CAPITOLO 25
Appena alzato, dopo aver evitato ogni contatto col cibo, nel
vano tentativo di tenere sotto controllo il mio stomaco nel caso ce ne fosse
stato bisogno fin da subito, cercai di dirigermi il più velocemente possibile
verso la porta di casa. Il cellulare però mi squillò, poiché mi era arrivato un
messaggino.
Stoppai per un attimo la mia corsa, ma solo per accendere lo
schermo e scoprire che il mittente era proprio Melissa, la ragazza che avevo
pensato anche poco prima, e che quasi di certo era la mia parente che avevo
conosciuto per caso.
Non lo lessi, anzi, spensi definitivamente il cellulare, e
salii di nuovo in camera per riporlo con attenzione sulla scrivania e
richiudere di nuovo la porta con due giri di chiave. Poi, la mia lenta corsa
dentro casa riprese.
Giunsi alla porta incolume; ero stato attentissimo ad evitare
mio padre e Roberto, che quella mattina gironzolavano placidamente per casa.
Avrei voluto parlare con mia madre, ma ovviamente non lo
feci. Avrei voluto salutare Roberto, come facevo ogni mattina, ma anche quello
non lo feci, e uscii in fretta dalla mia dimora.
Avevo voluto cristallizzare tutto ciò che mi circondava,
quella mattina. Era come se io avessi cercato di mettere tutto quanto in
standby, lasciando quindi ogni vicenda in sospeso, fino a quel pomeriggio. Fino
alla cosiddetta ora della punizione, che tanto mi terrorizzava.
Mentre abbandonavo il mio giardino, cominciando subito a
percorrere il marciapiede che limitava la strada in cui abitavo, mi sentivo
strano, e addirittura la mia saliva aveva un sapore insolito, lasciandomi
chiaramente comprendere che ero vittima della paura. Sapendo che avrei dovuto
affrontare tutto a testa alta, e che non ero solo, rialzai le mie spalle con un
gesto da vero guerriero, colmo di qualche motivata consapevolezza, ma la mia
voglia di affrontare ciò che avevo tanto fomentato mi stava stretta, ed anzi,
quasi mi schiacciava.
Mentre camminavo spedito verso il liceo, per una frazione di
secondo mi pentii di non aver alzato il foglio e di non aver lasciato che il
prepotente copiasse, in modo da non provocarlo, ma tanto subito dopo la mia
razionalità mi fece reprimere quegli sciocchi pensieri, poiché sapevo che
Federico mi avrebbe spremuto ogni giorno, e sempre di più, se glielo avessi
permesso. Avevo solo chiuso un circolo vizioso. Forse.
Il giorno prima ero stato coraggioso ad aver tentato di
interrompere questa serie di azioni spiacevoli che si stava costruendo e
solidificando da tempo, e dovevo continuare ad avere coraggio, se non volevo
che quello sforzo non diventasse vano. Dovevo combattere, e soprattutto avere
fiducia sia in me stesso che nel mio ipotetico salvatore e compagno di scuola.
Quando giunsi al liceo, mi addentrai subito al suo interno,
dato che la prima campanella era già suonata da qualche secondo, e non appena
entrai in classe incontrai subito lo sguardo di Giacomo, già all'interno dell’aula.
Il mio amico mi fece un occhiolino carico di una sicurezza che mi lasciò senza
parole, per un attimo, ma che mi convinse a fidarmi ciecamente di lui.
Presi posto nel mio banco, senza parlare con nessuno se non
per salutare, e notai già da un primissimo momento che Federico quel giorno non
era venuto a scuola. Era assente, e chissà che stava combinando e tramando al
di fuori delle mura scolastiche e da quelle domestiche.
Deglutendo un’infinità di volte e in un modo che mi parve
quasi troppo rumoroso, riuscii a trascorrere quella mattinata scolastica, che
per fortuna filò liscia come l’olio, dato che non dovevo affrontare né
verifiche né interrogazioni, ma la mia concentrazione ne risentì parecchio.
Comunque, poco importava; se fossi riuscito a superare quella
giornata, l’indomani sarebbe stato un altro giorno, un giorno nuovo, e forse
anche migliore e più libero.
La mia ora x, l’ora del cambiamento o dell’umiliazione più
bruciante, mi attendeva ed era ormai alle porte, e a quel punto non mi sarei
più tirato indietro.
Quando uscii da scuola, ero ancora più inquieto. Non avevo
affatto coraggio, e il tempo era trascorso troppo in fretta, mi pareva.
Giacomo si era volatilizzato fin da subito, ed ammisi a me
stesso che mi sarei aspettato che fosse stato a mio fianco, o che avesse
cercato di interagire con me in un qualche modo, ed invece niente. Ed io ero
solo, se non in compagnia del mio più lieto ma immaginario compagno di viaggio,
ovvero il panico che regnava nella mia povera mente. Lui era effervescente, io
molto meno.
La cosa più inquietante che avevo scoperto era stata che
neppure il trio di amichetti del prepotente si era presentata a scuola, ed
immaginai facilmente che tutti e quattro si fossero organizzati per bene. Non
sapevo cosa aspettarmi, e mentre camminavo verso casa mia sapevo perfettamente
che ogni passo che muovevo era anche un passo verso l’umiliazione suprema,
un’umiliazione che non sapevo ancora come si sarebbe svolta, ma che avrebbe
incluso un bel po’ di botte, quasi di sicuro.
Ad un certo punto, fui lì per abbandonare il percorso e
deviare, in modo da non incappare nel punto dove mi attendeva il tranello, ma
decisi che avrei affrontato tutto, e che mi sarei fidato di Giacomo, anche se
lui mi aveva lasciato completamente solo, visto che il problema andava
affrontato il prima possibile. Non volevo trascorrere un’altra notte e un altro
giorno in quello stato, senza neppure sapere quando e dove i prepotenti
avrebbero cercato di farmi del male.
Per un attimo pensai anche al tradimento del mio compagno di
classe, che consigliandomi di non parlarne con nessuno e di lasciare tutto in
mano sua, per poi volatilizzarsi, forse avrebbe voluto partecipare e ridere
anche lui per ciò a cui mi avrebbero sottoposto, ma accantonai in fretta quel
pensiero.
In quel momento feci chiarezza nella mia mente, e quando
oltrepassai l’ultima stradina che mi avrebbe permesso di aggirare il più che probabile
ostacolo, seppi che sarei andato incontro al mio destino, qualunque esso fosse.
Immaginavo che il nemico non volesse ammazzarmi e neppure farmi troppo male
fisico, per non incorrere in guai grossi, quindi alla fin fine sarei
sopravvissuto a tutto, in ogni caso.
Camminai spedito, procedendo forse in modo un po’ più rapido
rispetto agli altri giorni, fintanto che non apparve ai miei occhi l’unica e
prima traversa che si innestava nella mia via, l’ultima prima di casa mia, che
distava davvero ormai solo pochi metri. Il fatto che una cosa così spiacevole
mi stesse attendendo a così poca distanza da casa mia m’inquietava tantissimo,
anche perché lì mi sentivo al sicuro, lungo la mia strada, in quella stessa via
in cui ero cresciuto ed avevo mosso i miei primi passi.
Eppure, proseguii a camminare abbastanza spedito, cercando di
guardarmi attorno il meno possibile, e ad un certo punto giungendo pure a
sperare che nulla mi sarebbe accaduto, e che nessun agguato mi era stato teso,
poiché la situazione pareva inverosimilmente calma. Non c’era traccia di
Giacomo, che a quanto pareva mi aveva lasciato totalmente solo per davvero, e
non c’era traccia di possibili aggressori nei paraggi. Era tutto surreale.
Fintanto che non oltrepassai il punto dove mi attendevo
l’agguato, ovvero la sorta di piccolo incrocio che si formava nell’innesto
della traversa nella mia strada, tutto mi parve tranquillo e come ogni altro
giorno, e ammetto che in quell’istante tirai un sospiro di sollievo. Continuavo
a sentirmi solo, come se avessi vissuto una qualche sorta di allucinazione, che
avesse poi rischiato di farmi precipitare in un gorgo colmo di pazzia.
Era come se avessi superato un esame. Ma stavo esultando
troppo presto, come scoprii a breve.
Infatti, dopo pochi altri passi mossi verso casa mia, udii un
flebile rumore, proveniente dalle mie spalle.
Deglutii e decisi assolutamente di non fermarmi e di non
voltarmi indietro, poiché avevo davvero troppa paura di ciò che avrei potuto
trovarmi di fronte, e cercai di rassicurarmi pensando che si trattasse di un
passante. Solo che pochi istanti prima mi ero guardato attorno, e non avevo
visto nessuno; allora, per continuare a cercare di tenere saldi i miei nervi,
cercai di convincermi pure che magari si trattasse di una qualche persona
appena uscita da una qualche casa che dava sulla strada, senza che io me ne
accorgessi.
Nel frattempo, velocizzai ulteriormente il passo.
Il tempo fu come se si fosse rallentato attorno a me, e ad
ogni passo verso casa sembrava che io avessi dovuto alzare un macigno tramite
il movimento sincronizzato delle mie gambe.
‘’Fuggi da qualcuno, Antonio?’’.
La voce beffarda del prepotente mi giunse dalle mie spalle,
così come il suo alito caldo che mi sfiorò l’orecchio sinistro. La
consapevolezza di essere stato raggiunto in modo rapidissimo e di essere in
trappola mi fece raggelare il sangue nelle vene, e, inutile a dirlo, mi
pietrificai sul posto, troppo spaventato per tornare a muovermi in modo deciso
verso casa.
‘’Lasciami in pace’’, gli dissi, a singhiozzo. Poi, mi voltai
involontariamente verso di lui.
Mi trovai di fronte al bullo, che evidentemente mi attendeva
ed aveva pianificato tutto dalla prima mattina, e mentre mi arpionava una
spalla con quelle sue manacce che parevano grinfie, cercai una soluzione al
problema. Sapendo che ormai non potevo più scappare, poiché già avvinghiato
dalla stretta ferrea e più decisa di Federico, decisi che avrei gridato,
invocando aiuto.
Tentennai un istante, lanciando una fugace occhiata attorno a
me e non notando anima viva lungo il marciapiede e neppure per strada, sgombra
da automobili e bici, in quel momento. Il mio paesetto sapeva rivelarsi un vero
mortorio, quando voleva.
Spalancai la bocca, deciso a gridare ugualmente a
squarciagola, ma all’improvviso un’altra mano salda mi si piantò sulle labbra,
e un’altra sotto al mento, tappandomi di fatto l’unica via con cui avrei potuto
utilizzare la mia voce.
Ero circondato, mi stavano assalendo da tutte le parti e non
sapevo quante persone fossero coinvolte in quell’agguato; sapevo solo che
quella era stata una vera e propria operazione in grande, così come mi
aspettavo, organizzata fin nei minimi dettagli. Ed io non ero neppure stato in
grado di accorgermi di essere stato circondato in modo banale, e sciocco, e
questo mi abbatté talmente tanto da lasciarmi avvilito e senza forze in un
momento così critico, quando tutto poteva tornarmi utile.
I tizi dovevano essersi nascosti a bordo della strada, magari
dietro alla miriade di cassonetti della raccolta differenziata che erano stati
posizionati proprio ai margini del marciapiede, ed io, come un cieco, ero
passato a loro fianco già assaporando il sapore del pranzo che mi sarei gustato
una volta giunto a casa incolume.
Però, in quel momento capii che non era necessario che io
stessi a recriminare tutto, ma che lo era di più cercare di fare qualcosa per
riuscire a cavarmela, in un qualche modo. Anche perché ormai avevo la certezza
di essere rimasto totalmente solo; solo contro un’intera banda di giovani
criminali violenti ed assetati di vendetta.
Il mio inquilino si distaccò da me e si diresse verso la
piccola traversa inglobata da entrambi i lati dagli edifici che davano sulla
strada, facendo rapidi gesti al resto degli assalitori, che riconobbi
facilmente. In realtà, Federico non aveva cercato chissà chi per punirmi, ma
proprio come mi attendevo aveva utilizzato quel trio con cui tempo prima
trascorrevo interi intervalli. Proprio come avevo previsto.
Luca e Giulio sgusciarono a fianco di Federico, e immaginai
che a trattenermi e a tapparmi la bocca fosse proprio quel gigante di Davide,
davvero troppo forte per me. A quel punto mi parve ovvio che mi avrebbero
trascinato proprio a fianco di quei grandi cassonetti della spazzatura che fino
a pochi istanti prima avevano offerto loro un buon nascondiglio, e che
sarebbero serviti come abile copertura per il mio probabile pestaggio.
Cercai di ribellarmi, e di uscire finalmente dalla mia inerzia,
ma non riuscii ovviamente a divincolarmi dalla stretta di quello che avevo
sempre creduto un gigante buono, e allora, mentre Davide mi trascinava di peso
e rapidamente verso il punto già raggiunto dagli altri tre, tentai di mordergli
la mano che mi aveva posato sulla bocca, ma capendo le mie intenzioni
l’assalitore mosse il suo grande arto e, con abilità, riuscì a immobilizzare la
mia mandibola.
A quel punto, non potevo fare molto. Ero totalmente travolto
dalla forza altrui. Se fossi stato un po’ più alto e un po’ più pesante, i miei
aguzzini avrebbero di certo fatto molta più fatica a sbatacchiarmi in fretta
dalla strada fino a fianco dei cassonetti, ma la mia natura esile aveva
ampiamente facilitato i loro interessi.
In una frazione di secondo, fui scaraventato a terra senza
troppi complimenti, trovandomi perfettamente incastrato tra i grandi bidoni
della spazzatura, tra quello immenso e di latta dell’indifferenziata e quello
altrettanto alto e invadente della carta, quasi appoggiati da dietro ai muri e
piuttosto stretti tra loro.
I miei quattro assalitori si strinsero su di me, mentre io
cercavo di rivoltarmi un attimo e almeno di riuscire ad afferrare con le mani
un qualche appiglio. Non ero dotato di tanta forza, ma dato che ero
momentaneamente libero, pensai che se fossi riuscito ad afferrare una parte del
cassonetto, forse sarei riuscito a spostarlo e a crearmi in fretta una
probabile via di fuga, dato che quello della carta non doveva essere molto
pesante. Ma, quasi inutile a dirlo, Davide riuscì abilmente a bloccarmi al
suolo, senza lasciarmi alcun margine di movimento.
Tremavo tutto, il mio volto doveva essere arrossato e il mio
corpo pareva rigido come uno stoccafisso, senza contare che in quel momento mi
accorsi che delle lacrime ricolme di terrore stavano solcando il mio viso,
infradiciandolo in ogni suo angolo. Fu così che mi accorsi che stavo piangendo,
e che capii che avevo smesso di lottare e che mi aspettavo solo chissà cosa, da
quel momento in poi.
Guardai per un attimo Davide, piantando i miei occhi
strapazzati dalla paura e dal pianto nei suoi, e riconobbi che pure lui non era
tranquillo, e che cercava di guardarmi il meno possibile. E compresi che stava
solo svolgendo il compito che Federico gli aveva relegato, come se quel bullo prepotente
fosse riuscito a fargli il lavaggio del cervello e a farsi obbedire ciecamente
dall’affiatato trio di amici.
Il mio prepotente inquilino si era allontanato per un attimo,
mentre Giulio e Luca si erano ritratti, ed io ne avevo approfittato subito per
attaccare Davide con l'unico strumento concessomi in quel momento, ovvero la
voce.
‘’Perché lo fai? Io non ti ho mai fatto nulla. Lasciami
andare, ti prego’’, gli dissi, supplichevolmente spaventato e a voce alta.
‘’Cosa credi, che Federico non mi abbia raccontato quando,
alcuni mesi fa, parlavi male di me e degli altri a casa, per poi mandare di
nascosto tua madre dai professori per dirci dietro? Pensavi davvero che non te
l’avremmo fatta pagare, vero, e che magari non l’avremmo mai saputo… ecco perché
negli anni scorsi avevamo sempre voti bassissimi nella valutazione sul
comportamento. Adesso è tutto chiaro e spiegato, e anche se mi sarebbe piaciuto
fartela pagare in altro modo, ora ci penserà il nostro nuovo amico a darti una
lezione’’, mi spiegò Davide, moderatamente rabbioso.
Io scossi il capo, devastato da ciò che stavo udendo e che
effettivamente non stava neppure in piedi.
‘’Federico si è inventato tutto! Giuro che non ho mai mosso
un dito contro di voi né detto nulla, e soprattutto alle spalle, e poi non
frequentiamo neppure la stessa classe! Come avrei potuto…’’.
‘’Stai zitto, una buona volta, bugiardo. Sei davvero un gran
stronzo’’. E detto questo, il mio interlocutore mi zittì facendomi sbattere la
testa contro l’asfalto sottostante.
Ero davvero spacciato, e tutto questo mi stava capitando
anche grazie alla marea di assurde falsità a cui Federico aveva sottoposto i
miei tre ex amici, che forse non erano mai stati neppure tanto miei amici e
neppure tanto intelligenti e benpensanti come credevo tempo addietro, per
lasciarsi raggirare così tanto facilmente dal primo pazzoide che aveva avuto la
fortuna di incontrarli.
Dal momento della mia cattura fino a quell’istante non
dovevano essere trascorsi più di due o tre minuti, ma per me il tempo era come
se stesse scorrendo al rallentatore. La strada era ancora sgombra, io non
potevo far nulla per salvarmi, ancora immobilizzato al suolo, e un altro mezzo
secondo dopo si piazzarono su di me anche gli altri tre.
Notai subito che Federico stringeva tra le mani una sbarra di
ferro, e sperai che non avesse davvero l’intenzione di usarla su di me. Notando
il mio sguardo atterrito, il ragazzo mi sorrise serenamente.
‘’Non preoccuparti per questa, l’ho presa solo per
spaventarti. Mica vogliamo ammazzarti, tranquillo! Vogliamo solo darti una
buona ripassata, così saremo certi che su di noi non dirai altre cose malvagie
e che non ci farai altri brutti scherzetti. In caso contrario, ti prometto che
utilizzerò anche questa, ma sta volta no’’, mi disse, sornione e beffardo, per
poi lasciare cadere il possibile oggetto contundente vicino ai cassonetti.
Ammetto che non ero assolutamente rassicurato dalle sue
parole, e approfittai del momento in cui Davide mi liberò dalla sua stretta a
tenaglia per cercare di sgusciare via, ma ancora una volta dimenticavo che
tutto era stato preparato, e non si stava improvvisando. Da solo, non avevo
margine di scampo.
Infatti, non appena fui liberato, non credetti ai miei occhi
e cercai di ruzzolarmi di lato, nel poco spazio che l’angusto e puzzolente
luogo mi offriva, per tentare di rialzarmi o almeno di infilarmi sotto un
cassonetto, anche se ciò appariva quasi impossibile, dato che non ero un gatto.
Però, avrei voluto almeno tentare, ma non me ne fu dato il tempo.
In effetti, non riuscii nemmeno a muovermi di un centimetro,
dato che un potente calcio mi colpì al costato. Da quell’istante in poi,
cominciarono a piovere calci e pugni su di me, non tanto indirizzati verso il
mio volto, bensì verso il resto del mio corpo.
Mi raggomitolai su me stesso, gemendo dal dolore, eppure le
botte continuarono a giungermi da ogni lato. Piangevo, ero disperato e soffrivo
come non mai. Facevo pure fatica a prendere fiato.
‘’Per ora basta, che dici?’’, chiese Davide dopo qualche
secondo di brutale e rapido pestaggio, quando avevo già ricevuto parecchi colpi
dai quattro prepotenti.
La sua voce nascondeva un qualche timore, e compresi che in
fondo doveva avere paura di essere scoperto. Il ragazzone non era mai stato
troppo coraggioso.
‘’Scherzi?! Fintanto che non notiamo qualche passante in
lontananza, o qualche auto, continuiamo’’, lo riprese il prepotente capo. E i
colpi continuarono a percuotermi.
‘’Anzi, voglio provare pure questa’’, tornò a dire Federico,
e dal rumore che produsse potei facilmente capire che doveva aver recuperato la
sua sbarra di ferro.
Ero finito. Gemevo, rantolavo, gridavo, ma era come se il
mondo attorno a me continuasse a girare senza che nessuno si accorgesse della
mia situazione critica e del mio bisogno d’aiuto.
Poi, i colpi cessarono per un istante e un bavaglio mi tappò
la bocca, per farmi smettere di fare rumore. E sentii il freddo del ferro che
premeva contro la mia guancia sinistra, e una risatina sommessa e cupa di
Federico, promessa di altre botte in arrivo, ancora più dolorose delle
precedenti.
Ero pronto a subire il primo colpo, a sentire quel ferro
mentre percuoteva le mie carni, continuando a rantolare a terra, e a piangere
su me stesso e sulla mia umiliazione suprema, oltre che su quel dolore fisico e
psicologico che non mi dava tregua. In due parole, ero perduto.
Proprio quando mi attendevo un’altra dolorosa percossa, però,
accadde qualcosa di inatteso.
‘’Fermi tutti! Che nessuno si azzardi più a colpirlo!’’.
Udii quegli ordini perentori, e lì sul momento non capii.
Sentii i miei aguzzini mentre cercavano di dire qualcosa, o
di fuggire, dato il tramestio che provocarono, ma quando alzai lo sguardo e mi
trovai di fronte a due carabinieri, per nulla intenzionati a lasciarsi sfuggire
il cospicuo raccolto, intesi a fatica che per me era tutto finito. Era finito
l’incubo.
E quando in mezzo ai due carabinieri apparve Giacomo, avrei
davvero tanto voluto raggiungerlo e abbracciarlo, ma ci misi un’infinità di
tempo a rialzarmi dal suolo. Ero in una situazione penosa, e riuscii a malapena
a rimettermi in piedi e a strapparmi l’improvvisato bavaglio.
‘’Non state neppure a cercare di fuggire, ragazzi. Sappiamo
esattamente chi siete e conosciamo le vostre identità, e se ve la darete a
gambe rischierete solo di aggravare la lista di reati da voi commessi. Verrete
tutti quanti in caserma con noi, e non pensate neppure a fare scherzi. Ogni eventuale
resistenza e ogni altro reato che commetterete si aggiungerà alla vostra lista
di quelli già compiuti, e tutto rischierà solo di aggravarsi. Mi auguro solo
che non vogliate peggiorare ulteriormente la vostra situazione’’, disse uno dei
due carabinieri, lentamente e con fare deciso, spiegando tutto per bene.
I miei quattro aggressori, sconvolti dal fatto di essersi
lasciati cogliere ingenuamente in flagrante, erano diventati rigidi come
statue, e difficilmente sarebbero riusciti a muoversi.
Rifiutai categoricamente di far chiamare un’ambulanza per me,
e assieme, tutti e cinque, fummo scortati verso la volante, lasciata lungo la
mia via e per metà sul marciapiede, frettolosamente, ed io, Giacomo, Federico e
Davide salimmo, lasciando gli altri due in compagnia del secondo carabiniere,
in attesa di rinforzi per portarci tutti in caserma.
Giacomo mi aiutò a camminare e a salire in auto, mentre
ancora mi asciugavo le lacrime e i prepotenti ormai erano loro ad essersi
lasciati andare al pianto. La situazione si era improvvisamente invertita.
Piangevano tutti, tranne Federico, il cui sguardo era ancora
colmo d’incredulità e di stupore.
Anch’io ero ancora stupito, e non riuscivo a capire per bene
ciò che poteva essere accaduto. Evidentemente, i miei aguzzini si dovevano
essere lasciati andare talmente tanto al mio pestaggio da non essersi accorti
che erano stati scoperti, ma qualcos’altro evidentemente mi sfuggiva.
Una volta dentro alla volante, Giacomo si avvicinò al mio
orecchio destro, per sussurrarmi qualcosa. Lo lasciai fare, naturalmente, anche
se ancora il dolore delle botte non mi faceva star sereno.
Sperai solo di non avere niente di rotto.
‘’Visto? Ti avevo detto di fidarti di me. Poi, se vorrai, ti
spiegherò tutto, ma ora non è il momento’’, mi sussurrò, per poi sogghignare.
Io mi lasciai andare sul sedile posteriore, troppo debole per
replicare, porre oppure pormi domande.
NOTA DELL’AUTORE
Buongiorno a tutti, carissimi lettori e carissime lettrici!
Beh, uno dei capitoli più duri del racconto l’abbiamo appena
letto e superato. Diciamo che, forse, d’ora in poi la strada comincerà ad
essere in discesa per il protagonista… ma le difficoltà saranno ancora tante,
da superare.
Bene, nel prossimo capitolo faremo delle… scoperte. Grazie ad
Antonio, ovviamente!
Ringrazio tantissimo tutti i lettori e i vari recensori,
sempre estremamente gentili e puntuali.
Grazie di cuore per tutto, e buona giornata! A lunedì
prossimo.