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Autore: Delyassodicuori    15/09/2016    1 recensioni
Questa storia è decisamente fuori dal comune, lo so. E per di più è ambientata a Londra, in particolar modo in una scuola frequentata da persone normalissime. La vicenda ruota attorno a Leah Clearwater che, trasferitasi da poco in questo istituto, si ritroverà ben presto con un sacco di problemi alle spalle, e Jacob Black, un normalissimo studente che cerca di aiutare tutti… a modo suo…
Dal testo:
-Ti conviene stare attenta a ciò che fai, sai?- disse –Questa non è una scuola normale. Anzi, sei entrata nell' inferno, piccola-.
Piccola?
-Ehi!- stavo per urlargli in faccia, alzandomi di scatto, quando lui ormai era andato via.
Genere: Comico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Leah Clearweater | Coppie: Jacob/Leah
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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 Angolo Autrice (anticipato):
 Finalmente sono risorta da mesi di assenza (e con che cavolo di tempismo, visto i problemi di Efp).
Avrei voluto scrivere questo capitolo da tantissimo tempo, ma c'erano diversi problemi: mancanza di tempo, altro da fare, ma soprattutto MANCANZA DI VOGLIA ED ISPIRAZIONE!
Già, le parole non mi venivano in testa, e non riuscivo a scrivere più nulla ad un certo punto, e in più dovevo organizzarmi bene con i vari collegamenti ecc.
Fatto sto discorso, vi lascio con questo capitolo,
Ancora un grazie a chi mi segue,
Delyassodicuori







20_ Cose belle e cose brutte

 
 
Aprii gli occhi lentamente, anche se la mia coscienza si era svegliata già da qualche minuto. In un primo momento non riuscivo ad osservare bene a causa della stanchezza, in più mi sembrava di vedere una strana figura di fronte a me, ma dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre la mia visione cominciava a migliorare. E quando finalmente la visuale divenne nitida, capii che cosa si era parato davanti ai miei occhi. O meglio dire chi.
-Buongiorno, bella addormentata!-
Lanciai un mezzo urlo di terrore e mi ritrovai di colpo seduta sul letto e con la schiena al muro.
Jacob era inginocchiato davanti al letto, con un espressione stupita e mezza colpevole in volto.
-Jacob, cosa cacchio fai qui?!?- squittii, con la mano al cuore, mentre riprendevo aria. I miei battiti si erano fatti parecchio potenti e la mia schiena tremava di brutto.
-Volevo assicurarmi che oggi tu rimanessi a casa!- rispose il ragazzo –Ricordi cosa aveva detto Doc.? Devi riposare, quindi non ti azzardare a venire a scuola!-.
-Come sei entrato?- domandai, spostando le coperte –E poi non puoi pararti così davanti a qualcuno mentre dorme, dannazione!-.
-Primo, non pensavo ti saresti spaventata così tanto!- si giustificò Jake, alzandosi in piedi –Anzi, in realtà sono parecchio deluso. Speravo che alla mia vista mi saresti saltata addosso per trombarmi all’istante…-.
Fu un bel calcio negli stinchi da parte della sottoscritta a zittirlo di colpo. Jacob cadde a terra tenendosi i gioielli di famiglia, mentre io mi alzavo dal letto, sbuffando forte.
-O-ok, ammetto che me lo sono meritato…- guaì dal dolore lui, rialzandosi –Però fammi almeno continuare! Secondo, sono entrato dalla finestra. L’hai lasciata aperta questa notte, e io ne ho approfittato!-.
Lo guardai attentamente in faccia, valutando quello che mi stava dicendo. Spostai poi lo sguardo sulla finestra aperta. Non c’era nulla che potesse permettere a qualcuno di arrampicarsi fino alla mia stanza. Niente edera, niente scale, nulla.
Tornai a fissare Jacob, stavolta con sguardo serio e severo.
-E va bene, ok, non sono entrato dalla finestra, anche se ero tentato- alzò le mani lui –Ho bussato alla porta e tua madre mi ha fatto entrare. Donna gentile, lo devo ammettere-.
-Le… le hai spiegato perché eri qui?- chiesi, stavolta in pensiero. La sera scorsa ero riuscita a risvegliarmi dal mio “coma” per cenare con la famiglia, e avevo raccontato la stessa scusa detta a Seth anche a Sue. Ma cosa poteva aver detto Jacob invece non ne avevo idea.
-Certo- disse, avvertendo il mio stato d’animo –E non preoccuparti, non mi ha domandato nulla sulla tua testa. Le ho detto semplicemente che volevo assicurarmi che tu stessi bene, per questo mi ha fatto entrare. Anche se devo ammettere che mi ha guardato storto per due secondi…-.
-Uff… perché è una donna intuitiva e sveglia, oltre che gentile- risposi –La mia scusa di ieri se  l’era bevuta a malapena. Sa benissimo che è improbabile che caschi dalle scale senza motivo-.
-Hai detto questo a tua mamma?-
-Si, che ero caduta e che tu, trovandomi, mi hai poi portata da Carlisle…-
-Lo sai che potrebbe anche chiamare lui per saperne di più, vero?-
Deglutii. Non ci avevo proprio pensato. L’ansia mi fece girare di nuovo la testa, ma riuscii a rimanere in piedi.
-Ti conviene mandargli un messaggio ora, prima che sia tua madre a chiamarlo- disse Jacob, facendo cenno al mio cell.
Non esitai un attimo, presi l’apparecchio e scrissi un messaggio veloce al dottore, ringraziandolo per ieri e pregandolo di raccontare la stessa scusa a Sue in caso lei si fosse fatta viva in qualche modo.
-Bene, e adesso, che ne dici di tornare a dormire?- fece Jacob non appena posai il telefono al suo posto. Lo guardai di nuovo storto, per poi rispondergli:-Eh, certo, come no!-.
-Dico sul serio, Leah, oggi non puoi…-stava per ribattere, ma lo zittì all’istante:-Senti, so che ti dispiace per quello che è capitato ieri e che sei preoccupato, ma sul serio, smettila di farmi da babysitter! È fastidioso!-.
-Ma…-
-Jacob, sono seria! Rispetto a ieri sto molto meglio, per cui evitami la predica da madre e andiamoci insieme!-.
Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere. Lo sorpassai, dritta verso il bagno.
Se penso che fino a ieri a malapena riuscivo a fare due passi, consideravo incredibile la mia ripresa di salute.
-Ok, va bene allora!- disse lui dall’altra parte della porta, mentre facevo i miei bisogni –Però ti avverto, Clearwater! Appena senti che qualcosa non va, oppure non appena io vedo che stai per crollare, ti riporto subito a casa, e senza eccezioni, intesi?-.
-Come vuoi tu, mamma- risposi mentre mi lavavo i denti –Già che ci sei vuoi anche farmi la predica su altro?-.
-Si- fece –Non mangi nulla?-
-Non ho appetito… che razza di domanda è?- sputai.
-Beh, ti stai lavando i dentini ora…-
Rimasi per un attimo bloccata lì, riflettendo sulla cavolata che mi aveva appena detto. Mi piegai leggermente per vedere il buco della serratura. Giurerei di aver visto un occhio indiscreto per un millesimo di secondo prima che questo sparisse.
-Spero per te che tu abbia sbirciato solo dopo che ho fatto lo sciacquone!- urlai alla porta, mentre dall’altra parte un Jacob ficcanaso ridacchiava sotto i baffi.
 
 
 
Le cose, finalmente, cominciarono a migliorare, sotto un certo punto di vista.
Dalla sera in cui Jacob mi aveva riportata a casa dopo l’incidente in metro, io e lui non abbiamo fatto altro che chiacchierare, blaterare di cose insensate e divertenti, oppure discutendo dei nostri interessi. Ad esempio, scoprii con immenso stupore che la passione di Jacob non riguardava il fare a botte con le persone, bensì riparare auto e moto. Lo venni a sapere proprio il giorno in cui si era fatto trovare a casa mia quella mattina dopo l’incidente.
-Non capisco proprio, Jake- avevo detto con un tono perplesso, mentre salivamo entrambi all’interno della sua auto (che dall’aspetto sembrava essere di seconda mano) –Se avevi la macchina, perché cavolo venivi a scuola in metro?-.
-La dovevo aggiustare- aveva risposto lui, avviando il motore dopo due tentativi andati a vuoto – aveva dei pezzi troppo vecchi, e li dovevo cambiare. Ma costano un rene se non due, per questo mi ci è voluto parecchio per raccogliere i soldi!-.
Era stato allora che aveva deciso che doveva venire da me sempre per accompagnarmi andata e ritorno tra casa e scuola. In un primo momento avevo cercato di obbiettare, ma Jacob aveva iniziato di nuovo quell’inutile discorso sui suoi sensi di colpa per la mia ferita alla nuca, e così sono stata costretta ad assecondarlo.
Ormai io e lui andavamo abbastanza d’accordo, e finalmente non dovevamo litigare per qualsiasi cosa ogni volta che uno dei due apriva bocca. E non ci volle molto perché anche Bella, Alice e Rosalie se ne accorgessero.
-QUANDO E’ SUCCESSO??? PARLA!!!- mi aveva strillato in faccia una volta Alice durante il pranzo. Il suo urlo aveva attirato metà sala su di noi.
-Alice, per l’amor del cielo, ma ti regoli quando ti emozioni o no?- l’avevo rimproverata, mentre gli altri se ne tornavano tutti agli affaracci loro.
-Scusa, ma non ci riesco a stare calma!- squittiva la nana, mentre Rosalie prendeva la parola:-Leah, la reazione di Alice è del tutto normale, ora come ora. Insomma, fino a poco tempo fa tu e Black litigavate per… beh, tutto. Ma adesso vi parlate in modo così tranquillo e allegro…-.
-E poi ci devi spiegare ancora cosa cavolo hai fatto alla testa!- era intervenuta  Bella, che dal giorno in cui mi ero presentata a scuola con la fascia non mi aveva levato gli occhi dalla fronte di dosso. Era peggio di mia madre, santi numi!
-E’ successo due giorni fa e tu glielo domandi ora?- aveva detto Rosalie alla mora, perplessa.
-Perché, voi glielo avevate chiesto?-
-Si, ma non ha risposto a noi, figuriamoci a te!-.
-Ragazze, è stato un incidente!- avevo risposto subito, per non far precipitare la situazione –Sono caduta dalle scale della metro, punto!-.
-Non sei Bella, non puoi cadere dalle scale senza motivo!- mi aveva fatto notare Alice, mentre beveva il suo succo di pesca con forza. Bella aveva guardato la nana per un secondo, quasi a voler dire “ma chiudi il becco!” , e poi si era di nuovo rivolta a me:-Ma se è vero quello che dici, allora qualcuno ti ha aiutato per forza…-.
-E scommetto cento sterline che quel qualcuno era Black!- aveva esclamato con sicurezza Rose –E questo spiegherebbe come mai voi due ora siete amici!-.
-Beh…- avevo risposto io, stranamente imbarazzata per quello che aveva appena detto la bionda –Si… lui per fortuna era lì, e mi ha aiutata. E abbiamo fatto pace-.
Sembrava che le ragazze mi volevano dire o chiedere altro, ma si erano zittite tutte di colpo quando Jacob si era avvicinato al nostro tavolo, con Embry e Quil alle calcagna.
-I tavoli sono tutti occupati- aveva detto alla svelta Jake, guardando prima le mie amiche, e poi me –E visto che avete altri tre posti liberi, possiamo unirci a voi?-.
-Eddai, Jake, non era con questo tono scemo che lo dovevi chiedere!- aveva ribattuto Embry, colpendo l’amico con un pugno leggero sulla sua spalla –Dovevi guardare Leah nel profondo dei suoi occhi e flirtare con lei per…-.
-Tu parli troppo!- lo aveva interrotto Jacob irritato con una bella gomitata nello stomaco dell’amico.
Ero rimasta per un paio di secondi a bocca aperta, senza sapere che dire o fare. Avevo poi guardato le altre nella speranza di un qualche tipo di aiuto da parte loro, ma anche Bella, Alice e Rose erano shoccate quanto me. Per fortuna ero stata in grado di rispondere con un:-Si, certo, sedetevi-, prima che la situazione potesse diventare ancora più imbarazzante.
Da quel giorno io e le ragazze ci ritrovavamo a sederci allo stesso tavolo assieme a Jacob e ai suoi amici. All’inizio era una cosa che metteva molto a disagio sia me che Jacob, a causa dei continui sguardi provocatori che ci lanciavano tutti addosso (tranne Bella e Quil, per fortuna. Almeno loro avevano un minimo di dignità in più!), ma poi, con il passare dei giorni, la situazione divenne più naturale, non solo per me e Jake, ma anche per gli altri. Ci parlavamo tutti quanti fra di noi, ridendo e scherzando, discutendo dei compiti e del tempo libero di ognuno di noi. Un paio di volte Embry aveva provato a provocare Jacob con una battuta sconcia su noi due, e in entrambe le volte Jacob gli rispondeva alla stessa maniera –ovvero con un bel calcio sulla sua caviglia.
Dopo due settimane, grazie ad Emmet che era stato in grado di trovare un tavolo più grande nella mensa, anche i fidanzati delle mie amiche si erano uniti a noi. Pian piano iniziavamo a conoscerci meglio a vicenda. E la cosa mi piaceva. Avevo finalmente dei nuovi amici. E questo pensiero bastava a farmi credere che tutto poteva andare per il meglio.
Ma… ahimè, mi sbagliavo.
Uno dei miei problemi ancora irrisolti rimaneva Francese.
Dopo quella storia idiota con il prof. Basile non riuscivo decisamente a prendere un voto sufficiente nella sua materia. Il massimo che ero riuscita a strapparli via era una D-, ma non bastava di certo a farmi alzare la media. Avrei voluto dire che quei voti orribili dipendevano solo dal fatto che io della lingua francese non ci capivo nulla, ma purtroppo non era così. Visto che avevo rifiutato di farmi corteggiare dal prof, ora capelli laccati mi vedeva più come un rifiuto umano che come una studente o come una sgualdrina da quattro soldi.
L’unica parte positiva di questo problema era che, per lo meno, aveva smesso di parlarmi. Ma la mia media rimaneva comunque nei guai a causa sua!
Jacob, al contrario di me, sembrava non preoccuparsi affatto dei suoi voti scolastici. Un altro problema da risolvere, anche se non riguardava me ma lui.
-Jake, sul serio, perché non ti impegni nemmeno un po’?- chiesi, una volta finita la lezione di Geografia.
-Io mi impegno!- rispose indignato lui, con un mezzo broncio dipinto sul suo viso –Ogni giorno passo almeno due ore nel garage di casa mia per aggiustare la mia moto quasi andata a quel paese e per assicurarmi che l’auto non mi si sfasci di nuovo…-.
-Non parlo della tua abilità da meccanico, Jacob!- chiarii subito, raccattando le mie cose nella borsa –Parlo degli studi! Non ti preoccupi nemmeno un po’ della tua media?-.
Jacob mi guardò per un istante, come a cercare di capire se avevo qualche problema con il cervello. Magari si chiedeva se non dovevo ricominciare a riprendere le pillole del Dr. Cullen, anche se avevo finalmente tolto quella stupida benda da settimane.
-Mmmh- si mise a riflettere, guardando il soffitto. Dopo un po’ rispose, sicuro:-No. Neanche un po’!-.
-Eddai, Jake, sul serio vuoi farti bocciare?- feci, mentre uscivamo dall’aula.
-No, certo che no!- rispose lui –E’ solo che ho di meglio da fare…-.
-Aggiustare auto e moto non è un ottima scusa, signorino!- lo rimbeccai prima che potesse aggiungere altro. Jacob stava per ribattere, ma si ritrovò a tapparsi subito la bocca, arrendendosi.
-Senti- feci, uscendo dall’edificio scolastico –E se ti aiuto io?-.
-Tu?- stavolta Jacob era sorpreso –Sicura?-.
-Aha! Certo, l’unica materia in cui non posso aiutarti è Francese, ma per le altre…-.
-Che carina, mi vuoi fare da insegnate di sostegno?-
-Più che sostegno, recupero-
-Solo se ti vesti da professoressa sexy-
-Nei tuoi sogni, caro Black!-
Nei giorni a seguire decisi sul serio di impegnarmi sia sul recuperare i voti di Francese, sia sul far recuperare tutti i voti orribili di Jacob. Ogni volta, a lezione, mi assicuravo che il ragazzo non si addormentasse sul banco, o che si mettesse a giocare di nascosto con il cellulare. Durante Francese, invece, la fatica si moltiplicava, visto che, oltre a dover star attenta a Jacob, dovevo seguire la lezione del prof. Bazile. E Jake di certo non mi aiutava nella cosa, visto che continuamente tentava di provocare il prof nei modi più assurdi. Ogni volta che lo vedevo tentato a sparare una qualche idiozia sull’accento di Bazile dovevo dargli un bel calcio sulla gamba per fargli rimangiare l’idea.
Il mio tentativo di far migliorare i voti di Jacob, però, non si limitavano semplicemente a farlo stare sveglio in classe. Ogni pomeriggio, dopo la scuola, lo costringevo a venire con me alla biblioteca più vicina a casa per studiare insieme. Era un lavoraccio tremendo provare a farlo concentrare sui compiti, ma con il passare dei giorni l’idea sembrava far effetto.
Più studiavamo insieme, più Jacob sembrava finalmente prendere sul serio l’idea di recuperare i voti. E più passavamo il tempo insieme, più il nostro rapporto migliorava. Come avere due piccioni con una fava.
-Leah- mi interruppe Jacob, mentre ero intenta a spiegargli come si doveva risolvere un equazione di primo grado. Visto che eravamo in biblioteca eravamo entrambi costretti a parlare con la voce più bassa possibile, ma Jake, pur di interrompermi, aveva alzato leggermente il tono, e aveva fatto girare verso di noi tre persone sedute dietro al nostro tavolo. Ci fecero segno di stare in silenzio e Jake si scusò con loro a bassa voce. Poi tornò a rivolgersi a me:-Io ancora non capisco, perché ti ostini così tanto ad aiutarmi?-.
La domanda mi aveva colta di sorpresa. Ad essere sinceri non sapevo di preciso perché lo facevo.
-Beh…- risposi, poggiando la matita sul libro –Perché secondo me non vale la pena di farsi bocciare, soprattutto in una scuola di merda come la nostra-.
-Si, ok, ma tu mi stai persino dando lezioni private!- fece lui.
-Voglio aiutarti, no?- dissi, quasi in modo automatico –Tu mi avevi aiutato con i Furious Wolfpack, e con la botta in testa sulla metro. Forse voglio ricambiare il favore-.
-Forse? Non c’è un’altra ragione?- domandò Jacob, avvicinandosi di poco a me. Le nostre spalle si sfioravano a malapena, e con questa distanza potevo sentire benissimo il suo profumo.
-Non capisco di che parli- tagliai corto io, tornando a fissare la pagina piena di esercizi di Matematica.
Jacob sogghignò, per poi dire, con un tono di voce stranamente sensuale:-E non hai pensato minimamente all’idea che potrei anche chiederti di uscire?-.
Per un pelo non mi strozzai con la mia stessa saliva quando mi voltai verso di lui. Il suo volto vicino al mio bastavano a farmi arrossire di colpo e a farmi battere il cuore all’impazzata.
-Cos… no!- dissi, cercando di rimanere calma –Che c-cavolo fai… vai dicendo?-.
-Ohw, che tenera!- fece lui, mentre si faceva sempre più vicino a me –Sei talmente imbarazzata che non riesci nemmeno a formulare bene una frase!-.
-Ma chiudi il becco!- dissi, voltando la testa da un’altra parte per non ritrovarmi il suo naso contro il mio. Ora grazie a questo imbecille il mio cuore non voleva smettere di battere così forte, ed ero diventata ancor più rossa in faccia!
-Stavo scherzando, Lee- rise piano Jacob, tornando composto sul suo posto –Volevo semplicemente ringraziarti per il tuo aiuto… a modo mio-.
-Se vuoi ringraziarmi, fai pure- dissi –ma trova un altro sistema, sottospecie di pervertito!-.
Jacob stava per dire qualcosa, ma lo bloccai subito, puntando la matita contro il suo naso.
-Ora torniamo a questa cavolo di equazione, e non farmi più una scenata simile!-.
-Ok prof.. Mi arrendo!- disse lui, e finalmente riuscimmo a concentrarci di nuovo su Matematica.
 
 
 
Tornai a casa quella stessa sera accompagnata in macchina da Jacob. Prima di scendere, ci organizzammo per la prossima lezione privata in biblioteca. Dovevo fargli recuperare a tutti i costi i suoi votacci in Matematica, visto che di lì a pochi giorni avremmo avuto tutti un compito in classe.
-Mi raccomando, Jake- dissi, scendendo dall’auto –A casa dai una piccola letta alle regole delle equazioni prima di dormire-.
-Va bene, zeczi prof!- disse lui, sottolineando per bene la parola storpiata di sexy.  Feci un risolino per la battuta e ci augurammo a vicenda la buonanotte. Solo dopo esser entrata in casa sentii Jacob avviare il motore per poi andarsene.
-Ciao, mamma, sono tornata- dissi a gran voce, mentre sentivo l’aroma succulento delle bistecche entrarmi nelle narici. Di colpo la fame si fece sentire e lo stomaco cominciò a brontolarmi.
-Ben tornata, Leah- mi salutò Sue dalla cucina –Per favore, vai da tuo fratello e chiamalo per la cena, è quasi pronto ormai. E già che ci sei chiedigli perché appena entrato in casa si è rifugiato subito in camera sua e non è più uscito!-.
-Uhm… ok…- dissi, confusa. Seth che entra di corsa in camera sua?
Salii le scale, lasciai la mia borsa, il capotto e la giacca della divisa in camera, per poi dirigermi verso la stanza di Seth.
Prima ancora di arrivarci, però, notai una cosa strana in bagno. E quando ci entrai dentro, accendendo la luce, capii cosa mi aveva attirato l’attenzione.
L’armadietto a specchio sopra il lavandino era aperto, e da esso sbucava fuori una grossa striscia di tessuto bianca. Quando mi avvicinai di poco notai che non era carta igienica come avevo pensato in un primo momento, bensì era una benda che era stata tirata fuori dal kit di pronto soccorso.
Cosa diavolo stava combinando?
Uscii di corsa dal bagno e, senza pensarci due volte, mi fiondai nella stanza di Seth.
Spalancai con un colpo secco la porta, e rimasi paralizzata, a fissare la scena davanti ai miei occhi.
Seth era seduto sul suo letto in fondo alla stanza, i vestiti e qualche barattolo di non so cosa caduti a terra. Evidentemente prima stava utilizzando delle bende, perché quando mi ero presentata lui si era bloccato di colpo, tenendo con una mano il grosso rotolo di benda, mentre con l’altra mano se lo stava chiudendo attorno al petto nudo. Per non far intrecciare la benda era stato costretto persino a stringerne un pezzo con i denti.
Ma non fu affatto la sua stramba posa ad agghiacciarmi, bensì lo stato in cui si trovava il suo corpo.
Il suo occhio destro era completamente nero, il suo naso colava sangue così come la bocca. La parte di pelle nuda che non aveva ancora coperto, invece, era strapieno di lividi scurissimi.
Ci fissammo entrambi negli occhi, con i secondi che passavano lenti ed interminabili. Poi, senza che potessi aprire bocca per dire qualcosa, dall’occhio sano di Seth scese una lacrima.
Il ragazzino abbassò la testa, colpevole, lanciando via con rabbia il rotolo di benda, che cadde sul pavimento ai miei piedi. Seth prese poi un paio di forbici dalla sua scrivania e tagliò la striscia di benda che continuava dal suo petto al pavimento.
Mentre rimetteva le forbici al loro posto, io entravo silenziosamente nella sua stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
Mi avvicinai con cautela a mio fratello, per paura che una qualche mossa sbagliata lo agitasse troppo.
Mi sedetti sul letto al suo fianco, mentre lui si abbracciava le ginocchia e ci nascondeva tra di esse la testa.
Abbracciai il ragazzino, poggiando la testa sulla sua spalla. Il suo pianto,  anche se tentava di soffocarlo, si fece sentire, e questo mi costrinse ad aumentare la stretta.
-Non… non dirlo alla mamma…- disse lui tra un singhiozzo e l’altro.
-Non lo farò- gli dissi, accarezzandogli i capelli con affetto. Seth mollò la presa sulle sue ginocchia e ricambiò il mio abbraccio, piangendo più forte.
-Papà….- fece –Papà… dovrebbe essere qui… non è giusto…-.
-Lo so…- risposi, con un groppo in gola –Lo so…-.
 

 
   
 
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