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Autore: __Hopeless__    10/09/2016    1 recensioni
"Sapevo che eri tu. Tu eri l'angelo che mi avrebbe trascinato giù all'inferno."
Cosa succede quando una famiglia di angeli caduti medita da anni una vendetta? Cosa succede quando non si mettono in conto tutte le possibili situazioni?
Qualcuno da proteggere, qualcuno da eliminare e una regola indiscussa da spezzare.
Angeli e Demoni non possono avvicinarsi tra di loro, Angeli e Demoni non andranno mai d'accordo.
Lucifero ne sa qualcosa. Ed ora, è arrivato il momento di prendere delle decisioni.
Doveva essere una Fan Fiction ma i nomi dei personaggi sono stati cambiati, troverete tutte le informazioni nel Prologo.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 2.

-Aria-
 
<< Amen. >>  mi sposto e faccio il segno della croce davanti il crocifisso dopo aver preso l’ostia.
Torno al mio posto e aspetto la fine dell’Eucarestia.
La giornata è fresca ma senza nuvole, il sole è alto e si mostra in tutto il suo splendore.
La mia famiglia è Cattolica e, nonostante i numerosi protestanti presenti qui, io mi sono subito inserita senza problemi nella vita della diocesi. Aiuto durante i pranzi di beneficenza ed ogni tanto do una mano con il catechismo per i bambini.
<< Aria tesoro, hai da fare giovedì? >> mi sento chiedere mentre sto per uscire dalla chiesa.
Mi volto e Selene (una delle donne sempre presenti qui dentro) sta correndo per venire verso di me. E’ bassina e rotondetta. Fa venir voglia di abbracciarla, sempre.
<< Ciao Selene, non so, non dovrei perché? >> chiedo sperando che non mi dia qualche incarico che rischi di portarmi via troppo tempo.
<< Giovedì pomeriggio c’è l’incontro con tutte le catechiste, sarebbe bello averti tra noi! >> mi comunica con serenità.
Odio dare dispiaceri o sembrare poco interessata a ciò che mi si dice, ma non posso impegnarmi in incontri sistematici con la chiesa. Mi trovo bene in questo ambiente ma, se dovessi a frequentarlo oltre l’orario di preghiera finirei davvero come una di quelle donne bigotte con nessun’altra priorità. Paige mi ha raccomandato di trovare qualcos’altro da fare quest’anno, proprio per non finire esattamente come l’anno scorso.
<< Non so, sto preparando un esame importante e dovrei studiare… >> mi sento prendere una morsa allo stomaco per la piccola bugia. Non sono brava e non mi piace mentire. Ma in fondo è comunque una mezza verità questa..
Selene non sembra perdere la propria determinazione: << Beh, in caso avessi tempo ci troverai qui dalle quattro e mezza alle sei. >> mi saluta calorosamente come al suo solito e se ne va.
All’uscita della chiesa riconosco subito la Satation Wagon rossa dei miei genitori.
Non faccio in tempo ad allacciare la cintura che mia madre mette in moto la macchina e parte.
<< Mi è piaciuto molto quello che ha detto oggi il parroco. E’ stato molto interessante. >> Afferma mia madre guardando la strada. Non capisco se si sta rivolgendo a me, a mio padre che è seduto di fianco a lei o a se stessa.
Io non rispondo e mi limito a guardare oltre il suo sedile, verso la strada. Un insieme di macchine formano un circolo aggrovigliato qualche metro più avanti.
<< Manuel, tesoro, puoi prendere perfavore il cellulare che è nella mia borsa? Dovrei… >>
<< Ferma la macchina! >> urlo all’improvviso.
Mia madre sembra confusa, ma non fa in tempo a chiedermi spiegazioni che è costretta a fermarsi proprio a causa di quell’insieme di macchine avvistato poco prima. La strada è bloccata. Un’ ambulanza è vicina ad una macchina accartocciata verso il guard rail. Alcuni infermieri stanno mettendo su una barella il corpo di un uomo, una ragazzina è circondata da altri automobilisti che cercano di tranquillizzarla.
La piccola è scossa dai singulti del pianto e si mantiene un braccio che sembra mostrare una piccola ferita. Improvvisamente mi sento come richiamata dalla scena. Dovrei scendere ed aiutare eppure non riesco a muovermi dal sedile posteriore.
Sposto lo sguardo dalla ragazza alla barella che sta per entrare in ambulanza e, poco prima che i medici abbassino il lettino per alzarlo, noto un’aura strana intorno al corpo dell’uomo ed improvvisamente è come se vedessi un volto similare alzarsi dallo stesso lettino.
Urlo.
Inconsapevolmente urlo nuovamente, agitandomi sul sedile.
<< Ommiodio, Ommiodio! >> sono le uniche cose che riesco a dire dopo aver spostato lo sguardo, continuando ad urlare. Mi porto una mano alla bocca. Sto tremando.
<< Aria, cosa succede? Che ti prende? >> chiede mio padre allarmato, girandosi verso di me.
<< Io… è che.. Lo avete visto anche voi, vero? Era quell’uomo! >> Urlo in preda al panico indicando l’ormai chiusa autombulanza.
I miei genitori penseranno che sono pazza.
Si guardano preoccupati e mio padre, cambiando totalmente espressione, si rigira e in tono risoluto si rivolge a mia madre << Susanne, sposta la macchina. >>
<< Manuel non c’è modo di muoversi da qui. >> risponde lei cercando di decifrare l’espressione di mio padre.
Non ho il coraggio di girare nuovamente lo sguardo alla ragazzina, sento solo che una delle macchine riparte e ci lascia libero il passaggio.
<< Dannazione, vuoi muoverti?! >> incalza mio padre spazientito, rivolgendosi nuovamente a mia madre.
Ripartiamo e per tutto il viaggio di ritorno io resto immobile con gli occhi fissi al sedile nero davanti a me.
A pranzo non riesco a toccare cibo. Ho ancora in mente l’immagine dell’uomo, coperto da alcune bende sulla testa e sugli arti, con una mascherina di ossigeno sul volto, che si ripropone oltre il suo stesso corpo. Senza però tutte le cose che lo coprivano sulla barella. Una luce fioca bianca lo circondava.
I miei genitori hanno provato a capire cosa mi era preso, hanno cominciato a farmi domande, ma mi è sembrato inutile raccontare cose assurde. Quindi ho preferito rimanere in silenzio.
Avrebbero cominciato a dire che è tutta colpa dello stress, che sto passando troppo tempo chiusa in casa a studiare, che esagero con questi impegni Universitari, che dovrei prendere le cose con più calma e tranquillità.
E forse hanno ragione. Forse devo smetterla di avere l’ansia degli esami da preparare. L’Università è ricominciata da solo un mese in fondo. Forse la mente mi ha solo giocato un brutto scherzo e vedo troppi episodi di serie televisive come quella di “American Horror Story.”
Cerco di convincere me stessa e provo a spostare il mio pensiero ad altro.
Oggi pomeriggio potrei andare da Tomàs, aiutandolo con il rifugio per animali, come faccio di solito. Questo potrebbe aiutarmi a distogliere la mia attenzione da ciò che è successo oggi dopo la Messa.
Scendo in cucina con un piccolo zaino in spalla e, aprendo la porta vedo mia madre seduta al tavolo, intenta a leggere delle carte che cerca di raccattare velocemente vedendomi sulla soglia della porta.
Posa gli occhiali accanto ad una tazza di quello che credo sia the nero.
<< Esci? >> I suoi occhi chiari mi scrutano pieni di apprensione.
<< Si, vado da Tomàs. Prendo la macchina. >> la informo.
Lei sembra voler ribattere ma, pensandoci, si limita a dire << Va bene, fa’ attenzione! >>
Il Bettersea dog&cats home si trova, per l’appunto, nella zona interna residenziale dei distretti a sud di Londra: Borough of Wandsworth. La zona del Bettersea è una zona abbastanza carina e questo rifugio per animali dispersi o malati è stata davvero un’invenzione intelligente.
Con la macchina, da casa mia, riesco ad arrivarci in meno di un quarto d’ora.
Solitamente quando sono in macchina, per andare ovunque, mi piace ascoltare la musica. O la radio. Più spesso sento la radio ma solo perché dimentico distrattamente il cavo che serve per  collegare il mio cellulare.
Passo verso il River Thames, e non posso non fare caso ai raggi del sole che si rispecchiano nell’acqua mentre aspetto di poter proseguire il percorso che mi è stato interrotto da una macchina che improvvisamente decide di fare una manovra azzardata.
Un volta arrivata, scendo dall’auto assicurandomi di avere tutto con me.
Ho addosso un poncho marroncino che risulta più che utile con questo clima pungente di oggi. L’unico problema è riuscire a non litigare con le bretelle del piccolo zainetto che ho portato con me.
Chiudo la macchina con il telecomando attaccato alle chiavi e mi avvio.
Una volta arrivata, entro nella struttura per cambiarmi: indosso la divisa blu con pantaloni neri che distingue i vari volontari del posto. Divisa che con gli stivaletti con il pellicciotto bianco e mandorla che indosso oggi, fa davvero ridere.
Solitamente la indosso prima di venire, quindi non ho l’abitudine di portarmi scarpe di ricambio. Mi maledico per non averci pensato e dopo un po’, riesco a convincermi ad uscire anche con queste cose ai piedi.
Aspetto Thomàs vicino al negozio per animali, come facciamo sempre e, nel frattempo, ripiego per bene il completo nello zaino che mi sono portata dietro. Il poncho continua a fare il suo ottimo lavoro. Agli occhi di qualche sconosciuto posso assomigliare ad una barbona, conciata in questo modo.
Non devo aspettare molto per vedere un ragazzo magro, slanciato e dai capelli neri, venire verso di me.
<< Come sempre sei in anticipo! >> mi saluta sorridente prendendomi per un fianco e lasciandomi un bacio sulla guancia.
<< E tu come sempre sei in leggero ritardo! >> lo rimprovero io scherzosamente.
Thomàs mi squadra dalla testa ai piedi e poi aggiunge << Beh, almeno impiego quei cinque minuti in più per vestirmi correttamente! >> mi fa l’occhiolino.
In realtà oggi non sono arrivata tanto in anticipo come lui crede, ma lascio cadere questo discorso.
<< Cosa c’è, siamo acidi perché è finito il gel per il ciuffo? >> lo prendo in giro scombinandogli i capelli perfettamente tirati all’insù.
Appena entriamo nella sala adibita per noi volontari, il capoturno ci viene incontro.
<< Ciao ragazzi, come state oggi? >>
E’ un uomo sulla sessantina, con una folta barba e, ironicamente, senza capelli a coprirgli il capo.
<< Oggi non c’è molto da fare. Siamo riusciti a far adottare la cagnolina che trovammo qualche mese fa per strada, ve la ricordate? >> dice dirigendosi verso un bancone pieno di scartoffie e documenti per l’adozione.
<< Mandy! >> esulta Thomàs.
Questo posto ha un perenne odore di alcol e croccantini per cani, è nauseante se dovessimo essere sinceri, starci per troppo tempo è pressoché impossibile.
<< Si, proprio lei. >> ride Owen per la reazione ottenuta.
Io mi limito ad annuire: sono contenta che queste piccole bestioline possano trovare nuovamente un ambiente che le possa curare e far sentire amate, anche se dopo un po’ tu ti affezioni a loro e non vederle più è strano…
<< Posate la vostra roba e andate di là per la passeggiata pomeridiana. Hanno già mangiato, ci ho pensato io. Dovete solo portarli in giro il tempo necessario per dare una ripulita alle cellette. >>
Appoggiamo ciò che dobbiamo appoggiare e poi, ci avviamo verso il reparto dove si trovano i vari cani: sono rimasti in cinque, così io decido di prenderne tre e Thomàs ne prende due.
Sono tutti meticci tranne un labrador che abbiamo chiamato Luna. E’ vecchiotta però, ha vari problemi e fatica a camminare per tratti eccessivamente lunghi. Tante volte ho pensato di portarla a casa con me, qui oramai nessuno più l’adotterebbe. Solo che, per qualche clausola assurda, noi volontari non possiamo adottare animali da qui.
In realtà neanche i miei genitori possono farlo in quanto, la casa dove il cane andrebbe ad abitare, è abitata anche da me, volontaria. Devo ancora trovare il genio che ha strutturato questo regolamento. 
<< Lo fanno solo perché temono che dopo i volontari non verrebbero più a prestare aiuto qui. >> annuncia Thomàs.
Ma ho detto qualcosa ad alta voce?
<< E’ stupido comunque. >> borbotto tra me e me.
Uno dei tre cagnolini che sto portando al guinzaglio si ferma per fare i propri bisogni ed io preparo già la bustina per raccoglierli e buttarli nel cestino poco più avanti.
<< Uhg >> mi lascio scappare mentre mi piego.
<< Ringrazia che Owen non abbia deciso di farci fare la toletta ai gatti invece >> ride Thomàs.
La giornata passa tranquillamente e  ciò che è accaduto questa mattina, risulta essere solo un vano ricordo.
La ghiaia fa un rumore strano sotto i miei stivaletti mentre mi avvio verso la macchina.
<< Ti va di andare a mangiare qualcosa? >> mi propone Thomàs incrociando le braccia al petto invece di salutarmi.
Sono indecisa, vorrei andare a casa ma non avendo mangiato all’ora di pranzo, il mio stomaco non ha fatto altro che borbottare per tutto il tempo. Mi ritrovo ad annuire sorridente.
Andiamo in una di quelle gelaterie fantastiche dove il gelato lo metti da te insieme a tutte le guarnizioni per poi pagarlo a peso. Una volta sono arrivata a pagarlo venticinque sterline. Ma posso garantire che è stato il gelato più buono che io abbia mai mangiato.
Il tempo passa scherzando e parlando di alcuni argomenti riguardanti le lezioni di biochimica.
Thomàs non la smette di sistemarsi gli occhiali da vista sul naso ogni volta che smette di ridere e questo, ai miei occhi, è un gesto troppo carino.
<< Domani potresti pentirtene. >> dice alzando il mento.
<< Non credo, sono sicura delle mie capacità. >> rispondo divertita e, per tutta risposta, lo colpisco con l’anca. Il moro si lascia sfuggire una risata scuotendo la testa.
<< Sai, sarebbe più carino se tu non venissi tutte le volte con la macchina. Potrei riaccompagnarti io a casa. >> mi confessa quasi imbarazzato una volta raggiunto il parcheggio dove avevo lasciato l’auto.
<< Ci metterei troppo ad arrivare a piedi qui Tom, non rendermi le cose più complicate! >> frigno.
Il ragazzo che ho al mio fianco non si da per vinto, alza un sopracciglio e annuncia:
<< Vorrà dire che la prossima volta ti verrò a prendere io. Ci stai? >> mi sorride.
Sono titubante ma alla fine accetto: << Ci sto. >>
Io e Tomàs abbiamo stretto amicizia all’università. Frequentiamo quasi gli stessi corsi e siamo molto simili caratterialmente. Inoltre, sarà perché sono praticamente cresciuta con le amicizie di mio fratello, ma riesco ad approcciarmi meglio con i ragazzi che con le ragazze.
Ci salutiamo e per un momento mi è sembrato quasi che Tom si fosse sporto per abbracciarmi, ripensandoci subito dopo.
Sorrido.
Gli voglio bene e sarei davvero contenta se dovesse trovare una ragazza che sarebbe capace di apprezzare tutti i suoi piccoli gesti maldestri. Fin ora il suo carattere, l’ha portato ad avere solo relazioni ad entrata unica: le ragazze lo usavano per i loro comodi e dopo, lo lasciavano senza problemi.
Torno a casa con un umore totalmente diverso rispetto a quando sono uscita.


-Angolo autrice.-

Il secondo capitolo è stato servito. Per ora non c'è molto movimento anche se...
Vi ricorda qualcuno Thomàs? ...
Non so, fatevi sentire piccole anime silenziose. Mi farebbe piacere sapere cosa pensate della storia e se vi intriga almeno un pochino.
Probabilmente il capitolo 3 potrà interessarvi di più, mmmh. Chissà.
Un baciotto belli.
Ah, ecco dove -se avete voglia o bisogno- potete trovarmi:

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Ask: Manuela.

 
   
 
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