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Autore: alessandroago_94    12/09/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 25

CAPITOLO 25

 

 

 

 

 

 

Appena alzato, dopo aver evitato ogni contatto col cibo, nel vano tentativo di tenere sotto controllo il mio stomaco nel caso ce ne fosse stato bisogno fin da subito, cercai di dirigermi il più velocemente possibile verso la porta di casa. Il cellulare però mi squillò, poiché mi era arrivato un messaggino.

Stoppai per un attimo la mia corsa, ma solo per accendere lo schermo e scoprire che il mittente era proprio Melissa, la ragazza che avevo pensato anche poco prima, e che quasi di certo era la mia parente che avevo conosciuto per caso.

Non lo lessi, anzi, spensi definitivamente il cellulare, e salii di nuovo in camera per riporlo con attenzione sulla scrivania e richiudere di nuovo la porta con due giri di chiave. Poi, la mia lenta corsa dentro casa riprese.

Giunsi alla porta incolume; ero stato attentissimo ad evitare mio padre e Roberto, che quella mattina gironzolavano placidamente per casa.

Avrei voluto parlare con mia madre, ma ovviamente non lo feci. Avrei voluto salutare Roberto, come facevo ogni mattina, ma anche quello non lo feci, e uscii in fretta dalla mia dimora.

Avevo voluto cristallizzare tutto ciò che mi circondava, quella mattina. Era come se io avessi cercato di mettere tutto quanto in standby, lasciando quindi ogni vicenda in sospeso, fino a quel pomeriggio. Fino alla cosiddetta ora della punizione, che tanto mi terrorizzava.

Mentre abbandonavo il mio giardino, cominciando subito a percorrere il marciapiede che limitava la strada in cui abitavo, mi sentivo strano, e addirittura la mia saliva aveva un sapore insolito, lasciandomi chiaramente comprendere che ero vittima della paura. Sapendo che avrei dovuto affrontare tutto a testa alta, e che non ero solo, rialzai le mie spalle con un gesto da vero guerriero, colmo di qualche motivata consapevolezza, ma la mia voglia di affrontare ciò che avevo tanto fomentato mi stava stretta, ed anzi, quasi mi schiacciava.

Mentre camminavo spedito verso il liceo, per una frazione di secondo mi pentii di non aver alzato il foglio e di non aver lasciato che il prepotente copiasse, in modo da non provocarlo, ma tanto subito dopo la mia razionalità mi fece reprimere quegli sciocchi pensieri, poiché sapevo che Federico mi avrebbe spremuto ogni giorno, e sempre di più, se glielo avessi permesso. Avevo solo chiuso un circolo vizioso. Forse.

Il giorno prima ero stato coraggioso ad aver tentato di interrompere questa serie di azioni spiacevoli che si stava costruendo e solidificando da tempo, e dovevo continuare ad avere coraggio, se non volevo che quello sforzo non diventasse vano. Dovevo combattere, e soprattutto avere fiducia sia in me stesso che nel mio ipotetico salvatore e compagno di scuola.

Quando giunsi al liceo, mi addentrai subito al suo interno, dato che la prima campanella era già suonata da qualche secondo, e non appena entrai in classe incontrai subito lo sguardo di Giacomo, già all'interno dell’aula. Il mio amico mi fece un occhiolino carico di una sicurezza che mi lasciò senza parole, per un attimo, ma che mi convinse a fidarmi ciecamente di lui.

Presi posto nel mio banco, senza parlare con nessuno se non per salutare, e notai già da un primissimo momento che Federico quel giorno non era venuto a scuola. Era assente, e chissà che stava combinando e tramando al di fuori delle mura scolastiche e da quelle domestiche.

Deglutendo un’infinità di volte e in un modo che mi parve quasi troppo rumoroso, riuscii a trascorrere quella mattinata scolastica, che per fortuna filò liscia come l’olio, dato che non dovevo affrontare né verifiche né interrogazioni, ma la mia concentrazione ne risentì parecchio.

Comunque, poco importava; se fossi riuscito a superare quella giornata, l’indomani sarebbe stato un altro giorno, un giorno nuovo, e forse anche migliore e più libero.

La mia ora x, l’ora del cambiamento o dell’umiliazione più bruciante, mi attendeva ed era ormai alle porte, e a quel punto non mi sarei più tirato indietro.

 

Quando uscii da scuola, ero ancora più inquieto. Non avevo affatto coraggio, e il tempo era trascorso troppo in fretta, mi pareva.

Giacomo si era volatilizzato fin da subito, ed ammisi a me stesso che mi sarei aspettato che fosse stato a mio fianco, o che avesse cercato di interagire con me in un qualche modo, ed invece niente. Ed io ero solo, se non in compagnia del mio più lieto ma immaginario compagno di viaggio, ovvero il panico che regnava nella mia povera mente. Lui era effervescente, io molto meno.

La cosa più inquietante che avevo scoperto era stata che neppure il trio di amichetti del prepotente si era presentata a scuola, ed immaginai facilmente che tutti e quattro si fossero organizzati per bene. Non sapevo cosa aspettarmi, e mentre camminavo verso casa mia sapevo perfettamente che ogni passo che muovevo era anche un passo verso l’umiliazione suprema, un’umiliazione che non sapevo ancora come si sarebbe svolta, ma che avrebbe incluso un bel po’ di botte, quasi di sicuro.

Ad un certo punto, fui lì per abbandonare il percorso e deviare, in modo da non incappare nel punto dove mi attendeva il tranello, ma decisi che avrei affrontato tutto, e che mi sarei fidato di Giacomo, anche se lui mi aveva lasciato completamente solo, visto che il problema andava affrontato il prima possibile. Non volevo trascorrere un’altra notte e un altro giorno in quello stato, senza neppure sapere quando e dove i prepotenti avrebbero cercato di farmi del male.

Per un attimo pensai anche al tradimento del mio compagno di classe, che consigliandomi di non parlarne con nessuno e di lasciare tutto in mano sua, per poi volatilizzarsi, forse avrebbe voluto partecipare e ridere anche lui per ciò a cui mi avrebbero sottoposto, ma accantonai in fretta quel pensiero.

In quel momento feci chiarezza nella mia mente, e quando oltrepassai l’ultima stradina che mi avrebbe permesso di aggirare il più che probabile ostacolo, seppi che sarei andato incontro al mio destino, qualunque esso fosse. Immaginavo che il nemico non volesse ammazzarmi e neppure farmi troppo male fisico, per non incorrere in guai grossi, quindi alla fin fine sarei sopravvissuto a tutto, in ogni caso.

Camminai spedito, procedendo forse in modo un po’ più rapido rispetto agli altri giorni, fintanto che non apparve ai miei occhi l’unica e prima traversa che si innestava nella mia via, l’ultima prima di casa mia, che distava davvero ormai solo pochi metri. Il fatto che una cosa così spiacevole mi stesse attendendo a così poca distanza da casa mia m’inquietava tantissimo, anche perché lì mi sentivo al sicuro, lungo la mia strada, in quella stessa via in cui ero cresciuto ed avevo mosso i miei primi passi.

Eppure, proseguii a camminare abbastanza spedito, cercando di guardarmi attorno il meno possibile, e ad un certo punto giungendo pure a sperare che nulla mi sarebbe accaduto, e che nessun agguato mi era stato teso, poiché la situazione pareva inverosimilmente calma. Non c’era traccia di Giacomo, che a quanto pareva mi aveva lasciato totalmente solo per davvero, e non c’era traccia di possibili aggressori nei paraggi. Era tutto surreale.

Fintanto che non oltrepassai il punto dove mi attendevo l’agguato, ovvero la sorta di piccolo incrocio che si formava nell’innesto della traversa nella mia strada, tutto mi parve tranquillo e come ogni altro giorno, e ammetto che in quell’istante tirai un sospiro di sollievo. Continuavo a sentirmi solo, come se avessi vissuto una qualche sorta di allucinazione, che avesse poi rischiato di farmi precipitare in un gorgo colmo di pazzia.

Era come se avessi superato un esame. Ma stavo esultando troppo presto, come scoprii a breve.

Infatti, dopo pochi altri passi mossi verso casa mia, udii un flebile rumore, proveniente dalle mie spalle.

Deglutii e decisi assolutamente di non fermarmi e di non voltarmi indietro, poiché avevo davvero troppa paura di ciò che avrei potuto trovarmi di fronte, e cercai di rassicurarmi pensando che si trattasse di un passante. Solo che pochi istanti prima mi ero guardato attorno, e non avevo visto nessuno; allora, per continuare a cercare di tenere saldi i miei nervi, cercai di convincermi pure che magari si trattasse di una qualche persona appena uscita da una qualche casa che dava sulla strada, senza che io me ne accorgessi.

Nel frattempo, velocizzai ulteriormente il passo.

Il tempo fu come se si fosse rallentato attorno a me, e ad ogni passo verso casa sembrava che io avessi dovuto alzare un macigno tramite il movimento sincronizzato delle mie gambe.

‘’Fuggi da qualcuno, Antonio?’’.

La voce beffarda del prepotente mi giunse dalle mie spalle, così come il suo alito caldo che mi sfiorò l’orecchio sinistro. La consapevolezza di essere stato raggiunto in modo rapidissimo e di essere in trappola mi fece raggelare il sangue nelle vene, e, inutile a dirlo, mi pietrificai sul posto, troppo spaventato per tornare a muovermi in modo deciso verso casa.

‘’Lasciami in pace’’, gli dissi, a singhiozzo. Poi, mi voltai involontariamente verso di lui.

Mi trovai di fronte al bullo, che evidentemente mi attendeva ed aveva pianificato tutto dalla prima mattina, e mentre mi arpionava una spalla con quelle sue manacce che parevano grinfie, cercai una soluzione al problema. Sapendo che ormai non potevo più scappare, poiché già avvinghiato dalla stretta ferrea e più decisa di Federico, decisi che avrei gridato, invocando aiuto.

Tentennai un istante, lanciando una fugace occhiata attorno a me e non notando anima viva lungo il marciapiede e neppure per strada, sgombra da automobili e bici, in quel momento. Il mio paesetto sapeva rivelarsi un vero mortorio, quando voleva.

Spalancai la bocca, deciso a gridare ugualmente a squarciagola, ma all’improvviso un’altra mano salda mi si piantò sulle labbra, e un’altra sotto al mento, tappandomi di fatto l’unica via con cui avrei potuto utilizzare la mia voce.

Ero circondato, mi stavano assalendo da tutte le parti e non sapevo quante persone fossero coinvolte in quell’agguato; sapevo solo che quella era stata una vera e propria operazione in grande, così come mi aspettavo, organizzata fin nei minimi dettagli. Ed io non ero neppure stato in grado di accorgermi di essere stato circondato in modo banale, e sciocco, e questo mi abbatté talmente tanto da lasciarmi avvilito e senza forze in un momento così critico, quando tutto poteva tornarmi utile.

I tizi dovevano essersi nascosti a bordo della strada, magari dietro alla miriade di cassonetti della raccolta differenziata che erano stati posizionati proprio ai margini del marciapiede, ed io, come un cieco, ero passato a loro fianco già assaporando il sapore del pranzo che mi sarei gustato una volta giunto a casa incolume.

Però, in quel momento capii che non era necessario che io stessi a recriminare tutto, ma che lo era di più cercare di fare qualcosa per riuscire a cavarmela, in un qualche modo. Anche perché ormai avevo la certezza di essere rimasto totalmente solo; solo contro un’intera banda di giovani criminali violenti ed assetati di vendetta.

Il mio inquilino si distaccò da me e si diresse verso la piccola traversa inglobata da entrambi i lati dagli edifici che davano sulla strada, facendo rapidi gesti al resto degli assalitori, che riconobbi facilmente. In realtà, Federico non aveva cercato chissà chi per punirmi, ma proprio come mi attendevo aveva utilizzato quel trio con cui tempo prima trascorrevo interi intervalli. Proprio come avevo previsto.

Luca e Giulio sgusciarono a fianco di Federico, e immaginai che a trattenermi e a tapparmi la bocca fosse proprio quel gigante di Davide, davvero troppo forte per me. A quel punto mi parve ovvio che mi avrebbero trascinato proprio a fianco di quei grandi cassonetti della spazzatura che fino a pochi istanti prima avevano offerto loro un buon nascondiglio, e che sarebbero serviti come abile copertura per il mio probabile pestaggio.

Cercai di ribellarmi, e di uscire finalmente dalla mia inerzia, ma non riuscii ovviamente a divincolarmi dalla stretta di quello che avevo sempre creduto un gigante buono, e allora, mentre Davide mi trascinava di peso e rapidamente verso il punto già raggiunto dagli altri tre, tentai di mordergli la mano che mi aveva posato sulla bocca, ma capendo le mie intenzioni l’assalitore mosse il suo grande arto e, con abilità, riuscì a immobilizzare la mia mandibola.

A quel punto, non potevo fare molto. Ero totalmente travolto dalla forza altrui. Se fossi stato un po’ più alto e un po’ più pesante, i miei aguzzini avrebbero di certo fatto molta più fatica a sbatacchiarmi in fretta dalla strada fino a fianco dei cassonetti, ma la mia natura esile aveva ampiamente facilitato i loro interessi.

In una frazione di secondo, fui scaraventato a terra senza troppi complimenti, trovandomi perfettamente incastrato tra i grandi bidoni della spazzatura, tra quello immenso e di latta dell’indifferenziata e quello altrettanto alto e invadente della carta, quasi appoggiati da dietro ai muri e piuttosto stretti tra loro.

I miei quattro assalitori si strinsero su di me, mentre io cercavo di rivoltarmi un attimo e almeno di riuscire ad afferrare con le mani un qualche appiglio. Non ero dotato di tanta forza, ma dato che ero momentaneamente libero, pensai che se fossi riuscito ad afferrare una parte del cassonetto, forse sarei riuscito a spostarlo e a crearmi in fretta una probabile via di fuga, dato che quello della carta non doveva essere molto pesante. Ma, quasi inutile a dirlo, Davide riuscì abilmente a bloccarmi al suolo, senza lasciarmi alcun margine di movimento.

Tremavo tutto, il mio volto doveva essere arrossato e il mio corpo pareva rigido come uno stoccafisso, senza contare che in quel momento mi accorsi che delle lacrime ricolme di terrore stavano solcando il mio viso, infradiciandolo in ogni suo angolo. Fu così che mi accorsi che stavo piangendo, e che capii che avevo smesso di lottare e che mi aspettavo solo chissà cosa, da quel momento in poi.

Guardai per un attimo Davide, piantando i miei occhi strapazzati dalla paura e dal pianto nei suoi, e riconobbi che pure lui non era tranquillo, e che cercava di guardarmi il meno possibile. E compresi che stava solo svolgendo il compito che Federico gli aveva relegato, come se quel bullo prepotente fosse riuscito a fargli il lavaggio del cervello e a farsi obbedire ciecamente dall’affiatato trio di amici.

Il mio prepotente inquilino si era allontanato per un attimo, mentre Giulio e Luca si erano ritratti, ed io ne avevo approfittato subito per attaccare Davide con l'unico strumento concessomi in quel momento, ovvero la voce.

‘’Perché lo fai? Io non ti ho mai fatto nulla. Lasciami andare, ti prego’’, gli dissi, supplichevolmente spaventato e a voce alta.

‘’Cosa credi, che Federico non mi abbia raccontato quando, alcuni mesi fa, parlavi male di me e degli altri a casa, per poi mandare di nascosto tua madre dai professori per dirci dietro? Pensavi davvero che non te l’avremmo fatta pagare, vero, e che magari non l’avremmo mai saputo… ecco perché negli anni scorsi avevamo sempre voti bassissimi nella valutazione sul comportamento. Adesso è tutto chiaro e spiegato, e anche se mi sarebbe piaciuto fartela pagare in altro modo, ora ci penserà il nostro nuovo amico a darti una lezione’’, mi spiegò Davide, moderatamente rabbioso.

Io scossi il capo, devastato da ciò che stavo udendo e che effettivamente non stava neppure in piedi.

‘’Federico si è inventato tutto! Giuro che non ho mai mosso un dito contro di voi né detto nulla, e soprattutto alle spalle, e poi non frequentiamo neppure la stessa classe! Come avrei potuto…’’.

‘’Stai zitto, una buona volta, bugiardo. Sei davvero un gran stronzo’’. E detto questo, il mio interlocutore mi zittì facendomi sbattere la testa contro l’asfalto sottostante.

Ero davvero spacciato, e tutto questo mi stava capitando anche grazie alla marea di assurde falsità a cui Federico aveva sottoposto i miei tre ex amici, che forse non erano mai stati neppure tanto miei amici e neppure tanto intelligenti e benpensanti come credevo tempo addietro, per lasciarsi raggirare così tanto facilmente dal primo pazzoide che aveva avuto la fortuna di incontrarli.

Dal momento della mia cattura fino a quell’istante non dovevano essere trascorsi più di due o tre minuti, ma per me il tempo era come se stesse scorrendo al rallentatore. La strada era ancora sgombra, io non potevo far nulla per salvarmi, ancora immobilizzato al suolo, e un altro mezzo secondo dopo si piazzarono su di me anche gli altri tre.

Notai subito che Federico stringeva tra le mani una sbarra di ferro, e sperai che non avesse davvero l’intenzione di usarla su di me. Notando il mio sguardo atterrito, il ragazzo mi sorrise serenamente.

‘’Non preoccuparti per questa, l’ho presa solo per spaventarti. Mica vogliamo ammazzarti, tranquillo! Vogliamo solo darti una buona ripassata, così saremo certi che su di noi non dirai altre cose malvagie e che non ci farai altri brutti scherzetti. In caso contrario, ti prometto che utilizzerò anche questa, ma sta volta no’’, mi disse, sornione e beffardo, per poi lasciare cadere il possibile oggetto contundente vicino ai cassonetti.

Ammetto che non ero assolutamente rassicurato dalle sue parole, e approfittai del momento in cui Davide mi liberò dalla sua stretta a tenaglia per cercare di sgusciare via, ma ancora una volta dimenticavo che tutto era stato preparato, e non si stava improvvisando. Da solo, non avevo margine di scampo.

Infatti, non appena fui liberato, non credetti ai miei occhi e cercai di ruzzolarmi di lato, nel poco spazio che l’angusto e puzzolente luogo mi offriva, per tentare di rialzarmi o almeno di infilarmi sotto un cassonetto, anche se ciò appariva quasi impossibile, dato che non ero un gatto. Però, avrei voluto almeno tentare, ma non me ne fu dato il tempo.

In effetti, non riuscii nemmeno a muovermi di un centimetro, dato che un potente calcio mi colpì al costato. Da quell’istante in poi, cominciarono a piovere calci e pugni su di me, non tanto indirizzati verso il mio volto, bensì verso il resto del mio corpo.

Mi raggomitolai su me stesso, gemendo dal dolore, eppure le botte continuarono a giungermi da ogni lato. Piangevo, ero disperato e soffrivo come non mai. Facevo pure fatica a prendere fiato.

‘’Per ora basta, che dici?’’, chiese Davide dopo qualche secondo di brutale e rapido pestaggio, quando avevo già ricevuto parecchi colpi dai quattro prepotenti.

La sua voce nascondeva un qualche timore, e compresi che in fondo doveva avere paura di essere scoperto. Il ragazzone non era mai stato troppo coraggioso.

‘’Scherzi?! Fintanto che non notiamo qualche passante in lontananza, o qualche auto, continuiamo’’, lo riprese il prepotente capo. E i colpi continuarono a percuotermi.

‘’Anzi, voglio provare pure questa’’, tornò a dire Federico, e dal rumore che produsse potei facilmente capire che doveva aver recuperato la sua sbarra di ferro.

Ero finito. Gemevo, rantolavo, gridavo, ma era come se il mondo attorno a me continuasse a girare senza che nessuno si accorgesse della mia situazione critica e del mio bisogno d’aiuto.

Poi, i colpi cessarono per un istante e un bavaglio mi tappò la bocca, per farmi smettere di fare rumore. E sentii il freddo del ferro che premeva contro la mia guancia sinistra, e una risatina sommessa e cupa di Federico, promessa di altre botte in arrivo, ancora più dolorose delle precedenti.

Ero pronto a subire il primo colpo, a sentire quel ferro mentre percuoteva le mie carni, continuando a rantolare a terra, e a piangere su me stesso e sulla mia umiliazione suprema, oltre che su quel dolore fisico e psicologico che non mi dava tregua. In due parole, ero perduto.

Proprio quando mi attendevo un’altra dolorosa percossa, però, accadde qualcosa di inatteso.

‘’Fermi tutti! Che nessuno si azzardi più a colpirlo!’’.

Udii quegli ordini perentori, e lì sul momento non capii.

Sentii i miei aguzzini mentre cercavano di dire qualcosa, o di fuggire, dato il tramestio che provocarono, ma quando alzai lo sguardo e mi trovai di fronte a due carabinieri, per nulla intenzionati a lasciarsi sfuggire il cospicuo raccolto, intesi a fatica che per me era tutto finito. Era finito l’incubo.

E quando in mezzo ai due carabinieri apparve Giacomo, avrei davvero tanto voluto raggiungerlo e abbracciarlo, ma ci misi un’infinità di tempo a rialzarmi dal suolo. Ero in una situazione penosa, e riuscii a malapena a rimettermi in piedi e a strapparmi l’improvvisato bavaglio.

‘’Non state neppure a cercare di fuggire, ragazzi. Sappiamo esattamente chi siete e conosciamo le vostre identità, e se ve la darete a gambe rischierete solo di aggravare la lista di reati da voi commessi. Verrete tutti quanti in caserma con noi, e non pensate neppure a fare scherzi. Ogni eventuale resistenza e ogni altro reato che commetterete si aggiungerà alla vostra lista di quelli già compiuti, e tutto rischierà solo di aggravarsi. Mi auguro solo che non vogliate peggiorare ulteriormente la vostra situazione’’, disse uno dei due carabinieri, lentamente e con fare deciso, spiegando tutto per bene.

I miei quattro aggressori, sconvolti dal fatto di essersi lasciati cogliere ingenuamente in flagrante, erano diventati rigidi come statue, e difficilmente sarebbero riusciti a muoversi.

Rifiutai categoricamente di far chiamare un’ambulanza per me, e assieme, tutti e cinque, fummo scortati verso la volante, lasciata lungo la mia via e per metà sul marciapiede, frettolosamente, ed io, Giacomo, Federico e Davide salimmo, lasciando gli altri due in compagnia del secondo carabiniere, in attesa di rinforzi per portarci tutti in caserma.

Giacomo mi aiutò a camminare e a salire in auto, mentre ancora mi asciugavo le lacrime e i prepotenti ormai erano loro ad essersi lasciati andare al pianto. La situazione si era improvvisamente invertita.

Piangevano tutti, tranne Federico, il cui sguardo era ancora colmo d’incredulità e di stupore.

Anch’io ero ancora stupito, e non riuscivo a capire per bene ciò che poteva essere accaduto. Evidentemente, i miei aguzzini si dovevano essere lasciati andare talmente tanto al mio pestaggio da non essersi accorti che erano stati scoperti, ma qualcos’altro evidentemente mi sfuggiva.

Una volta dentro alla volante, Giacomo si avvicinò al mio orecchio destro, per sussurrarmi qualcosa. Lo lasciai fare, naturalmente, anche se ancora il dolore delle botte non mi faceva star sereno.

Sperai solo di non avere niente di rotto.

‘’Visto? Ti avevo detto di fidarti di me. Poi, se vorrai, ti spiegherò tutto, ma ora non è il momento’’, mi sussurrò, per poi sogghignare.

Io mi lasciai andare sul sedile posteriore, troppo debole per replicare, porre oppure pormi domande.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Buongiorno a tutti, carissimi lettori e carissime lettrici!

Beh, uno dei capitoli più duri del racconto l’abbiamo appena letto e superato. Diciamo che, forse, d’ora in poi la strada comincerà ad essere in discesa per il protagonista… ma le difficoltà saranno ancora tante, da superare.

Bene, nel prossimo capitolo faremo delle… scoperte. Grazie ad Antonio, ovviamente!

Ringrazio tantissimo tutti i lettori e i vari recensori, sempre estremamente gentili e puntuali.

Grazie di cuore per tutto, e buona giornata! A lunedì prossimo.

   
 
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