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Autore: Ai_no_Uta    03/05/2009    0 recensioni
Rose è una ragazza particolare... O meglio, con un lavoro particolare. Nonostante viva nel nostro stesso secolo, lavora in un bordello alle dipendenze del padre, volente o nolente. Riuscirà in qualche maniera a modificare questa sua condizione o sarà costretta a rimanerci a vita?
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rose Buona sera! Siccome ho trovato un po' di tempo per scrivere, ho scritto un nuovo capitoletto! Spero che vi piaccia anche questo ^_^
Inoltre volevo chiedere il vostro parere riguardo l'impaginazione della storia. Temo che a volte non si riesca a leggere correttamente e per agevolare anche la vostra lettura, chiedo il vostro parere a riguardo. Grazie mille per la collaborazione.
Ora vi lascio alla lettura,
Bye!

Ai no Uta



Il giorno dopo, andando a scuola, scoprii quasi con gioia che stava arrivando la Primavera. Solitamente non mi accorgevo del cambio delle stagioni, ne tanto meno del profumo che cambiava nell'aria o del fatto che il cielo fosse più blu o cominciassero a spuntare i fiori. Erano davvero straordinari gli effetti che la scuola, che solo da qualche mese stavo frequentando, mi provocava. Inizialmente la consideravo una cosa da trattare con i guanti. Poteva essere pericolosa o in qualche maniera avrebbe potuto ritorcersi contro di me e contro quella poca confidenza che avevo acquisito nei confronti del mondo che, non più mio malgrado, mi circondava.
Non feci parola con nessuno dell'incontro che il pomeriggio precedente avevo avuto con Michael soprattutto perché non sapevo cosa avrei dovuto dire o riferire a scuola. Tutto sommato, inoltre e parlando obiettivamente, il mio rendimento scolastico sembrava essere in continuo aumento e nonostante non avessi seguito molti anni precedenti con molto impegno riuscivo a seguire correttamente il programma che veniva spiegato. Un motivo in più per provare quello strano sentimento quale era la felicità.
Nel pomeriggio, appena finite le lezioni, andai nuovamente a trovare Michael. Quella volta si presentò lui ad accogliermi. "Yo, Rose. Come stai?" mi domandò vedendomi arrivare. Come stai? - domanda che nessuno o quasi m'aveva mai fatto.  "Bene direi e tu?" risposi piano. "Il solito. Com'è andata a scuola oggi?" mi chiese, stringendosi nelle spalle. "Bene bene. Non ho avuto tempo di ricopiare gli appunti perciò dovrai copiarli ora. Oppure se vuoi te li porto domani" risposi rovistando nella borsa ed estraendo alcuni fogli da un blocco non troppo ordinato. "Li copio ora, thank you" mi disse entrando in casa e facendomi cenno di seguirlo. Lo seguii fino al salone del giorno precedente. "Siediti lì. Vado a prendere il quaderno e faccio preparare qualcosa. Ti va?" propose sorridendo. "Non disturbarti, non ho fame" risposi piano, anche se, non avendo fatto ne colazione ne pranzo la mia pancia brontolava un po'. "Certo, certo" concluse lui con tono rassegnato, prima di sparire oltre la porta. Mentre aspettavo il suo ritorno decisi di guardarmi un po' intorno e scoprii che casa di Michael poteva essere anche un museo. C'erano quadri di tutti i generi e tutti i tipi, lampadari di vetro e cristallo che luccicavano anche per un solo filino di luce, tappeti di tutte le dimensioni, paraventi e ventagli provenienti da chissà quali località Orientali. Ero certa che in qualche altra ala di quell'immensa casa ci fossero anche statue antiche quanto il mondo. Avrei voluto visitarla solo per scoprire i milioni di segreti e misteri che poteva nascondere in tutta la sua maestosità e magnificenza. La cosa che in quella stanza mi attirò di più fu un quadro appeso sopra il caminetto e che il giorno prima non avevo notato. Ritraeva una donna meravigliosa, con i capelli rossi come quelli di Michael e gli occhi verdi. La sua pelle era bianca come l'avorio e vestiva un abito bianco da sposa che faceva risaltare in maniera impressionante il rosso dei suoi capelli. Mi avvicinai e per vederla meglio in ogni suo particolare. Quel ritratto poi era così bello da sembrare una fotografia. "Era bella, vero?" mi chiese Michael da dietro, facendomi sussultare. Mi voltai verso di lui, annuii e poi mi voltai di nuovo. "Era una tua parente?" domandai senza, sul momento, pensare alla possibile risposta che lui avrebbe potuto dare e quanto quella donna poteva essergli legata prima di morire o comunque lasciarlo. "Era mia madre" rispose dopo un attimo di silenzio di tomba. Mi voltai un po' sconvolta. "Mi dispiace..." mormorai chinando il capo. "E di cosa?" borbottò lui appoggiandomi una mano sulla testa e scompigliandomi leggermente i capelli. Si voltò e si sedette nello stesso posto in cui era seduto il giorno prima. Lo imitai. "Sai, anche lei sedeva sempre su quella poltrona. L'adorava perché diceva che era l'unica della casa che un bambino pestifero di nome Michael non aveva distrutto" mi disse ridendo. "Vuoi ... che mi sieda su un'altra poltrona?" domandai. Pur non avendo vissuto quel genere di situazione, un minimo di tatto lo avevo anche io. Lui mi guardò stupito. "Stai scherzando, vero? Figurati se ti faccio alzare solo perché quella era la poltrona di mia madre. Anzi! Sono contento se qualcuno comincia a riusarla... il vederla vuota accentua solo la sua mancanza" spiegò, aprendo il quaderno degli appunti che aveva preso, probabilmente, dalla sua camera. Io sorrisi lievemente e mormorai un piccolo "Okay, come preferisci". In quel momento entrò una domestica molto giovane, più o meno sui trent'anni. Portava un vassoio con dei tramezzini e con una teiera, due tazze e una zuccheriera. Il servizio sembrava di essere tutto in porcellana finissima e soprattutto costosa. "Signorino Michael, ecco a lei. Come aveva richiesto" disse appoggiando il vassoio sul tavolino che c'era tra il divano e la poltrona dove ero seduta. "Grazie Mary" buttò lì, sbadatamente, Michael. Mary se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. "Comincia pure, io ho già mangiato" mi disse sorridendo e cominciando a copiare dai miei fogli quello che avevamo fatto quel giorno a scuola. "Ma..." cominciai, interrotta subito da lui che mi fece cenno di tacere. Certa che non mi avrebbe avvelenato, cominciai a mangiare lentamente. Com'erano buoni! Avevo davvero fame in quel momento. Mi sembrò come se non mangiassi da secoli quando invece la sera prima avevo mangiato come al solito. Non molto, ma comunque quello di cui vivevo da anni. "Almeno posso versarti il thé?" chiesi poi, guardandolo. Lui annuì lentamente, con il volto un po' corrucciato. "C'è qualcosa che non capisci?" domandai, versando il thé in entrambe le tazze. "Sì, qui ..." rispose passandosi una mano fra i capelli. "Adesso arrivo, allora. Zucchero?" sentenziai e lui scosse la testa. "Senza zucchero?" esclamai stupita. Lui rise "Abitudine di mio padre, questa. Dice che lo zucchero fa venire il diabete perciò meno se ne usa, meglio è. E siccome a me il thé piace anche senza zucchero allora lo evito" spiegò sorridendo. Gli porsi il thé, presi la mia tazza e mi sedetti vicino a lui. "Qui" mi disse indicandomi una parte di matematica scribacchiata sul foglio. "Credo sia una formula per trovare i limiti dell'equazione" mormorai guardando per bene il foglio. "Come sarebbe a dire 'credo'?" sussurrò stupito. Io scossi la testa con un po' di desolazione. "Non avendo mai frequentato una vera e propria scuola, per me queste sono cose un po' difficili e oggi non ho ancora avuto il tempo per cercare decentemente sul libro" spiegai con sufficienza. Lui mi fissò ancora più stupito di prima. "Fammi capire... tu non hai fatto altri anni di scuola?" esclamò, guardandomi negli occhi. "Qualche mese qui e lì... per il resto mi ha insegnato Juliette" risposi. Sapevo che non era normale. Sapevo che una ragazza della mia età avrebbe dovuto andare a scuola tutti gli anni come conviene ad un qualsiasi diciassettenne. Ma io non ero una qualsiasi diciassettenne. Michael scosse la testa. "Da quanto tempo fai questo lavoro?" mi chiese piano, abbassando lo sguardo. Tutto d'un tratto era divenuto estremamente serio. "Già te l'ho detto... Da quando avevo dieci anni" risposi, prima di bere un sorso di thé. "D-dieci anni?" chiese ancora, senza guardarmi. Stavo per dire qualcosa quando mi domandò "E com'è? Intendo come ti senti a fare un lavoro così da così tanto tempo?". Io sorrisi mestamente. "Com'è?" mi interrogai a voce alta, come se non lo sapessi neanche io. "Solamente è. Le parole non sarebbero abbastanza per descrivere l'odio, la rabbia e la frustrazione che nei primi anni di attività mi caratterizzavano. Però ora ... non dico sia diverso, solo c'ho fatto l'abitudine" risposi poi, stringendo la tazzina fra le mani. Non è che c'avevo fatto l'abitudine, avevo dovuto farcela. Altrimenti sarei impazzita prima di arrivare ai diciassette anni. Ma questo non lo dissi a Michael, era solo una cosa mia.
"E scusa se te lo chiedo ma... in cosa consiste precisamente il tuo lavoro?" mi chiese sempre più piano. Aspettavo quella domanda. Strinsi ancora di più la tazzina e sorrisi, ridendo interiormente di me stessa. Mi trovavo a parlare con un uomo, uno come quelli che tutti i giorni appagavo, di quello che facevo ad altri uomini. Era veramente una situazione alquanto pessima.
"Qualsiasi cosa" risposi infine e lui mi guardò negli occhi come per cercare la ragione che mi teneva ancora aggrappata alla vita, a quel posto e alla mia sanità mentale. Risi sommessamente. "Faccio schifo, vero?" domandai prima di vuotare completamente la tazza. Lui scosse la testa, ma sapevo che in cuor suo lo pensava. "E ora rispondi tu ad una domanda, Michael" cominciai appoggiando la tazza sul vassoio e tornando a sedermi sulla famosa poltrona. Lui alzò la testa e mi guardò, chiedendosi quale fosse la domanda che volevo fargli. "Perché eri lì quel giorno?" gli chiesi piano. Era una domanda che mi assillava da un po'. Cosa ci faceva un ragazzo per bene e, allora, fidanzato in un bordello?
"Quello per cui Lynn mi ha lasciato" rispose lui, riabbassando la testa. Lo fissai, almeno un po', stupita. "Ma non abbiamo fatto sesso io e te" esclamai poi, un po' contrariata. "Ma io a Lynn ho detto di sì. Non ho detto che ti ho incontrata, ma ho detto che sono stato con una donna" ribatté quasi in un sussurro. Non riuscivo a capire. "Ma tu e Lynn stavate insieme, no? E allora perché diamine dovevi andare a donne? Cosa ti ha spinto a farlo?" domandai ancora. "Per dimostrarle che non m'importava di lei e che stavo con lei solo perché a volte fa' figo o può essere comodo avere una fidanzata da presentare agli amici. Non ci siamo mai amati e la sua relazione, se così la vuoi chiamare, con Harry ha segnato la rottura definitiva di tutti i rapporti. Lei diceva che non ero capace di stare con nessuna donna, che non avevo il coraggio di prendere una donna qualsiasi e sbatterla... che non avevo il coraggio di ... lasciarla per andare con qualcun'altra. E invece le ho dimostrato che era possibile" spiegò lui, guardandomi negli occhi. Stavo per dire qualcosa quando lui mi chiese "E io? Quanto faccio schifo?". In quel momento Michael mi sembrò così lontano, così triste, così... estremamente solo. "Non mi fai schifo, Michael" gli dissi piano e sporgendomi verso di lui per accarezzargli lievemente i capelli. Lui si ritrasse in maniera un po' brusca e io ritirai la mano, abbassando lo sguardo.  Il silenzio calò nella stanza e nessuno dei due osò dire nulla. In quel momento pensavo a tutto e a niente, a quello che io avevo raccontato e a quello che lui aveva detto a me. Dopo non ho presente bene quanto tempo, mi alzai. "Sarà meglio che vada" mormorai, dandogli le spalle. "Gli appunti li puoi tenere. Me li darai domani. Ci vediamo" conclusi, lasciandolo solo nel salone. Non so cosa mi fosse preso, ma avevo come l'impressione che se fossi stata un solo momento in più, avrei finito per piangere. Non so per cosa, ma certamente l'avrei fatto.
Me ne tornai quindi alla mia vita normale, quella del Parfume Violet, per intenderci. Fortunatamente quella sera non vennero molte persone, così ebbi il tempo di starmene un po' da parte per riflettere. Non avevano senso tutte quelle sensazioni. Talvolta di allegria, a volte d'infelicità, di curiosità, stupore, timidezza e soprattutto affetto che provavo nei confronti della scuola e, ancor di più, di Michael. Cosa significavano tutte queste cose che fino a quel momento avevano vissuto (forse) celate in qualche angolino nascosto del mio animo per risvegliarsi solo in quel momento in una maniera a me così poco comprensibile? Per la prima volta nella mia vita ebbi paura di sapere che cosa stavo provando...

*** Continua ***
  
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