpianto e senso di perdita che le mozzarono il fiato, stringendosi
in una morsa al centro del petto.
–
Era il mio migliore amico.
A
quella mesta replica ella serrò le labbra rosee in una piega
sottile, non trovando nulla da replicare a quel dato di fatto, così
si ritrovò a deviar lo sguardo argenteo in un punto indefinito oltre
il parapetto, nelle varie fasce di verde e oro che tinteggiavano lo
sfondo.
Pensò
a come avrebbe potuto sentirsi lei al suo posto e realizzò, non
senza una punta di biasimo per sé stessa e la propria precedente
superficialità, che la scelta di Lorren non doveva esser stata così
facile come l'aveva inconsciamente considerata. Sicuramente aveva
dovuto rinunciare a qualcos'altro insieme all'influenza del Sentiero
Oscuro, qualcosa a cui era legato nella sua vita precedente.
–
E sono convinto – riprese a parlare Lorren all'improvviso, con un
tono più leggero e sereno – che gli saresti piaciuta anche tu!
Tale
affermazione ebbe il potere di far tornare quell'atmosfera carica di
complicità che li aveva accompagnati da metà viaggio sino a quel
momento, e fu facile per entrambi tornar a vestire quei sorrisi
divertiti e spontanei.
–
Ma dai! – si schernì la ragazza, arrossendo un poco e portando la
sua attenzione sulla porta.
Lorren
si avvicinò a sua volta, il cestino di dolcetti mezzo vuoto saldo in
una mano, mentre l'altra ne pescava l'ennesimo per mangiarselo.
Aredhel
lanciò un'occhiata al contenuto e strabuzzò gli occhi nel non
vederne più nessuno: vuoto. Lorren teneva fra le mani l'ultimo
dolcetto elfico.
Dalle
labbra le uscì un gemito sommesso.
–
Davvero buoni questi biscotti. La signora Lihara aveva ragione –
affermò senza badar a lei il nuovo eledhel. Sembrava del tutto
incurante della reazione della giovane elfa ancora ferma a fissarlo
con sgomento, mentre questi era in procinto di dargli il primo morso.
All'ultimo si fermò, la bocca aperta e la mano alzata, finalmente
degnandola di attenzione, cosa che andò a suo vantaggio: invece di
ultimare il movimento scoppiò invece a riderle in faccia, divertito
un'altra volta dalla vista d'una espressione tanto eloquente.
Le
palpebre d'ella a quel punto si socchiusero, riducendo gli occhi a
due fessure taglienti, mentre un inquietante sorrisetto le si dipinse
sulle labbra.
Intuendone
le intenzioni, Lorren portò il suo bottino lontano dalla portata di
lei, sollevando il braccio sopra la testa.
–
Spiacente: è troppo buono per cedertelo così facilmente.
–
Su, andiamo. Fa il cavaliere! – Lo incalzò lei, imbronciandosi,
prima di cercare di sottrarglielo.
Fra
i due iniziò una sorta di balletto costituito da saltelli e
girotondi, che vedeva come premio l'ultimo dolce, fra risate e
sotterfugi per ottenerne il possesso. La ragazza tentò perfino di
fargli il solletico, ma ben presto quella tattica le fu rivoltata
contro ed alla fine fu costretta ad arrendersi.
–
Ahah! No! Ahah! Basta! Basta, hai.. ahah! Hai vinto! – riuscì
finalmente a dire, fra una risata e l'altra, riuscendo così a far
cessare quella tortura. Tenendosi la pancia con ambo le mani e
cercando di riprendere fiato, scoccò un'occhiata in tralice
all'avversario – Tieniti pure il tuo biscotto!
Lasciandola
libera, Lorren le lasciò i suoi spazi per riprendersi e nel mentre
divise l'oggetto della contesa a metà, prima di porgergliene una.
–
Te la sei guadagnata – affermò ancora sogghignando.
Aredhel
accettò, ridacchiando a sua volta, e soddisfatta infine aprì la
porta.
Davanti
ai loro occhi si palesò un piccolo corridoio, al termine del quale
scendeva una scala che conduceva ai piani inferiori. Ai lati di esso
si accedeva ad altre due stanze che erano rispettivamente il salotto
e la sala da pranzo. Il tutto era finemente arredato con intagli
negli stipiti e quadri raffiguranti fiori e gwali ed altri piccoli
animali e tutto ciò che un elfo poteva considerare degno d'essere
immortalato.
La
luce era introdotta grazie a delle caratteristiche finestre a goccia
e, al calar della notte, alcune luminarie naturali rischiaravano
l'ambiente altrimenti tetro, emettendo una luce verde-azzurrina che
contrastava coi colori predominanti, che andavano dal marrone al
rosso fuoco del sole al tramonto.
Eppure,
mentre Lorren a quella vista venne accolto da una sensazione di
familiarità e dal pensiero irrazionale di essere giunto a casa,
Aredhel non poté far altro che reprimere il vago senso di
inadeguatezza ormai familiare natole nel momento esatto in cui si era
ritrovata a dover muovere passo all'interno di quella dimora.
–
Vivono almeno cinque famiglie per albero, qui ad Elvandar – affermò
per scacciare quell'emozione dalla propria mente, accompagnando
l'elfo verso quella che sarebbe stata la sua stanza – Quello da
dove siamo passati era uno dei tre accessi disponibili, gli altri due
sono situati più in basso e ci si arriva da vie alternative – si
fermò un attimo, accorgendosi che il discorso stava diventando un
po' complesso da spiegare e gli rivolse un sorriso di scuse, prima di
aggiungere – Magari poi te li mostrerò. Questo dal quale siamo
entrati è il più accessibile rispetto alla strada che abbiamo
percorso. Le altre due invece sono meno dirette e si spostano su più
livelli.
Lorren
annuì, quindi la ragazza-elfa continuò, riprendendo a camminare.
–
La tua stanza è più vicina a questo comunque. La mia è situata un
livello sopra di questo, semmai dovessi venire a cercarmi –
snocciolò brevemente – Ogni elfo ha una stanza personale, ad eccezione
delle aree comuni, come quella che abbiamo attraversato poco fa.
Si
fermò davanti ad una porta di legno bianco finemente intarsiato e
finalmente tornò a voltarsi a guardare il suo compagno, donandogli
un nuovo sorriso amichevole.
–
Ecco: questa è la tua stanza.
Lorren
annuì, ricambiandola – Grazie Aredhel.
–
Se hai bisogno di qualcosa fammi sapere – ribatté lei di rimando,
prima di accennare ad allontanarsi – L'addestramento mi aspetta,
ma... ci vediamo, d'accordo?
Lorren
annuì ancora una volta, poi Aredhel gli voltò le spalle e lo lasciò
a quella nuova vita.
Ancora non sapeva che quell'incontro non era altro che il preludio di una serie di eventi che avrebbero stravolto la sua, di vita.
continua...
Ehi eccomi qui!
Finalmente un po' di tempo per aggiornare la storia! Mi spiace averci messo così tanto ma sono stata costretta a posticipare la pubblicazione di questo primo vero capitolo a causa di impegni universitari.. e poi era estate, molto probabilmente è stato meglio così!
Non mi dilungherò oggi, spero solo che questo pezzo valga la pena di qualche piccola recensione o faccia anche solo sorridere qualcuno come ha fatto sorridere me nello scriverlo. Sperando di aver reso giustizia ai personaggi coinvolti, vi lascio! Alla prossima
Kaiy-chan