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Autore: Chiaroscura69    17/09/2016    1 recensioni
Mistero, segreti, passione, coraggio... questo mix è racchiuso nella giovane dolce e insicura protagonista di questa storia che forse alla fine troverà la forza di comprendere quale oscuro intrigo si nasconde nel suo passato e in che modo poter salvare il proprio futuro. Ma la domanda più importante è: di chi ci si può fidare?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non capivo come ci fosse arrivato. Non capivo perché non me l'avesse detto invece di lasciarmi quel misterioso messaggio sul banco. Sapeva fin troppo di me. Aveva capito che mi sarei sporta a leggerlo? E se invece non l'avesse scritto lui ma ci fosse già stato sul banco? Scartai subito l'idea perché l'avevo visto trafficare misteriosamente e poi ciò che aveva scritto corrispondeva perfettamente con ciò che stavo pensando durante tutta la mattinata. Perciò come aveva fatto a capirlo? E ancora, avrei dovuto chiederglielo il giorno dopo, o avrei dovuto lasciar perdere? Queste domande mi perseguitarono per tutta la serata, quando tornai a casa. Al mio ritorno tutti erano troppo indaffarati per rivolgermi la propria attenzione e per una volta questo mi parve essere d'aiuto, anche se ormai ero abituata a passare completamente inosservata. A casa stavo tutto il tempo da sola, nessuno aveva mai tempo per me;c'erano talmente tante cose da fare, tanti lavori da sbrigare, tante preoccupazioni a cui pensare di cui la più importante era trovare un modo per riuscire ad andare avanti e sopravvivere. Mio padre era stato nella sua gioventù un accanito rivoluzionario; aveva partecipato a manifestazioni, si era iscritto a sindacati e aveva aderito ad innumerevoli scioperi, lottando senza sosta per ciò che riteneva giusto e per ciò che un giorno sarebbe stato fiero di poterci dare. Tuttavia alla morte di mia madre, avvenuta prima della mia nascita, la fiamma della ribellione in lui si era affievolita e aveva sperato, invano, che divampasse in noi. Eravamo sette fratelli, di cui io l'unica femmina e la più piccola. Tutti abbiamo sempre percepito la delusione che provava verso di noi per non aver percorso le sue orme, ma non è facile ribellarsi ad Outfeet. Dopotutto la sua generazione era stata composta da ragazzi disposti a morire pur di ottenere la giustizia, ma I tempi erano cambiati e nessun giovane avrebbe sprecato il suo prezioso tempo per simili sciocchezze. Si pensa spesso che I conservatori siano I vecchi e che I rivoluzionari siano I giovani, ma ci si inganna in quanto questi ultimi hanno voglia di vivere ma non hanno il tempo di pensare a come si debba vivere, finendo per accontentarsi di tutto ciò che li viene imposto per pigrizia o per paura di sovvertire un ordine. Ad Outfeet poi la situazione era anche più grave, in quanto il paese era di vedute chiuse, non c'era pietà per chi cercasse uno spiraglio di libertà, giustizia o quant'altro. Probabilmente potreste pensare che questa descrizione drastica sia frutto della cosidetta ''crisi adolescenziale'', ma chiunque abbia vissuto abbastanza ad Outfeet sa benissimo di cosa parlo. Avevo sempre sognato di trasferirmi, ma le risorse economiche che la mia famiglia possedeva non me l'avevano mai permesso. I miei genitori, quando erano giovani, erravano per il mondo vivendo la propria vita giorno per giorno, senza porsi problemi. Un giorno erano a Madrid, un giorno a Londra, un giorno in Australia, dove la sorte e qualche buona mano di poker li avrebbe portati. Tuttavia mia madre presto si ammalò e non fu più in grado di reggere la vita da nomade. Mia madre era un'artista, sapeva dipingere un paesaggio così minuziosamente e realisticamente che, osservandolo con attenzione, potevi sentire il gorgoglio del fiume, i cinguettii degli uccelli, il tepore dei raggi del sole sulla pelle e il dolce profumo delle primule. I suoi quadri piacevano molto ai critici e spesso riusciva a venderli a prezzi davvero esagerati! Tuttavia la sua arte era un talento discontinuo ed un'arma a doppio taglio, perché per quanto il ricavato delle vendite dei suoi quadri riuscisse a sfamarli la malattia che l'affliggeva la consumava di più ad ogni sforzo che faceva perciò dopo ogni quadro era più debole. Riusciva a dipingere non più di un quadro all'anno e questo li faceva rasentare la miseria davvero molto spesso. Così, a causa della mancanza di cibo la malattia si aggravò e mio padre decise di comprare una piccola casa nel Nevrasca ad Outfeet. Dopo pochi mesi nacque Paul, il mio fratello maggiore, e consecutivamente di anno in anno nascemmo tutti noi: Matt, Jean, Pierre, Simon, Tiàgo, e io, Jaquèline. Alla mia nascita mia madre esalò il suo ultimo fiato e morì tra le braccia disperate di mio padre, lasciando sulle sue spalle le responsabilità di ben sette bambini da sfamare; per fortuna grazie alla sua abilità come meccanico era stato preso subito a lavorare alla stazione ferroviaria che necessitava di un meccanico da molti, troppi anni. Proprio per questo motivo la paga era abbastanza buona, ma riusciva a stento a coprire tutti i nostri bisogni. Con il passare degli anni però, arrivarono altri meccanici con un'esperienza assai maggiore della sua e così perché mio padre necessitava di essere affiancato da dei collaboratori gli venne dimezzato il lavoro e così anche la paga. Mio fratello Paul rinunciò a tutti i suoi sogni e all'età di soli 18 anni lasciò la scuola per trovare un lavoro che ci avrebbe mantenuto. Così fecero Matt, Jean, Pierre, Simon e così stava cercando di fare anche Tiàgo avendo compiuto i 19 già da un pezzo. L'unica che avrebbe dovuto proseguire gli studi dovevo essere io, anche se non l'avevo mai ritenuto giusto. Io non avevo un sogno mentre loro, tutti loro, lo avevano e lo avevano sempre avuto. Perciò perché avrei dovuto privarli della possibilità di realizzare la propria vita nel modo giusto? C'erano state tante discussioni, tanti litigi e proteste, ma ovviamente avevano vinto; secondo loro infatti io meritavo di avere una vita in cui le mie capacità si potessero rivelare appieno e non una vita di faticoso lavoro utile solo per sbarcare il lunario. Dal giorno di quei litigi i rapporti fra tutti noi si gelarono perché mi consideravano un'ingrata e pensavano che la mia vita sarebbe dovuta essere migliore di quella che spettò a mia madre, perché entrambe avevamo il talento che ci avrebbe permesso di ottenere tutto ciò che avremmo potuto desiderare, solo perché avevo ereditato da lei l'abilità della pittura. Per me non era un talento, era una dannazione! A nessuno di loro importava che ogni volta venissi assalita da un profondo dolore che mi ricordava la morte di mia madre, nè che qualche volta mi sia persino capitato di svenire mentre dipingevo. Insomma, ogni volta che potevo mi tenevo lontana dalla pittura, anche se a volte nasceva dentro di me un bisogno accesissimo di dipingere e dovevo sfogare quel bisogno all'istante oppure mi sarei sentita davvero male. Questa era un'altra cosa che bisognava tener nascosta agli abitanti di Outfeet, per i quali ogni forma d'arte che non erano in grado di comprendere era diabolica e andava stroncata. Certo, a scuola capitava che dovessimo dipingere alle volte, ma io ero così insignificante per gli insegnanti che anche se avessi dipinto la gioconda nessuno se ne sarebbe accorto. Fu anche per questo che mi stupì il fatto che qualcuno mi avesse notata. Nessuno mi rivolgeva la parola in classe, non avevo amiche né conoscenti e non perché fossi particolarmente ripugnante o antipatica, ma per il semplice fatto che il mio tenore di vita fosse ben al di sotto del loro. Finalmente perciò la mia vita prese una piega inaspettata, diversa e in un certo senso migliore, quando Jack mi lasciò quella scritta sul banco. Non potevo sapere che non sarebbe stato esattamente un evento positivo il fatto che lui avesse deciso di interagire proprio con me.
   
 
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