Ci aveva pensato
seriamente, Edward. Sapeva che Kayla era al sicuro da Magnus. Lei era
una
Burke, essendo in prigione Magnus non aveva potuto riconoscerla e
quindi per il
momento non poteva vantare nessun diritto su di lei ma Magnus e i suoi
compari
avevano già distrutto la vita di Elaine e torturato Johanna.
Non poteva
permettere che succedesse di nuovo. Doveva impedire che Magnus
Saintclare
uscisse da Azkaban.
Passò una settimana
infernale, dormì appena qualche ora a notte e solo quando la
stanchezza aveva
il sopravvento su di lui. L’unica cosa positiva era il fatto
di essere riuscito
a far incontrare Johanna ed Elaine. Aveva presentato Johanna come la
sua
ragazza e si potevano contare sulle dita di una mano le volte che aveva
presentato qualcuna a sua sorella e non poté che essere
felice che le due, le
quali avevano caratteri molto diversi, andassero d’accordo.
La cosa non fece
altro che aumentare il suo desiderio di proteggere le sue donne.
Si ritrovò a pensare che
c’era un solo modo per assicurarsi la sicurezza: uccidere
Magnus. Aveva poco
tempo, doveva agire prima dell’udienza che si sarebbe svolta
alla fine del
mese.
Passava quasi tutto il
tempo a pensare come fare tanto che una sera, dopo il lavoro, mentre
era al
Crazy Head, Johanna gli chiese leggermente spazientita “Si
può sapere cos’hai?
Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto, prova a
negarlo!” lo
sfidò.
Edward sbuffò e mandò giù
qualche altro sorso di vino elfico prima di rispondere “Sono
solo distratto,
sarà la stanchezza…”
“Capisco la stanchezza
visto che ormai sono le due di notte ma sei sempre distratto
ultimamente.”
“Sono già le due? Davvero?”
Johanna appoggiò con forza
una mano sul bancone e poi fissò il ragazzo negli occhi.
“Non provare a evitare
il discorso!”
Edward fece leva sulle
braccia per alzarsi un po’ e poi sporgersi a baciare la mora.
L’espressione di
Johanna, che prima era un po’ contrariata, diventò
più rilassata e divertita.
“Smettila di corrompermi
con i baci” sentenziò.
“Ma funzionano.”
“No…voglio ancora sapere
che ti succede.”
Il ragazzo si guardò
intorno per vedere chi c’era ancora nel locale. Come al
solito era rimasto il
cliente abituale che si sedeva all’angolo.
“Ne possiamo parlare da
soli?”
“Sturgis devo chiudere!”
urlò Johanna all’uomo che dopo un po’ si
alzò e mestamente si avvicinò al
bancone per pagare.
“Lascia fare, offre la
casa” gli disse la ragazza.
“Grazie Jo. Buonanotte”
augurò lui e fece un cenno di saluto abbassando il cappello.
Quando anche l’ultimo
cliente se ne fu andato Johanna chiuse a chiave la porta del locale e
si
sedette sullo sgabello accanto a Edward-
“Allora…spara.”
“Ho intenzione di uccidere
Magnus” disse convinto, tutto in una volta e velocemente. La
ragazza stentò un
attimo a credere a quello che aveva sentito.
“C-cosa?”
“Ho intenzione di uccidere
Magnus” ripeté.
Johanna boccheggiò un
attimo. “Tu vuoi uccidere un uomo!” lo
accusò.
Edward non si aspettava
quella reazione. Sapeva che la sua fidanzata aveva sofferto per quello
che le
era capitato e che anche lei odiava Magnus e la sua combriccola, quindi
aveva
quasi dato per scontato il suo appoggio, per quanto folle e malsana
l’idea
fosse.
“Definirlo uomo è fargli un
complimento.”
“Ok, è un mostro ma non
voglio che tu diventi come lui!” Il tono di voce di Jo
tradiva una certa
delusione e altrettanto faceva il suo sguardo e fu questo a colpire
Edward.
Era una serata terribilmente
afosa, soprattutto considerato che si trovavano nella campagna inglese,
quella
che solitamente era contraddistinta dalla nebbia.
Lucian stava trascorrendo
un paio di settimane a casa di amici, Ezekiel era in missione quindi
Victoria
si era autoinvitata per farle compagnia e passare con Krystal una
serata tra
donne.
L’aveva fatto più che altro
perché aveva bisogno di raccontare a qualcuno di Francis e
il suo migliore
amico aveva i suoi problemi a cui pensare, problemi di cui non voleva
parlare.
Raccontò a Krys dello
scontro e del successivo incontro al parco. E poi del primo
appuntamento
ufficiale.
“Vieni” la invitò tendendole la mano
mentre saliva il primo scalino di una
delle uscite. Victoria prese quella mano agitata come una ragazzina e
si lasciò
condurre sulla rampa di scale.
Mano a mano che saliva i gradini, la grande torre che ospita il Big Ben
entrava nel suo campo visivo e più saliva più
guardava in alto, non riuscendo
quasi a vederne la punta.
Arrivata alla fine delle scale, all’uscita, dovette sollevare
completamente
la testa per ammirare la torre dell’orologio in tutta la sua
maestosità. Tutte
quelle luci che spiccavano nella notte e quell’architettura.
E lei che si
sentiva così piccola e insignificante ai piedi della torre.
Non aveva parole
per definire quello che provava in quel momento.
“Ti piace?” le aveva chiesto Francis.
“Immensamente.”
La serata era proseguita in modo altrettanto semplice ma magico.
Avevano
passeggiato lungo il Tamigi, confondendosi tra i babbani. Lui le aveva
offerto
un gelato preso in un carretto di un ambulante e poi si erano seduti a
mangiarlo su una panchina, in riva al fiume, godendo della piacevole
frescura
che l’acqua riusciva a trasmettere. Avevano anche guardato
gli artisti di
strada che si esibivano cercando di racimolare qualche spicciolo.
Aveva raccontato anche di
qualche giorno prima, quando si erano usciti di nuovo e
all’improvviso lui era
dovuto scappare via per lavoro. L’aveva accompagnata a casa
ed era andata in
missione e lei si era scoperta in ansia, terribilmente in ansia per
lui. Era
consapevole che le missioni, ora che Voldemort non c’era
più, erano molto meno
pericolose eppure finché lui non era passato a casa sua per
rassicurarla sul
fatto che stesse bene lei era stata seduta sul divanetto davanti la
finestra a
guardare fuori, in attesa.
“Quindi ti piace?” le
chiese Krystal.
“Io…non lo so…forse. Mi fa
stare bene…ultimamente sono uscita di più, ho
riso di più, ho vissuto più di
quanto abbia fatto nell’ultimo anno.”
“Oh Vic, sono tanto tanto
contenta per te. Quando me lo farai conoscere?”
domandò di nuovo Krystal
ammiccando a Victoria che era diventata rossa come un peperone.
“Conoscere chi?” le
interruppe la voce di Zeek alle loro spalle.
Le due donne si girarono di
scatto verso l’uomo che stava in piedi sulla porta che dava
sul portico sul
retro della casa.
“Zeek…”
“Ma tu non dovevi essere in
missione?”
“Ho finito prima e così
sono tornato a casa ma apparentemente sono di troppo.”
“Quanto hai sentito?”
chiese Victoria un po’ preoccupata. Sì, il suo
fratellone voleva che lei si
rifacesse una vita ma era anche parecchio geloso. Ci aveva messo mesi a
farsi
piacere David, figurarsi se avrebbe accettato subito Francis.
“Abbastanza da aver capito
di chi si tratta” brontolò lui. Zeek
avanzò e si posizionò davanti alla sorella
a braccia conserte. “Hai idea di quanti anni abbia
Collins?”
“Quasi trentaquattro”
rispose subito Vic.
“Appunto! Ha quasi dieci
anni più di te!”
“Non vedo dove sia il
problema” intervenne Krystal cercando di placare suo marito
“Dai suoi racconti
sembra un tipo molto interessante.”
L’uomo prese un bel respiro
per cercare di restare calmo. “Ha quasi trentaquattro anni e
non si è mai
sposato per quanto ne so, anzi l’ho visto cambiare spesso
ragazza. Non mi
piace!”
“Non è a te che deve
piacere!” sbottò Vic alzandosi in piedi.
“Lo so” fece Zeek più calmo
“Voglio solo proteggerti!”
“Zeek…non ho più quindici
anni!” protestò la sorella nonostante il
comportamento di lui l’avesse
intenerita. Nel frattempo si era alzata in piedi e lo aveva raggiunto.
“Te lo ripeto: io l’ho
visto passare da una ragazza all’altra. Chiediglielo e vedi
se prova a
negarlo.”
Lo sguardo della ragazza si
indurì e allora il fratello le disse “Lo faccio
per te.”
“Lo so” ammise Victoria “Ma
cerca di capirmi…”
Quando Victoria tornò a
casa e Zeek e Krys rimasero da soli a rimettere a posto le cose lui
fece “Devo
parlare con Collins.”
“Non ci provare. Hai già
spaventato me, non spaventerai anche lui.”
Naomi e May erano uscite
presto quella mattina. Erano dirette a casa dei loro genitori. Naomi
aveva
pregato la sorella di accompagnarla. Aveva bisogno di sostegno.
I genitori delle due
ragazze erano tornati a vivere alle porte della Londra babbana pochi
mesi
prima. Avevano passato diversi anni in Cornovaglia per mettersi al
sicuro dalla
Guerra Magica.
“Hey ragazze, a cosa
dobbiamo questa visita?” le salutò Claire quando
andò ad aprire la porta.
Naomi non riuscì a
rispondere così May si fece avanti. “Oh niente di
che, avevo una mezza giornata
libera così ho pensato di venire anche io.”
“Coraggio, entrate. Vostro
padre è in giardino, l’ho costretto a estirpare le
erbacce, ormai sembrava di
essere in una giungla!” raccontò allegra la donna.
Le tre si accomodarono in
salotto e poco dopo vennero raggiunte dal capofamiglia che si tolse i
guanti da
lavoro e sprofondò nella sua poltrona preferita sorseggiando
un po’ di tè
freddo.
“Allora, cosa dovete
dirci?” chiese Nathan. Sapeva benissimo che si presentavano
tutte e due le
figlie insieme c’era qualcosa che non andava, visto che negli
ultimi tempi si
ritrovava la famiglia unita solo quando c’era qualche festa.
“Io niente…Naomi deve
parlarvi” rispose May guadagnandosi un’occhiataccia
da parte della sorella.
Maysilee sapeva che i loro
genitori per quanto magari si sarebbero arrabbiati all’inizio
alla fine
avrebbero cercato di essere comprensivi con la minore delle loro figlie
e
sapeva che quella era una cosa che riguardava solo Naomi. La ragazza
quindi si
alzò e diede un veloce bacio sulla tempia alla sua
sorellina. “Sta tranquilla”
le sussurrò.
Mentre usciva dal salotto
l’ultima cosa che sentì era Naomi che scoppiava a
piangere e diceva di aver
commesso un errore e di aver bisogno di loro.
Quando sentì che le
successive parole erano ovattate da quello che probabilmente era
l’abbraccio
della madre, May si tranquillizzò.
Quel giorno andò a lavoro
col cuore più leggero ma non sapeva quanto sarebbero stati
difficili i giorni
successivi.
La routine del reparto
Ferite da Creature Magiche venne sconvolta dall’arrivo di un
nuovo capo-Guaritori.
Era un alto e panciuto uomo sulla sessantina che era stato trasferito
da un
altro Ospedale Magico e che credeva di essere una spanna sopra tutti
gli altri.
Angela lo odiava. Odiava
sinceramente quell’uomo presuntuoso che comandava tutti a
bacchetta,
specialmente le donne. Continuava ad assegnare loro turni estenuanti,
soprattutto turni di notte e a relegarle a lavori semplici, addirittura
puerili. Non credeva che né lei, né May o nessuna
altra loro collega fosse in
grado di fare qualcosa di concreto, cosa che invece avevano sempre
fatto.
Era una sera come tante,
avevano avuto un paio di casi piuttosto tranquilli e poi si erano
sistemate
tutte nella loro saletta, reperibili per qualsiasi cosa. Angy e la sua
collega
Sophia si erano accomodate su due sedie su un angolino a dividersi una
tavoletta di cioccolato mentre la mora le raccontava del suo ultimo e
disastroso appuntamento con un tizio che ancora era praticamente
dipendente
dalla madre.
May era rientrata poco
prima dalla sala da tè e si era accomodata vicino alla
finestra ad osservare il
temporale estivo che si era scatenato solo una mezz’ora prima
mentre
sorseggiava il caffè che, Angy ci avrebbe scommesso, era
pieno di zucchero,
praticamente zucchero al sapore di caffè. Vide un patronus
comparirle davanti
ma non riuscì a sentire cosa le diceva poi però
Angela vide la collega alzarsi
velocemente e recuperare la sua borsa.
“Angy io devo andare a
casa…potete pensarci voi qui?” chiese alle
colleghe.
Angela, notando la preoccupazione
negli occhi della bionda, annuì velocemente.
Erano ormai le due di notte
quando arrivò un caso di un ragazzino, un bambino in
pratica, morso da un
animale. Il padre non voleva rivelare di cosa si trattasse, cosa che la
portò a
pensare che dovesse trattarsi di una qualche creatura magica illegale.
In quel
caso normalmente la prassi da seguire era denunciare il fatto ma la
vita di
quel dodicenne era più importante.
Era davvero malridotto. La
creatura, di qualsiasi creatura si trattasse, gli aveva praticamente
strappato
via un braccio e apportato varie ferite. Fu uno spettacolo terribile,
soprattutto considerato la giovane età della vittima. Alla
fine si rivelò
proprio una vittima.
Non era mai facile perdere
un paziente e Angy cercava sempre di non prenderla troppo a male.
Sapeva che
faceva parte del suo lavoro ma quando c’era di mezzo un
bambino le prendeva
sempre un po’ di sconforto.
Sconforto che non fece che
aumentare quando Sophia le fece gentilmente notare che il nuovo capo
avrebbe
approfittato della situazione per screditarle ancora di più.
Quella stessa sera Freya e
Sebastian erano usciti di nuovo insieme. Ormai era diventata
un’abitudine, ma
non erano andati mai oltre qualche bacio non troppo approfondito. Non
fino a
quella sera. Non fino a quando scoppiò il temporale mentre
loro si trovavano a
chiacchierare in un parco.
All’improvviso aveva
iniziato a piovere a dirotto e i lampi illuminavano il cielo quasi come
se
fosse giorno. I due iniziarono a correre per allontanarsi dal parco.
Freya suggerì
di ripararsi a casa sua e di May, visto che era lì vicino,
appena fuori dal
parco. Neanche ci pensarono a smaterializzarsi e invece iniziarono a
correre
sotto la pioggia torrenziale che aveva reso inutile anche
l’incantesimo
impermeabile che avevano provato a fare.
Quando entrarono
nell’appartamento, finalmente al riparo, si guardarono
sollevati poi Sebastian
scoppiò a ridere.
“Che c’è, perché
ridi?”
chiese Freya quasi offesa.
“Aspetta, hai un rametto
tra i capelli” ridacchiò lui prima di allungare
una mano verso i capelli biondi
di lei ed estrarne un rametto di legno con ancora un paio di foglie
attaccate.
“Ecco qui” sorrise
trionfante Sebastian. Notò come gli occhi di Freya
studiavano la camicia bianca
che aveva aderito perfettamente ai suoi muscoli.
La ragazza si stava
mordendo il labbro inferiore e Sebastian non resistette alla voglia di
baciargliele quelle labbra. Fu un bacio lento e appassionato, le loro
lingue si
cercarono e incontrarono più volte. Sebastian
realizzò di aver dolcemente
spinto Freya contro il muro del salotto solo quando sentì il
leggero impatto
della schiena di lei contro la parete.
Freya lì per lì non si
accorse che le mani di Sebastian erano passate sotto la sua maglietta e
percorrevano la sua schiena e i suoi fianchi. Fu un attimo e qualcosa
le scattò
nel cervello. Venne travolta dal ricordo di mani più
vogliose e violente su di
sé. Ricordava come un uomo le teneva fermi i polsi mentre
l’altro violava il
suo corpo. Improvvisamente le mancava il fiato. Provò a
pregare Sebastian di
smettere ma non una parola riusciva a uscire dalla sua gola. E
più si faceva
vivido il ricordo più lei voleva ribellarsi. Con una forza
inaudita per lei
scagliò via Sebastian, che andò a sbattere
violentemente contro una mensola che
cadde a terra.
Il frastuono degli oggetti
che si rompevano riempì il silenzio della stanza.
La ragazza impallidì quando
vide il sangue che scorreva lungo il braccio di Sebastian sporcandone
la
camicia a partire da un taglio in cui si er.
Sebastian si sentì un
attimo confuso e spaesato. I suoi occhi chiari si spostarono su Freya
che stava
addossata al muro a tremare di terrore.
Il ragazzo cercò di
avvicinarsi ma lei gli urlò: “No! Non ti
avvicinare! Non voglio ferirti di
nuovo!”
“Ok…sto qui” disse calmo
“Vuoi che chiamo qualcuno? Jo? May?”
“May va bene” rispose lei
con voce tremante.
Sebastian mandò un patronus
a Maysilee e poi si diresse verso il bagno per cercare di sistemarsi.
Quando May arrivò
all’appartamento fece fatica a credere ai suoi occhi. Freya
non fece avvicinare
molto neanche lei.
“Mi ricordo tutto May!
Adesso mi ricordo tutto…ho ferito Seb. L’ho fatto
di nuovo…oddio, io al Janus
Thickey dovrei starci come paziente altro che Guaritrice!”
“Calmati…” le sussurrò
dolcemente “Sebastian dov’è?”
“In bagno, credo. Ti prego
aiutalo!”
May annuì e si diresse
verso il bagno dove il ragazzo stava seduto sul bordo della vasca da
bagno
senza sapere bene cosa fare. Mentre gli medicava la ferita May
cercò di
spiegare il comportamento di Freya e alla fine raccontò a
Sebastian tutto
quello che era successo all’amica. Finito di bendare la
ferita al ragazzo lo
tranquillizzò. “Tranquillo, alla fine si
è rivelato un taglio meno brutto del
previsto. Nel giro di poco si rimarginerà, non ti
preoccupare.”
“Non è per me che sono
preoccupato” sospirò lui.
Un attimo dopo uscì dal
bagno e tornò verso il salotto ma Freya lo pregò
di nuovo di non avvicinarsi.
Il ragazzo si accovacciò per mettersi al suo livello. Freya
era seduta a terra,
con le lacrime che le rigavano silenziosamente il viso e gli occhi.
“Mi dispiace, mi dispiace
tanto.”
“Guarda” la invitò lui
allargando leggermente le braccia “Sto bene. Va tutto bene.
Non è successo
niente di grave.”
Continuò a ripeterle che
andava tutto bene ogni volta che lei si scusava e lo stesso faceva May.
“Freya lo so che sei
spaventata…” iniziò l’amica.
“Sono pericolosa. Aveva
ragione” disse Freya riferendosi al suo ex.
“Non è affatto vero…”
replicò Sebastian “Noi siamo qui per
te…ok?”
“Non ce ne andiamo.”
Ci mise tempo ma alla fine
Sebastian riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastava per
allungare le braccia
verso di lei. E Freya ci si rifugiò, abbandonandosi a
quell’abbraccio.
Era un torrido giovedì
mattina quando Victoria entrò a passo di marcia al Quartier
Generale degli
Auror. Sapeva che quel giorno Francis avrebbe lavorato praticamente da
solo e
lei aveva passato diversi giorni a torturarsi pensando a ciò
che le aveva detto
Zeek riguardo Francis Collins. Si era fatta almeno mille film mentali
su quello
che era successo o su come potevano andare le cose.
Non voleva assolutamente
soffrire di nuovo. Il suo cuore si era indurito, come un terreno che
non veniva
coltivato da tempo, ma innamorarsi di un uomo che l’avrebbe
fatta soffrire
significava gettare sale su quel terreno.
Bussò alla porta
dell’ufficio di Francis e appena sentì la voce di
lui rispondere entrò
chiudendosi la porta alle spalle.
“Buongiorno” lo salutò lei.
“Hey, proprio a te pensavo”
ridacchiò Francis. “Mi dispiace che questa
settimana ci siamo visti poco ma qui
è stato un vero delirio…ti ho pensato
perché è un po’ che tuo fratello mi
guarda male ogni volta che mi incrocia lungo i corridoi. È
geloso per caso?”
“E’ molto protettivo, tutto
qui” replicò Victoria in tono più duro
“Mi ha detto che ti ha visto cambiare
ragazza piuttosto spesso…” buttò
lì cercando di sembrare distaccata e quasi
disinteressata, ma in realtà era tutto tranne che
disinteressata.
“Vicky” la chiamò con quel
soprannome che fino a poco tempo prima utilizzava solo suo nipote.
L’uomo si
alzò e passò oltre la scrivania per raggiungerla.
Quando Francis prese quelle
mani piccole tra le sue Victoria abbassò timidamente lo
sguardo. Era partita
convinta e quasi arrabbiata ma ora si sentiva insicura e debole.
“Guardami” la pregò lui.
La ragazza tirò su piano lo
sguardo e vide che Francis le sorrideva dolcemente. “Ecco,
così va meglio.”
“C’è una cosa di cui non ti
ho parlato.”
Al sentire quella frase
Victoria sentì le sue gambe molli e la terra cedere sotto ai
suoi piedi ma la
presa delle mani di Francis sulle sue era talmente ferma da farle da
ancora di
salvezza.
“Ai tempi di Hogwarts avevo
una ragazza, Melanie. Eravamo dei ragazzini ma eravamo così
innamorati. È stata
il mio primo amore. È per lei se sono diventato Auror, avevo
visto come
cominciavano ad andare le cose e volevo essere capace di proteggerla,
ma non ce
l’ho fatta. È morta prima che potessimo realizzare
i nostri desideri di un
futuro insieme.”
“Francis mi dispiace tanto”
lo interruppe lei.
“So che puoi capirmi”
disse, ricordando quando lei le aveva raccontato di David e di Harry,
il
bambino di cui aveva potuto seppellire solo un’ecografia e
una scarpina, mentre
con una mano andava ad accarezzarle il viso. A quel tocco gentile
Victoria
chiuse un momento gli occhi e posò anche lei una mano sopra
a quella che lui
teneva sulla sua guancia.
“Ad ogni modo, dopo che ho
perso Melanie io mi sono sentito molto solo e i primi tempi ho provato
a
colmare quel vuoto con varie ragazze, lo ammetto, ma nessuna era
all’altezza di
Melanie.”
Il cuore di Victoria si
strinse quando vide quegli occhi verde chiaro lucidi. “Ci ho
messo un po’ per
capire che era come se il mio cuore si fosse fermato. Si era rotto e
fermato ma
poi, molto tempo dopo, mi sono scontrato con una maldestra e bellissima
ragazza” e dicendo quelle parole Francis sorrise.
L’uomo prese l’altra mano
di Victoria e le fece appoggiare il palmo sul suo petto,
all’altezza del cuore.
“Lo senti? Batte di nuovo.”
Victoria rimase zitta, sentendo
il ritmo cadenzato del cuore di Francis contro la sua pelle.
“Abbiamo tutti e due un
passato importante alle spalle ed è una cosa che ci
porteremo dietro per
sempre… ma appunto è lì, alle nostre
spalle. Io voglio davvero provare a
voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo della mia vita e voglio
provare a
farlo con te ma solo se tu te la senti. Te la senti?”
Senza alcun dubbio Victoria
annuì prima con la testa e poi sussurrò un debole
“Si” che fece sorridere
Francis.
“Ok, adesso ho un’altra
domanda: se provo a baciarti mi fermerai?”
“No”
E a quel punto Francis
piegò leggermente la testa avvicinandosi alla bocca della
ragazza e prendendo
le labbra tra le sue e spostando la mano che teneva sulla guancia di
lei verso
quella massa di morbidi capelli scuri.
Il cuore dell’uomo aveva
accelerato contro la sua mano ma il cervello di Victoria non se ne era
minimamente accorta, annebbiata com’era dal profumo della sua
acqua di colonia.
Erano passati giorni in cui
Johanna e Edward non si erano parlati. Lei continuava a fingere che non
ci
fosse alcun problema di fondo ma non riuscì a fregare
Sebastian a lungo e alla
fine si decise a chiedere consiglio al suo migliore amico. Gli
rivelò l’idea di
Edward di uccidere Magnus e la litigata che ne era seguita.
“Io odio quell’uomo!”
sbraitò Jo riferendosi a Saintclare “Lo odio ma
non voglio che Edward diventi
autore di un omicidio!”
Sebastian rimase un minuto
in silenzio nel tentativo di pesare bene quello che stava per dire, si
preparò
mentalmente una frase ma se la scordò guardando la sua
migliore amica che
faceva avanti e indietro lungo la stanza per poi buttarsi sulla
poltrona con
uno sbuffo.
“Quello che vuole fare Ed
non è un omicidio, è giustizia” disse
duro “Se quell’uomo torna in libertà
finirà per rovinare di nuovo la tua vita, quella di Edward,
di sua sorella e di
sua nipote e di molte altre persone.”
“So che salverebbe molte
vite”
“Vedi? Ti sei data una
risposta da sola…una vita contro
molte…è matematica. Fossi in lui anche io lo
vorrei uccidere. Tu non faresti di tutto per proteggere le persone che
ami?”
“Si” affermò Johanna.
“Allora vai a sostenerlo”
le consigliò.
Mezz’ora più tardi Johanna
si materializzò davanti casa di Edward e andò a
bussare. Appena vide il ragazzo
aprire la porta gli si tuffò praticamente addosso, premendo
le labbra contro
quelle di lui. Dopo un attimo di spiazzamento Edward prese il viso
della
ragazza tra le mani e rispose al bacio; quando si staccarono, con il
fiato
corto Johanna disse convinta: “Sono dalla tua parte,
qualsiasi cosa tu decida
di fare.”
Il ragazzo le sorrise,
sinceramente grato di avere il suo appoggio.
“Entra” e le fece strada
fino al salotto dove Elaine stava cercando di calmare una Kayla che
urlava e
piangeva disperatamente.
Quando finalmente la
neonata si addormentò Edward annunciò che sarebbe
andato ad Azkaban.
“Vengo con te” affermò Jo
alzandosi in piedi.
“No, non esiste. Apprezzo
il tuo supporto ma ho progettato la cosa per me da solo.”
“Ed è pericoloso!” protestò
Elaine
“Per questo voglio andare
da solo. Meno gente è coinvolta in questa storia meglio
è!”
“Ma io voglio essere con
te!”
“Possiamo parlarne in
privato?” domandò Edward trascinando una Johanna
alquanto contrariata nell’ingresso.
“Ascoltami Jo, sarà una
cosa pericolosa…potrebbero scoprirmi e arrestarmi,
potrebbero succedermi mille
altre cose…non posso permettere che tu venga con me
perché se ti succedesse
qualcosa non potrei mai perdonarmelo.”
Il tono del ragazzo aveva
un che di disperazione che fece sciogliere anche il cuore di pietra di
Johanna
Johnson.
“Ma io voglio aiutarti…”
“C’è una cosa che puoi fare
per aiutarmi: ho bisogno di un alibi. Qualsiasi cosa
succederà ci potrebbero
essere degli interrogatori…tu ed Elaine dovete sostenere la
stessa versione. Ho
bisogno di qualcuno che mi copra…”
Johanna prese un bel
respiro. “Bene…rimarrò qui. Tu
però vedi di tornare, intesi?”
“Intesi” concordò lui.
Edward salutò sua sorella e
la sua nipotina poi tornò all’ingresso per
abbracciare Johanna. La tenne
stretta a se per un po’.
Stava per andare ad
uccidere una persona, sperando di farla franca. Le cose sarebbero
potute anche
andare male e in quel caso rischiava di non vedere mai più
la giovane. Aveva
bisogno di dirglielo, aveva bisogno di dirle quelle due parole. Era
presto,
sapeva che era presto ma quella ragazza gli era entrata nel cuore il
giusto che
l’aveva vista entrare nell’aula delle udienze forte
come una supereroina.
“Ti amo” le disse dopo aver
sciolto l’abbraccio e si smaterializzò subito. Non
le diede il tempo di
replicare, aveva paura di sentire la risposta. Era abbastanza
coraggioso da
andare ad uccidere un Mangiamorte ma non abbastanza da dire
“ti amo” ad una
ragazza e vederne la reazione.
Quando William venne
convocato per fare un interrogatorio e si ritrovò di nuovo
davanti Elaine Burke
ebbe quasi un colpo al cuore neanche lontanamente paragonabile a quello
che
ebbe però quando lesse, nella mente della giovane, la
verità sulla morte di
Magnus Saintclare.
Vide il terrore nei suoi
occhi e non riuscì a dire ai suoi superiori che Edward Burke
aveva ucciso
Magnus Saintclare, si limitò a sostenere la versione che la
ragazza aveva
raccontato a voce e la stessa cosa fece per Edward.
Trovò la ragazza ad
attenderlo nel suo ufficio. Era di spalle e guardava fuori dalla
finestra
magica che ogni giorno proiettava un panorama diverso, quel giorno
sembrava di
essere immersi in una foresta.
“Elaine…che ci fai qui?”
“Perché lo hai fatto? Perché
mi hai protetta?”
“Perché so che ti ho ferita
e mi dispiace ma tengo a te. Non voglio che la tua famiglia soffra
ancora.”
L’ultimo caso, la sua
ultima perdita non aveva fatto altro che svilire ancora la sua
posizione di
fronte al nuovo capo. Lei e Sophia erano state costrette addirittura a
svolgere
qualche lavoro di bassa manovalanza, lavori da inserviente. Quel giorno
ad
esempio Angela dovette trasportare un paziente dal suo reparto a quello
per lesioni
da incantesimi in quanto non era stato il suo animale a procurare al
paziente
una ferita che non ricordava come si era fatto ma si trattava di un
incantesimo
mal lanciato.
Mentre usciva da una stanza
vede una figura, un uomo camminare verso l’ascensore. Per un
nanosecondo pensò
di aver avuto un’allucinazione o di stare sognando ma poi
realizzò che era
tutto vero.
L’avrebbe riconosciuto tra
mille, nonostante lui fosse di spalle e fossero passati anni.
Con il cuore che le batteva
a mille Angy cercò di passare tra le persone e la barelle
per raggiungerlo. Si
scontrò con qualcuno ma non ci fece neanche caso. Era lui.
Era sicura che si
trattasse di lui. Doveva raggiungerlo, doveva vederlo.
Purtroppo l’ascensore si
chiuse alle spalle dell’uomo, ancora di spalle, e lei lo vide
praticamente
sparire sotto ai suoi occhi, quando era arrivata a solo una decina di
metri da
lui.
Buonasera gente!
C’era chi voleva il
capitolo velocemente ed eccolo qui. Spero che vi sia piaciuto,
è carico di
feels e immaginando la parte di Freya ammetto di aver pianto,
così come mi sono
commossa con la storia di Francis… che ci volete fare, sono
una sadica dal
cuore di panna…
Mi dispiace solo di aver
inserito poco William in questo capitolo, ma non volevo allungarlo
ulteriormente. Signorina, consideralo in ostaggio fino alla
realizzazione dei
Malek… (si, è una minaccia)
Chi sarà la persona che
Angela ha cercato di inseguire? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Per la cronaca: mancano due
capitoli (Settembre e Ottobre) + l’epilogo.
A presto
H.