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Autore: Milla Chan    20/09/2016    3 recensioni
Aveva maturato uno strano sentimento nei confronti degli umani. Non c’era più paura, ma non c’era nessuna rabbia, solo un misto di disgusto e indifferenza. Quella situazione, però, non gli pesava quanto i suoi genitori pensavano che avrebbe dovuto; o almeno così sembrava. Kenma passava gran parte delle sue giornate a giocare ai videogiochi, e quando sua madre gli chiedeva se avesse qualcosa da raccontarle, passandogli la mano tra i capelli scuri, lui la guardava con una sorta di senso di colpa negli occhi.
[KuroKen + altre coppie secondarie] [Tokyo Ghoul!AU, ma non è necessario seguire l'opera]
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Anthem for Doomed Youth

Esattamente un mese e un giorno dopo il quindicesimo compleanno di Kenma, bisognava festeggiare il sedicesimo di Kuroo.
Kenma non ricordava il momento in cui aveva dovuto iniziare ad alzare così tanto la testa per guardarlo in faccia. Anche lui era cresciuto, certo, ora era poco sotto il metro e settanta, ma Kuroo era sempre stato più alto di lui. Nei tre anni e mezzo che erano passati da quando Kuroo gli aveva quasi sfondato il parabrezza della macchina, la differenza di altezza tra loro due era diventata di più di dieci centimetri ed era molto più evidente. Ciò non era tuttavia fonte di disappunto per Kenma: era bello salire sul letto superiore e farsi abbracciare da lui. Gli dava un senso di tranquillità che non era mai riuscito a trovare da nessun’altra parte.
Quel vizio era iniziato in una notte estiva, quando il tuono di un temporale lo aveva svegliato nel bel mezzo di un incubo. Il cuore aveva iniziato a battergli così forte che pensava che sarebbe uscito dal petto. Kuroo doveva aver sentito il muoversi agitato delle lenzuola e il suo respiro pesante, perché lasciò penzolare un braccio giù dal letto e Kenma aveva afferrato la sua mano senza pensarci due volte.
-Vieni qui.- gli aveva detto Kuroo sentendo le sue dita gelide e tremanti. Si era riaddormentando con la schiena appoggiata al suo petto. Il giorno dopo si era sentito un po’ in imbarazzo per essersi fatto abbracciare per qualcosa di così stupido, ma più di una volta era tornato in quel letto quando qualcosa non andava.
Kuroo aveva anche iniziato a dormire in una posizione piuttosto strana, ma a suo dire incredibilmente comoda: l’unica pecca era che i suoi capelli avevano ormai preso una piega terribilmente innaturale ed inspiegabilmente indomabile. Non c’era stato verso di farli rimanere al proprio posto, e tutti si erano arresi e avevano riconosciuto la vittoria di quella testa scombinata. A Kenma però piaceva passargli le mani tra i capelli quando se li trovava davanti, magari mentre Kuroo era seduto al tavolo a studiare. Cercava di farglieli restare giù premendo a lungo coi palmi delle mani: sapeva che era tutto inutile, ma continuava a farlo.

Quando Kenma aprì la porta per uscire dalla classe, una voce in particolare attirò la sua attenzione: era squillante e determinata, inconfondibile, e Kenma non poté non voltare la testa per vedere la faccia radiosa di Shouyou. Anche lui era cresciuto, ma non troppo. Il viso non era più tondo come prima, le guance erano meno piene, i lineamenti da bambino se ne stavano andando: faceva seconda media, e ancora una volta frequentava la stessa scuola di Kenma.
Il ragazzino dai capelli rossi e disordinati ravvivava con il suo entusiasmo quell’angolo di corridoio, circondato da persone molto più alte di lui e dall’aria parecchio scettica. Kenma pensò che fosse proprio rumoroso, ma nonostante ciò era pronto ad andargli incontro: i suoi piedi si stavano già muovendo, un piccolo sorriso era già comparso sul suo volto, ma una frase in particolare lo fece bloccare.
-Gente come te alla CCG non sopravvive una settimana.- aveva detto un biondino annoiato sul suonare della campanella.
Hinata gonfiò le guance e il petto. -Vedremo!- rispose con un grande broncio, prima di entrare in classe a passo di marcia.
Kenma guardò la finestra accanto alla quale, fino a poco prima, c’era Shouyou. Era rimasto stordito, agitato, scosso. Si sentiva come se l’avessero pugnalato alle spalle e una parte di sé gli stava dicendo che, no, aveva solamente capito male, aveva frainteso.
Tornò in classe e chiuse la porta.

Come sempre, si ritrovò affianco a lui ad aspettare un treno che sembrava non arrivare mai e, come aveva sempre fatto in tutti quegli anni, Hinata parlava senza fermarsi.
-Kenma, stai bene?- chiese a un certo punto, nel vedere il suo sguardo basso e perso. -Cioè, sei sempre silenzioso, ma oggi… Boh, è successo qualcosa?-
Il treno arrivò ed entrambi salirono. Kenma si sedette e scrollò le spalle.
-... Oggi mi è sembrato di sentirti parlare della CCG, in corridoio.- riuscì a dire. -Potrei essermi sbagliato, però.- aggiunse dopo una pausa di qualche secondo.
Il volto di Shouyou si illuminò aprendosi in un grande sorriso. -Davvero non te l’ho detto!? Cavolo, ma di cosa parlo allora? Allora, ok, inizio un discorso: sul serio, ma ci pensi a che lavoro fanno gli investigatori della CCG? Sono in grado di combattere creature pericolose come i ghoul!-
Per la prima volta da quando quella conversazione era cominciata, Kenma lo guardò dritto in faccia. Hinata si bloccò per un secondo quando se ne rese conto, colto di sorpresa e vagamente inquietato da quello sguardo fermo.
-Li ammiri?- chiese Kenma. -Le colombe, dico.-
-Certo che sì!- rispose immediatamente. -Tengono la città al sicuro, senza di loro ci sarebbe il caos totale, saremmo in balia di… mostri! E invece loro hanno sviluppato tecnologie che gli permettono di tener testa a esseri con poteri sovrannaturali! Mi piacerebbe moltissimo far parte della CCG, e visto che l’anno prossimo compirò quindici anni e poi finirò le medie, potrò provare ad iscrivermi all’Accademia. L’essere piccolo non mi fermerà di certo! Sono così emozionato!-
Kenma si sentì congelare il sangue nelle vene. Sentì un brivido, e lo stomaco gli si attorcigliò fino a fargli male.
-Uccideresti qualcun altro, una persona con una famiglia e degli amici, solo perché mangia carne umana?-
Hinata lo guardò come se stesse delirando. -Kenma, non puoi pensarlo sul serio, i ghoul ci uccidono! In modi terribili! Ci mangiano! Non sono neanche sicuro che ce l’abbiano, famiglia e amici!-
Cercò disperatamente di non dare a vedere quanto gli fecero male quelle parole.
-Anche gli altri umani uccidono. E per di più, senza scopo.-
Il sorriso del più piccolo si stava spegnendo. Assunse un’aria pensosa e stette zitto per una manciata di secondi.
-Sì, ma le probabilità di essere uccisi da un ghoul sono sicuramente maggiori!-
Kenma deglutì e abbassò la testa, scuotendola in modo quasi impercettibile. L’occhio cadde casualmente sul telefono che teneva tra le mani: Kuroo gli aveva scritto di scendere due fermate prima del solito. Corrucciò le sopracciglia e si alzò in piedi.
-Oh?-
-Oggi devo scendere qui.- si limitò a spiegare Kenma.
-Ah, ok! Comunque ho capito perché ti comporti così: non devi avere paura per me, Kenma! C’è un lungo corso per prepararci, non ci lanciano certo sul campo di battaglia così! Sono destinato a un grande futuro, lo so, sarò fighissimo nel tenere la città al sicuro!-
-Non lo metto in dubbio.-
Le porte si aprirono e Kenma scese, le braccia senza forza lungo i fianchi. Non si soffermò a guardare la faccia dispiaciuta e smarrita di Shouyou.

Poco alla volta Kuroo aveva imparato, con molto impegno e non poche difficoltà, a decifrare gli strani comportamenti di Kenma. Non gli piaceva parlare né avere a che fare con le persone, non gli piaceva impegnarsi, eppure ogni volta, in qualche modo, lo stupiva e gli insegnava indirettamente a fidarsi di lui, perché era in grado di risolvere intricati ragionamenti apparentemente senza sforzo. Il fatto era che a Kenma non importava di eccellere o di sentirsi bravo. Lui faceva e basta. La parola chiave era attenzione, e Kuroo pensava che il suo atteggiamento distaccato fosse una protezione per evitare spiacevoli e inattesi turbamenti. Grazie alla sua capacità di non farsi trasportare troppo dagli eventi -era qualcosa che aveva affinato con gli anni, Kuroo ne era sicuro, perché Kenma era incredibilmente sensibile-, riusciva a mantenere una flemma e un’oggettività ammirevole.
Quel giorno, Kuroo si sentì incredibilmente fiero di essere riuscito a far apparire quell’espressione sorpresa, quel barlume negli occhi di Kenma. Lo aspettava appena fuori dalla metro, le mani nelle tasche del giubbotto.
-Kuro.-
Kenma aveva iniziato a chiamarlo così. Una semplicissima e quasi impercettibile abbreviazione del suo cognome, ma che in qualche modo suonava più familiare e intimo del suo stesso nome.
-Cosa fai qui?- proseguì Kenma con la testa appena inclinata. -Perché mi hai fatto scendere prima?-
Kuroo alzò le spalle e gli sorrise. -Torni sempre a casa da solo e ho pensato fosse carino farti una sorpresa!-
-È il tuo compleanno, sarei io a doverti fare una sorpresa…-
L’altro scosse la testa e continuò, fingendo di non ascoltarlo. -In più avevo voglia di uscire.-
-Possiamo fare una passeggiata, se ti va.-
Questa volta fu Kuroo ad essere sorpreso. Kenma che non chiedeva di tornare a casa? Cos’altro, il giorno dopo avrebbe iniziato a snobbare i gatti? Lo osservò dall’alto per qualche secondo, la bocca ridotta a un piccolo cerchio. -…Aspetta, è questo il mio regalo?-
Kenma fece una smorfia e roteò gli occhi, per poi voltarsi e iniziare a camminare. Kuroo rise e gli fu accanto con due ampie falcate.
Era novembre e il cielo era velato, l’aria frizzante faceva pizzicare il naso, ma era comunque piacevole, in qualche modo. Kenma fu obbligato a raccontargli nei dettagli cosa era successo a scuola, fu attento a sorvolare sulla questione di Shouyou e, non sapeva perché, ma la città gli sembrava un po’ più bella. Kuroo gli disse che anche quella mattina era uscito e si era trovato davanti ad un bel negozio in cui doveva assolutamente portarlo.
-Oggi è la seconda volta che passi di qui.-
Una voce allegra catturò la loro attenzione e entrambi alzarono la testa. Seduto in cima ad un muro, un ragazzino dai capelli castani e mossi li guardava con un sorriso che non aveva nulla di gentile.
-Hai qualche brutta intenzione?- continuò reclinando il capo sulla spalla e chiudendo gli occhi.
-Se andare a comprare beni quasi certamente superflui lo consideri avere brutte intenzioni...- disse Kuroo alzando le spalle.
Il ragazzo saltò giù e atterrò davanti a lui. Lo fissò attentamente con il naso arricciato in un’espressione infastidita, i kakugan che lo scrutavano in modo inquietante.
-Fai il simpatico?-
-Non lo sono?-
Kenma pensò che quello non fosse affatto l’atteggiamento giusto da avere con un ghoul che non si stava dimostrando accondiscendente, e gli inviò quel messaggio tirandogli leggermente la manica.
Kuroo passava intere mattinate a gironzolare per strada. Era un periodo pacifico, la situazione generale sembrava piuttosto distesa: non si sentiva parlare di colombe da un pezzo, e anche la televisione non passava più notizie di grande rilievo riguardo ai ghoul. Aveva imparato a camminare tranquillamente e a lungo tra gli umani senza essere pervaso da una sensazione di incontenibile disagio o nervosismo, e dall’istinto di saltar loro addosso. Ora che ne era capace, era strano pensare come, nonostante fosse cresciuto per strada, non avesse mai avuto davvero a che fare con gli umani prima di allora: conosceva molti ghoul, ma agli umani non si era mai avvicinato se non per mangiarli.
Kuroo fiutava e identificava spesso altri ghoul durante le sue camminate, ma praticamente nessuno gli rivolgeva più di un’occhiata, e quasi tutti gli camminavano vicino senza dimostrarsi aggressivi. Quel ragazzo poco più basso di lui, dai lineamenti armoniosi ed eleganti, sembrava invece essere piuttosto suscettibile.
-Dovete andarvene.- disse scocciato.
-Sei tu che ci hai fermato, noi stavamo passando di qui per caso.-
Kuroo quasi non finì la frase. Fu tutto incredibilmente veloce e Kenma, per un attimo, pensò che non fosse reale. Vide il kagune dell’altro ragazzo fendere l’aria e venire subito contrastato da quello di Kuroo.
Non aveva mai visto il kagune di Kuroo e il rosso acceso di quel bikaku gli strinse il petto, assieme alla consapevolezza di essere finito in una brutta situazione.
-Non so quanto ti convenga.- gli consigliò Kuroo, sottovoce ma con un sorriso, fissando i tentacoli che uscivano dalla schiena del ragazzo. -Un rinkaku non è l’ideale, vero?-
Si fissarono negli occhi per un lungo momento, in silenzio, mentre ciascuno ritirava il proprio kagune.
Kenma li osservava con occhi attenti e i sensi all’erta come un animale selvatico. Qualcosa tremò dentro di lui, afferrò Kuroo per la giacca e lo strattonò così improvvisamente che gli fece perdere l’equilibrio, ma almeno gli permise di evitare il pugno in arrivo.
Guardò Kuroo in ginocchio davanti a sé per una frazione di secondo, giusto il tempo di rendersi conto di quanto il proprio cuore battesse velocemente, poi il respiro gli mancò del tutto, perché la mano di quel ragazzo gli strinse la gola e quasi lo sollevò da terra.
Kuroo si alzò tirandogli una gomitata nello stomaco, lo fece cadere a terra e gli fu subito sopra, bloccandogli le braccia con le ginocchia.
-Non lo devi toccare.-
Kenma si portò istintivamente una mano al collo, il fiato corto e lo sguardo turbato. Sentì, in quella intonazione, una violenza che non aveva mai visto in lui; la vide nella sua bocca digrignata, e nei due colpi secchi che sferrò al suo volto.
Non erano così gli allenamenti che Kuroo faceva con lui, in nessuno degli esercizi che gli aveva insegnato c’era qualcosa della brutalità e della durezza che esplodeva negli occhi dei due ragazzi a terra.
-Tooru!-
Un altro giovane atterrò sulla strada, dopo essere saltato giù dal muro. Kuroo non riuscì ad evitare il calcio che lo colpì in pieno volto e cadde di lato. Oikawa fu afferrato per il braccio e scansato dalla parte opposta.
-Tu non sei così stupido.- disse quel ragazzo dagli occhi verdi, con un tono assertivo ma deluso. Oikawa lo guardò, seduto sull’asfalto, il kakugan che spariva. Nessuno avrebbe attaccato da solo due ghoul, lo sapeva, sarebbe stato da sconsiderati ed era a quello che si riferiva Iwaizumi.
-Eppure ora sei qui anche tu, Iwa-chan!- gli fece notare con una risatina blanda, tornando in piedi e contrastando un capogiro mentre si massaggiava la mascella dolorante.
Iwaizumi aggrottò le sopracciglia e lo fulminò con un’espressione tagliente. L’aveva fatto solo perché sapeva che sarebbe corso in suo aiuto? Per qualche motivo, temeva che sarebbe stato davvero in grado di iniziare uno scontro da solo, visto il suo orgoglio spropositato.
Scosse la testa e si voltò verso gli altri due con le braccia incrociate al petto.
-Questo è il nostro territorio.- disse minaccioso.
Anche grazie all’aiuto di Kenma, Kuroo era tornato in piedi, benché barcollante. Non appena incrociò gli occhi coi suoi, gli sembrò che il mondo si fosse congelato.
-Hajime?- mormorò con voce stralunata, una mano davanti al naso sanguinante.
L’altro socchiuse le labbra.
-Tetsurou…!- esclamò con un’espressione incredula.
Kuroo prese un respiro profondo e sgranò gli occhi. -Sei vivo.- mormorò stupefatto.
Oikawa strusciò i piedi e si affiancò ad Iwaizumi, guardando gli altri due in cagnesco. -Chi sono?-
Kuroo sentiva ancora l’adrenalina in corpo e più guardava quel Tooru e più il sangue gli ribolliva. Era una sensazione strana perché una parte di sé avrebbe anche voluto abbracciare Iwaizumi, ma non sapeva quanto né in cosa fosse cambiato, che tipo di persona fosse diventato e chi fosse il suo amico. Erano passati tre anni, dopotutto.
Si girò verso Kenma e quello gli rivolse uno sguardo incerto e diffidente, a distanza di sicurezza da quelle due persone di cui sapeva soltanto che erano potenziali assassini.
Kuroo si passò il dorso della mano sopra il labbro per ripulirsi dal sangue. -… Mi hai quasi rotto il naso e il tuo amico ci voleva ammazzare. Non siamo qui per il territorio, stavamo solo passando per caso.-
-Mi dispiace. E mi dispiace non essere tornato allo scantinato quella notte.- disse Iwaizumi, incredibilmente serio e con voce ferma. -Per favore, ho bisogno di sapere come state tu e gli altri.-
Kuroo lo guardò con un misto di nostalgia, compassione e sorpresa. Non lo sapeva.
Iwaizumi gli rivolse in risposta un’espressione preoccupata e confusa.
-Ci aspetta un lungo pomeriggio, vero?- commentò Oikawa a denti stretti.

Quando rientrarono quella sera, Mizuki aveva l’aria di qualcuno che avrebbe volentieri preso uno per battere l’altro.
-Mi avete fatta preoccupare!- disse a voce troppo alta, vibrante di agitazione. -Tetsu, ma guardati, cos’hai combinato!? La rissa di compleanno? Sei tremendo!-
Kuroo evitò il suo sguardo a spalle basse. Sotto gli occhi si era formato un livido scuro e aveva tutta la faccia indolenzita. Anche se era evidente che non avesse una bella cera, non se la sentiva di raccontare i dettagli.
-Mi farete impazzire, voi due. Avete un cellulare, potreste usarlo ogni tanto. Soprattutto tu, Kenma, ci stai attaccato tutto il giorno!- Mizuki fece un verso spazientito e scosse il capo. -Guardate, non voglio neanche sapere, finché non vi fate uccidere fate quello che volete. Ora però andate in cucina, io vado a prendere del ghiaccio per il signorino attaccabrighe.-

Il volto di Kuroo si illuminò quando vide sul tavolo svariati pacchetti regalo e qualcosa in tutto e per tutto simile ad un muffin, ma chiaramente di carne, con due candeline sulla sommità che componevano il numero 16. Con tutto quello che era successo quel giorno, quasi si era dimenticato che era il suo compleanno. Si ritrovò con una borsa del ghiaccio in mano e un ridicolo cappellino da festa in testa.
Guardò Hiroshi e Mizuki e non poté non sorridere, un po’ sghembo e acciaccato. Mizuki aveva le braccia incrociate, l’espressione rassegnata ma piena d’amore.
-Buon compleanno Tetsu-chan!- dissero in coro, mentre Kenma applaudiva di sottofondo. Kuroo si appoggiò la borsa del ghiaccio sul naso e soffiò sulle candeline prima di abbracciarli tutti e tre col cuore colmo di gioia.

Qualche ora dopo si buttò nel letto con un sospiro stanco, rigirandosi a pancia in su.
-Mi sono rifatto l’armadio.- commentò, in riferimento alla spropositata quantità di vestiti che gli erano stati regalati.
-Ci credo.- disse la voce di Kenma, proveniente dal basso. Stava frugando da qualche parte, ma Kuroo non aveva abbastanza forza per sporgersi e guardare.
-Se la smettessi di crescere a questa velocità, magari ti andrebbe ancora bene qualcosa…-
Kenma lo raggiunse sul letto e si inginocchiò, porgendogli un pacchetto rosso. Kuroo lo guardò confuso e sorpreso.
-È il mio regalo.- spiegò aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. -Ho voluto dartelo in privato perché… Non so, preferisco così.-
Kuroo si tirò a sedere e ruppe la carta rossa fino a trovarsi in mano un bento nero a forma di gatto, con tanto di occhietti gialli e musetto carino. Alzò il volto di scatto e lo guardò con le sopracciglia che formavano due archi perfetti, la mascella che sarebbe volentieri caduta a terra. Aveva il labbro un po’ gonfio e gli occhi socchiusi e Kenma si sentì un infame a pensare che, in qualche modo, quei dettagli dessero un effetto ancora più comico alla sua espressione.
-Ho pensato che quando inizierai ad andare a scuola avrai bisogno di qualcosa in cui tenere il cibo, quindi…-
-È bellissimo.-
Kuroo non lo lasciò finire e lo abbracciò. Kenma si sentì tremare, forse per l’imbarazzo, o la felicità di aver trovato qualcosa che gli piacesse.
-Un’altra cosa…- iniziò il più piccolo, dopo aver deglutito a vuoto, ancora aggrappato alle sue spalle. Il tono di voce era chiaramente più grave di prima. Pronunciare quelle parole era faticoso, ma, senza doverlo guardare negli occhi, era perlomeno possibile. -…Scusami se oggi non ti ho aiutato.-
Kuroo si allontanò e gli rivolse uno sguardo come per spronarlo a continuare a parlare.
-Intendo… Con Oikawa.- esalò a fatica mentre allungava una mano per prendere la borsa del ghiaccio e appoggiargliela in faccia, forse anche nel tentativo di evitare di avere i suoi occhi addosso. Kuroo gli spostò il braccio e tornò a rivolgergli gli occhi dal contorno violaceo.
-Cosa!? Certo che mi hai aiutato. Se non ci fossi stato tu mi avrebbe steso con un pugno.-
Kenma strinse le labbra e sentì un crampo allo stomaco, una sorta di odioso senso di colpa e impotenza che gli fecero abbassare il capo.
-Ti hanno steso comunque.-
-Hey.-
Una mano si appoggiò sulla sua guancia e lo invitò ad alzare lo sguardo. Kenma fece un verso basso e infastidito e si lasciò cadere in avanti, mettendo definitivamente le radici nel materasso, la faccia affondata nel piumone, impedendo così a Kuroo qualsiasi altro tentativo di muoverlo e facendolo ridere.
-Poteva andarmi peggio, perlomeno abbiamo trovato un mio vecchio amico e sappiamo che sta bene! È stato bello chiacchierare con quei due tutto il pomeriggio, no?-
Un verso ovattato dalla trapunta gli suggerì che la risposta di Kenma era stato un brontolio non troppo convinto. Kuroo sospirò e si rimise il ghiaccio in faccia con una mano, mentre con l’altra dava piccole pacche alla schiena di Kenma. Poco sopra, i suoi capelli scuri ricadevano ai lati della nuca e gli coprivano le orecchie, e Kuroo dovette lottare contro l’impulso di  accarezzarglieli.
-Certo, all’inizio è stato un po’ imbarazzante perché, insomma, avevamo appena finito di…-
-Non avevo mai visto il tuo kagune.-
La voce smorzata e sottile di Kenma gli arrivò alle orecchie come se fosse stata lontana.
-Neanche io ho mai visto il tuo.- Kuroo sorrise, anche se l’altro non lo poteva vedere. -Magari neanche tu hai mai visto il tuo.- aggiunse con ironia, tirandogli appena una ciocca di capelli scuri.
Kenma si spostò quel tanto che bastava per mostrargli quanto il suo sguardo fosse infastidito.
-…Anche il mio è un bikaku.-
Kuroo sembrò sinceramente sorpreso. Si stese affianco a lui e appoggiò un gomito al materasso per sostenere la testa.
-Lo sai perché entrambi i tuoi genitori hanno un bikaku, o…-
-No, l’ho scoperto qualche anno fa. A scuola.-
Quando fu a corto d’aria, alzò finalmente la testa e Kuroo rise perché era diventato rosso.
-Sei ancora vivo per parlarne, quindi devi essere riuscito a scamparla in qualche modo.-
Kenma annuì e si stiracchiò un poco. -Ero da solo, perché mi ero nascosto in bagno. Perché, mh.- fece una pausa si rigirò su se stesso, forse per prendere tempo. -Dei bambini mi avevano preso in giro, non ricordo neanche più per cosa. Ed ero triste e arrabbiato, ma non volevo piangere davanti a tutti.-
Fissava il soffitto, le mani intrecciate sullo stomaco. Gli dava una strana sensazione ripensarci, e ancora di più parlarne. Ricordava di essersi appoggiato al muro, i denti stretti tanto forte da fargli male, di aver sentito il respiro pesante e la testa leggera e, all’improvviso, una sensazione nuova, come se il suo corpo si fosse improvvisamente rinvigorito. Aveva alzato gli occhi sugli specchi e da quel giorno andare a scuola era diventata un’ulteriore e terribile lotta contro nuove pulsioni.
-Non sei cambiato per niente, allora.-
Kenma lo guardò con la coda dell’occhio e Kuroo gli rivolse un gran ghigno storto.
-Posso dormire qui?-
L’altro sospirò. -Va bene, ma solo perché stasera fa freddo.-
-È che non ho voglia di andare nel mio letto.- borbottò Kenma, in una specie di giustificazione poco credibile mentre Kuroo tirava il piumone sotto di lui.
-Kenma, il tuo letto è letteralmente un metro sotto il mio.-
-Se vuoi vado.-
Il più grande sporse il capo per guardarlo in faccia e si imbronciò quando vide un piccolo sorriso aleggiare sulle sue labbra.
-Nah.- rispose vago, come se non gli importasse poi così tanto, mentre si infilava sotto le coperte e copriva anche l’altro.
Kenma gli diede la schiena e lui colse l’invito ad abbracciarlo come faceva la maggior parte delle volte che decidevano di condividere quel letto, che finiva col diventare insopportabilmente piccolo per entrambi.
-Dopo quello che ho sentito raccontare oggi da Hajime e dopo la festa che mi avete fatto…- disse Kuroo chiudendo gli occhi e stringendolo contro di sé, sinceramente felice di riuscire a sentire così chiaramente il suo battito del cuore e il profumo dei suoi capelli. -…Mi sono chiesto cosa ho fatto per meritarmi te e i tuoi genitori e questa nuova vita. Mi sono chiesto perché il destino abbia deciso di ripagarmi con tanta fortuna e felicità.-

Tanta fortuna e felicità.

Fu quello il ricordo che gli sembrò di rivivere, con una chiarezza impressionante; furono quelle le parole che risentì quando, esattamente un anno e mezzo dopo, si congelò accanto a Kenma, all’angolo della strada davanti al loro condominio.
Dopo quella corsa disperata, accecati da un sesto senso terribile, ora non riuscivano a far altro che restare immobili, la faccia rivolta verso l’alto, a guardare l’impenetrabile fumo nero e le fiamme sempre più alte che avvolgevano l’edificio. Un’immagine irreale, stampata su un cielo dai colori strani, sfumature viola e arancioni che tendevano al tramonto, mischiate da nuvole immobili.
Kenma non sentiva nessun suono. Fino a quel momento aveva ascoltato la sirena dei pompieri, lontana e angosciante, farsi sempre più vicina, sperando invano che non stesse andando dove credeva. Presto sarebbero arrivati lì, ma lui ormai non la sentiva più. Non sentiva niente, tranne in rombare del sangue nelle orecchie.
-Kenma, no, fermo!-
Due passi e qualche salto, e fu lontano da lui. Kuroo lo guardò terrorizzato mentre entrava da una delle finestre al terzo piano.

Casa sua era piena di fumo. Kenma socchiuse gli occhi e si portò la manica della felpa davanti alla bocca, ulteriormente innervosito e impanicato per gli insopportabili e penetranti trilli di tutti gli allarmi antincendio e l’odore pungente. Andò in soggiorno, lottando contro il caldo insopportabile che lo faceva sentire come se si stesse sciogliendo, le fiamme che avvolgevano i mobili e il divano e si piegavano contro il soffitto annerito, instancabili, voraci, frenetiche.
Si sentì prendere per il braccio e sussultò prima di vedere che era Kuroo.
-Dobbiamo andare via.- gli disse serio il più grande, tirandolo verso la finestra da cui era entrato.
Kenma si svincolò dalla presa senza pensarci e gli mostrò gli occhi neri e cremisi. Le labbra erano talmente strette da tremare e Kuroo cercò di farlo ragionare.
-Kenma, i kakugan non ci salveranno dal finire bruciati vivi!-
-Dobbiamo trovare mamma e papà, lo sai che sono a casa.-
Entrò in cucina, cercando di passare dove le fiamme erano meno fitte, ignorando quanto bruciasse, quanto sentisse il fuoco accerchiarlo e mangiarlo. Riaprì gli occhi e tra le lacrime e il fumo vide qualcuno in piedi vicino alla finestra, in fondo alla stanza, girato di spalle.
Qualcosa gli afferrò debolmente la caviglia e Kenma sentì il proprio corpo diventare di pietra  nell’attimo stesso in cui abbassò lo sguardo.
-Kenma!- sentì chiamare Kuroo, dietro di sé.
La figura offuscata di sua madre lo guardava dal basso, gli occhi vuoti, i lunghi capelli sparsi sul viso insanguinato. Poco dietro, suo padre riverso a terra non si muoveva.
-Scappa.- mimò la donna con le labbra spaccate, dalle quale non sembrava voler uscire più nessun filo di voce, nessun respiro.
Gli sembrò di non avere più forze, tutt’a un tratto.
Kuroo riuscì a raggiungerlo. Sbarrò gli occhi, per quanto possibile, e ci mise un attimo più del previsto a organizzare i pensieri.
-Mizuki.- mormorò incredulo, confuso, terrorizzato.
-Scappa.- sibilò di nuovo la donna, con tutta la forza che aveva in corpo, ma immobile, la voce graffiante e bassa, impercettibile tra gli scoppiettii del fuoco, le sirene e gli allarmi.
La sagoma in fondo alla stanza si accorse di loro. Si voltò, e quando iniziò a dirigersi verso di loro, non ci fu più tempo.
-Kenma, fuori, fuori!- gridò Kuroo, subito, distogliendo a fatica lo sguardo dai due corpi esanimi e bruciati sul pavimento, tra il sangue e i vetri rotti.
-Mamma!-
Kuroo lo trascinò quasi di peso mentre tornava sui suoi passi, più veloce che poteva tra le macerie, la casa che iniziava a crollare e il fuoco insopportabile.
-Mamma!-
Kenma ansimava, col fiato corto, la vista quasi completamente offuscata, le dita di Kuroo strette saldamente attorno al suo gomito. Calpestò qualcosa e lo spezzò, si voltò indietro giusto in tempo per vedere la sua maschera in frantumi, per sentire un miagolio debole provenire da chissà dove, tra le fiamme. Poi dovette lanciarsi nel vuoto.
L’atterraggio fu uno dei peggiori della sua vita.
L’asfalto era più duro e ruvido di quanto ricordasse, le gambe sembravano non volerlo più reggere. Rotolò malamente per terra e si rialzò a fatica, la gola chiusa che faceva passare solo un filo d’aria. Kuroo non aveva ancora lasciato la presa e continuò a farlo correre, e correre ancora, per le strade intricate che si stavano affollando di persone spaventate e curiose, tra le svariate sirene che facevano capire loro che quello che stava succedendo non era normale, non era un episodio marginale, non era qualcosa successo per caso. Corsero, e corsero, e continuarono a correre finché non ce la fecero più, finché i polmoni non bruciarono e dovettero rallentare il passo per non accasciarsi a terra.
Si infilarono in un vicolo e si abbandonarono contro il muro, cercando ossigeno.
Si guardarono finalmente in faccia e Kuroo sentì una fitta al cuore nel vedere Kenma ridotto in quello stato, i vestiti bruciacchiati e in parte fusi con la pelle, gli occhi gonfi e rossi, le ustioni e la parte destra del corpo piena di escoriazioni dovute alla caduta.
I respiri pesanti di Kenma gradualmente si mischiarono a singhiozzi convulsi. Kuroo provò a dire qualcosa per cercare di tranquillizzarlo, qualsiasi cosa, ma la testa gli girava ancora troppo, e, soprattutto, non aveva parole di conforto. Dovette restare in silenzio.
Avvolse entrambe le braccia attorno alle sue spalle e lo strinse contro di sé con delicatezza, per non fargli male, stando attento a non toccarlo dove la stoffa si era sciolta. Il suo petto tremò e affondò i denti nel labbro inferiore per non piangere a propria volta, ma invano.
Sentire Kenma gemere in quel modo gli fece più male di tutte le bruciature che sentiva addosso.


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Note e chiarimenti
Mi dispiace, cominciamo a entrare nell'angst. 
Il titolo del capitolo è lo stesso di una poesia di Wilfred Owen e probabilmente si commenta da solo: trovo che un inno alla gioventù dannata sia abbastanza azzeccato, a questo punto. Come ha detto Kuroo nel capitolo precedente, non possono scappare da quello che sono e da tutto ciò che la situazione comporta.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire la storia.

Grazie a tutte le persone che hanno recensito e/o messo la fanfiction tra le preferite/seguite/ricordate!
Ci vediamo tra tre settimane.

 
   
 
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