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Autore: elfin emrys    11/09/2016    1 recensioni
{GerIta, capitolo 3/3}
-Ho sentito dire in paese che lei, signor Vargas, c’era quando l’Italia è caduta!
-Ah, dovrei essere molto più vecchio di così, non crede?
-Certamente, ma queste leggende hanno un ché di affascinante, non trova?
L’anziano sorrise.
-Tutte le leggende hanno un fondo di verità.
-Ma, così lei le alimenta, signor Vargas!
-Non ci trovo nulla di male nel farlo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi di un Cantastorie

 

Feliciano sorseggiò il caffè, guardando il libro che aveva trovato nella piccola biblioteca della villa. Era un libro di storia, uno dei pochi rimasti, e raccontava come si era svolta la Guerra Totale. Immaginava che cambiare argomento e passare a eventi più recenti avrebbe fatto bene ai ragazzi e ad Angela. Avrebbe potuto raccontargliela direttamente lui, ma, a causa dei terribili sentimenti che accompagnavano i suoi ricordi, aveva preferito un approccio più distaccato. Se la Seconda Guerra Mondiale gli sembrava vicina, la Guerra Totale ancora gli sembrava si stesse combattendo nella sua testa. Non faceva altro che vivere e rivivere quei momenti, ogni notte, ogni volta che si addormentava.

Era qualcosa che non avrebbe mai dimenticato.

Feliciano guardò l’orologio. Un solo minuto e sarebbero arrivati, puntuali come al solito. Era sorprendente quanta buona volontà ci mettessero. Alcuni di quei giovani volontari avevano nella casa i nonni, alcuni addirittura i bisnonni, era vero, ma per persone come lui, che non erano nessuno, era straordinario.

Eccoli, ne sentì le voci, come sempre, nell’atrio. Li sentì ridere alla battuta di un infermiere, forse Michele. Sorrise mentre li vedeva entrare nella sala, portando dietro di sé gli oggetti della giornata. Angela entrò per ultima e si avvicinò lentamente a Feliciano, salutandolo e sedendosi vicino a lui con aria pensierosa. C’era qualcosa che non andava e l’anziano glielo leggeva in viso, tuttavia cercò di apparire il più rilassato possibile: sapeva –e sperava- che Angela gli avrebbe raccontato cosa l’angosciava, se fosse stata una cosa importante.

-Guarda oggi che t’ho portato.

L’uomo tese il libro verso la ragazza. I suoi occhi si illuminarono e lei sorrise, guardando Feliciano.

-Che cos’è?

-È un libro di storia.

-Della Seconda Guerra Mondiale?

-No, la Guerra Totale. Ho pensato che andare più avanti col tempo non facesse male, ma se preferisci qualcosa di più antico…

-No no, va benissimo! Parliamo così poco della Guerra Totale. Sembra quasi un tabù. Sarà perché è passata da poco?

Feliciano annuì: era straordinario quanto quella considerazione che pareva così innocente nascondesse in realtà qualcosa di vero, un errore che era stato ripetuto e ripetuto e ripetuto nel tempo. Le guerre, vinte o perse, bruciavano sempre per molto tempo nell’animo dei popoli che vi avevano combattuto.

Angela aprì il libro, sfogliando le pagine e fermandosi ogni tanto a leggere le didascalie alle immagini.

-Lo posso portare a casa? Oggi avrei tante domande da farle su quello che ci ha raccontato la volta scorsa e forse il tempo non ci basterà per questo.

-Ma certo. Possiamo parlare della Guerra Totale quando vuoi. Basta che chiedi se puoi portarti il libro a casa a una delle infermiere: si appunteranno il tuo nome, il titolo del libro e la data, in maniera da essere sicuri che il libro ritorni (anche se sappiamo tutti che lo riporterai perfettamente intatto). Intanto vedilo un po’, mentre io finisco il caffè, così potremo parlare con calma.

La ragazza annuì, andando all’indice. Cercò una sezione sulle divise. Le uniformi le interessavano sempre moltissimo. Avevano un qualcosa di affascinante e potevano essere di così tanti colori e generi che la divertiva cercare di impararle a memoria, così da poterle riconoscere bene come faceva il signor Feliciano.

Angela cominciò a saltare le pagine cercando il pezzo che le interessava e si fermò all’inizio del capitolo. Cominciò a sfogliare il libro lentamente, guardando bene tutte le divise, soprattutto quelle femminili. Erano tutte molto simili, molto diverse da quelle più antiche che aveva visto. Osservò bene le nazioni corrispondenti. Si fermò un attimo a osservare le divise francesi, poi girò pagina e si bloccò. Impallidì.

-Tutto bene?

Angela annuì in direzione di Feliciano, poi ricominciò a fissare l’immagine. Accarezzò con le dita la figura. Controllò la nazione corrispondente: “Germania”.

Quell’abito, quel cappello… Angela rivide l’uomo che aveva incontrato nel campo di tulipani. Lo rivide benissimo, ricordò la leggenda della battaglia che s’era svolta su quel suolo, si ricordò come era apparso e come era sparito. Poteva essere auto persuasione, ma era davvero convinta che l’uomo fosse vestito esattamente come quello dell’immagine.

-Figliola, sei pallida come un cencio.

-No… Sto bene, credo. Sì, sì, sto bene. Solo, mi sembrava… Niente di importante.

Tentò di sorridere all’uomo, che la guardava attentamente da dietro la tazzina. Non poteva spiegargli quello che aveva visto. Piegò l’angolo della pagina e, cercando di riprendersi, fece mente locale sulle domande da fare.

Avrebbe visto poi cosa pensare di quell’avvenimento.

 

“È una missione troppo importante. Da questo potrebbe dipendere l’esito della guerra, non posso assolutamente evitarlo.”

“È troppo pericoloso persino per noi nazioni, non posso permettertelo!”

“Italia! Non mi pare di star parlando di qualcosa di facoltativo.”

“Ma…”

“Nessun ‘ma’!”

“Ma se non dovessi ritornare più?”

Ludwig si girò verso di lui. Lo prese fra le braccia, sorridendo davanti alla faccia angosciata dell’altro.

“…Feliciano, io tornerò sempre per te. Sempre.”

Il respiro si fece improvvisamente pesante, sempre di più. Sentì come una mano calcargli sul petto, impedirgli di prendere fiato.

L’anziano cercò nuovamente con la mano il campanello, cercando di non farlo cadere questa volta. Lo prese e lo scosse violentemente, mentre cercava di respirare. Forse gli serviva dell’acqua, forse gli serviva solo sollevarsi di più dal letto. Cercò di chiamare anche a voce l’infermiera, ma non uscì nessun suono dalle sue labbra. Il panico si impossessò di lui.

Qualcuno aprì la porta con forza e gli venne vicino, ma la sua mente annebbiata non riuscì bene a riconoscere il volto che gli stava di fronte. Sentì delle istruzioni, cercò di seguirle al meglio, ma non servirono a nulla. Una seconda persona entrò, poi una terza che corse fuori subito dopo. Feliciano cercò ancora di respirare, si portò una mano sul petto.

Poi la crisi, come era arrivata, da sola, passò.

 

Feliciano si rigirò nel letto. Alla fine avevano deciso di fare qualcosa a metà: il medico sarebbe arrivato la mattina prestissimo, durante la notte solo se ci sarebbero stati altri problemi. Sergio teneva moltissimo alla salute di tutti i suoi pazienti, ma sapeva bene che non c’era bisogno di un suo aiuto impellente e, probabilmente, sarebbe stato meglio controllare la salute del signor Vargas quando sarebbe stato più sveglio e riposato. Ordinò tuttavia che il campanello fosse avvicinato ulteriormente al letto dell’anziano.

Gli infermieri facevano dei gruppi a turno per controllare che stesse bene. Feliciano continuò a far finta di dormire, cercando di convincersi che, prima o poi, il sonno gli sarebbe tornato. Si sistemò meglio, continuando ad ascoltare le chiacchiere sommesse degli infermieri di quel turno.

-Il povero Valente sta dando proprio di matto. Da quando è morta sua madre, poverino…

-Sì. Il dottore gli ha consigliato di prendersi un lungo riposo. Pensate che ha addirittura affermato di aver visto un fantasma.

-Un fantasma, veramente?

Si sentirono dei mormorii preoccupati. Valente era sempre stato molto triste e nervoso dal suo lutto familiare: era diventato lunatico e un po’ più maldestro, era vero, ma matto non lo era mai stato. Era un uomo tutto d’un pezzo sotto certi punti di vista, sanissimo, e raramente si ingannava quando vedeva qualcosa. Era, insomma, una di quelle persone che avevano quasi sempre ragione. Dire che quell’uomo aveva visto un fantasma… non era solo straordinario, era singolare.

-Dice di averlo incontrato che usciva dal campo di tulipani.

-Il campo di tulipani?

-Sì sì, pare che questo fantasma gli sia passato accanto e aveva una divisa proveniente dalla Guerra Totale.

-C’è la sartoria che un tempo apparteneva alla signora Daria che ha ancora delle uniformi di allora: qualcuno ha voluto fare uno scherzo idiota e lui, a causa della sua situazione non totalmente stabile, ci ha ricamato sopra.

-Valente dice di essere andato a chiedere e che gli hanno detto che nessuna uniforme manca e che, in generale, non le danno a nessuno. Dice anche che l’uomo è praticamente apparso e scomparso. Insomma, un vero e proprio spirito che s’aggira per le campagne.

Feliciano sentì qualcosa stringergli il petto. Un fantasma era una cosa anomala di per sé e quel racconto aveva qualcosa di particolare… Il suo intuito gli diceva di fare molta attenzione alle parole che sentiva, perché c’era qualcos’altro sotto che poteva non essere chiaro.

-Io non ci credo.

-Non si può essere inventato tutto, ma sicuramente quelli della sartoria si sono sbagliati.

-Forse era qualcuno che aveva la divisa a prescindere.

-Povero Valente…

L’anziano sentì il cambio del turno e le voci sommesse degli infermieri lasciare la stanza. Sospirò di sollievo capendo che quelli del turno dopo non avevano nessuna voglia di chiacchierare. Sperò di riuscire finalmente a prendere sonno, ma così non accadde.

L’immagine del fantasma del campo di tulipani lo perseguitò per tutta la notte.

 

Angela salutò i suoi amici, cominciando a camminare verso casa. Ormai il sole era tramontato del tutto e i suoi genitori la aspettavano per cena, nonostante il cielo non fosse ancora scuro. La strada era illuminata dai lampioni e dalla luce che proveniva dalle case.

Angela passò in mezzo alla piazza dove il bellissimo pozzo bianco spiccava in mezzo ai san pietrini scuri. Sorrise alle anziane signore sedute intorno al tavolo davanti alla casa dei Fregoli: stavano finendo di fare la pasta fresca che sarebbe stata cotta a breve. La ragazza si fermò un attimo a vedere gli annunci sulla bacheca del paese, cercando un piccolo lavoretto estivo che potesse ben conciliarsi con il volontariato a Villa Geranio (non avrebbe rinunciato per nulla al mondo alle visite al signor Feliciano).

-Niente anche stavolta…

Scosse le spalle e si allontanò dalla bacheca. Salutò il signor Valente che, col viso pallido e l’espressione pensierosa, si stava bevendo una birra seduto sulla panchina davanti all’unica taverna del paese. Angela aveva sentito delle voci, sul fatto che non stesse più bene, che forse si sarebbe preso un periodo di riposo dalla sua occupazione alla villa. Qualcuno diceva addirittura sarebbe partito verso il sud, per cambiare aria e vedere luoghi nuovi. Il motivo di quelle voci, tuttavia, la ragazza non lo sapeva e non lo voleva sapere: i pettegolezzi non erano mai buoni, specialmente per avere informazioni su una situazione triste e delicata come quella del signor Valente.

Angela si riscosse improvvisamente dai propri pensieri. Sentì un gran rumore, delle risate maschili, la voce di un bambino spaventato e quella di una donna che sgridava gli uomini divertiti. La ragazza si guardò intorno, cercando l’origine di tutto quello schiamazzo, e vide un gruppo di persone a cerchio all’angolo della via. Fece qualche passo dalla parte opposta, ma poi si fermò. Sembrava davvero che gli uomini si stessero divertendo, come se stessero ascoltando la storia più buffa del mondo: i bambini avevano un modo tutto loro di raccontare anche l’avvenimento più sciocco. Lo rendevano magico, in qualche maniera, lo abbellivano e decoravano con la loro fantasia. Probabilmente qualche stupidaggine era stata ingigantita così tanto da poter rappresentare a malapena la realtà. Angela si girò di nuovo, decidendo di tornare indietro e sentire la storia del ragazzino. Saltò un po’ dietro la piccola folla, cercando di capire chi fosse il bambino in questione.

Il piccolo Domenico Esposito stava al centro del cerchio. Una signora lo stringeva fra le proprie braccia, guardando male gli uomini che la circondavano.

-Angela!

Il figlio del macellaio le diede una lieve pacca sulla spalla. Il viso era talmente rosso da potersi dire viola. Le sue guance alzate sembravano fargli male mano a mano che cercava di smettere di ridere.

-Domenico, racconta ancora la storia del signore che hai incontrato.

Il bambino lo guardò con aria scocciata.

-Non era un signore, era un fantasma!

Un’altra risata.

-Non esistono i fantasmi, Menico.

-Beh, questo esisteva eccome! Stava lì e poi è scomparito!

Angela si coprì la bocca con la mano, cercando di non sottolineare con la propria ilarità l’errore del bambino.

-Valente t’ha raccontato la sua storia, eh?

La ragazza sobbalzò a quella domanda. Valente non era mai stato un uomo da raccontare storie, cosa mai avrebbe dovuto dire?

-Valente non m’ha raccontato popio nulla, io ho visto un uomo altissimo camminare sulla strada fra casa mia e il villaggio e basta.

Impallidì. La casa degli Esposito era sulla via per il campo di tulipani.

-Non capisco pecché ridete, uffa! A me mi pare possibile che ci fosse un fantasma.

Uno dei contadini, sorridendo, lo corresse.

-A me pare possibile, Domenico.

Il bimbo lo guardò.

-Eh, e anche a me!

Tutti risero all’equivoco. Qualcuno, asciugandosi le lacrime dagli occhi, mormorò un “Geniale”, mentre cercava di riprendere fiato. Rise anche Angela, ma la storia del fantasma non le piaceva. “Stava lì e poi è scomparso”, aveva detto Domenico. Era scomparso. E da quello che alla giovane sembrava di aver capito dalla conversazione e da alcuni commenti sentiti a caso in mezzo alle sghignazzate generali, anche Valente –quell’uomo tutto d’un pezzo- aveva raccontato, col cuore in gola, una storia simile.

La ragazza si sentì improvvisamente poco bene, pensando alle coincidenze fra quello che aveva vissuto e quello che sembrava avesse visto il bambino e, supponeva, anche un uomo.

Frugò dentro la borsa, prendendo il libro che il signor Feliciano le aveva dato. L’aveva portato per farlo leggere anche ai suoi amici, ma in quel momento le sembrava avere un’utilità maggiore. Lo aprì e sfogliò le pagine cercando quella con l’angolo piegato.

-Menico, per favore, guarda questa immagine. Era vestito così l’uomo che hai visto?

Il bambino la guardò, asciugandosi le lacrime di rabbia dalle guance. Diresse lo sguardo verso la pagina e i suoi occhi si illuminarono. Col ditino puntò l’immagine che aveva davanti, urlando che era proprio in quella maniera che era vestito lo spirito.

Angela, a quel punto, sgusciò via.

 

“Come hai potuto farmi questo.”

Non era una domanda. Feliciano guardò il fratello con lo sguardo scuro e corrucciato, con le labbra che tremavano dalla rabbia.

“Cosa? Farti sopravvivere? Oh, fidati, non cambierei quello che ho fatto per nulla, nulla in questo mondo.”

“Io non ce la faccio più, Lovino. Guardati intorno. Stanno morendo tutti, uno per uno e, un giorno, non molto lontano, toccherà anche a noi. Almeno… almeno sarei voluto morire vicino alla persona che amo.”

Romano poggiò le mani sopra il tavolo, guardando il fratello negli occhi.

“Non potevo lasciartelo fare. Abbiamo una nazione insieme, ricordi? E io non ho intenzione di morire, non ora.”

Feliciano abbassò lo sguardo.

“Se anche Antonio morisse, quale sarebbe il tuo desiderio? Continuare o raggiungerlo?”

Fissò il fratello e improvvisamente sentì un peso ulteriore al petto. Lovino aveva chiuso gli occhi e si era portato una mano alla spalla sinistra, come a coprire il cuore. Feliciano capì che era stato via troppo a lungo per poter sapere gli ultimi sviluppi della guerra e chinò il capo in segno di lutto. Non poteva sapere prima di quel momento che anche la Spagna era caduta, quasi un mese prima.

Romano si allontanò dal tavolo e guardò fuori dalla finestra, dando le spalle al fratello. Aprì le labbra più volte per parlare, ma non uscì fuori che un respiro mozzato. Si aprì un po’ la camicia, e unì le mani dietro la schiena.

“Cosa faresti se, improvvisamente, restassi da solo? Ricordare non scalda e non consola. Tu sai cosa si prova il giorno in cui una persona a te così tanto cara viene a mancare: ti senti perso in questo mondo troppo vasto. Un abisso dentro il cuore inghiottiva e rigettava le mie ore con lui. Quella notte non mi addormentai. Mi sembrava di essere tornato a molto, molto tempo fa… Però…”

Lovino alzò lo sguardo verso il sole.

“Oh, Feli, io… io non voglio lasciare nulla di intentato. Sento che il mio compito non si è ancora concluso. Qualcuno sopravvivrà a questa guerra e io voglio essere là a vedere quelle persone.”

Sospirò e la sua voce si piegò.

“Che gente di cuore, sarebbe! Un popolo davvero, davvero coraggioso.”

Il fratello lo guardò mentre il sole ne illuminava i contorni.

Feliciano passò un’ulteriore pennellata di blu sulla tela.

Quella mattina, quando il medico era arrivato, aveva avuto un’altra piccola difficoltà respiratoria. Si era accorto di non avere neppure tanta fame e aveva mangiato pochissimo da quella mattina. Nonostante Sergio non riuscisse bene a comprendere le ragioni fisiche di quell’improvviso peggioramento, in realtà gli era sembrato piuttosto sicuro di cosa fare. L’anziano era certo che la causa di quei problemi non fosse nient’altro che la vecchiaia: nella sua vita aveva visto un gran numero di persone andarsene senza alcun motivo particolare, abbandonando semplicemente il proprio corpo. Probabilmente, stava giungendo la sua ora.

Feliciano guardò il quadro, inclinando la testa.

Pensarci, tutto sommato, non faceva così male.

 

Angela scese le scalette della vecchia chiesa. Quando era andata a Villa Geranio quel pomeriggio le era stato riferito che il signor Feliciano non poteva uscire da camera sua per un po’ perché doveva fare degli accertamenti. Si era sentito male e, dal loro viso, Angela aveva capito che la situazione non sembrava troppo grave ma che era perlomeno curiosa. Le situazioni curiose erano sempre le peggiori, da come avevano imparato in tutti quegli anni: la fine della guerra aveva messo in luce molte malattie e la loro nuova ignoranza aveva riportato indietro problemi che prima erano stati dimenticati. Per questo, al ritorno, aveva deciso di fermarsi alla parrocchia per fare un piccolo Padre Nostro: sapeva bene che questo non avrebbe probabilmente aiutato il signor Vargas, ma valeva sempre la pena tentare.

Il prete, l’unico del villaggio, le aveva detto che era stato informato dalla signorina Gabriella e che alla messa del giorno dopo avrebbero fatto una preghiera perché il signor Feliciano si riprendesse. Angela era uscita un po’ più sollevata.

Sistemò il nuovo oggetto che aveva portato per l’anziano dentro la borsa e alzò lo sguardo. Intorno alla taverna c’era una grande folla. La ragazza fermò un ragazzino che stava entrando correndo in chiesa.

-Che è successo?

-È tornato Alfonso! Ha portato anche uno straniero, un bambino e un cavallo!

Angela lasciò il ragazzino, che ricominciò a correre chiamando il prete. Iniziò a camminare velocemente verso la taverna. Alfonso se n’era andato quasi cinque anni prima. Era tornato, ogni tanto, per un giorno solo a portare regali e a raccontare cosa aveva visto in giro per il mondo. L’ultima volta aveva portato con sé degli oggetti molto belli, vasi e gioielli e il signor Vargas aveva riso e aveva raccomandato a tutti loro di trattarli con cura perché erano più antichi di quanto potessero immaginare. Portarsi dietro uno sconosciuto, però, non era mai successo.

Angela si fece strada in mezzo alla folla. Alfonso era seduto sul tavolino con un bel bicchierone di acqua e, accanto a lui, c’erano un giovane uomo e un bambino piccolo. Lo straniero non era molto alto, ma aveva un’espressione davvero saggia, nonostante non avesse più di trent’anni. Il bambino (il figlio forse?) gli stava sulle ginocchia e si guardava intorno con aria curiosa.

-…Ed è stato allora che ho incontrato i miei nuovi compagni di viaggio! Mi hanno aiutato nei momenti di difficoltà e il giovane signore qui presente mi ha spiegato moltissime cose sulle rovine che vedevo. Mi ha detto “Conosci il villaggio così cosà?” e io gli ho detto “Ma certo, mio caro amico!” e siamo partiti insieme. Abbiamo incontrato molti piccoli villaggi, ma lui voleva raggiungere proprio questo! Quando capirò cosa è venuto a fare qui…!

Tutti risero e guardarono curiosi lo sconosciuto, che li fissò a sua volta in silenzio.

-E non solo, ho incontrato proprio prima di entrare nel villaggio un altro straniero. Un bambolone alto, tutto vestito di nero, con un cappello con la visiera lucida. Era tutto serio. Ma che attrattiva ci sarà mai in questo paese per attirare così tanti stranieri? La cosa più emozionante qui è la fila per andare a fare la comunione la domenica! Marce’, salti ancora la coda per arrivare primo, eh?

Marcello arrossì e abbassò lo sguardo, riconoscendo la propria colpa, e tutti risero intorno a lui. Qualcuno si guardò intorno, iniziando a sussurrare al vicino “Un uomo alto vestito di nero? Non è come l’uomo di Valente e di Domi? Non sta costeggiando il villaggio?”. Angela strinse le mani intorno alla borsa. Non riusciva a capire chi potesse essere o se era davvero un fantasma o meno. L’unica cosa su cui ormai era certa era che, spirito o meno, non se l’erano immaginato.

Nessuno di loro.

 

Angela aprì la porta lentamente, sbirciando attraverso la fessura. Feliciano stava leggendo vicino alla finestra. La ragazza entrò, chiudendo la porta dietro di sé.

-Buongiorno, signore.

L’anziano alzò lo sguardo e i suoi occhi si illuminarono vedendola.

-Ah, Angela! Buongiorno.

-Ho saputo che non sta molto bene…

-Già. Crisi respiratorie…! Ma nulla di troppo grave, non ti preoccupare, cara.

La giovane lo guardò in viso e impallidì: sembrava molto più vecchio dell’ultima volta in cui lo aveva visto. L’infermiera l’aveva avvertita, che a causa delle crisi non dormiva molto e che mangiava anche poco perché non aveva fame, ma non si aspettava qualcosa di così evidente. In pochi giorni era diventato più magro e le sue rughe si erano fatte più profonde. Come era possibile invecchiare così tanto in così poco tempo?

-Signore, io vorrei rimanere qui un po’ più del solito. Avrei… Tante cose da dirle. Mi servirebbe… non un consiglio, ma qualcosa del genere.

Feliciano rimise il segnalibro fra le pagine e poggiò il romanzo sul davanzale.

-Dimmi.

Angela esitò un attimo, poi iniziò il suo racconto. L’anziano la guardava sorpreso e incuriosito. La sua espressione si fece sempre più indecifrabile, incomprensibile al suo sguardo. La ragazza gli raccontò la storia dello spirito, del campo di tulipani, di Valente, di quello che aveva scoperto, del piccolo Menico e di Alfonso. Gli descrisse in maniera approfondita il fantasma, come era fatto, come era vestito, il fatto che l’aveva chiamata con quel nome strano… il suo accento curioso…

Feliciano sorrise, alla fine del racconto.

-“Io tornerò sempre per te. Sempre.”

-Come ha detto?

-Ve, mi stai venendo a prendere?

Angela spalancò gli occhi. Il sole accarezzava il viso dell’uomo, riempiendo le rughe di luce e inondandogli i capelli bianchi di raggi ramati, il ciuffo ribelle vibrava alla leggera brezza del tramonto. Sì, ecco… quell’uomo così anziano, per pochi secondi, era tornato giovane.

 

Feliciano guardò l’orizzonte. Tenne stretto il cestino coi dolci e si sistemò il giacchetto leggero per andare contro al vento, che si stava facendo sempre più freddo man mano che la sera avanzava. Sussultò, sentendo una mano poggiarsi sulla sua spalla. Si girò.

“Signora Ungheria…”

“Torna a casa, Feliciano.”

“Ma io… io devo aspettarlo.”

Elizabetha sorrise tristemente e gli accarezzò il viso, che cominciava a farsi più fino e meno infantile.

“Vedrai che tornerà domani…”

Feliciano cominciò a seguire la donna, col capo chino e con la morte nel cuore. Poi la vista di Ungheria e della casa si trasformarono, divenne tutto buio, stretto. Si guardò intorno non capendo cosa fosse successo. Si rese conto di essere dentro un contenitore e toccò le pareti, sentendole di legno. Sentiva urlare da fuori e vedeva una fessura far entrare un po’ di luce. Il panico si impossessò di lui.

“Ehm… Non ti avvicinare! Sono… Sono una scatola di pomodori fatata!”

Vide qualcosa di metallico entrare nella fessura, allargarla e scardinare il coperchio del contenitore, poi sentì quelle che sembravano delle mani cercare di aprire.

Italia guardò in alto, vedendo una figura stagliarsi contro la luce del sole. L’uomo si alzò leggermente il cappello, scoprendo bene il viso. Feliciano gli vide diventare le orecchie rosse, probabilmente per la fatica o forse…

Il vecchio spalancò gli occhi.

 

Angela si sistemò meglio sulla sedia. Aveva richiesto di poter rimanere là fuori fino a sera, un po’ per pensare, un po’ per preoccupazione. L’infermiere si era assentato un attimo per aiutare la signora Daria con le medicine che doveva prendere. Alzò lo sguardo, sentendo un rumore da dentro la camera del signor Feliciano. Si mise in piedi e aprì la porta, vedendo l’anziano portarsi le mani sul petto. Corse fuori, giù dalle scale, chiamando aiuto. Si scontrò con lo sconosciuto amico di Alfonso.

-Il signor Feliciano si sente male, si sente male!

Lo straniero sbarrò gli occhi e cominciò a correre su per le scale, seguito dalle infermiere che lo stavano scortando chissà dove e dal bambino che lo seguiva il più velocemente possibile. Angela corse loro dietro. Vide lo sconosciuto andare vicino al signor Vargas, prenderlo per le spalle.

-Feliciano! Feliciano, sono io!

Le infermiere allontanarono l’uomo e la ragazza, chiudendoli fuori dalla stanza e mandando una di loro a chiamare il medico, che ormai aveva deciso di alloggiare lì, vista la situazione del vecchio.

L’anziano guardò lo sconosciuto, con gli occhi umidi e persi. Alzò la mano verso di lui.

-…No…Nonno…?

Poi la porta si chiuse.

 

Note di Elfin

Eccomi qui :) Scusate se ho aggiornato oggi e non ieri, ma ero fuori città e non sono riuscita a tornare in tempo ^^”

Spero davvero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ^-^ Il piccolo Domenico è il mio eroe *^* Nel prossimo capitolo ci sarà qualche spiegazione a… a robbaH. Sarà anche l’ultimo capitolo, quindi incrociamo le dita :)

Voglio assolutamente ringraziare Betchi_ che ha recensito lo scorso capitolo! Spero che anche questo abbia raggiunto le tue aspettative ;) Ringrazio, ovviamente, anche tutti i lettori silenziosi ^-^

Ci risentiamo sabato prossimo :*

Kiss

   
 
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