Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Chemical Lady    12/09/2016    1 recensioni
"La tradizione vuole che i soldati che muoiono oltre le Mura diventino stelle" aveva iniziato lui con quel suo tono che aveva un che autoritario anche mentre suonava rassicurante, facendole alzare gli occhi sulla volta celeste con un cenno. "Il loro ardore non smetterà mai di risplendere e illuminare il cammino di coloro che verranno dopo. Per ogni vita che si spezza, si accende una luce."
Lei sapeva che quello era un contentino, una storia per bambini, ma per il cielo, la forza che le aveva dato quel discorso l'aveva rinvigorita. Suo fratello sembrava crederci sinceramente. Una tradizione della Legione, della loro gente, di quelle persone che conoscevano il dilaniante dolore della perdita come lo conosceva lei. Nina non aveva mai capito cosa significasse davvero appartenere a qualcosa, prima di tornare dalla sua prima missione e scorgere sul volto dei compagni lo stessa amarezza che provava lei. Ma anche la stessa forte determinazione nel voler davvero credere che, quelle luci, non si sarebbero mai spente o avrebbero smesso di vegliare.
[[ Levi x OC || Un sacco di OC, like un sacco davvero]]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Levi, Ackerman, Nuovo, personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Wenn die Sterne leuchten.

 

 

 

 

 

Capitolo Nono.

 

 

 

All the writers keep writing what they write 
Somewhere another pretty vein just dies 
I've got the scars from tomorrow and I wish you could see 
That you're the antidote to everything except for me 
A constellation of tears on your lashes burn everything you love 

Then burn the ashes  in the end everything collides
 
https://www.youtube.com/watch?v=5NEDjQPq6so

 

 

 

 

Anno 846

                                                                              Nei territori invasi di Maria.

 

 

 

Nina si ritrovò a pensare stupidamente che era assurdo vivere tutta quell’avventura senza ricordare nemmeno una volta Ilse Langnar. Le era tornata alla mente mentre stava riparando l’orologio da taschino che, precedentemente, era appartenuto a Fritz Meier. Nina lo aveva rotto in modo stupido, poco dopo averlo ricevuto in dono dal padre dell’amico, ma non aveva mai smesso di portarlo con sé, dentro alla saccoccia di cuoio che le pendeva sempre dal fianco, come un porta fortuna.

Aveva avuto la fortuna di trovarne uno simile in un cassetto, in una delle stanze al piano di sopra. Stava cercando fogli su cui annotare gli scarsi progressi fatti nella trascrizione dei libri in lingua comune – non era così stupida da farlo sul suo taccuino, che sapeva le sarebbe stato requisito non appena messo di nuovo piede nelle Mura Rose- quando fra le mani le era finito quell’oggetto dall’aria vissuta, nascosto dietro a qualche scatolina vuota, sicuramente ficcato là dentro nel tentativo di tenerlo nascosto. Chiunque volesse tenerlo al sicuro ci era riuscito, perché se la giovane non avesse frugato in ogni angolo della casa, allora non avrebbe mai notato quel vecchio scrittoio, semi nascosto dietro a una porta.  Nonostante le lancette ferme, la bionda si convinse che se anche le batterie si fossero scaricate, gli ingranaggi potevano essere ancora utilizzabili. Avrebbe quindi potuto cambiare un paio di meccaniche da quello di Fritz, che Mike le aveva detto si dovevano essere rotte in seguito a una caduta e poi, settando l’orologio quando il sole si sarebbe trovato al centro preciso del cielo a segnare l’inizio del meriggio, avrebbe avuto un orario approssimativo. Avere qualche certezza l’avrebbe punto di riferimento a non perdere la testa.

Aveva quindi portato l’oggetto nella cucina e prima di iniziare lo scempio e la mutilazione di quest’ultimo, lo aveva osservato per bene. Il caso volle che, incise sull’argento dello sportellino, spiccassero le iniziali I.L., in una sorta di stramba coincidenza che però la fece riflettere. Non erano passati molti mesi da quando avevano ritrovato il corpo della compagna d’armi, intatto ad eccezione del capo che le era stato staccato dal collo. Non era quello però ad aver lasciato il segno, ma ciò che la ragazza aveva coraggiosamente riportato nelle pagine di un diario. Quando era capitato fra le mani di Nina, due secondi dopo che Levi l’aveva trovato fra i fili d’erba, la ragazza aveva compreso che non era cosa da poco. L’aveva letto per bene, una volta fatto ritorno a Trost e si era anche ritrovata a immedesimarsi nel terrore che la giovane aveva provato e che aveva reso la scrittura sempre più veloce e tremolante fino al peggiore degli epiloghi.

Ironicamente, però, Nina non aveva pensato a cosa avrebbe fatto lei al posto di Ilse. Si era adagiata sugli allori, da quando aveva cambiato squadra e si era ritrovata gomito a gomito con Levi. Pur essendo costantemente in prima linea, Nina non era mai sola e aveva le spalle coperte dal guerriero più forte dell’umanità. Un bel vantaggio.

Eppure, ripensandoci, si chiese se quella sua esperienza non potesse anche far luce sul mistero di Ilse. Forse avrebbe incontrato anche lei un gigante parlante? O magari, nella più torbida delle ipotesi, sarebbe anche lei andata incontro alla pazzia? Perché anche di questo si era discusso; forse la poverina era impazzita, da sola e spaventata.

Nina non ci aveva creduto, mentre suo fratello lo ipotizzava, perché era fermamente convinta che ci fosse della lucidità in quelle parole. Eppure, mentre guardava le lancette rianimate nel quadrante dorato, il medico si ritrovò a pensare che forse non era così assurdo.

Forse Ilse era davvero impazzita, nella solitudine dei territori di Maria.

Forse sarebbe impazzita anche lei, se non si fosse data da fare.

Con uno scatto, Nina chiuse lo sportellino, infilando l’orologio nella tasca dei pantaloni bianchi. Si mise seduta sul letto, recuperando uno dei libri che giacevano impilati a terra per riprendere il lavoro.

Li stava accumulando a poco a poco.

 

Non aveva del sapone con sé, ma la vita con Levi aveva dato i suoi frutti.

Lavare i vestiti nel torrente usando solo della cenere, per esempio, era qualcosa che era stato lui ad insegnarle. A dirla tutta, era una donnina di casa molto più brava di Nina che, al contrario, sapeva fare poco o niente. Non sapeva nemmeno cucinare e i pochi tentativi fatti si erano sempre rivelati un disastro. Per non parlare poi del modo in cui rammendava; era un asso nei punti di sutura, ma nel punto croce mancava di tecnica.

Era un po’ incosciente da parte sua uscire durante il pomeriggio, ma non ce la faceva più a vivere da reclusa dentro quelle quattro mura sino al calare del sole. Si era armata per bene, per poi strisciare verso lo scorrere del fiumiciattolo, non incontrando ostacoli.

I giganti si tenevano lontani dalla borgata ogni giorno di più, come se un solo essere umano non fosse sufficiente per attirarli. Dalla prima notte aveva notato che il loro numero e le loro visite erano calate esponenzialmente, nonostante però ne avvistasse spesso aggirarsi nel bosco che in quel momento era pericolosamente vicino.

Sperò di avere il tempo di nascondersi sfruttando le rocce attorno a lei, nel caso in cui ne fosse apparso uno. Quando meno l’avrebbe sentito. Ogni passo rimbombava con la potenza di un tuono per tutta la vallata attorno al borgo.

Erano passati sette giorni da quanto era arrivata lì, un’intera settimana a parlare solo con se stessa e Nina stava iniziando a farci l’abitudine. Per quanto questa realtà fosse triste, in un certo senso, andava bene così. Avere tutti i sensi perennemente in allerta era stancante, i nervi a fior di pelle non mancavano mai e non poteva vivere così. Per questo osava.

Se avesse vissuto ogni secondo con il terrore di morire, allora avrebbe commesso un errore idiota e sarebbe morta davvero.

Lavò i pantaloni bianchi della divisa, sospirando per la sensazione poco gradevole che quelli che aveva addosso, un pantalone nero che aveva trovato in cassetto, le dava. Era larghi sulle gambe e le cinghie dell’equipaggiamento vestivano male.

Aveva avuto il tempo di frugare nelle case per fare incetta di abiti, è vero, ma i libri l’avevano distratta.

Passò quindi alla camicetta smanicata che indossava il primo giorno, madida del sangue essiccato di Sankov e prese a strofinare così forte da pensare che avrebbe perso le dita. Per quanto la cenere fosse efficace, però, non poté molto e dei tristi aloni giallognoli rimasero ad impregnare il tessuto candido.

“Levi non ne sarebbe felice” soppesò, buttando l’indumento in una cesta di vimini, prima di passare ad altro. Fu allora che sentì un rumore.

Il sangue le si gelò nelle vene e gli occhi si sbarrarono, ma fu abbastanza veloce da ritrovarsi con le lame sguainate in un battuto di ciglia. Rimase ferma, china sul corso d’acqua con un piede dentro al fiume nel tentativo di rimanere bilanciata, sicura di essere nascosta da due speroni rocciosi. Rimase in ascolto per qualche minuto, chiedendosi se l’avesse o meno immaginato, ma quando sentì di nuovo qualcosa realizzò non solo che non era ancora impazzita, ma che quello non sembrava un gigante.

Affatto.

Rinfoderò le lame senza sganciarle dalle meccaniche, così da poterle afferrare velocemente, prima di girare attorno alla roccia.

A pochi metri da lei, incurante e pacifico, c’era un cavallo.

Tutto intento a brucare l’erba non si accorse inizialmente della presenza della giovane, che lo fissava come se avesse appena visto un’apparizione mistica.

Quello era un cavallo.

Un cavallo che poteva portarla a Trost, per essere precisi.

Sul muso lungo aveva ancora una testiera, anche se rotta e che pendeva strappata di lato, segno però che non era selvatico. Quel cavallo era appartenuto a qualcuno, probabilmente della ricognitiva.

Istintivamente, Nina si guardò attorno, prima di portare le dita alle labbra e fischiare.

Spero di non doverlo rifare, ma se quel cavallo era stato addestrato dal loro corpo militare, allora sarebbe corso subito da lei.

Cosa che non accadde.

L’animale alzò solo il muso, continuando a brucare imperterrito l’erba, guardandola con quella che Nina scambiò per supponenza.

Non s’era mai visto un cavallo supponente e per ovvie ragioni, ma il modo in cui questo tornò a mangiare le fece capire che forse la stava prendendo in giro.

Con un sospiro rassegnato – nemmeno una poteva andarle bene- avanzò di qualche passo, catturando di nuovo l’attenzione dell’animale.

Ora che lo guardava bene, doveva ammettere che quella bestia aveva qualcosa di strano. Non aveva mai visto un cavallo così.

Tanto per iniziare, sembrava più piccolo di quelli che venivano allevati dentro alle Mura Rose. Il muso era lungo, così come le zampe, sottili. Persino il colore era molto particolare, non tanto per il fatto che fosse bianco, ma per le screziature marroncine, dello stesso colore del crine, che aveva alla base della schiena, proprio sull’attaccatura della coda e sulle anche.

Non ne aveva mai visto uno così, ma infondo non ne sapeva proprio niente di veterinaria.

L’animale le permise di arrivargli vicino, ma nel momento esatto in cui Nina allungò una mano per afferrare l’imbragatura della testiera, per quanto fu delicata nei modi, questi nitrì, allontanandosi in fretta.

“No, ti prego!” disse lei, abbassando il braccio di corso e improvvisando una corsetta.

Ora che il costato sembrava esserle guarito poteva anche provarci, ma non poteva di sicuro battere un cavallo.

Lo guardò allontanarsi per la piana velocemente e lei rimase lì, come una cretina, con il cappuccio della mantella calato a metà della nuca e l’espressione più sconsolata che il suo viso potesse esprimere.

Non c’era molto da fare a quel punto, se non tornare indietro a recuperare i vestiti per poi tornare al sicuro.

Si era attardata anche troppo e il vento era cambiato, soffiandole contro.

Sarebbe stato stupido rischiare di farsi fiutare.

 

Il taccuino era ormai arrivato a segnare la metà delle pagine scritte, quando Nina prese il coltellino per affilare la punta della matita di grafite. Non aveva ancora finito di appuntare qualche impressione su quella giornata che poteva definirsi fiacca e che quindi non avrebbe occupato poi tutto quello spazio. Aveva però deciso di essere il più precisa possibile, perché laddove Ilse non aveva avuto tempo, lei ne aveva sin troppo.

Magari, un giorno, qualcuno avrebbe tratto importanti dati da eventi a detta sua inutili, poi non è che avesse chissà quale impegno.

Poteva perderci ancora qualche minuto.

Dopotutto erano sette giorni che non faceva altro se non camminare in tondo in quel borgo e annotare dati sensibili.

Prese un pezzo di pane abbrustolito, l’ultimo per la precisione, ficcandolo dentro alla ciotola contenente una misera quantità di farinata d’avena. Il solo pensiero che dal giorno successivo avrebbe dovuto ingurgitare quello schifo senza nient’altro a contornarlo le fece salire un brivido, ma la sopravvivenza veniva prima dei gusti.

Forse poteva trovare un modo sicuro per andare a caccia. In quei giorni aveva notato come un gigante potesse arrivare a percepire la sua presenza semplicemente dall’odore, anche da distanza considerevole. Aveva passato qualche ora su un tetto, nascosta dentro a un comignolo, a causa di quell’imprevisto. Se avesse trovato il modo di celare il suo odore, allora forse non l’avrebbero nemmeno riconosciuta in quanto essere umano.

Era una teoria interessante che meritava una possibilità per essere testata.

Era un mistero il modo in cui i giganti percepissero ciò che andava divorato da ciò che invece non era di loro ‘gusto’; per un essere istintivo come quello, era più probabile che a influenzarne il giudizio fosse l’olfatto più che la vista.

Segno ogni singolo pensiero, promettendo ad un lettore immaginario, che aveva il volto di suo fratello, degli esperimenti in merito. Allungò la mano sul tavolo per cercare la scatola stantia di fiammiferi rovinati dall’umidità di un sottoscala, ma essa si strinse attorno a un pacchetto rettangolare ben più grande. Prese una delle sigarette in esso contenuto e la portò alle labbra, spostando la ciotola ora vuota e sporca di residui di avena.

La sigaretta dopo cena.

Stava pensando a Fritz troppo spesso nell’ultimo periodo. Forse l’olezzo della morte la faceva diventare più che mai paranoica e nostalgica, ma le dava una certa sensazione di pace il sentire l’odore del tabacco attorno a sé. Dopo la morte dell’amico aveva smesso con quella tradizione, che aveva tristemente perso di significato e la portava a ricordare momenti che non sarebbero mai più tornati, ma aveva sempre portato con sé un pacchetto di sigarette, ora disperse insieme al suo kit medico primario, da qualche parte la fuori insieme ai corpi dei suoi compagni. Quello era il risultato dei suoi tanti saccheggi, contenuto nelle tasche di un pastrano lungo che aveva portato via e che sembrava perfetto per essere utilizzato nel suo prossimo esperimento, che avrebbe per altro compreso della fanga puzzolente. Si alzò portando con sé la candela per accendere il tubicino di tabacco, la quale poi venne appoggiata su una sedia, mentre Nina prendeva posto sul materasso. Prese uno dei libri, convinta che intanto non avrebbe cavato un ragno dal buco, ma magari c’erano altre immagini con altre didascalie comprensibili e quindi valeva la pena provare.

Appoggiò per bene il capo sul cuscino, inspirando il fumo piano e chiudendo gli occhi stanchi. Dormiva a strappi, svegliandosi spesso all’improvviso con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Le illusioni che si era creata da sola nella sua mente andavano dallo scalpitare degli zoccoli di cavalli immaginari a il crepitare delle pareti che venivano sradicate da un gigante. Nel primo caso si ritrovava delusa quando comprendeva che era solo un sogno e che ancora nessuno era arrivato, mentre nel secondo dopo esser rimasta paralizzata nel letto, sentiva un discreto sollievo.

Si sarebbero dovuti impegnare parecchio per buttar giù quella casa, sembrava un tutt’uno con la pieve.

Prese un piccolo respiro, lanciando uno sguardo alla candela e rimanendo un attimo incantata a fissarne la fiammella che danzava.

Era in quegli attimi di silenzio prima di dormire che la mancanza di Levi si faceva davvero sentire. Così tanto da sentire le lacrime pizzicarle i lati degli occhi, ma non avrebbe permesso a nessuna, nemmeno una, di scivolarle lungo la guancia. Le mancava parlargli, guardarlo…

Cazzo, le mancava anche litigarci e quando discutevano era un vero incubo. Per entrambi.

Lasciò il libro che teneva stretto al petto sul materasso, portando entrambe le mani a stropicciarsi gli occhi, mentre un mugolio basso nasceva dal fondo della sua gola, spargendosi nell’aeree statico. Ogni giorno le sembrava sempre più futile il motivo dell’ultimo litigio, così come la grande idea di lasciare la sua squadra per unirsi ad un’altra. Ci aveva fatto la figura della ragazzina – di nuovo –e non solo con lui, ma anche con Erwin.

“Questo non è decisamente il mio mese” mormorò a mezza bocca, allungando le braccia dietro al capo e tenendo la sigaretta fra le labbra, mentre pensava ancora a come doveva essere la situazione attuale a Trost. Non riusciva davvero ad immaginarsela. Chiuse un istante le palpebre, appoggiando il braccio sugli occhi così da coprirli, immaginando il moro steso sul letto della caserma, con lo sguardo fisso puntato sul soffitto, in una stanza buia e silenziosa.

Chissà se aveva piovuto anche in città, quella sera. Chissà se l’aria odorava di acqua e fogliame con quella della stanza in cui lei si ritrovava supina. La sola cosa di cui era certa, era che anche lui stava facendosi quelle domande. Perché lo conosceva e nonostante avesse dubitato un po’ nello sconforto dei primi giorni, la certezza che lui si stesse struggendo nell’impossibilità di fare qualcosa s’era fatta forte.

Lo conosceva e bastava.

Basta.

Prese un bel respiro, sentendo la cenere cadere di lato sul cuscino e abbassò il braccio, afferrando  poi il libro con decisione. Doveva tenere la mente impegnata, quei pensieri non le facevano bene.

Si sarebbe persa a pensarlo e si sarebbe addormentata con il cuore pesante.  Il giorno dopo aveva dei progetti, non poteva permettersi di essere assonnata o debole.

Fece per aprire il volume, ma non ci riuscì.

Aveva due dorsi e nessun punto in cui poterlo aprire.

Presa in contropiede, Nina fissò l’oggetto che a quel punto non poteva più dirsi un libro e si mise lentamente seduta, spegnendo il mozzicone sulle mattonelle della pavimentazione. Che scherzo era quello? Se lo passò fra le mani, battendoci il pugno sopra e costatando che dentro pareva cavo, per poi decidersi a tentare un esperimento. Sicuramente doveva contenere qualcosa e non si sa chi si doveva essere parecchio ingegnato per celarvi allo sguardo qualsivoglia segreto all’interno. Prese il coltello dal fodero nascosto nello stivale che giaceva a terra e incise una delle due parti, facendo attenzione a non rompere niente. Quando riuscì a tagliare dalla base alla cima vi scrutò dentro.

Rimosse integralmente uno dei due dorsi e nella sua mano cadde un libro più piccolo, ma dalla copertina intatta e preziosa.

Il titolo e il nome dell’autore erano scritti in lingua comune con raffinate lettere stampate in dorato e lei finalmente si ritrovò a leggere qualcosa che poteva capire senza dover ricorrere a bislacchi tentativi di trasposizione.

“Daniele Vita… Vitalevi” lesse lentamente, trovando il suono di quel nome buffo alle orecchie. Non aveva mai sentito niente del genere “Saggio sulla lingua Tedesca e la  nascita della fonetica della Comune, dalle origini alla fine del Secondo Orizzonte Libero.”

…. Oh.

“Cosa cavolo-tedesca?” Nina alzò sopracciglio, domandandosi dove fosse la Tedeschia e se magari fosse una zona interna alle mura con un dialetto proprio, se esistesse o se fosse un modo per chiamare la lingua di un luogo così come loro avevano sempre chiamato la loro ‘comune’. Ma poi… Secondo Orizzonte Libero? Libero da cosa?

Dai giganti. Libero dai giganti?

Le mani le tremarono mentre arrivava a comprendere che cosa poteva rappresentare quel testo per il mondo. Tra le mani aveva forse qualcosa di assolutamente inestimabile. Sentì la salivazione azzerarsi consapevole che quello che c’era scritto fra quelle pagine, forse, avrebbe svelato qualcosa sui giganti e sulla loro origine.

Forse sul mondo prima della loro venuta.

Forse avrebbe addirittura cambiato la sua vita per sempre.

Non era pronta per una cosa del genere, per il suo mondo che veniva sconvolto, ma prima ancora di accorgersene, stava già leggendo la seconda di copertina. Era una dedica.

‘Ben poche sono le cose a questo mondo senza le quali non possiamo vivere: l’ossigeno, l’acqua, il nutrimento e l’amore. Al mio unico e vero dedico questo mio modesto componimento, nella speranza che l’apprezzi. Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.’

“Carme 85 dal Liber di Gaio…” Quei nomi erano davvero complessi da pronunciare “Gaio Vale…Valerio? Catullo? Va bene questo è davvero assurdo.”

C’era da dire che quelle parole suonavano in modo molto simile ai nomi delle piante che aveva blandamente tradotto dal libro dell’erborista. La buona notizia era che c’era la traduzione sotto.

“Odio e amo” iniziò la giovane con tono incerto, incrociando le gambe incurvandosi in avanti così da permettere alla luce della candela di bagnare la pagina e mettere in risalto le parole “Forse ti chiederai per quale motivo io lo faccia? Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.”

Doveva essere stata una storia d’amore molto tormentata quella dell’autore e questa D.A, le cui iniziali erano state scribacchiate a mano in basso alla copertina insieme a un’ulteriore dedica, stavolta personale.

Voltò nuovamente pagina e di nuovo, di lato a destra, c’erano segnate solo una manciata di righe.

‘Inoltre, vorrei ringraziare anche i miei buoni amici Theresa e Harold che mi sono stati vicini durante le fasi di elaborazione di questa nuova lingua. Il lavoro è stato complesso e a tratti quasi impossibile, ma l’essere circondato da così brillanti menti mi ha stimolato ad andare avanti.’

Nina si rese conto che ciò che stava leggendo era forse il primo manuale scritto in lingua Comune e che Daniele Vitalevi aveva appena detto di esserne lui il creatore. Nina non era una linguista, non ne sapeva molto di lettere e di studi filologici, ma era abbastanza sicura che una persona non potesse svegliarsi una mattina e, semplicemente, creare una lingua.

Parlata in un territorio così ampio, poi.

Doveva leggere tutto il manuale prima di poterne essere sicura.

Chiunque l’avesse custodito così segretamente era a conoscenza che non doveva essere trovato dalla Gendarmeria. Chissà quante cose avrebbe scoperto anche solo su degli studi linguistici.

Forse quell’esilio oltre le mura del Muro Rose non era altro che un segno della sorte.

Forse era destinata a ritrovarsi lì, raccolta in quell’istante.

Si apprestò a voltare pagina, leccando dell’indice per far presa sulla carta lucida, ritrovandosi a fissare qualcosa che non si aspettava ma che, in fin dei conti, le aveva appena spalancato le porte del mondo.

Un sillabario dal tedesco alla lingua comune e, nella pagina accanto, un titolo pragmatico.

L’inizio delle guerre Germanico-Iberiche, la creazione degli stati liberi Franchi e l’adesione all’Impero Tedesco dei territori dell’Antico Ducato d’Italia.

 

 

 

Be careful making wishes in the dark
Can't be sure when they've hit their mark
And besides in the meantime I'm just dreaming of tearing you apart
I'm in the details with the devil

 

 

 

Anno 844

                                                   Il ghetto nella Città Sotterranea e l’arrivo dell’inverno nella Capitale.

 

 

La prima volta che Nina era scesa nel ghetto, si era chiesta come fosse possibile per il Re dormire serenamente la notte, consapevole che non occorreva morire per arrivare all’Inferno; bastava scendere una ripida scalinata verso un abisso senza colore.

Aveva solo successivamente compreso quanto ingenuo fosse quel pensiero. Cosa poteva mai importare al Re degli esuli della Città Sotterranea, che si ergeva instabile su fondamenta di lerciume e malattia?

L’aria era irrespirabile, in alcune zone. In altre sembrava andare un po’ meglio, ma l’assenza di luce era opprimente in ogni angolo.

In quel luogo i bambini nascevano, crescevano e morivano troppo presto, senza avere mai la possibilità di sentire il calore del sole sulle guance o la pioggia battente a bagnare i loro capelli.

Levi l’aveva portata un po’ in giro, fra le stradine che si snodavano in un dedalo di viuzze sconnesse simili a un labirinto, lanciandole dritte di ogni tipo su come campare in un posto del genere; in particolare continuava ad addestrarla alla lotta corpo a corpo.

Non le aveva risparmiato nulla, nemmeno quelle otto serie da venti addominali la sera precedente – che facevano ancora gridare i suoi muscoli resi deboli dalla convalescenza a letto di qualche settimana prima- però non sembrava voler calcare troppo la mano.

Non la voleva mettere in pericolo. Forse.

“Ricordi come arrivare alla piazza del pozzo?” le chiese Levi stufo, frugando nella saccoccia di cuoio di Nina per prendere qualcosa dal fondo. Se n’era rimasto sempre alle sue spalle, fin dal primo minuto in quel posto impresso in modo indelebile nella sua memoria, attendendo che lo seguisse affrettando il passo. Non era saggio indugiare troppo in quella zona che, anche quando là sotto lui ci viveva, non era mai stata parte del suo territorio di controllo. Peccato che lei non paresse aver compreso l’impellenza di camminare con una certa premura.

La giovane, che s’era chinata su un pover’uomo semi incosciente, steso sulla pavimentazione fredda, l’aveva a mala pena sentito “Quella vicina al luogo in cui ci siamo fermati l’ultima volta?” aveva di fatto domandato mentre armeggiava con la sacchetta che piccola che le pendeva dal fianco, contenente tutto il necessario per il primo soccorso. Per natura, un medico non può passare per quelle strade senza fermarsi e Nina non faceva eccezione. Non avrebbe negato un aiuto a chiunque ne avesse necessitato, anche a costo di fare cinque passi all’ora.

Levi non sembrava dalla stessa opinione però. “Esatto.” rispose sbrigativo, sempre frugando con foga.

La dottoressa  ci pensò su, usando la sola mano libera per allentare le bende che si snodavano lungo l’arto del vagabondo per controllare lo stato della gamba. Un tanfo di marcio le fece intendere che, a pensar male si pensa sempre bene, soprattutto in un luogo del genere. Si passò il dorso della mano sotto al naso due o tre volte, cercando di discernere gli odori cattivi della città da quelli della carne malata.

“Almeno mi pare” aggiunse infine, senza guardare il compagno che l’accompagnava “Sempre a nord, o sbaglio?”

Aveva in mente quel posto, però non era poi così certa di poterci arrivare. Quella era solo la seconda volta che aveva la fortuna di camminare per quelle strade virtualmente inaccessibili alle persone della superficie. Ora capiva anche il motivo per cui nessuno scendeva mai la sotto di sua iniziativa e perché i gendarmi facessero così tante storie quando venivano stanziati nel ghetto; la situazione era tragica oltre ogni logica.

Levi fece un passo indietro, guardandosi attorno prima di parlare nuovamente, lapidario “Brava. Ci vediamo là.”

Lanciò ai piedi della bionda un coltello, prima di prendere la sacca e sparire nel nulla. Nina alzò gli occhi stupefatta dal paziente per cercarlo, ma nemmeno una manciata di secondi dopo quell’assurda provocazione  di lui non  vi era più traccia.

“Mi prende in giro” disse a se stessa, finendo di assicurare i bendaggi e alzandosi in piedi col coltello in mano. Prese quindi a guardandosi attorno, un po’ tentennante “Sicuramente ora uscirà dicendomi che è uno scherzo di pessimo gusto” proseguì ancora, mentre gli occhi saettavano su ogni punto cieco e angolo di strada che la  circondavano.

C’erano delle persone, un gruppetto di bambini dall’aria poco raccomandabile nonostante l’età e qualche altro corpo steso a terra con magari un alito di vita in corpo. Ma di Levi, però, non era rimasto nemmeno il profumo.

“Lo odio così tanto.”

 

Stava girando in tondo.

Ormai si era arresa a quella scomoda verità, soprattutto dopo aver visto per la quarta volta la stessa precaria tenda verde marcio usata a mo’ di porta, in una vecchia catapecchia dall’aria instabile.

Perdersi non era in programma, in particolare in un luogo così pericoloso, ma lei non si lasciò prendere dallo sconforto; non sarebbe stato sedendosi in un angolino che avrebbe ritrovato la via. Di chiedere in giro non vi era la possibilità. Anche se avesse incontrato qualcuno di bene intenzionato – c’erano anche persone normali là sotto, grazie al Cielo- non ne si sarebbe sentita compiaciuta nel trovare un riscontro da qualcun altro. Sapeva che poteva farcela da sola a trovare quella piazza, era lì da qualche parte e se solo avesse avuto l’attrezzatura, salendo su uno dei tetti, l’avrebbe senza dubbio raggiunta in un battito di ciglia.

Sistemò una ciocca di capelli sfuggita al concio senza abbassare il cappuccio del mantello nero, prima di tornare sui suoi passi, decidendo di voltare a destra ad un bivio. Camminò a capo diritto, lasciando che il cappuccio potesse celarle il viso ma non lo sguardo determinato, riconoscendo una bottega che aveva notato con Levi quasi una settimana prima. Girò attorno al modesto stabile, scendendo una scalinata composta da lunghi gradini bassi e scomodi, arrivando alla fine a destinazione dopo aver girato un angolo cieco.

Di fronte a lei si ergeva una piccola corte con case a più piani, disposte a ferro di cavallo che attorniavano un pozzo. Le facciate, che sembravano essere state costruite con un disegno geometrico rettangolare preciso, si alternavano da un piano all’altro in un armonioso gioco, e anche i tetti rossi sembravano quasi essere fuori posto.

Un luogo così bello, seppur così in rovina, nella Città Sotterranea.

Nina si guardò attorno, notando le scalinate che conducevano alle case sopraelevate e spiando un po’ tutto attorno. Levi non sembrava esserci, ma quello era senza ombra di dubbio il posto giusto. Si appoggiò con i fianchi al polso, tirando le braccia sotto alla mantella nera per incrociarle sul petto. Rimase ferma, in attesa, osservando attorno a sé il silenzio e il buio di quel luogo.

Alzando gli occhi verso l’alto non vide niente, se non le rientranze degli speroni rocciosi e della cupola di terra. Che vi fosse il sole o la luna, non faceva differenza; si sentiva come cullata da una notte perenne, il cui silenzio feriva le orecchie, mentre gli occhi si facevano pesanti.

Soffocò uno sbadiglio, rizzandosi con le spalle quando avvertì dei rumori. Delle risa, per lo più, seguite da imprecazioni colorite e voci concitate.

Nel giro di pochi minuti, man mano che il tono cresceva, Nina poteva benissimo comprendere che non sarebbe rimasta sola ancora a lungo. Sfilò il coltello dalla cintola, stringendolo bene l’impugnatura con le dita sottili, ma per il resto non si mosse di un centimetro. Non voleva dare nell’occhio.

Sei uomini entrarono nella corte, sicuramente ebbri di vino. Non parvero notarla all’inizio, tanto che un paio di loro si erano già apprestati a salire le scalinate di quello che, a giudicare dai tendaggi rossi e dalle voci che provenivano dalle finestre aperte, doveva essere un bordello. Fu un ometto basso, più di Levi probabilmente, che la vide. Si fermò, assottigliando lo sguardo come per metterla bene a fuoco, prima di tirare una gomitata al suo degno compare, un uomo ben piazzato e col viso schiacciato coperto di cicatrici.

“Guarda, Chuck. Abbiamo ospiti.”

Bene. Molto bene.

Il tono ostile non era stato minimamente celato, tanto che il resto della compagnia aveva arrestato la marcia verso il luogo del piacere per potersi voltare nella sua direzione. Mentre la schernivano, chiamandola ‘ragazzo’ e domandandole perché si trovasse lì, Nina si fece un appunto mentale. Sei uomini ubriachi non dovevano essere poi così difficili da buttar giù. Levi sosteneva che il suo addestramento era ancora alla fase iniziale, ma Nina l’aveva sentito il cambiamento. Si sentiva più in forze, sapeva che tutte quelle corse e quei pugni dati all’aria dovevano essere serviti a qualcosa.

Guardò l’ometto avvicinarsi baldanzoso, sicura che presto l’avrebbe verificato. “Allora, ragazzo? Non conosci le buone maniere?” le disse ancora, facendo ridacchiare come ebeti un paio dei suoi amici, mentre quello che apriva il gruppo e che forse ne era il capo la guardava con annoiato disinteresse “Sei molto lontano da casa, ragazzo. Dobbiamo insegnarti un po’ di educazione?”

Nina staccò i fianchi dal pozzo, portando le mani al cappuccio per calarlo. La reazione dei suoi avversari non tardò ad arrivare, in particolare di colui che la stava provocando. Egli infatti non mascherò per niente l’ilarità “Ma cosa abbiamo qui? Che bel visetto! Scommetto  che costi cara.”

“Ti sembro una che lavora nel bordello?” chiese lei con tono leggerlo, alzando un sopracciglio leggermente divertita “Dispiaciuta di deludere tale aspettativa. Va detto, però, che sino a che è la bellezza della donna a piazzare il prezzo a uno come te va bene. Se dipendesse dalla bruttezza dell’uomo, anche la più brutta delle puttane sarebbe comunque troppo cara per te.”

Più di una risata si levò nell’aria densa, mentre l’ometto stringeva i denti, non più divertito ma ora offeso nell’orgoglio “Troia” mugolò, prendendo un coltellaccio dalla cintola e puntandoglielo contro “Adesso ti taglio quella lingua.”

Lei lo lasciò avvicinare. Non attaccare mai per prima, studia il nemico, le aveva detto Levi. Devi sempre guardarli negli occhi, quei maiali.

A dispetto di ogni aspettativa, quella tattica parve funzionare. Una stilla gelida percorse le iridi eterocrome della giovane e l’uomo parve indugiare, come colto da un’improvvisa indecisione.

“Cosa di prende Piex? Hai paura di una ragazzina?” lo spronò quel suo amico, battendosi una mano sulla coscia. “Codardo!”

Nina lo aspettò, perché sapeva che un uomo con l’orgoglio virile ferito avrebbe compiuto qualche passo in fallo. Infatti, non appena lui le si buttò contro, lei non perse nemmeno un attimo. Ruotò i fianchi per schivare il coltello e, alzando una gamba, colpì l’ometto con una ginocchiata in pieno viso, sporto in avanti nel momento in cui lui si era stupidamente sbilanciato. Cadde, perdendo l’arma e conducendo una mano al naso che ora perdeva sangue. Nina lo scavalcò, andando verso gli uomini “Signori” disse con tatto alzando una mano, quella libera dal suo coltello, oltre il bordo della mantella nera lunga “Non c’è motivo per finire tutti con la faccia nella terra” proseguì sicura, guardandoli uno ad uno “Sono certa che questa incresciosa situazione si possa risolvere con-”

Non riuscì a finire perché fu il turno dell’uomo piazzato di lanciarsi su di lei, forse per vendicare l’onta subita dall’amico. Anche lui finì a gambe all’aria per lo stesso errore. Si era sbilanciato così tanto che Nina non aveva nemmeno avuto bisogno di alzare una gamba: con una gomitata fra capo e  collo l’aveva spedito a farsi un pisolino. Poi la attaccarono in coppia e lei – che nemmeno sapeva come aveva fatto, riuscì a evitare anche le loro armi, spazzando via i loro piedi dopo essersi appoggiata con una mano a terra. Un calcio in viso a testa li aveva resi inoffensivi. Il quinto uomo non parve volersi muovere dalla sua posizione ritta accanto al capo, il quale invece scese i gradini fronteggiandola. Nelle iridi praticamente nere dell’uomo Nina lesse qualcosa. Non sarebbe stato semplice come gli altri. Per questo fece uscire la mano da sotto la stoffa nera, mostrando la lama lucida.

Non aveva ancora avuto l’occasione di provare a usare un’arma da taglio, mentre invece le mani le aveva già menate un paio di volte.

Levi però le aveva spiegato bene come muoversi anche in quella circostanza e l’aveva fatto la prima volta che l’aveva portata nel ghetto.

La lama è un prolungamento del tuo braccio, aveva spiegato con pazienza, mostrandole come impugnarla in modo che il filo da taglio rimanesse esterno al suo corpo, con la punta rivolta verso la giovane che l’aveva quindi impugnato a rovescio. Ricorda che se decidi di attaccare per prima per necessità, non devi guardare il tuo coltello, ma quello del tuo avversario. Il tuo devi sentirlo parte di te, come se invece di un oggetto, tu fossi in procinto di attaccare con le unghie. Pensa sempre molto bene prima di farlo, però. Portare via la vita di un uomo non è come farlo con un gigante; starà poi a te dormirci la notte.

Nina non voleva uccidere proprio nessuno, se mai difendersi.

Attese quindi di vedere mostrate le intenzioni del capo, ma a rovinare tutto ci pensò quell’insulto ometto. Nina si sentì incredibilmente stupida quando la afferrò per le spalle, puntandole il coltellaccio alla gola. Si era già ritrovata in quella situazione e non le era piaciuto la prima volta. La seconda non fu comunque da meno.

“Lascia il coltello. Ora!”

Non se lo fece ripetere, aprendo le dita e lasciando cadere l’arma sul terreno.

Capiterà ancora che tu venga minacciata. Il segreto è mantenere la calma, non mostrare la tua debolezza. Aspetta l’occasione giusta.

Il fiato corto le si stabilizzò, così come il viso. Stese le labbra in un piccolo sorriso,  prima di parlare “Attaccare alle spalle è proprio da codardi” iniziò con tono soffice, inclinando di lato il collo e cercando di capire come uscirne “Non che mi aspetti altro da uno come te.”

“Stai zitta!” le strillò Piex nelle orecchie, graffiandole la pelle delicata del collo con la punta del coltello. Nina deglutì, ma si mantenne fredda, cercando di capire quando sarebbe stato davvero il momento giusto. “Ti aprirò la gola da un orecchio all’altro e così imparerai a portare rispetto.”

“Deve esserci poca gente a rispettarti se è questo il metodo.”

“Cosa hai detto!?”

Ora. Nina portò una mano sul suo stesso collo per difenderlo, mentre con l’altra assestava all’uomo un bel cazzotto in mezzo agli occhi. Un altro che s’era alzato la afferrò le la camicia strappandola sul fianco nel tentativo di tenerla a sé, ma Nina l’aveva già colpito con un calcio in pieno viso.

Seppur circondata dagli altri quattro, era libera. Ruotò su se stessa per guardarlo, mentre estraevano le armi e commentavano volgari il modo in cui si sarebbero divertiti con lei prima di ucciderla.

Quattro erano un po’ troppi, ecco. Uno alla volta poteva provare a gestirlo, soprattutto se così incompetente, ma quattro…

La sicurezza le venne meno, ma la vera sciocchezza fu scordarsi che non era sola.

Oi, stronzi.” La voce di Levi li investì con la sua pacatezza, ma mentre Nina lo guardava rassicurata, gli uomini sbiancarono. Anche il capo del branco, che fino a quel momento s’era dimostrato altero e fiero, vacillò. “Pensate di levare le tende o devo spaccarvi la testa uno ad uno?”

Piex alzò il capo da terra, sgranando gli occhi fin quasi a rischiare di perderli. Poi, lentamente, alzò un braccio e puntò l’indice verso Levi, che lo fissava freddo come il ghiaccio “Il Demone” sussurrò con tono tremolante, “Il Demone è tornato!” gridò infine, mentre i suoi amici si sbrigavano a correre via. Venne aiutato da Chuck e insieme a lui sparì sotto all’arcata di accesso alla corte, più veloci del pronunciare la parola ‘codardi’.

“Per davvero? Demone?” Nina raccolse il coltello, andandogli incontro, e sistemandolo nella cinta “Hai una bella reputazione, devo ammettere.”

“Era un po’ che nessuno mi chiamava così” rispose lui, apparentemente senza emozioni particolari in merito, scostandole il mantello da davanti per  guardare che non fosse ferita. Passò anche le dita sulla pelle esposta del fianco, laddove si era strappata la camicia, facendola rabbrividire “Sei stata imbarazzante.”

La bionda tornò in sé, cercando di dimenticare quella carezza “Perdonami?” chiese con tono perplesso “Sono stata bravissima” si disse infine da sola, sistemandosi di nuovo il cappuccio e seguendolo “Non hai visto come li ho atterrati?”

“Hai permesso a quel patetico scherzo della natura di afferrarti alle spalle. Mi aspetto molto di più da te.”

Nina si morse la lingua, consapevole che Levi aveva ragione. Appoggiò una mano sul fianco, chinandosi alla sua altezza per spiarlo “Ammetterai però che sono migliorata” gli disse cauta, giusto per non calcare la mano “Una cosa del genere non me la sarei mai sognata fino a qualche mese fa.”

“Non ho intenzione di gratificarti fino a che non farai tutto come si deve” le spense l’entusiasmo Levi, prima però di sospirare “E comunque” proseguì quindi “Anche un idiota sarebbe migliorato arrivati a questo punto.”

Lei gli sorrise, tornando a mettersi diritta. Scelse di smettere di insistere “Cosa facciamo, ora?”

L’uomo si guardò attorno, come indeciso. Lei lo percepì, infatti parlò di nuovo “Questo posto è speciale? Mi ci hai portata anche l’altra volta.”

Lui parve un po’ riottoso all’inizio, ma poi con un cenno del mento indicò una delle case “Ho vissuto qui tutta la mia vita” le fece sapere, stupendola con dei dettagli sul suo passato. Solitamente lui non raccontava niente “Era la casa di mia madre, poi mia e di Farlan.”

Lei guardò quella porta intensamente, come se cercasse la risposta alle mille domande che giravano attorno alla figura misteriosa di Levi “Deve essere stata dura” disse infine, “Crescere in un luogo del genere, pieno di farabutti e puttane.”

Per un istante, Nina notò un’ombra attraversare il volto dell’uomo “Sei così superficiale” le disse tagliente, facendole incassare il capo fra le spalle per il tono che aveva usato “Per voi della superficie è facile: vedete questo posto e pensate di conoscerne gli abitanti. Ti rivelerò un segreto, Nina, quindi ascolta molto bene perché potresti anche imparare qualcosa” fece un passo verso di lei, fronteggiandola nonostante i quindici centimetri che la elevavano rispetto a lui. Nonostante ciò, Nina si sentiva microscopica sotto quello sguardo freddo “Qui sotto sarà tutta merda e puttane, come dici tu, ma almeno lo puoi vedere. Hai tutto sotto al naso e sai cosa ti aspetta. Lassù, invece, i ladri e le troie vanno in giro vestiti di tutto punto, acclamati e amati, mentre il popolo muore di fame, di pestilenza e di stenti. Preferisco mille volte un mondo sincero ma che puzza di fogna, di uno che è imbellettato ma marcio fino alle fondamenta.” Non staccò gli occhi dal viso lentigginoso della giovane per tutta la sfuriata soffiata a un palmo dal naso, prima di socchiudere ancor di più gli occhi, girandole attorno “Andiamo adesso, inizia a farsi tardi e dobbiamo arrivare per cena.”

Lei non gli permise di allontanarsi. Lo trattenne per un polso, abbassando il capo e lasciando che il cappuccio le nascondesse il viso pentito.

“Perdonami” sussurrò con tono piccolo, come una bambina. Lui non si mosse dal suo fianco “Sono stata una stupida, non intendevo offenderti, ma so di averlo fatto. Non so niente di questo posto, quindi scusami.”

Levi chiuse un attimo gli occhi.

Le abbassò il cappuccio, accarezzandole i capelli sul capo “Sei una cretina” disse spicciolo, mentre lei lo guardava con i grandi occhi scintillanti piegati dal pentimento “Ora smettila e andiamo.”

Dannata ragazzina.

 

Ad aspettarli in cima alla quarta scala che conduceva fuori dal ghetto non c’era il sole al tramonto, ma una pioggia battente.

Arrivarono a casa bagnati fradici, tanto che Jara ironizzò chiedendo se avevano deciso di farsi una nuotata nel pomeriggio. Erano stati spinti quasi a forza nella toletta dalla ragazza corpulenta, che aveva piazzato nelle loro mani tutto l’occorrente per asciugarsi mentre preparava un bagno caldo.

Levi era stato così galante da far andare Nina per prima, soprattutto in virtù del fatto che aveva già preso a starnutire.

Lui sconfisse il freddo di metà ottobre sedendosi sul bordo del camino del soggiorno, avvolto in una coperta spessa di lana, in attesa del suo turno.

Alla fine, Nina ci aveva messo così tanto che si erano ritrovati a dover cenare prima ancora di permettere al soldato di lavarsi. Lei si era scusata, mentre Franz continuava a ripetere che non cambiava proprio mai. Quella parentesi però permise a Jara di cambiare l’acqua, sostituendola con dell’altra più calda.

Quando aveva potuto trovare ristoro nell’acqua calda e profumata di sapone, Levi era rinato. Si era concesso qualche minuto in silenzio, con la nuca appoggiata sul bordo di ceramica della vasca dai piedi leonini e gli occhi chiusi. Aveva ascoltato la voce della figlia del dottore chiamare il fratello, la risposta seccata di Fritz e i passi frettolosi per la stanza. Così come anche Levi, pure il ragazzo era di partenza. Sarebbero usciti la mattina successiva insieme alla volta del nord. Mentre Levi aveva da assolvere qualche incombenza per conto di Erwin e del Comandante nei distretti del Muro Rose e del Muro Maria, Fritz aveva trovato la sua collocazione definitiva nel distretto di Nedlay.

Inutile dire che lui si era ritrovato sconfortato alla notizia, mentre Nina aveva scritto furiosa a Erwin, che doveva essersi scordato di raccomandarlo. Levi, d’altro canto, non sapeva perché si sentiva quasi sollevato all’idea di non averlo attorno a sé a Trost. Rifiutandosi di credere che fosse geloso, aveva attribuito quel sentimento al fatto che Fritz, per quanto così accomodante, non gli piaceva un gran che. Non sembrava figlio di suo padre, alle volte lo trovava insulso, così succube.

Era definitivamente geloso, anche se piuttosto che dimostrarlo, si sarebbe annegato da solo in quello stesso momento.

Attese fino a che l’acqua si fu fatta anche troppo fredda, prima di avvolgersi in un asciugamano, uscendo dalla toletta per dirigersi nella mansarda in cui dormiva, ma solo dopo aver sfiatato la vasca che riversò l’acqua lentamente in una canaletta di scolo che portava all’esterno.

Quando arrivò nella sua stanza, dopo aver salito almeno una ventina di ripidi gradini, non la trovò vuota. Con il naso ficcato in un libro spesso come la sua testa, c’era Nina. Se ne stava stesa sul letto, a pancia sotto, con il tono enorme appoggiato a un cuscino. Gli lanciò una veloce occhiata quando lo vide entrare, ma non disse nulla, limitandosi a inumidirsi il pollice con la lingua per poi appoggiarlo sull’angolo della pagina.

“Che ci fai qui?” domandò lui.

Nina voltò pagina “Sono in fermento per la partenza di Fritz, di sotto” rispose, interrompendosi a causa di uno sbadiglio “Ho bisogno di silenzio per studiare e dove posso trovarne se non qui?”

La studiò, lasciando scivolare lo sguardo lungo il suo profilo, fino alle spalle coperte da una pesante sciarpa verde e al vestito da casa grigio che la copriva fino alle caviglie, cadendole addosso senza una forma precisa. Poteva nuotarci dentro a quell’ammasso di stoffa.

Nina gli faceva un po’ pena, con gli occhi a mezz’asta per la stanchezza che pretendevano di rimanere concentrati. Era distrutta. “Dovresti dormire” le disse, notando che fra le dita reggeva un rametto di lavanda secca che, di tanto in tanto, accostava al naso.

“Non posso” fu la risposta della ragazza “Se non finisco almeno questa parte entro dopodomani, non andrà molto bene all’esame di chirurgia.”

Il moro non replicò oltre. Si sfilò l’asciugamano da attorno alla vita, appoggiandolo contro la testiera del letto per farlo asciugare. Nonostante la totale nudità non parve essere a disagio, così come Nina non si fece poi molti scrupoli a guardarlo. Quando i loro occhi però si incontrarono, entrambi ripresero a fare ciò che dovevano. Lei girò nuovamente la pagina, vagamente soddisfatta, mentre lui iniziava a vestirsi con i capi comodi che usava per dormire. Si sedette sul letto, sfregandosi bene i capelli e solo allora, mentre teneva le braccia sollevate al capo, Nina notò qualcosa.

“Perché hai un braccio bendato?” Lui parve irrigidirsi appena e subito si sbrigò ad abbassare la manica della maglia nera. Lei però fu più veloce e dopo essersi messa seduta, lo prese per il polso “Ti sei ferito oggi?” chiese stranita, tirandolo verso di sé così che potesse voltarsi verso di lei.

Levi non strappò via il braccio dalla sua presa, però le prese a sua volta il polso, per far sì che lei lo lasciasse “No” rispose senza particolare interesse, permettendole di stringergli piano la mano quando le abbassarono sul materasso “Questo è una sorta di…. Non saprei come definirlo. Diciamo che è una cosa di famiglia.”

Nina piegò di lato il capo. “Come un marchio?” domandò e lui annuì lieve. “Deve essere una cosa segreta se lo tieni coperto con una benda.”

“Lo è.”

“Quindi non posso vederlo?”

“No.”

Nina gli lasciò la mano, tornando a buttarsi stesa sul letto, incassandosi fra i tanti cuscini che Jara aveva lì posizionato quando aveva preparato la stanza al loro ospite. Lui lo sapeva benissimo quando la biondina poteva essere curiosa e nonostante ciò non si curava minimamente della cosa. Forse ci godeva addirittura nel darle informazioni scarne a mezza bocca circa il suo passato.

“Mi chiedo se un giorno potrò dirti di conoscerti, Levi e basta.”

Lui parve quasi divertito dall’affermazione, poiché un lato delle sue labbra si incurvò appena verso l’alto “Cosa c’è che vorresti sapere?”

Recuperò il libro, Nina, prima di mettersi a pensare a una domanda diretta che non gli desse motivo per svicolare il discorso come era solito fare.

C’era così tanto che voleva sapere, a partire dal suo cognome o da che fine avesse atto la sua famiglia.

“Perché ti sei proposto volontario per andare a Briemer?” chiese infine, postando tre cuscini dietro alla schiena per starsene sollevata.

Intanto, il moro aveva preso a sistemare una sacca per il viaggio. Infilò al suo interno qualche vestito e dei grossi calzettoni di lana che avevano comprato un paio di giorni prima al mercato. A Briemer a fine ottobre faceva già più freddo che a Trost in pieno inverno.

“Perché Erwin mi ha detto che questo tipo di ordini diretti vanno portati in fretta” fu la risposta tattica dell’uomo.

Nina lo guardò con un sopracciglio alzato, “Come no” rispose sardonica, aprendo il libro e guardando il disegno della sezione anatomica di un polmone, prima di proseguire “Nessuno va a Briemer per fare un favore a qualcun altro. Nemmeno tu. Quel posto dicono sia virtualmente impossibile da raggiungere, soprattutto in inverno. Mi stai davvero dicendo che preferisci rischiare di rimanere bloccato la per mesi solo perché vuoi portare le rassegnazioni di Shadis al Capitano Schimdt?”

“Non credi che lo farei?”

“Non lo faresti mai, Levi.”

L’uomo le lanciò un’occhiataccia, chiudendo la sacca e appoggiandola a terra. Girò quindi attorno al letto, iniziando a sistemare con precisione le cinghie dell’attrezzatura sul baule ai piedi del materasso, “Sei fastidiosa come una talpa che prova a spiantare una rapa.”

Nina rise, sedendosi con le gambe incrociate mentre lo guardava impegnato in quel lavoro certosino.

“Mai pensato di scrivere poesie?” lui non si degnò di replicare quell’ennesima provocazione, così lei si sporse in avanti, appoggiandosi con i gomiti proprio laddove il materasso terminava. Gli sorrise un po’ civettuola “Ti prego” pigolò “Dimmi perché sei così interessato a Briemer. Lo so che hai fatto delle domande al dottor Meier su quel posto. L’abbiamo capito tutti  che hai interessi là.”

Messo con le spalle al muro e certo che non se la sarebbe cavata semplicemente mandandola al diavolo, Levi appoggiò le mani sulle gambe. Rimase inginocchiato accanto al baule, mentre con il tono più acido che riusciva ad avere sputava una sola frase.

“Sto cercando una donna e un bambino.”

Forse fu il modo vagamente allusivo o forse solo lo sguardo che le riservò, ma Nina perse del tutto il sorriso e anche un po’ di colore sulle guance. Levi non seppe dire se l’ombra che le passò nello sguardo fosse solo un po’ di rabbia, ma non disse altro. Tornò a sedersi contro i cuscini e riaprì il libro, immergendosi nella lettura.

L’aveva combinata grossa.

Con un sospiro rumoroso che parve più un ringhio, Levi si alzò in piedi e andò verso la piccola scrivania incastonata sotto al lucernaio della mansarda. Almeno aveva smesso di fare domande.

Prese posto sulla sedia e prese a visionare la documentazione che Erwin aveva spedito qualche giorno prima da Trost. Un po’ di roba andava lasciata a Nedlay, ma il grosso – comprese una sorta di norme comportamentali strane che Levi non indagò oltre- doveva arrivare direttamente al distretto più a Nord delle Mura Maria. Lesse sbrigativo qualche passo, per lo più c’erano le rassegnazioni alle squadra e l’approvazione o meno di richieste. Levi era rimasto un po’ sorpreso quando erano arrivate anche le loro, di rassegnazioni. Erwin lo aveva preteso nella sua squadra, la centrale di comando dell’avanguardia. Nina invece era finita nelle retrovie, nella squadra di Hanji, visto che il Caposquadra Ness avrebbe preso come di ruotine le reclute dell’anno, alternandosi a Thoma.

Erano ai lati opposti della formazione, il che era strano visto che sembrava che il Capitano Smith avrebbe chiesto di avere la sorella con sé, una volta slegata dal primo gruppo di difesa carri. Invece era finita con un paio di amici nella squadra dei ‘matti’ della Zoë.

Forse perché era il gruppo che maggiormente si avvicinava ad una unità medica e scientifica.

Levi si alzò nuovamente, andando a ficcare tutti quei fogli nella sacca. Una volta al letto, Nina gli parlò nuovamente.

“Dovresti tenere i permessi per passare le porte in cima o a Nedlay dovrai perdere parecchio tempo.”

Levi notò che, in primo luogo, era davvero arrabbiata. Aveva usato un tono piatto e dimesso e non l’aveva guardato manco per sbaglio, rifiutandosi di staccare le iridi eterocrome dalle pagine. Secondariamente, aveva parlato di qualcosa che lui non possedeva affatto.

“Permessi?”

“Sì. I fogli firmati da Erwin o da Shadis che ti permettono di spostarti delle terre di Sina verso il nord” non ricevendo risposta, Nina alzò lo sguardo sul volto di Levi. E capì “Erwin si è dimenticato di farti i permessi, vero?”

Quello era un bel problema.

La memoria di suo fratello ogni tanto perdeva dei punti. Oppure sapeva che sua sorella avrebbe rimediato ogni cazzata fatta, anche a livello burocratico.

“Dovrai rimandare la partenza” snocciolò però la bionda, tornando ai suoi studi.

Lui non smise di fissarla “Oppure?”

“Oppure cosa?”

Il moro si stizzì, “Senti, cretina, o hai una soluzione per questa stronzata che il tuo amato fratello ha fatto, oppure ti mando a Trost a calci in culo per farmi fare i permessi.”

“Guarda che tu non sei nessuno” rilanciò subito lei, a sua volta irritata, guardandolo negli occhi “Io sono un tuo ufficiale superiore, soldato semplice Levi e basta.” Il moro incrociò  le braccia sul petto, senza smettere di aspettare la soluzione a quel casino. Alla fine, Nina cedette. Si mise seduta, chiudendo il libro dopo aver appoggiato fra le pagine il rametto di lavanda “Prendi fogli e calamaio.”

Le porse quanto richiesto, sedendosi sul letto per reggere la boccetta di inchiostro, mentre lei appoggiava le pagine immacolate sulla copertina del libro. La guardò intingere la punta del pennino dentro all’inchiostro nero, attenta a non macchiare le coperte “Non credevo che tu avessi l’autorità per autorizzarmi ad andare a nord.”

“Infatti non ce l’ho” rispose Nina, ora attenta e concentrata sulla scrittura.

Lei rimase di sasso a quelle parole “Quindi cosa pensi di fare? Sei inutile.”

“Stai zitto?”

Per circa dieci minuti nella stanza non volò una mosca. Nina scrisse, inclinando di lato il capo quando terminò e si perse a leggere da capo tutto. Alla fine lasciò una firma svolazzante in fondo e portò il foglio al viso, soffiando piano sull’inchiostro per farlo asciugare più in fretta. Quando lo passò a Levi, questi rimase senza parole.

Non era possibile dimostrare che quello era un falso  in mezzo a tutte le carte che Erwin gli aveva fornito. La scrittura era pressoché identica e anche la firma pareva autentica.

“Hai falsificato la firma di tuo fratello?” chiese quindi, controllando che l’inchiostro fosse asciutto per poi piegare in quattro il foglio e ficcarlo nella tasca della giacca beige d’ordinanza.

“Lo faccio sempre” gli rispose lei con tono non curante, grattandosi il mento che sporcò di nero. Doveva esserle rimasta un po’ di china sulle dita e lei non parve accorgersene “Erwin ha tanto per la testa e per quanto sia zelante, capita spesso che dimentichi qualcosa. Diciamo che ho un’autorizzazione ufficiosa a compilare qualche modulo se lui ha dato il suo consenso.”

“Come hai imparato a farlo?”

Ora era lui a fare delle domande e lei per un attimo penso che, per giustizia, avrebbe dovuto non rispondere affatto. Alla fine, però, decise di lasciar stare. Lo guardò tornare verso la scrivania, dove iniziò a sua volta a scrivere qualcosa “Non lo so” fu la risposta sincera della bionda, mentre passava le dita sul dorso del tomo di medicina, guardandone la copertina di pelle color terra bruciata “Fin da quando sono piccola ho sempre avuto una buona memoria; mi basta leggere una cosa o sentire una canzone per non dimenticarla mai. Vale anche per le strade, per le poesie e per i nomi. Se vedo il volto di un uomo anche una sola volta, allora lo riconoscerò in mezzo a cento. Così come il tuo braccio, anche la mia famiglia ha un marchio, che però non è visibile.”

Il moro si ricordò di una frase detta della bionda “I Müller non dimenticano” citò, senza smettere di scrivere.

“Allora ogni tanto mi ascolti.”

La conversazione cadde lì, poiché Levi era troppo impegnato per continuare il circolo vizioso di provocazioni che sarebbe nato in breve tempo. Al contrario di Nina non era molto bravo a scrivere lettere e rapporti, quindi doveva concentrarsi e prestare attenzione. La persona che aveva insegnato a leggere e a scrivere a Levi non era di certo erudita, quindi nemmeno lui vantava un gran repertorio lessicale, anche se aveva sempre letto in un modo o nell’altro, quando riusciva a procurarsi dei libri nella Città Sotterranea.

Ci provò a concentrarsi, ma sentiva che c’era qualcosa di irrisolto. Sbuffò, scocciato dal fatto che Nina si fosse offesa prima. Oppure non voleva lasciarla in una tale incertezza alla vigilia di una partenza? Levi non sapeva dirlo.

Si appoggiò con la schiena alla sedia, portando una mano agli occhi che la debole luce della candela stava stancando. Alla fine si decise a rompere il silenzio, giusto per dar pace a se stesso.

Non lo stava facendo per lei, nella sua ottica.

O almeno di questo si stava convincendo.

“La donna si chiama Gretha” iniziò quasi con titubanza, appoggiando il pennino nella boccetta “Mentre il bambino è-”

Non serviva terminare la frase, perché Nina s’era addormentata. Il libro appoggiato al petto, con le mani incrociate su di esso e l’espressione un po’ tesa persino nel placido sonno. Il capo era leggermente inclinato verso di lui, sui cuscini e le labbra si erano schiuse. Levi rimase a fissarla per qualche minuto, prima di alzarsi per toglierle il tomo di dosso. Le alzò piano le gambe, coprendola con le coperte pesanti di lana e lei, nel sonno, si spostò disturbata, mettendosi sul fianco, ancor di più rivolta verso di lui.

“Cosa dovrei farci con una cretina come te?” domandò sottovoce, spostandole i capelli che le erano finiti sul volto indietro, sulla nuca, prima di leccarsi il pollice per levarle l’inchiostro dal mento. Era crollata, spossata dagli allenamenti e dalla visita nel ghetto e forse anche dall’estenuante conversazione che avevano avuto. Levi non era il massimo dell’arte oratoria, certo, ma il provocarla non era stato gentile da parte sua.

Soprattutto perché lui aveva da tempo capito i sentimenti di quella giovane sempre sorridente.

Bussarono alla porta mentre Levi stava tornando alla scrivania e, sullo stipite, apparve Fritz. Il ragazzo lo guardò, prima di spostare lo sguardo su Nina addormentata. Fece un paio di passi nella stanza, guardandola con un sorriso dolce sulle labbra “La stavo cercando” ammise, sistemandole le coperte sulle spalle mentre Levi incrociava le braccia sul petto “Volevo augurarle la buonanotte, ma doveva essere davvero stanca.”

Fritz adocchiò il libro nelle mani di Levi, che non commentò nemmeno una parola che gli era stata rivolta.

Meier portò invece le mani nelle tasche dei pantaloni, guardandosi attorno giusto per non essere costretto a spiare le iridi fredde del moro “Se non è un problema la lascio qui” disse, sempre parlando piano “Mi dispiacerebbe spostarla. Difficilmente si addormenta senza bere la valeriana.”

Quella era una cosa che Levi non sapeva.

Non dimostrò sorpresa, ma ciò non significava che non ci fosse rimasto di sasso. Nina, che sembrava prendere sempre tutto alla leggera, non era poi così diversa da lui che dormiva tre ore a notte quando andava bene.

“Puoi lasciarla lì. Non credo dormirò molto, non mi infastidirà.”

Fritz annuì veloce, iniziando già ad avviarsi alla porta “Dovresti, Nedlay è lontana da qui e la cavalcata sarà lunga. Ci vediamo domani mattina.”

Levi gli dedicò un cenno, facendo per voltarsi.

L’altro non pareva aver finito, però “Volevo dirti grazie” disse a sorpresa, facendo tornare l’uomo a voltarsi verso di lui “Per quello che fai per lei” proseguì il dottore, un po’ impacciato. Sembrava gli costasse qualcosa dirlo, ma il sorriso che gli rivolse non fu per questo falso “Grazie.”

La porta si chiuse, lasciando interdetto il moro.

“Sono tutti dei pazzi in questa casa” fu il solo commento che gli venne in mente, soprattutto pensando all’infatuazione del giovane per la ragazza che ora gli dormiva nel letto. Invece di prenderlo a pugni preferiva ringraziarlo perché si prendeva cura di Nina, come lui non era autorizzato a fare? Che sciocchezza. Levi non le avrebbe mai capite quelle maniere.

Decretò che la giornata poteva anche finire così. Spense una candela e andò con l’altra verso il letto.

La spense solo quando si fu steso accanto a Nina, che dormiva beata. Inizialmente si stese col volto verso il tetto, ma poi si mise su un fianco per guardarla in viso. Alzò una mano, premendo l’indice fra i suoi occhi, laddove le sopracciglia arrivavano a toccarsi tanto la fronte era corrugata. Dopo qualche secondo Nina mugolò infastidita, muovendo una mano e afferrandogli il polso nel sonno “Rielke…” sussurrò con tono scocciato senza destarsi, rimanendo poi con la mano dell’uomo nella sua.

Era la seconda volta che succedeva quel giorno? Forse la terza. Di nuovo, Levi non interruppe il contatto.

Rimase lì a guardarla, nel momento in cui i suoi occhi si abituarono all’oscurità, sentendosi investito dal profumo di lavanda che sembrava emanare.

Iniziava a diventare un bel problema, quell’attaccamento che provava per lei.

Non lo voleva.

Però non poteva nemmeno decidere di non provare nulla.

 

Quando scesero a mangiare qualcosa prima della partenza, la mattina era ancora lontana. Fuori il cielo era ancora color pece e l’aria era parecchio fredda.

“Deve aver nevicato al nord” disse il dottor Meier mentre richiudeva la porta, andando ad appoggiare sul tavolo qualche pagnotta ancora calda che aveva preso dal panettiere all’angolo.

Nina sbadigliò rumorosamente, mentre accanto a lei Fritz imprecava a denti stretti, pensando a quanto sarebbe stato ‘divertente’ trovarsi a Nedlay di lì in avanti “Non fare così” gli disse la bionda, accarezzandogli il braccio “Il soggiorno a Nedlay è temporaneo no? Non ti hanno ancora riassegnato in via ufficiale. Chiederò a Erwin ogni giorno di insistere con Shadis e in primavera saremo di nuovo insieme.”

A quelle parole, gli occhi di Fritz si illuminarono, mentre di fronte a lui Levi mangiava pane e beveva latte come se tutto il resto non fosse importante “A Trost?”
Nina annuì, sorridendogli “A Trost.”

“Intanto ci rivediamo per i Fuochi di Stohess, no?” chiese Leopold, che era arrivato da cinque minuti per salutare il caro amico e aveva la faccia di qualcuno che non si era nemmeno coricato per dormire “Non starai lontano molto dalla tua Nina.”

Il diretto interessato arrossì, mentre la giovane ridacchiava piano “Avrò si e no tre giorni di licenza, a dicembre” commentò amareggiato Meier.

“Giusti per la fine dell’anno” ricantò Jara, servendogli il the.

“Siamo stati tutta l’estate in Capitale” gli ricordò Nina, rubando un biscotto “Fino alla fine della prossima primavera non avremo licenze per forza.”

“Vorrà dire che verrò a trovarvi io” si intromise il rosso gendarme, appoggiando le braccia al tavolo e affondandovi il viso “Preferisco andare a sud però, che a nord!”

“A nessuno piace il nord” confermò Fritz, “Voglio dire…. A oriente tira sempre in vento. A Renin piove e basta. A Nedlay invece nevica solo, quindi non usciremo da Briemer perché quando il tempo è brutto non si fanno missioni. Cosa faremo tutto l’inverno?”

“Se ti consola a Shigashina non succede mai niente” lo informò Nina “Sono settanta anni che non c’è  niente di noto, ma almeno il clima è buono.”

Il padrone di casa ascoltò i giovani parlare, guardando di tanto in tanto Levi. Alla fine si rivolse a lui mentre questi porgeva la ciotola vuota a Jara e si alzava per infilare la giacca e la mantella. Era ora di andare “Tornerai o andrai direttamente a Trost, Levi?”

Il moro guardò verso Nina, non rispondendo subito “Non guardare me” disse lei “Io sono qui fino al dieci di novembre, non posso aspettarti, riprendo servizio il dodici e anche io ho quattro giorni di licenza per l’ultimo dell’anno.”

“Dovrei tornare prima.”

“Se non nevica” gli ricordò Leopold, tenendo affondate le mani nelle tasche del cappotto di ordinanza, mentre usciva insieme a un Fritz ormai rassegnato al suo destino.

Nina abbracciò l’amico, raccomandandogli di scrivere, mentre accanto a lei Jara sellava il cavallo e parlava al fratello come se fosse scemo. Leopold gli concesse un paio di pacche sulle spalle, ricordandogli che a nord le puttane costano meno, “Anche se ti conviene tenertelo nei pantaloni, o potrebbe caderti col freddo!”

Tutti risero, eccetto Levi che sembrava preso dal sistemare la sua sacca sulla sella di Meruka.

“Vorrei avere un piano B” disse Fritz, appoggiando una mano sul fianco di Nina e l’altra sulla spalla del migliore amico.

“Il nostro piano B di solito è un piano Birra” gli fece sapere Leo, suscitando di nuovo qualche risata “Il che è anche un ottimo consiglio: affoga i dispiaceri nell’alcool e lo vedi come passa in fretta il tempo”.

Nina ne approfittò per allontanarsi verso l’altro uomo. Si piazzò accanto a lui, tenendo le braccia incrociate sotto al seno visto il freddo che faceva. Lo guardò sistemare un paio di cinghie prima di voltarsi verso di lei “Possiamo andare o i tuoi amici hanno intenzione di sparare stronzate da mocciosi ancora per molto?”

Nina sbuffò divertita, roteando gli occhi alle sue parole “Sempre il solito” disse, prima di alzare le mani mezze nascoste dalle maniche del vestito grigio per sistemargli la mantella sulle spalle. Alla fine lisciò il tessuto verde sul petto, guardandolo negli occhi “Scrivimi” lo ammonì “Fammi sapere che sei arrivato vivo a Briemer e se hai trovato la tua donna e il tuo bambino.”

Un sentimento contrastante nacque nel petto di Levi, che si sentì combattuto fra il prenderla a schiaffi e il baciarla.

Alla fine optò per una via intermedia. Appoggiò la mano su quella della ragazza, “Starò benissimo senza di te che mi aliti sul collo tutto il giorno.”

Nina scosse piano il capo, non riuscendo però a non sorridergli. Si guardarono per diversi secondi, mentre l’aria si faceva elettrica ed entrambi non potevano non pensare a quanto l’altro fosse vicino.

Alla fine, però, Nina spezzò quel gioco. Si tolse la sciarpa, avvolgendogliela attorno al collo “Così magari non ti verrà a fare male la schiena” lo prese in giro a sua volta “Senza il mio fiato sul collo” rimarcò, “Hai una certa età dopotutto.”

“Nina lascialo andare o partiranno per pranzo!” la voce di Leopold la fece tornare in sé e soprattutto conscia che non erano soli. Fece un passo indietro e lui con un saltello agile montò a cavallo. Appoggiò una mano sul suo stivale, sul ginocchio “Buon viaggio”

Levi la guardò affiancarsi a Jara, che appoggiò sulle sue spalle la coperta che stava avvolgendo anche lei.

A fatica, il moro staccò gli occhi da quelli magnetici del sergente, lanciando uno sguardo a Fritz che, per primo, si lanciò nella notte.

Eh sì. Stava decisamente diventando un problema.

 

 

 

 

… Naturalmente Levi rimase bloccato dalla neve a Briemer e tornò dopo quasi un mese e mezzo.

Per lo meno, però, le scrisse una lettera.

 

 

 

 

 

Nda:

 

Lo so, sono in ritardo, però questo capitolo è davvero lungo e serve a farmi perdonare :DDD

Un paio di appunti veloci che la tesi mi aspetta.

 

Ho trasposto Ilse perché, nonostante gli AOV spefichino che la sua vicenda si è svolta nel 850, nel manga non è segnata nessuna data. Ho preferito seguire il manga per molti aspetti, compreso il fatto che il corpo non lo trovano nell’albero ma a terra.

Ci sarà un capitolo intero su questa vicenda che è molto importante ai fini della trama e del sequel futuro quindi non mi dilungo oltre.

Ho trovato le canzoni suonate solo a violino e quindi niente. Nuova era di accompagnamento ai capitoli.

 

Un altro paio di utili info e poi la smetto.

 

Punto prima, se avete letto il capitolo 85 saprete il ‘problema legato alle foto’ e quindi niente, ho modificato il mio capitolo 5 per eliminarle e sostituirle con dei ritratti.

Isayama cavolo non traviarci.

 

Punto secondo, la mia cara amica RLandH ha finalmente postato!

Come ho già detto, le nostre storie sono intrecciate e nella sua scoprirete, prima o poi, che cavolo è andato a fare Levi a Briemer.

Eccovi il Link, per intenderci: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3529133&i=1

 

Ok basta, devo essere produttiva accademicamente.

Grazie a chi legge, seguendomi in silenzio, ma in particolare a quei cupcake di Shige e Auriga che mi tengono compagnia e mi seguono.

 

….E si anche a te, Luna, ma scrivi v.v

 

Alla prossima!

C.L.

  
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