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Autore: HadleyTheImpossibleGirl    15/09/2016    5 recensioni
[STORIA INTERATTIVA COMPLETA]
La prima guerra magica è appena finita.
Come si sa, una guerra lascia dietro di sè morte e distruzione.
Ci vorrà tempo per rimettere insieme i pezzi.
Questa storia parla di come i vostri OC si riprenderanno dalla guerra e torneranno alle loro vite, anche se la guerra ti cambia dentro.
Sarà ambientata dal Novembre del 1981 all'Ottobre del 1982
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Erano passate tre settimane dalla nascita di Kayla Burke. Fortunatamente, dato che suo padre era ad Azkaban, erano riusciti ad evitare di mettere alla piccola il cognome Saintclare e di farla riconoscere da Magnus come sua figlia. Non che il cognome Burke fosse un cognome facile da portare, Elaine sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro quando sarebbe cresciuta ma, almeno per ora, era al sicuro.
Stava seduta sul letto, guardando sua figlia che stringeva un suo dito nella manina quando sentì un bussare alla porta.
“Entra” disse a suo fratello.
Edward entrò nella stanza e sorrise istintivamente guardando l’immagine che aveva davanti.
“Allora…è domenica, il sole splende e io ho una sorpresa per te.”
“Una sorpresa? Di cosa si tratta?” chiese Elaine incuriosita.
“Se te lo dico che sorpresa è? Seguimi di sotto”
La giovane obbedì, lasciò la bambina nella sua culla e seguì Edward lungo le scale. Sul pianerottolo all’entrata della grande casa trovò una carrozzina blu, con delle grandi ruote.
“Hai passato l’ultimo periodo rinchiusa dentro quattro mura, ma non sei tu a dover restare in una prigione. Non lo meriti, e non lo merita nemmeno Kayla, quindi oggi usciamo.”
“Ma Kayla è ancora piccola e…”
“Non voglio sentire nessun ma… Kayla è una bambina forte e in salute, può cominciare tranquillamente ad uscire. E per quanto riguarda te…” e prese le mani della sorella tra le sue “…non permettere che quello che pensa la gente ti tocchi. Tu non hai mai fatto niente di male, è ora che la smetti di prenderti colpe che non hai.”
Fu così che, non senza qualche reticenza, la convinse ad andare a fare una passeggiata. Inaspettatamente Elaine non si ritrovò addosso tante occhiate maligne quante se ne aspettava e trovò in qualche modo piacevole sentire di nuovo il calore del sole sul viso e il chiacchiericcio della gente per le strade.
Si fermò davanti alla vetrina di un negozio di vestiti e Edward ridacchiò “Ti lascio alle tue cose da donna ma c’è una persona che voglio presentarti. Torno subito.”
Edward si diresse verso un locale situato qualche decina di metri più in giù, mentre lei rimirava un vestito di un delicato azzurro abbinato a quello del manichino accanto: un completo di mago blu scuro, con cuciture azzurre in risalto.
Non passò più di un minuto quando vide uscire dal negozio un ragazzo, un ragazzo familiare.
Quando William uscì dal negozio stentò a credere ai suoi occhi. Quante probabilità c’erano che uscisse nell’esatto momento in cui Elaine Saintclare si trovava lì?
Non poteva sfuggire a quegli occhi chiari. “Hey” la salutò.
“William” contraccambiò lei, con un tono di voce particolarmente duro.
Il ragazzo si affacciò per sbirciare dentro la carrozzina. “È adorabile…complimenti” disse leggermente a disagio.
Elaine odiava le situazioni di stallo come quella, era inutile stare lì a fare convenevoli quando invece c’era una questione di cui discutere.
“Sei sparito” affermò la ragazza.
“Lo so”
“Per mesi” specificò Ely “Sei venuto a casa mia, abbiamo chiacchierato, era tutto tranquillo e poi mi hai baciato! Mi hai baciata e te ne sei andato! Ti pare normale? Hai mai anche solo lontanamente pensato di farti vivo in questi mesi?”
Le parole uscirono fuori dalla bocca di lei come un fiume in piena e William si sentì una specie di verme. Non aveva avuto intenzione di ferirla ma lui aveva agito impulsivamente e la situazione era tutt’altro che semplice.
“Non è così semplice…tu hai una figlia e un marito!”
William accentuò particolarmente l’ultima parola. Per quanto non potesse negare a se stesso che provava qualcosa per quella ragazza non era pronto neanche ad affrontare quello che avrebbe implicato un’eventuale liason con una donna sposata, e con un mangiamorte per giunta.
Elaine si ritrovò incapace di negare la verità. Aveva ancora un marito, quella cosa l’avrebbe perseguitata fino alla fine dei suoi giorni, o dei giorni di Magnus.
Non riuscì neanche a dire niente quando William la superò per andarsene.
Nel frattempo Edward era entrato al Crazy Head. Il locale era praticamente deserto quella domenica mattina, eccetto per quello che sapeva essere un cliente abituale, che passava il suo tempo rintanato in un angolo a bere per dimenticare chissà quale dramma.
Johanna lo individuò subito, spostando gli occhi chiari verso la porta.
“Chi non muore si rivede” ironizzò mentre con la bacchetta spostava dei bicchieri su un ripiano.
“Hai ragione, me lo merito ma sai che non amo l’umorismo macabro.”
Il ragazzo si era avvicinato mentre lei era passata oltre il bancone per andare ad appoggiare saliere e pepiere sui tavoli.
Quando tornò verso Edward, con il vassoio tra le braccia, disse “Prima sei venuto qui un giorno sì e l’altro pure, poi è successo quello che è successo e ultimamente vieni qui raramente e io non vorrei averti spaventato e…”
Il flusso di parole, detto da Johanna ad una velocità impressionante per qualsiasi essere umano, venne interrotto dalle labbra di Edward che si posarono sulle sue, mentre teneva una mano dietro la testa di lei, immersa in quella massa di capelli scuri.
Johanna rimase interdetta. In una frazione di secondo tutto intorno a lei esplose, come un’ondata di calore che la avvolse. Lasciò andare il vassoio ma non lo sentì tintinnare contro il pavimento, troppo presa com’era ad iniziare a rispondere a quell’inaspettato, ma forse neanche tanto, bacio.
Quando si staccarono, si ritrovarono entrambi a ridere come due adolescenti e in un attimo fu lei a baciarlo di nuovo, sorridendo contro quelle labbra ruvide. Pelle contro pelle. Sorriso contro sorriso.
“Comunque ero venuto perché voglio presentarti due persone molto importanti…”
“Sei riuscito a far uscire tua sorella alla fine?” chiese dandogli un amichevole pugno sulla spalla. Fine del romanticismo. “E bravo Burke! Falle entrare!”
Il ragazzo sorrise ed uscì di nuovo in strada, ma quando individuò Elaine si accorse subito che sembrava leggermente sconvolta.
“Portami a casa” lo pregò lei.
“Ma come…cosa…”
“Per favore…”.

 

Non le capitava praticamente mai di andare da suo fratello, al Quartier Generale degli Auror; non che non le facesse piacere vederlo ma preferiva incontrare Zeek nella tranquillità dell’ambiente domestico. Quel giorno però suo padre le aveva chiesto di portare al fratello una cartella che quello sbadato aveva lasciato a casa del genitore quando erano stati tutti lì a cena, la sera precedente.
Non si era potuta rifiutare, non l’avrebbe fatto in ogni caso e così aveva perso metà della sua mattinata libera per passare prima da casa del padre e poi dal Ministero della Magia.
Salutò Zeek e i suoi colleghi dai volti ormai familiari e quando si chiuse la porta dell’ufficio della squadra 327 alle spalle gettò un occhio sull’orologio che aveva al polso. Perfetto, era mezzogiorno ormai, alle tre doveva andare a lavorare e non aveva ancora combinato niente. E cominciava anche ad avere fame!
Si avviò verso l’ascensore con l’intenzione di tornare. Camminava tranquillamente lungo il corridoio quando la sua attenzione venne catturata da una porta che si apriva ad una decina di metri da lei.
Insieme ad altre due persone stava uscendo da quella stanza un uomo dai riccioli biondi e l’espressione leggermente corrucciata.
Francis.
Victoria non si accorse di aver pronunciato il nome ad alta voce finché il diretto interessato non si voltò verso di lei e le sorrise.
E all’improvviso la ragazza si sentì in imbarazzo. Lo vide dire qualcosa ai colleghi e poi avvicinarsi a lei, e più si avvicinava e più lei avvampava.
“Victoria” la salutò con un caldo sorriso “Niente acqua oggi” ridacchiò mostrandole le mani libere.
La mora si ritrovò a ridacchiare a sua volta e si sentì di nuovo stupida per l’incidente di un paio di settimane prima.
“Non sono sempre così maldestra…”
“Ma io non posso saperlo” obiettò lui.
“Hai ragione, non puoi saperlo”
Ci fu un attimo di silenzio, anche Francis sembrava imbarazzato. Per un attimo Victoria fu tentata di salutare e andarsene, cosa cavolo ci faceva in piedi lì, con il cuore che le batteva in maniera incontrollata?
“Ehm…allora…qual buon vento ti porta qui?”
“Oh…io sono venuta solo a portare una cosa a mio fratello. Lui, ehm, lavora qui” balbettò Victoria.
Se qualcuno avesse visto la scena dall’esterno avrebbe notato come i due sembrassero più adolescenti imbarazzati che adulti. I luminosi occhi verdi di lui la mettevano un po’ a disagio, non perché fossero intimidatori ma era come vederci l’anima dentro.
Improvvisamente lo stomaco di Victoria brontolò. Che figura! Sperava che lui non l’avesse sentito ma il sorrisetto che si allargava sulla bocca dell’uomo le fece capire che si sbagliava.
“A quanto pare non sono l’unico ad avere fame” constatò Francis “Io stavo comunque andando a pranzo sai, nel caso volessi unirti…”
Per un attimo il cervello della ragazza andò in tilt. Se fosse stata impulsiva avrebbe risposto immediatamente di sì ma c’era una parte del suo cervello, insieme ad una parte del suo cuore che le diceva: un pranzo? Con una persona che non conosci? Con un uomo?
“Io…forse dovrei andare a casa” si ritrovò a rispondere abbassando leggermente gli occhi chiari, gesto che le impedì di notare il lampo di delusione che attraverso lo sguardo della persona in piedi di fronte a lei.
“Peccato…ti perdi i migliori hot-dog di Londra…” la stuzzicò.
“I migliori?” chiese Vic alzando un sopracciglio.
“Ti sfido a trovarne di migliori”
La ragazza tentennò prima di piegare le labbra in un sorriso e replicare “E sia…”
Francis la condusse fino all’esterno del Ministero della Magia, e poi le chiese di prenderlo sottobraccio per smaterializzarsi. Victoria acconsentì, anche se un po’ incerta. Era convinta che sarebbero andati in qualche parte lì vicino invece ricomparirono in un vicolo di Londra.
“Vieni” Francis la invitò a seguirlo e la ragazza obbedì. Gli bastò svoltare un paio di volte e Victoria rimase impressionata nel ritrovarsi a lato di Buckingham Palace. Camminarono fino ad entrare in St. James’s Park.
“Posso sapere dove stiamo andando?” chiese Victoria curiosa.
“Mi aspetteresti lì?” e Francis indicò una panchina di fronte al laghetto.
Davanti all’occhiata che la ragazza gli rivolse, l’uomo ridacchiò “Non ti preoccupare, torno subito”.
E così Victoria si andò a mettere seduta e iniziò a guardarsi intorno in quel soleggiato lunedì. Vedeva babbani camminare, leggere e chiacchierare su quei verdi prati, tra le piante che facevano ombra e gli scoiattoli che gironzolavano alla ricerca di cibo.
“Eri mai stata qui?” le chiese la calda voce maschile alle sue spalle. Francis le passò un hot dog prima di sedersi lì accanto.
“No… non sono mai stata una grande frequentatrice della Londra babbana…sai, la mia è una famiglia di purosangue…”
In risposta allo sguardo curioso di lui continuò “Siamo Crouch…i miei non sono mai stati molto chiusi, ma neanche così liberali…”
L’uomo sorrise. “I miei genitori sono babbani. Io ci sono praticamente cresciuto qui e adoro questo posto. Adoro i parchi di Londra, secondo me sono un piccolo pezzetto di paradiso in mezzo al caos della città.”
“I tuoi sono babbani?” domandò Victoria, dopo aver mandato giù un boccone. Sicuramente i due avevano avuto una vita diversa ma Francis Collins non sembrava cresciuto affatto male.
“Già, mia madre lavorava in una profumeria, prima di andare in pensione mentre mio padre è un poliziotto, l’equivalente babbano di un Auror, più o meno”
“Quindi è lui che ti ha…ispirato?” Victoria cercò bene l’ultima parola, non voleva sembrare un’impicciona ma quel tipo la incuriosiva.
“Credo che il senso di giustizia circola nel nostro DNA. Anche i miei nipoti avevano scelto questa strada.”
“Oh, hai dei nipoti?” Nipoti? Beh di certo non poteva essere nonno, anche se si vedeva che era parecchio più grande di lei, quindi dovevano trattarsi per forza di figli di un qualche fratello o sorella.
Come se avesse letto nella sua mente, Francis specificò “Ho due sorelle, o meglio avevo due sorelle maggiori: Susan e Mary” poi la sua voce si abbassò, così come il suo sguardo, mentre si torturava le mani “Mary è stata uccisa lo scorso Agosto, insieme a tutta la sua famiglia e alla famiglia del marito. Otto persone massacrate come bestie.” L’ultima frase la disse con una nota di disgusto.
Victoria aprì un piccolo cassetto della sua memoria. Ovviamente si ricordava del giorno in cui, quasi un anno prima, era stata distrutta la famiglia McKinnon. Era una delle famiglie magiche più antiche e potenti, anche se non purosangue.
“E Susan?” chiese lei, cercando di portare la conversazione su qualcosa di più leggero.
“Lei lavora al San Mungo, per questo ero lì l’altra volta. Insegna all’Accademia di Medimagia.”
“Davvero? Io inizierò a frequentarla a Settembre!” trillò Victoria senza pensarci. Solo dopo materializzò che poteva essere sembrata una ragazzina eccitata.
“Vuoi diventare Guaritrice?” domandò lui ancora divertito dal comportamento della mora lì accanto.
Lei annuì, ancora un po’ imbarazzata di aver scelto di rimettersi a studiare a quel punto della sua vita ma la reazione di Francis la stupì.
“La trovo una cosa molto bella, dopotutto i nostri corpi sono fatti per guarire…anche se molti sono pronti a sacrificarsi, ma io sono dell’opinione che si dovrebbe sempre avere qualcosa per cui vale la pena morire.”
Victoria rimase senza parole. Quello che Francis aveva detto e la sincera ammirazione che aveva dimostrato l’avevano lasciata interdetta.
“Ops… credo che la mia pausa pranzo sia finita” constatò l’uomo qualche attimo dopo aver osservato il suo orologio.
Appena lo vide alzarsi e scrollarsi via le briciole dai pantaloni anche Victoria fece altrettanto ma lui la fermò appoggiando dolcemente una mano sul braccio di lei.
“No, tu resta pure se vuoi. È una così bella giornata che sarebbe un peccato non passarla all’aperto.”
Francis le sorrise in quel modo sincero e rassicurante che aveva visto tante volta. E per un attimo in quel sorriso rivide David. Dovette sbattere le palpebre più volte per rendersi conto della realtà. Che cosa le stava succedendo? Quello davanti a lei non era David! David era morto! L’uomo che amava era morto e lei pensava di poterlo sostituire con il primo che le capitava a tiro?
“Se è un problema per tornare a casa da sola ti riaccompagno”.
I pensieri di lei vennero interrotti dalla calda voce di Francis, preoccupato per l’improvviso silenzio della giovane.
La risposta gli arrivò con un cenno distratto del capo.
“Torna pure al ministero. Io resto ancora un po’, prima di andare al lavoro”.
“Ok…” fece lui non propriamente convinto.
Francis fece evanescere le cartacce del pranzo poi si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni color tortora e salutò la ragazza.
“Allora io vado… buona giornata Victoria.”
“Ciao Francis e grazie per il pranzo. Avevi ragione, era veramente buono.”
Victoria sorrise e lui le sorrise di rimando, prima di voltarsi. Fece qualche passo lungo il sentiero e poi si girò di scatto verso la giovane.
“Victoria” la chiamò e lei alzò lo sguardo, invitandolo silenziosamente a continuare.
“Sabato sera. Alle otto. Qui. Ti va?” domandò leggermente in imbarazzo.
La ragazza iniziò a mordersi il labbro e torturarsi le mani.
“Ecco…io…veramente, non saprei”.
Francis sfoggiò di nuovo il suo rassicurante sorriso. “Non è un appuntamento. Considerala, diciamo, una scoperta” e le fece l’occhiolino.
L’espressione di Victoria trasudava curiosità. Non riuscì a dare all’uomo una risposta negativa.

 

Angela aveva avuto orari completamente sballati all’ospedale ultimamente. Ormai cominciava a pensare che davvero il caldo estivo avesse dato alla testa a molta gente. Era un continuo correre di qua e di là. E in più, essendo quasi metà luglio, qualcuno era cominciato ad andare in ferie. Amava il suo lavoro ma non ce la faceva proprio più. Quella mattina era addirittura arrivata a pregare May di scagliarle contro una maledizione, qualcosa che le impedisse di andare a lavoro per qualche giorno.
Quando quella sera, dopo che aveva fatto un turno di 13 massacranti ore, William si presentò a casa sua avrebbe voluto quasi strozzarlo ma cambiò idea quando le disse “Devo parlarti”.
“Coraggio, entra” lo invitò.
I due andarono in camera di Angela e si sdraiarono sul tappeto che stava davanti al letto, in memoria dei tempi della scuola. Ad Hogwarts si sdraiavano sempre sul prato, quando era tempo di discorsi seri.
“Sputa il rospo”
E così le raccontò di quando era stato da Elaine e del bacio dato senza pensarci e dell’incontro che aveva fatto la settimana prima.
“E vorresti insinuare ancora che non provi niente per lei…neghi anche l’evidenza, complimenti Traynor!”
“Angy…”
La ragazza si tirò su e si mise a sedere a gambe incrociate, continuando a guardare l’amico negli occhi.
“Ascolta Will, tutto quel rifiutare le ragazze che fai, anche a lavoro lo so che è perché ti senti solo più di quanto tu voglia ammettere. So che amavi Norah ma se n’è andata, è scappata in America con quel giocatore di Quidditch. So che fa schifo ma questa è la realtà.”
“Sono oltre la cosa” affermò Will mettendosi le mani dietro la testa e chiudendo gli occhi.
Angela gli rivolse un sorriso intenerito. “Ma non hai superato lei vero?”
Al sospiro dell’amico capì di aver fatto centro. “Hai detto che hai smesso di scriverle lettere pregandola di tornare ma non sei andato avanti, hai messo la tua vita in pausa nella speranza che lei torni ma probabilmente non lo farà, non tornerà mai.”
“Lo so” sospirò di nuovo Will “ma non rende di certo le cose più facili.”
Restarono un po’ in silenzio poi William prese un bel respiro e si alzò. “Ti lascio riposare.”
“Guarda che puoi restare se vuoi”
“No, meglio che torno a casa” poi Will tirò fuori il suo solito smagliante sorriso, quello che incantava metà del suo ufficio e aggiunse “Quanto le devo per la seduta di psicanalisi, dottoressa Angela Freud?”
L’amica stette al gioco e mise su una faccia concentrata e pensierosa. “Vediamo, siamo ben oltre il mio orario di ufficio quindi…”
Non riuscì a finire la frase perché il ragazzo iniziò a farle il solletico chiedendole se le bastava come paga. Risero un po’ ed infine William si decise a tornarsene a casa.
Salutandola le diede un leggero bacio sulla fronte “Grazie sorellina” disse.
“Non chiamarmi sorellina, si dà il caso che ho qualche mese in più di te” protestò Angy.
“D’accordo…” fece mentre usciva “…vecchietta” aggiunse ridendo.

 

Era una settimana davvero calda. Tutta Londra in pratica boccheggiava a causa dell’afa. Freya aveva spalancato tutte le finestre dell’appartamento nella vana speranza che circolasse un po’ di aria. Quel pomeriggio sarebbe uscita di nuovo con Sebastian, il quale aveva preso un permesso dal lavoro per poter trascorrere insieme l’unico giorno libero di lei. Aveva deciso di concedere un’altra occasione a quel ragazzo e a se stessa.
Il ragazzo non le aveva detto dove sarebbero andati, le aveva semplicemente suggerito di mettersi un costume da bagno.
Alle tre in punto Sebastian bussò a casa sua.
“Pronta ad andare?” le chiese appena aprì.
“Ad andare dove?” chiese Freya curiosa.
Il ragazzo le offrì il proprio braccio e lei infilò un braccio sotto a quello di lui, mentre con l’altra mano teneva la sua borsa.
Un momento dopo si ritrovarono in una spiaggetta ai piedi di una bianca scogliera, con un delicato vento che faceva rumore soffiando tra le canne. Il vento era l’unica cosa che, insieme alle onde, faceva rumore in quella calda giornata estiva.
“Ti piace?”
“E’ molto…tranquillo.”
Sebastian annuì, con un colpo di bacchetta trasfigurò due sassi in una grande telo da mettere sulla sabbia. Si sedette e iniziò a spogliarsi in tutta tranquillità, come se non ci fosse nessuno a guardarlo. E invece c’era qualcuno a guardarlo, due occhi scuri lo guardavano attentamente.
“Coraggio, spogliati” le disse
“Lo dici ad ogni ragazza?” iniziò a ridacchiare Freya.
La ragazza si tolse velocemente i pantaloncini e la canottiera che indossava. Sperava di non essere diventata rossa in seguito alle occhiate voraci che Sebastian le stava riservando.
Quando alzò di nuovo lo sguardo lui la stava guardando, ma si era spostato sulla battigia, con i piedi immersi nell’acqua. Freya lo raggiunse, ma appena i suoi piedi toccarono l’acqua rabbrividì.
“È gelida!”
“Che ti aspettavi? Non siamo mica ai Caraibi!”
Sebastian si tuffò tranquillamente, ma era talmente vicino alla ragazza da schizzarla. Freya cercò di scansarsi e solo lentamente lui riuscì a portarla dove l’acqua era più alta, per farle fare il bagno.
Dopo una mezz’ora erano distesi sul telo, erano entrambi girati su un fianco e si guardavano. Mentre chiacchieravano Sebastian le accarezzò una mano e piano piano si avvicinò per baciarla.
Freya si scansò in modo impercettibile, cosa che bastò al ragazzo per desistere.
“Scusa, forse non dovevo…”
“No, scusami tu…” disse mesta la ragazza. “Io…non so se sono ancora pronta”
Il ragazzo le accarezzò il viso con una mano. “Aspetterò ok? Ti aspetterò fino a che ce ne sarà bisogno.”

 

Ormai Luglio si stava avvicinando alla fine. Era stato un periodo particolarmente intenso dal punto di vista lavorativo ma fortunatamente costellato da vite salvate più che da morti. E finalmente cominciava di nuovo a provare un certo senso di soddisfazione nel salvare quelle vite.
Quella era stata la prima giornata trascorsa in modo tranquillo. Era una cosa alquanto sospetta. C’era da preoccuparsi di più quando tutto era tranquillo, rispetto a quando era incasinato. I guai sono sempre dietro l’angolo.
Il suo guaio personale l’attese quella sera sul pianerottolo di casa sua. Una figura femminile se ne stava seduta per terra, con le ginocchia rannicchiate al petto. Alzò la testa spaventata quando sentì il rumore di passi lungo le scale.
“Naomi!” la chiamò May appena la vide.
Si avvicinò di corsa e le si inginocchiò davanti. “Naomi, che è successo?”
Sua sorella la abbracciò e iniziò a singhiozzare rumorosamente. May accarezzava i capelli della sua sorellina, erano biondi e scompigliati come i suoi.
Quando la ragazza si calmò May la fece sciolse l’abbraccio e le aprì la porta di casa. Naomi Higgins-Clark si sedette sul divano. Pochi attimi dopo May uscì dalla cucina con un barattolo di gelato e due cucchiaini, offrì un cucchiaino alla sorella e si accomodò accanto a lei.
“Allora vuoi dirmi che è successo?”
Naomi prese un bel respiro e sputò fuori la verità. “Sono incinta” e ricominciò a piangere.
“Tesoro….l’hai detto ad Andrew? Perché è di Andrew, vero?” chiese May riferendosi al ragazzo che la sorella frequentava da quasi sei mesi.
Naomi iniziò a scuotere la testa “Andrew non vuole saperne niente”.

Che stronzo, pensò Maysilee.
“May che devo fare? Ho 18 anni, mi sono appena diplomata, volevo fare un sacco di cose…” pianse prima di infilarsi un cucchiaino di gelato in bocca.
Anche l’altra aveva un cucchiaino in bocca, ma ormai aveva mandato giù il gelato e teneva il cucchiaino fermo solo con la bocca, con l’impugnatura che le toccava il naso.
“Devi dirlo a mamma e papà…” rifletté.
“Come faccio a dirglielo? Oddio, sarò la loro delusione. Sono una delusione!” si disperò.
May la guardò torva togliendosi il cucchiaino dalla bocca e puntandolo addosso alla sorella. “Tu non sei una delusione, chiaro?”
Naomi si sforzò di sorridere, anche se poco convinta. “E se mi cacciano di casa?”
“Stai qui” rispose l’altra come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Passarono il resto della serata così e fu esattamente così che le trovò Freya quando rientrò a notte fonda. Appena notò il barattolo di gelato capì che c’era qualcosa che non andava.
“Chi dobbiamo odiare stavolta?” chiese avvicinandosi al divano.
“Uno stronzo” replicarono in coro le due sorelle.
“Ah, Naomi si fermerà con noi per qualche giorno” aggiunse May.
Freya fregò il cucchiaino dalla mano dell’amica e arraffò un po’ di gelato. “Benvenuta a casa allora” sorrise alla più giovane prima di accomodarsi anche lei sul divano.

 

Edward era steso sul suo letto ad occhi sbarrati, nonostante fosse piena notte. Erano parecchie le volte che si svegliava nel cuore della notte ultimamente e si arrovellava pensando a quello che era successo all’udienza. I Magiavvocati di Magnus Saintclare, suo cognato, avevano intenzione di dichiarare che il loro assistito aveva agito sotto maledizione Imperius. Se il Wizengamot avesse preso quelle parole per vere avrebbero potuto anche decidere di liberarlo e a quel punto sarebbe tornato a devastare la sua famiglia. Doveva assolutamente fare qualcosa.

 

 

Buonasera!
Non ho molti commenti da fare tranne che, purtroppo per voi, ho toccato nuove vette di lunghezza per quanto riguarda i capitoli!
Spero che vi sia piaciuto
Alla prossima
H.

  
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