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Autore: _Garnet915_    04/05/2009    7 recensioni
Guarigione. Un concetto che può apparire tanto semplice. Ma per alcuni è una ripida strada di montagna che sembra non offra alcun sentiero sicuro. Percorrerla da soli sembra una tortura. Ma forse con qualcuno accanto, una sicurezza può essere trovata. {NOTA: il titolo della storia è lo stesso di una canzone incisa in Giappone e dedicata al pairing Inuyasha/Kagome - lo stesso principale di questa fic - Questo, però, non significa che la storia sia una sorta di song-fic}
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Sango
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9. Kono basho ga sagashiteta ore no iru basho ~ I'm here at the place I'd been searching for


A metà strada si sedette: aveva il fiatone.


Maledetti cento gradini, sono sempre troppi!


Le bruciavano gli occhi, sulla strada per casa aveva pianto troppo.


Le succedeva tutte le volte che andava da suo padre.


E piuttosto che farsi vedere dai suoi in lacrime, preferiva fare la figura della deficiente in giro: lo sguardo appannato dalle lacrime era sempre un problema, ci vedeva poco e andava spesso a urtare altre persone. E non chiedeva nemmeno scusa, era immersa nei suoi pensieri dall’ospedale a casa sua.


Ogni volta doveva fare una violenza assurda sul suo corpo per non piangere quei tre minuti necessari per entrare in casa, sopportare sua madre, salutare il nonno, il fratello, promettergli come sempre che, la sera, l’avrebbe aiutato a fare i compiti e fiondarsi un po’ in camera.


Quel giorno, però, c’era anche qualcos’altro che la rendeva triste.


Quella vista…


Quei due…


Il suo sorriso…


La risata fastidiosa di lei mentre parlavano…


Inuyasha sembrava un’altra persona.


Era una strana scena, davanti a lei c’erano due persone che conosceva… ma erano tremendamente diverse da come le aveva sempre viste lei. Quella vista l’aveva spaventata: era stato sufficiente guardarli due secondi per sentire il petto lacerarsi lentamente, come se qualcuno le avesse con forza rigirato il dito nelle piaghe che già possedeva. Aveva richiuso velocemente la tenda e, nel girarsi, incespicò nella borsa abbandonata ai suoi piedi e cadde per terra, sparpagliando ovunque il contenuto dell’oggetto di pelle marrone. L’occhio le cadde sull’agenda. L’aprì e lesse solo una cosa Mercoledì 30 novembre - inizio terapia, in reparto L’aveva completamente dimenticata ed era una cosa che non le era mai successa, quella di dimenticarsi - anche solo per tre secondi - l’inizio di una terapia. Leggere quella riga era come un fulmine a ciel sereno. Era come se ci fosse scritto: Ehi, scema, cosa credi? Di poter condurre una vita normale?


Cosa mi hai fatto?


Cosa vuoi fare?



La realtà le stava facendo aprire gli occhi e dando un paio di sonori schiaffi.


Torna con i piedi per terra, cretina!


Si raccolse le gambe al petto e vi nascose la faccia.


Singhiozzò.


Cosa pensavi? Cosa speravi? Tu non puoi affezionarti così a qualcuno! Non puoi affezionarti a nessuno! Tu non appartieni al loro mondo! Loro stanno bene, sono normali! Tu non puoi entrare nel loro mondo, così come loro non potranno mai entrare nel tuo!


Cosa credevi di fare?


Cosa puoi sperare?





Tu non puoi fare nulla, appartieni ad un mondo che ti ha legata a sé…


Gli altri non possono vedere…


Gli altri non possono sapere…


Gli altri non possono entrare.



Si sfregò gli occhi con entrambe le mani e respirò a fondo.


Frugò nella borsa, tirò fuori il pacchetto di sigarette e lo aprì; scoprì con amarezza che ce n’era rimasta una sola.


Fece una smorfia prima di accenderla.


E che cazzo!


Inspirò profondamente prima di buttar fuori il fumo.


Il sapore amarognolo e l’odore pungente del fumo la calmavano.


Gettò uno sguardo alle sue spalle, giusto per controllare che non arrivasse nessuno della sua famiglia.


Se arriva Kikyo le spengo la sigaretta sulla faccia!


Come spesso le accadeva, cambiava umore nel giro di tre secondi ed ora, dalla tristezza, era passata all’incazzatura.


No, non fare niente. Non innervosirti, stupida, o passi dalla parte del torto!


Il nervosismo, però, non la abbandonava; fece un altro paio di tiri nella speranza di placarsi, ma non servì.


Le era bastato ricordarsi di Kikyo per innervosirsi come pochi. Se la incontrava in cortile era finita, probabilmente le avrebbe messo le mani addosso.


Sei viziata!


Te ne approfitti della tua situazione!



Digrignò i denti e, con forza, schiacciò la sigaretta a terra e la spense ancor prima di finirla.


Si sfregò ancora gli occhi e si alzò in piedi di scatto.


Devo sbrigarmi a tornare in casa! Sono le sei e tra poco quella stronza finisce di lavorare, non voglio incontrarla qui!


Si girò e salì i gradini a due a due.


Certo, salire a due a due una cinquantina di scalini non era certo il massimo della vita, per una che aveva la schiena ridotta a uno schifo, poi, era proprio una bellezza.


Ormai era conciata da sbatter via, non esitava a farsi del male se era necessario.


Stringeva i denti e andava avanti.


Più sentiva il fiato venirle meno più lei accelerava il passo.


Era pazza.


E lo sapeva benissimo.


Quando raggiunse il cortile si fermò e si inginocchiò: era letteralmente senza fiato.


Forse ho esagerato.


Il rumore di una porta che si apriva attirò la sua attenzione.


Alzò lo sguardo e ciò che vide non le piacque per niente: sua madre era sulla soglia della porta, che fissava la figlia con sguardo preoccupato. Quando poi si rese conto che si stava dirigendo verso di lei, cacciò giù a forza quello che sembrava un conato di vomito. Ormai anche soltanto intravedere quella donna le procurava effetti come nausea e malessere: non la tollerava proprio e più passava il tempo più si rendeva conto che, con il suo atteggiamento, aveva creato una netta linea di confine tra lei e la madre. Non si sentiva in colpa per quello, sua madre era l’ultima persona che avrebbe voluto accanto a sé.


“Kagome! Cosa stai facendo?”


Papà…


“Non stare piegata, ti farà male la schiena!”


Tu pensi che prima o poi…


“Su forza, entra in casa!”


Le cose si aggiusteranno?


“Santo cielo, possibile che tu, ogni santa volta che vai da tuo padre, torni sempre di corsa o con il fiato corto?! Ma tu ascolti la fisioterapista, quando ti parla?”


La madre prese Kagome per un braccio, intenzionata a trascinare la figlia in casa.


Cos’è questa sensazione? Perché conosco già la risposta alla mia domanda? Perché faccio finta di non saperla?


Tutto attorno a lei era silenzioso, sentiva la voce di sua madre lontana e ovattata, la luce del sole ormai volto al tramonto era fastidiosa, non capiva bene dove si trovava. Era ancora in giardino? Era già in casa?


Un fulmine a ciel sereno.


“Lasciami andare!!” urlò all’improvviso.


Le sue urla ruppero il silenzio che la permeava e i rumori tornarono velocemente come se n‘erano andati; improvvisamente, capì che era ancora in giardino, sua madre la teneva per un braccio: con uno strattone violento, si liberò dalla presa della donna e fece un paio di passi indietro, facendo attenzione a non incespicare, come era solita fare.


“Che cosa vuoi, eh?! Che cosa vuoi da me?!


“Kagome!” la madre si stupì, non si sarebbe aspettata un’esplosione della figlia senza un motivo apparente. Anche se ultimamente la figlia aveva scatti d’ira continui, ogni volta lei rimaneva di sasso dalla rabbia e dalla violenza crescente che la ragazza esternava.


“Calmati, ti prego! Non fare così, c’è ancora gente nel negozio del nonno!”


“Ah, sì eh? E’ così? Te ne fotti solo degli altri, dell’impressione che tu fai a loro?!”


“Kagome, smettila per piacere!” tentò di assumere un tono severo


“Sono tua madre, portami un po’ di rispetto!”


“Rispetto un cazzo! Come puoi pretendere rispetto da qualcuno se tu per prima non ne porti verso gli altri?!”


“Ma che cosa stai dicendo?!”


“Cosa sto dicendo?! Cosa sto dicendo!! Ma tu ce l’hai un cervello che ti suggerisce di dire la cosa giusta?! A quanto pare non è così!”


Kagome aveva raggiunto un livello di delirio mai raggiunto prima; lei stessa si sconvolgeva delle parole che rivolgeva a sua madre ma non aveva la benché minima intenzione di fermarsi né di ritirare quanto già detto. In fondo, anche se esagerate, le sue parole rappresentavano ciò che pensava davvero.


Le due donne litigavano a gran voce, al punto che furono sentite sia dai clienti del negozio che da Inuyasha e Kikyo, entrambi intenti a riordinare gli scaffali del negozio di talismani. Anche Sota e Jii-san li sentirono; andarono tutti a vedere cosa stesse succedendo, mentre i clienti preferirono andar via, per evitare situazioni imbarazzanti. Inuyasha e Kikyo osservavano la scena a pochi metri accanto a Kagome, Sota affacciato dalla finestra della stanza della sorella e Jii-san alle spalle della figlia.


Erano entrambe così concentrate sull’altra da non rendersi conto delle persone che le ascoltavano a bocca aperta. La madre era sconvolta dalle parole della figlia mentre Kagome, dal canto suo, stava inesorabilmente perdendo il lume della ragione.


Ormai in preda ad uno scatto d’ira, si tolse furiosa la giacca, alzò maglione e camicia e, con un gesto rapido, strappò le fasce in velcro del busto, se lo sfilò e lo gettò con forza contro la madre, prendendola in pieno viso dalla parte delle stecche rigide.


“Che rispetto vuoi?!” iniziò a sudare


“Non te n’è mai importato nulla di papà da quando hai saputo che per lui non c’era più niente da fare!! Hai scaricato tutto su di me!! Hai almeno… una vaga idea… hai idea cosa voglia dire avere sei anni e vedere il proprio padre crollarti addosso sanguinante?!”


Papà, finirà tutto questo prima o poi?


“Ora che lui è ridotto così, tu hai chiuso con lui!! Ora spendi tante energie con me perché sono… perché sono malata!! Mi rompi così tanto le palle dalla mattina alla sera solo perché vuoi essere certa che sopravvivrò a tutto quanto!!”


Ormai non posso più sperare che tu apra gli occhi…


“Perché se per caso tu scoprissi che per me non ci sarebbe più nulla da fare… oh mio Dio, non… non-non riesco nemmeno a-ad immaginarmelo!! La lascio stare, tanto deve morire! La stessa cosa che pensi di papà, no?! E che farai poi? Scaricherai anche me a qualcuno?! Toh, guarda! Proprio come hai fatto con papà!! Se non fosse stato per il nonno, che mi accompagnava ogni santa volta in ospedale, ora papà marcirebbe in solitudine in quella lurida stanza!!”


E se li chiudessi io…?


Come puoi pretendere rispetto?! Sei una persona orribile e pretendi pure rispetto!!” un colpo di tosse la fermò, stava urlando davvero troppo.


Una lacrima dopo l’altra… iniziò a piangere: voleva ricominciare a parlare, a sfogarsi ma non ci riuscì. Aveva un terribile mal di testa, sentiva le tempie pulsare inesorabili. Provò a parlare ma le uscì soltanto un lamento strozzato, seguito da un altro colpo di tosse. Un improvviso senso di vertigini la fece barcollare: un fruscio, un movimento veloce e Inuyasha la prese da dietro, impedendole di cadere.


Inuyasha…?


Era confusa, iniziava a non capire più niente, iniziava a sentirsi male.


Un sorriso dolce, uno sguardo triste…


Lo scrutò attentamente con le poche forze che non l’avevano abbandonata durante lo sfogo con la madre. E dopo pochi secondi capì.


Capì tutto…


Si rese conto della situazione in cui si era ficcata…


Inuyasha l’aveva vista. Ma, cosa ancora più grave, Inuyasha l’aveva sentita. Lui era l’unica persona che ancora non sapeva, che poteva accogliere accanto a sé proprio perché non sapeva nulla. Ma ora… ora non era più così. Ora anche lui sapeva, ora anche lui era come tutti gli altri.


La tristezza la invase.


Ma anche rabbia: era colpa sua, se l’era cercata lei, quella situazione. Si era messa ad urlare come una dannata contro la madre ed ora avrebbe dovuto pagare lo scotto del suo carattere terribilmente lunatico e suscettibile.


Doveva pagare allontanandosi dall’unica persona che, col tempo, forse… avrebbe potuto avere vicina.


Doveva allontanarsi, non voleva sentire anche lui prendersi gioco di lei come facevano tutti, parlare male e sputare veleno solo per diletto, solo perché lei era, da mesi ormai, l’argomento del giorno. Non voleva vederlo ridacchiare alle sue spalle, assumere un atteggiamento di sufficienza nei suoi confronti e sparare qualche battuta acida contro di lei.


Non voleva…


Ormai… ora… lui non… non può… non può più…


Trattenne a stento un altro conato di vomito, mentre lasciava che le lacrime le bagnassero le guance senza fermarsi e i singhiozzi la scossero violentemente.


Il nonno di Kagome, che aveva osservato la scena senza batter ciglio e per nulla stupito, a differenza di Inuyasha e di Kikyo, si frappose tra la figlia e la nipote:


“Inuyasha, per favore, potresti portare Kagome in camera sua? Sembra stanca e, oltretutto, non ha una bella cera… Vorrei si riposasse un po’.”


Il ragazzo si limitò ad annuire e poi prese la ragazza in braccio con una facilità impressionante: Kagome non si scompose. Come la prese tra le sue braccia, smise di singhiozzare, ma le lacrime continuavano a scendere lente.


Si sentiva vuota, sospesa a mezz’aria da una strana forza.


Non si strinse contro il petto del ragazzo, né cercò alcun tipo di contatto per reggersi ed evitare di cadere: d’altro canto, Inuyasha la stringeva saldamente ed era difficile che lei potesse cadere.


“Grazie ragazzo, in fondo alle scale, la stanza sulla destra. Tu Kikyo, invece, torna pure al lavoro” e prese con sé la figlia, mentre Inuyasha si dirigeva verso la stanza di Kagome.


Inuyasha… è diventato come tutti… non può… non può più…





Quando giunsero nella stanza della ragazza, Inuyasha la appoggiò delicatamente sul letto, sollevò il piumone e coprì il corpo fragile e tremante di Kagome che, nel frattempo, si era rannicchiata in posizione fetale, dando le spalle ad Inuyasha, con le mani strette a pugno davanti agli occhi, per impedire a chiunque di vederla mentre piangeva.


Era ben conscia che era inutile, tutti i presenti l’avevano vista piangere, ma si illuse di poter riparare l’irreparabile.


Un improvviso moto di rabbia e desolazione la fece singhiozzare di nuovo.


Tutto il suo corpo continuava a tremare senza sosta: aveva freddo e caldo allo stesso tempo; Inuyasha senza dire niente, le mise una mano sulla fronte ed ebbe la conferma ai suoi dubbi: era bollente, aveva la febbre.


Al tocco della sua mano, Kagome si irrigidì: Inuyasha se ne accorse ma non cambiò posizione.


“Ehi… Kagome” si limitò a dire con tono dolce


“Devi avere un febbrone da cavallo, scotti. Vuoi che ti porti qualcosa? Un po’ d’acqua?”


Silenzio.


Inuyasha sospirò; tolse la mano dalla fronte della ragazza e appoggiò un braccio sul letto mentre con l’altro accarezzò la testa di Kagome; la ragazza si irrigidì ancora.


“Mi dici dove tieni il pigiama? Te lo porto e poi ti lascio da sola a cambiarti. Non sei molto comoda con gli abiti per l’aria aperta addosso, giusto?”


Ancora silenzio, ogni tanto interrotto da qualche singhiozzo.


Il ragazzo decise di aspettare ancora un po’, continuando ad accarezzare dolcemente quelli che lui credeva fossero i capelli di Kagome.


Quel tocco così dolce… quel tono di voce così gentile…


Inuyasha… lasciami stare…


Ti prego…


Lasciami in pace…


O non sarò più in grado di allontanarmi da te…



“Vai… via…” riuscì a sussurrare, prima di tossire.


“Perché dovrei?” rispose prontamente Inuyasha


“Stai male, hai bisogno di qualcuno”


Non trattarmi così dolcemente.


Non trattarmi con riguardo.


Il mio cuore si lacera ogni volta che ti rivolgi così a me.



Un singhiozzo.


Un altro ancora.


Non riesco a trattenermi, Inuyasha.


Io odio piangere davanti alla gente, è una cosa che proprio non sopporto.


Eppure non riesco a fermarmi se so che tu ti rivolgi a me in quel modo.



Una lacrima.


Un’altra ancora.


Non trattarmi in questo modo.


Tu ormai sei già troppo distante da me.


Non cercare di farmi vacillare, non reggerei il momento in cui dovrò allontanarmi definitivamente da te.



“Ti pre… go… v-vai…” implorò con la poca voce che le uscì.


“No” disse fermo il ragazzo, continuando ad accarezzare la testa di Kagome.


“Su, coraggio, siediti. Ti porto un bicchiere d’acqua e, se mi dici dove lo tieni, il pigiama. Poi ti riposi un po’.”


Ancora singhiozzi.


Basta, Inuyasha… Non fingere di essere dolce.


Non illudermi…



Non seppe cosa l’aiuto a muoversi, fatto sta che si girò verso il ragazzo, seduta, con la faccia nascosta tra le mani.


“Ti prego…” inspirò rumorosamente


“Vai… via… ti… supplico…”


Inuyasha non riusciva a spiegarsi il comportamento della ragazza; d’accordo vergognarsi per aver urlato determinate cose in pubblico, ma quello non era certo il momento delle parole, non era il momento delle spiegazioni: Kagome stava male, l’unica cosa da fare in quel momento era curarla, per quanto possibile.


La prese per entrambi i polsi, costringendola a togliersi le mani dal viso: voleva vederla negli occhi, non voleva che si nascondesse come facevano le persone con la coscienza sporca, non voleva che piangesse in quel modo, voleva… voleva far qualcosa per lei…


La ragazza cercò di fare resistenza, ma era tutto inutile: era troppo debole e Inuyasha era pur sempre un ragazzo e, di conseguenza, più forte di lei.


“Kagome, non fare così! Che ti prende?”


Scansò il suo viso volgendo lo sguardo verso il basso, ma anche quello fu completamente inutile; Inuyasha, con rapidi movimenti, con una mano le prese il mento mentre con l’altra teneva ferme entrambe le mani.


I suoi occhi iniziarono a bruciare…


Non riusciva a reggere il suo sguardo, non ce la faceva…


Ringraziò il cielo che le lacrime le offuscavano la vista e le impedivano di mettere bene a fuoco quello che aveva davanti a sé. Ma non bastava. Sapeva che davanti a lei c’era Inuyasha: sfocato o meno, era lui. E questo non poteva reggerlo.


Cercò, invano, di dimenarsi e di liberarsi:


“Ti prego… non… non… g-guardarmi…” sussurrò tra i singhiozzi quando si rese conto che le maniere forti erano inutili


Inuyasha rimase senza parole, non sapeva che dire, non sapeva che fare…


“Non guar…dar…mi… ti prego…”


Le lasciò lentamente i polsi e il mento e la aiutò a sdraiarsi: lei si rimise in posizione fetale, le mani davanti al viso. Stavolta, però, non volse le spalle ad Inuyasha, non ci riusciva.


Chiuse gli occhi brucianti e continuò a piangere e a singhiozzare: più cercava di calmarsi più si agitava e piangeva.


Inuyasha, dal canto suo, la osservò un po’, senza capire bene cos’era quella strana malinconia che gli attanagliava lo stomaco: si limitò ad accucciarsi nuovamente accanto al letto e strinse una mano della ragazza nella sua.


Era lì, pronto ad aspettare che Kagome rifiutasse la stretta della sua mano: un rifiuto che non arrivò. La ragazza, infatti, non scacciò la mano di Inuyasha, anzi. Ricambiò stringendo ancor di più la sua mano a quella grande e calda del ragazzo.


Come i due si presero per mano, Kagome smise di singhiozzare e, dopo un po’, anche di piangere e, quasi inconsapevolmente, scivolò nel sonno, esausta.


Inuyasha…





Quando aprì gli occhi era già mattina: venne svegliata dalla vibrazione del cellulare, che aveva dimenticato acceso sul comodino la sera prima.


Si stropicciò gli occhi ancora doloranti e si mise faticosamente a sedere: allungò un braccio e prese il telefonino.


Chi cavolo è che rompe alle…


Osservò il display


Nove di mattina!!


“Ehi, ciccina! Tuo nonno mi ha telefonato ieri sera per dirmi che hai la febbre! Stai un po’ meglio, ora? Se ti va, verso le dieci io e Miroku veniamo a farti compagnia!”



Un sms di Sango.


Un debole sorriso si abbozzò sul suo volto: nonostante non si sentisse bene, aveva proprio voglia di vedere qualcuno che non fosse sua madre, Kikyo o Inuyasha. Kagome adorava Sango e voleva molto bene anche al ragazzo di lei, Miroku. I due stavano insieme da quasi due anni, nonostante le continue scappatelle da dongiovanni di lui che finivano sempre in litigi tra i due. Litigi che, ovviamente, duravano poco. Si volevano davvero molto bene e, quando erano assieme, davano vita ad una serie di buffe scenette che avevano tirato su di morale Kagome in più di un’occasione.


E quella sarebbe stata un’occasione ideale per farsi tirare un po’ su di morale.


Rispose di sì senza pensarci troppo e ripose il cellulare sul comodino.


Si stropicciò nuovamente gli occhi e si stiracchiò per alcuni secondi prima di fare mente locale: aveva ancora un gran caldo, la testa pulsava senza sosta e la gola bruciava. La sera prima si svegliò verso l’ora di cena ed Inuyasha non c‘era più. Aveva trovato il pigiama ai piedi del letto e la sua parrucca era ordinatamente riposta sul supporto di polistirolo. Non sapeva chi gliel‘avesse tolta, ma si volle illudere che il nonno fosse entrato in camera sua mentre lei dormiva. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l‘ipotesi che fosse stato Inuyasha, che si fosse resa conto che lei era senza capelli ed indossava una parrucca: a quel punto, avrebbe saputo troppe cose. Per ora, sapeva che lei era malata e che aveva dei problemi con sua madre per via del padre e quello doveva bastare, era fin troppo.


Non se la sentì né di scendere in cucina, né di mangiare un boccone, l’unica cosa che riuscì a mandare giù era un po’ di latte caldo con il miele. Suo nonno e Sota le tennero compagnia per un po’ prima che si riaddormentasse e si offrì addirittura di aiutare lo stesso il fratellino con i compiti, nonostante la sua mente non fosse lucida. Non vide sua madre per tutta la serata ed era meglio così: forse era stato Jii-san a consigliare alla donna di non salire in camera della figlia per evitare una degenerazione ulteriore della situazione, forse era la madre stessa che non voleva salire. Chissà, si ritrovò a pensare Kagome subito prima di dormire, ma poco importava, alla fine della fiera. Le bastava non vederla.


Non stava decisamente meglio, ma non era la saluta fisica il suo pensiero principale, in quel momento.


Era sabato, ciò voleva dire che sia Kikyo che Inuyasha lavoravano al tempio di mattina e non di pomeriggio; la visita di Sango e Miroku era, quindi, come una manna dal cielo.


Almeno se Inuyasha viene a trovarmi ci sono anche Sango e Miroku, non sono da sola con lui.


… ma perché Inuyasha dovrebbe venire a trovarmi?!



Si diede un paio di schiaffi.


In fondo, è qui per lavorare e poi…


E poi, ormai sa qualcosa…


Ormai non posso più stargli vicina…



Sentì che le lacrime iniziarono a pungerle gli occhi e cercò subito di fermarle.


No, Kagome!


Non piangere!


Non lamentarti, non devi ricordare a te stessa…


Che ti sentirai sola…


Perché sei tu a volerlo…


Non ammettere a te stessa che ti senti sola e che la solitudine ti accompagnerà per tutta la vita.


Perché la solitudine è la tua strada, ormai.


Accettala senza fare tante storie.



Deglutì a fatica e si alzò dal letto: era sudata e voleva cambiarsi; come fu in piedi, barcollò per colpa delle vertigini. Si aggrappò a malapena alla sedia, chiuse gli occhi e aspettò per qualche secondo che quel malessere si placò; poi, tirò fuori dall’armadio un pigiama pulito e si diresse in bagno. Era madida di sudore e una cosa che non aveva mai sopportato era avere i vestiti tutti appiccicaticci per via del sudore e, per questo, metteva molto spesso a lavare i suoi vestiti (con tanto di litigate con la madre, pure su questo).


Si lavò per bene e si rinfrescò un po’: era una bastian contraria. In genere, quando si ha la febbre, si sente sempre freddo. Lei no. Avvertiva un po’ di freddo solo all’inizio, poi era sempre una tortura, aveva sempre caldo. Buon segno, le dicevano i dottori,vuol dire che guarisce più in fretta. Ed, effettivamente, Kagome su piccole malattie come quelle aveva la capacità di guarigione di un animale.


Quando tornò in camera, prese parrucca e spazzola, si sedette sul letto ed iniziò a spazzolare quell’ammasso di capelli sintetici con molta cura e pazienza. Ogni tanto gettava fuori un’occhiata fuori dalla finestra per vedere il tempo: era nuvoloso e non accennava a migliorare, anzi. Tendeva alla pioggia e quello non aiutava certo: Kagome soffriva molto il tempo. Già era lunatica di suo, per di più le condizioni meteorologiche potevano influire su quello che lei chiamava scherzosamente tra sé e sé condizione depressiva. Se c’era brutto tempo lei era triste, soffriva. Piangeva con il cielo, si incupiva con il cielo e si schiariva e rallegrava con il cielo. Non l’aveva mai detto a nessuno, altrimenti era la volta buona che la spedivano a forza e a vita in un centro psichiatrico.


Spazzolò accuratamente per un po’ la parrucca: non voleva che fosse in disordine, ci teneva. Era molto scrupolosa con i suoi capelli e quell’abitudine non venne meno con la parrucca. Quando ebbe finito spruzzò sui capelli sintetici un po’ di spray lucidante e, soddisfatta, se la sistemò per bene sulla testa.


Anche se aveva caldo, non voleva mostrarsi alla gente senza parrucca, nemmeno davanti alla sua migliore amica e al suo ragazzo; fino a quel momento, le uniche persone che l’avevano vista con, al limite, solo una bandana sul capo, erano i suoi familiari: non era così pazza da tenere indosso la parrucca tutto il santo giorno se non doveva mettere il naso fuori casa, non era così masochista.


Un’altra cosa su cui si prendeva, amaramente, in giro: non vuoi morire di caldo per non essere masochista, però ti tagli i polsi. Bella roba, cervello, come funzioni bene…


Aprì un poco la finestra per cambiare aria alla stanza e si sedette nuovamente sul letto, prese un libro e iniziò a sfogliarlo un po’, quel poco che gli occhi brucianti le permettevano giusto per ammazzare il tempo in attesa dell’amica.


Stette seduta sul letto e con la finestra aperta per diversi minuti fino a quando non si rese conto che, se voleva evitare un principio di congelamento, doveva chiudere e infilarsi sotto le coperte. Odiava questi sbalzi dal caldo al freddo tipici dell’influenza e, per questo, si innervosì.


Ma la cosa che la fece innervosire ancora di più fu sentire la voce di Kikyo provenire dal cortile mentre era in procinto di chiudere la finestra: avrebbe voluto fregarsene ma la presenza di una seconda e di una terza voce la bloccò. Avrebbe riconosciuto quelle voci anche da chilometri: erano Sango e Miroku.


Ma che ci fanno qui? Sono in anticipo! In genere, Sango è puntualmente in ritardo!


Un’altra cosa che non le piacque fu sentire, dai toni di voce, che lo scambio verbale che i tre stavano avendo - Kikyo e Sango soprattutto - non era molto amichevole.


Sbuffò.


Non vorrà provarci anche con Sango, eh? Ma si può sapere quante stronzate ha in serbo quella?


Senza dar retta al suo fisico, che chiedeva a gran voce le coperte calde e un po’ di riposo, si infilò un golfino di lana bianco, il primo che trovò frugando nell’armadio e uscì dalla stanza, diretta barcollante verso il cortile.


Si resse in piedi a fatica sulle scale e, più di una volta, rischiò di scivolare. Giunta nell’atrio la madre, che la vide dal tinello, le arrivò accanto e la fermò:


“Dove vai, Kagome? Torna a letto, non riesci neanche a stare in piedi!”


La ragazza la scansò, limitando a dirle atona di farsi gli affari suoi e uscì in cortile, sbattendo la porta alle sue spalle, in faccia alla donna, quasi a voler marcare il suo odio. Come per dirle ricordati che ti odio anche oggi.


Quando fu in cortile, i tre si accorsero subito di Kagome dal rumore che la ragazza fece nel chiudere la porta d’ingresso; non riuscì neanche a fare un passo che rischiò nuovamente di finire per terra, era davvero malconcia. Stavolta fu Miroku a reggerla:


“Grazie…” riuscì a sibilare, sorridendo.


Aggrappata all’amico, il suo sorriso si tramutò in qualcosa di freddo quando i suoi occhi incontrarono quelli di Kikyo, scambiandosi reciprocamente uno sguardo infastidito, seccato, gelido…


“Che fai, Kikyo? Adesso insulti pure loro due?” Kagome non resistette alla voglia irrefrenabile di punzecchiarla. Era fatta così, se una persona la irritava terribilmente, doveva dirle qualcosa. Non si sentiva a posto se non se ne andava con l’ultima parola in tasca, le dava terribilmente fastidio. Non gliene importava nulla se passava dalla parte del torto, aveva quel vizio fastidioso che non riusciva assolutamente a correggere.


“Di che t’impicci, Kagome?” la risposta di Kikyo fu fredda come la sua espressione.


Lei può…


Lei può…


Lei può…



“Sai, ho sentito la tua fastidiosissima voce da camera mia dato che, fino a prova contraria, ti trovi nel cortile del tempio di casa mia


“Io qui ci lavoro!”


“E io ci vivo, pensa un po’!” ribatté con una vocina stridula, per prendersi gioco di lei


Da quanto hai perso la strada? Perché l’hai persa? Perché fai così?


“Sì, certo” disse Kikyo stizzita “vivi la tua vita da brava viziata, senza renderti conto di quello che hai attorno e ti crogioli in problemi che la tua mente quintuplica e fai tanto la bellona davanti a noi, non parlandoci mai dei tuoi problemi e scrutando tutti dall‘alto al basso!”


Miroku dovette trattenere a fatica una Kagome sull’infuriata andante, pronta a mettere le mani al collo a Kikyo e strozzarla.


Io una bellona? Io guardo tutti dall’alto al basso?! Io quintuplico i miei problemi?! Ma non ti rendi conto che stai descrivendo i tuoi difetti, sottospecie di orrida troia?!?!


Un’altra cosa che la faceva imbestialire era la gente che le attribuiva difetti che lei non aveva e che, addirittura, possedevano coloro che le puntavano il dito contro e l’accusavano di questo o di quello. Perdeva facilmente le staffe con persone del genere e mantenere la mente lucida era sempre stato molto difficile con lei. Kikyo stava giocando con il fuoco, ne era consapevole.


Conosceva bene il carattere di Kagome, eppure girava per bene il coltello nelle piaghe giuste: era questo ciò che faceva rimanere perplessa Sango. Non capiva perché Kikyo si stesse comportando così. Sapeva che Kagome, quando era davvero incazzata, sputava fuoco e fiamme facendo terra bruciata senza un briciolo di pietà verso chi le era contro. Non era Kagome la novità, era Kikyo.


C’era qualcosa in lei che non andava…


“Stammi bene a sentire, sottospecie di brutta troia complessata!!” urlò con tutta la voce che le uscì


Non ci vedo più, non ci sento più… non provo più niente… cos’è che mi blocca? Il mio cuore, forse? Il sangue che sgorga da esso? Cos’è tutto questo buio?


“Io non sono mai, e lo ripeto, mai venuta a giudicare tutte le seghe mentali che ti facevi e che ti fai, tutt’ora! Perché non credere di fregarmi, non sono scema, lo so che ti fai ancora delle pare mentali madornali! Non ho mai giudicato tutte le storie che ti fai e tutte le stronzate che ti passano per la testa soltanto perché i tuoi genitori non ti degnano di uno sguardo da quando Kaede è morta!!”


Ora anche lei aveva oltrepassato la linea…


Se ne accorse ma non si fermò, anzi. Aumentò ancora la sua carica di furia:


“non le ho mai giudicate, cazzo!! Con che faccia da stronza tu ora vieni qui e spari sentenze su cose che non sai?!


“se è per questo, tu non sai nulla di Kaede!”


“Oh ma per favore Kikyo, fottiti! Se non sei abbastanza sveglia da capire che il mio era un esempio non sono cazzi miei! Ricordi? Ho detto giusto tre secondi fa che non ti ho mai giudicato per le pare che ti fai su Kaede!”


“Lo stai facendo ora!”


“E tu con me cos’hai fatto, stronza?!”


Dio, se qualcuno non mi ferma l’ammazzo! Giuro che l’ammazzo!!


“Io di te so! Io lo so, ti conosco e ti osservo da tanto! Ho visto come hai trattato di merda tua madre, ieri! Qui la repressa sei tu, non io di certo!!”


Kagome sentì un fastidioso prurito investirle dapprima le mani, poi le braccia e infine tutto il corpo, avvertiva forti vampate di caldo. Prima di ribattere a quelle stronzate, tossì forte. Sango tentò di zittirla, non era proprio il caso che si sforzasse troppo, ma Kagome continuò ad urlare come se niente fosse, ignorando l’amica.


Sia lei che Miroku erano consapevoli del fatto che ormai Kagome aveva perso la lucidità e fino a quando non si sarebbe sfogata a dovere, non avrebbe mai lasciato stare Kikyo.


Tu-non-sai-un-bel-cazzo-di-niente!” scandì per bene le parole digrignando i denti


“Chi sei tu? Nostradamus? Eh? Una veggente che legge nella mente?” eh? Che cazzo vuoi? Che cazzo vuoi?!?! Vuoi una madre presente?! La vuoi?! Oh che peccato, mi dispiace tanto per te ma qui non la trovi di certo!! La mia non è una madre presente, è una donna complessata tanto quanto te che non va mai a trovare il marito in coma da quasi dieci anni, che ha scaricato tutto su di me quando avevo sei anni, sei!! E non hai la benché minima idea che significhi avere sei anni e piangere in una fottutissima stanza d’ospedale nella stupida speranza che tuo padre si risvegli e ti abbracci! Non lo sai!! E ora che mi sono ammalata, quella stronza mi sta col fiato sul collo solo per controllare che io non sia destinata a tirare le cuoia!!” tossì forte, ma non lasciò a Kikyo il tempo necessario per replicare, non aveva ancora finito…


“e se un medico le mette una pulce nell’orecchio sulla mia possibile morte… oh mio… o-oh mio Dio, quella troia sarebbe capace di abbandonarmi e di scaricarmi a Sota, che ha solo dieci anni! E io non voglio che mio fratello passi quello che ho passato io per colpa di quella là!”


Altri colpi di tosse


“Ora sai, Kikyo? Ora capisci, Kikyo? Ora capisci?! Sì, dai, dillo che capisci! Sì Kagome, capisco! Contenta, Wonder Woman?! Mi sono bellamente sputtanata davanti a te! Ma tanto, oh beh, fa niente, no? Non te ne frega un cazzo, giusto? Ora la tua stupida curiosità è a posto?! Puoi continuare a fare la figa ora che sai, no?”!


Kagome riprese a tossire, ma stavolta non riuscì a fermarsi per parlare ancora. Si staccò da Miroku e si accasciò a terra, le vertigini la opprimevano, la testa era sul punto di esploderle, sentiva caldo, molto caldo…


“Kagome-chan!” esclamò Sango preoccupata


“Ora basta, Kagome-chan! Ti prego, se continui così potresti solo peggiorare le tue condizioni!”


Come se stessi bene già di mio…


Avrebbe voluto pronunciare quelle parole ma la gola le faceva così male che non una sola sillaba uscì dalla sua bocca; tossiva e basta, con gli occhi pieni di lacrime tanto bruciavano.


Miroku la prese in braccio ed entrò in casa, diretto verso la stanza della ragazza; Sango, prima di seguirlo, scrutò dubbiosa Kikyo.


“Che vuoi?” domandò secca lei


“No, niente…” ed entrò anche lei.





Non capiva bene quello che aveva sentito. Frammenti del passato, stralci di pensieri e tasselli che si intrecciano confusi. Nascosto dietro ad un albero, Inuyasha aveva ascoltato Kagome e Kikyo litigare. Nuovi passaggi si aggiungevano, ma lui continuava a capirci ben poco.


Aveva capito solo una cosa: Kagome era malata e lo nascondeva con tutte le sue forze agli altri.


E quella cosa lo rattristò: lui non era ancora un vero e proprio amico per lei, si conoscevano da pochissimo. Ma lui voleva sapere cosa nascondeva, voleva codificare quel disegno, quel viso e quegli occhi spenti.


Kagome…





“Vi ringrazio, ragazzi…” aveva bevuto diversi bicchieri d’acqua e ingoiato un paio di aspirine prima di parlare. Ora era seduta sul suo letto, con il cuscino dietro la schiena e le coperte tirate su fino ai fianchi. Sango era seduta ai piedi del letto, mentre Miroku su una sedia.


“Mi avete portata via prima che potessi strozzarla con le mie mani.” e ridacchiarono tutti e tre.


“Secondo me potresti entrare in un gruppo yakuza, saresti perfetta!” scherzò Miroku.


Risero di nuovo, Kagome solo per due secondi; tornò subito seria.


“Ho perso la pazienza, lo so.” Strinse con forza un lembo della coperta tra le mani


“Ma sapete come sono fatta! Non sopporto le persone che giudicano ciò che non sanno…” sussurrò


“Beh… se è per questo, non sopporti nemmeno gli stronzi!” esclamò Sango


“Già e la fisica! Non vorremmo dimenticarci del tuo odio sviscerale per la fisica che ci ha costretti in non so quante occasioni ad aiutarti a studiare e a ficcarti in testa almeno una formula!” stavolta parlò Miroku.


I due continuavano a scherzare e a Kagome tutto ciò non pesava affatto; sapeva benissimo com’erano fatti, volevano soltanto calmarla e distrarla. Non era nelle condizioni ideali per far scoppiare qualche coronaria e morire d’infarto soltanto per un litigio, per quanto pesante fosse stato.


“E gli umeboshi!”


“E Namie Amuro!”


“E il freddo!”


“E questo!”


“E quello!”


“E quell’altro ancora!”


Kagome scoppiò a ridere e continuò per svariati secondi: quei due non la smettevano di lanciare battute e, di conseguenza, lei non riusciva a smettere di ridere.


“Che scemi che siete!” riuscì a dire tra una risata e l’altra.





Due giorni dopo, lunedì.


Era ancora in istituto, sempre nel solito, odiato, ambulatorio. Era seduta nel suo solito angolo, con la musica sparata - stavolta a basso volume - dalle cuffie nelle orecchie e i compiti di inglese sotto mano, l’unica cosa che si era portata appresso per ammazzare il tempo. Stava meglio, la febbre era calata ma non ancora del tutto scomparsa: la testa non le faceva più malissimo, ogni tanto aveva qualche brivido o tossiva ma niente di più. Aveva davvero la capacità di guarigione di un animale. Almeno su cose piccole.


Aveva fatto gli esami del sangue un’ora prima e sperava che andasse tutto bene: più che sperare s’illudeva. Sua madre, ovviamente, aveva telefonato in istituto quel venerdì per sapere se doveva darle qualche medicina per l’influenza (qui non si tratta di esagerazione della madre di Kagome; i malati oncologici sono molto “fragili” sotto alcuni punti di vista medici e, a volte, hanno dei cali di globuli bianchi tali da impedire loro di assumere alcune medicine e/o vaccini, anche tra le più banali. In pratica, devono chiedere il permesso per ogni singola medicina e vaccino, perché alcune potrebbero scombussolarli, come ad esempio l’antinfluenzale. NdA) e, in tutta risposta, le fu detto di lasciar riposare la figlia e che poi quel lunedì avrebbero fatto esami del sangue per sapere se c’era qualche infezione in corso o qualche virus. E Kagome sapeva che se i medici buttavano il sasso poi non ritiravano la mano: ipotizzavano sempre tra di loro, ma esprimevano ipotesi a pazienti e familiari solo se erano sicuri praticamente al cento per cento di quello che pensavano.


Era rassegnata, in parole povere. Aspettava solo il suo turno per la visita, non era né impaziente né tesa, era perfettamente conscia di quello che le avrebbero detto. Ed anche l’esito di quella situazione.


Ecco, quello non le andava giù, a quello non riusciva a rassegnarsi: ma era così ogni santa volta, ormai aveva perso la voglia di mandare tutti al diavolo spinta dal suo nervosismo. Aveva imparato ad ingoiare tanti di quei rospi giganteschi che ormai aveva perso il conto nel giro di un mese appena.


“Higurashi!” tuonò una voce maschile, che la ragazza riuscì a sentire nonostante il sottofondo musicale.


Kagome sospirò, gioendo interiormente: non era stata la Yamashita a chiamarla. Quella volta passò sotto l’occhio attento del dottor Suzuki, il capo dell’equipe che aveva in cura i sarcomi (per una spiegazione sulle equipe, ci rivediamo in fondo con le note NdA), un uomo sui quarant’anni, espansivo, burlone ma anche molto competente e professionale. Era molto stimato e rispettato in tutto il reparto: aveva compiuto numerose ricerche, anche all’estero - soprattutto in America e in Inghilterra - pubblicato numerosi articoli scientifici e scoperto diverse cure innovative e, come lui auspicava, meno pesanti per i pazienti pediatrici (anche per la storia della pesantezza ci rivediamo in fondo NdA). Era lui che progettò il percorso terapeutico di Kagome, che decideva se e come modificarlo, quando sospenderlo a lungo termine e quando riprenderlo.


Come Kagome gli si avvicinò, seguita dalla madre che era rimasta poco più indietro di lei, il medico le diede una leggera pacca sulla spalla in segno d’affetto:


“Vuoi che tua madre entri?”


Era anche l’unico medico con una faccia tosta incredibile e, per questo, Kagome lo stimava. Ascoltava prima di tutto i pazienti, anche se minorenni, poi i loro genitori. Sapeva bene che non poteva comportarsi in quel modo con i bambini piccoli, ma con gli adolescenti non si faceva problemi. Era anche a conoscenza dei problemi tra Kagome e la madre, senza saperne però il reale motivo: pensava - ed era anche vero - che fosse una delle tante madri stressate ed eccessivamente preoccupate per il proprio figlio o figlia.


Kagome non esitò, né si voltò verso la madre, scosse la testa con vigore ed entrò nello studio medico; il dottor Suzuki, prima di seguirla, si rivolse alla madre che, nel frattempo, non aveva detto una sola parola ma lasciava trasparire dal suo volto tutto il suo dispiacere.


“Le riferirò tutto, non si preoccupi”


Ancora silenzio, ancora dispiacere.





“Bene, Kagome”


La ragazza tossì


Il dottore stampò gli esiti dell’esame del sangue e li scrutò attentamente, per poi evidenziare due valori.


“Hai avuto qualche disturbo ultimamente?”


“Sì… ho avuto la febbre per alcuni giorni, da venerdì più o meno… sì, da venerdì… devo aver preso freddo.”


“Ma era febbre alta?”


Cercava di farsi venire in mente tutto quello che ricordava dei momenti di lucidità che aveva avuto in quei giorni.


“I primi due giorni sì, avevo le vertigini anche. Ieri è scesa… però ho ancora mal di testa… e se leggo per troppo tempo gli occhi iniziano a bruciare…”


Suzuki sospirò.


“Ci credo” disse quasi sconsolato e mostrò il foglio evidenziato a Kagome.


“Hai i valori della creatinina troppo alti, 120 µmol/L mentre dovrebbero essere inferiori ai 95.” e indicò uno dei due valori evidenziati per poi spostare il dito su un’altra riga


“I globuli bianchi, invece, sono troppo bassi: 2500 per mm/cubo, quando in realtà dovreste averne minimo 4000. Questo calo ti ha resa più debole e la creatinina ti ha dato il colpo finale. La febbre che hai avuto non era causata solo dal freddo, ma da una bella infezione renale.”


Per Kagome nulla di nuovo, non era la prima volta che i chemioterapici le giocavano quello scherzo: alzavano qualche valore, ne abbassavano degli altri… creavano tutta una serie di casini che chiunque si sarebbe evitato molto volentieri.


Stavolta fu Kagome a sospirare:


“Quindi, cosa devo fare?”


Che lo chiedi a fare, cretina? Tanto la risposta la sai già!


Il medico scrisse velocemente un paio di impegnative, le timbrò e le firmò:


“Beh, come le altre volte. Non ti visito nemmeno, porto queste impegnative alla segretaria e ti faccio ricoverare immediatamente. Con questi valori la chemioterapia ce la sogniamo, non vogliamo mica che i tuoi reni si spappolino! Farai una terapia endovena che ti prescriverò io, dovrebbe durare quattro giorni. Poi rifaremo gli esami del sangue e, se andrà tutto bene, inizieremo direttamente la chemioterapia”


Prese il calendario da tavolo.


“Oggi è il 28 novembre, avresti dovuto iniziare il nuovo ciclo dopodomani. Se andrà tutto per il meglio, la terapia slitterà a venerdì. Al peggio non ci pensiamo, per ora! Noi vogliamo farlo il prima possibile questo ciclo e mandarti a casa subito, no?” tentò di tirare Kagome su di morale.


La ragazza annuì con la testa, abbozzando appena un sorriso.


Venerdì la terapia doveva finire e io dovevo essere a casa…


“Bene!” esclamò Suzuki, alzandosi in piedi.


“Vado ad avvisare la segretaria e tua madre. Ci vediamo dopo Kagome”





Ormai era abituata a quel genere di vita; eppure non capiva perché ogni volta si stupiva, perché ogni volta ci rimaneva male. Quelle quattro mura bianche non la spaventavano più, quei letti con le coperte verde acqua e i due comodini non le davano più fastidio e alle brandine sistemate apposta per i genitori che volevano rimanere con i loro figli anche di notte non faceva più caso. Odiava quel posto, odiava la solitudine ma si trovava sempre più stretta nella sua morsa, soffocata dalla stanza dell’ospedale che le assegnavano.


Fuori dalla porta chiusa sentiva chiaramente il vociferare dei bambini che non ne volevano sapere di stare a letto, che andavano in sala giochi o che semplicemente piangevano perché si rifiutavano di essere attaccati ad una macchinetta più alta di loro di almeno una o due spanne per iniziare la terapia.


Quella volta le fu assegnata una stanza da sola: la bambina che era ricoverata lì era stata dimessa il pomeriggio precedente.


Meglio, almeno ho una stanza tutta per me.


Si sedette - o meglio, si buttò - sul letto, fissando la finestra dal vetro doppio, impossibile da aprire sia dall’interno sia dall’esterno: si sentiva rinchiusa.


Ma è a questo mondo così soffocante e vincolante che appartieni, non dovresti dimenticarlo.


La madre, alle sue spalle, appoggiò a terra il borsone “d’emergenza” e fece per aprirlo quando fu interrotta dalla figlia, che si voltò verso di lei e iniziò a parlarle: erano più di tre giorni che non le parlava, né che la guardava in faccia.


“Torna a casa.” il suo tono era fin troppo pacato, come scosso da rassegnazione, il tono di voce basso e sottile.


“Come vedi, non rischio di tirare le cuoia, non mi hanno neanche messa in semi-isolamento. Se proprio poi vuoi tornare, renditi utile: nella borsa non ho messo né libri né niente, se puoi portarmi i libri di scuola e anche qualcos’altro da leggere, per favore… Anzi no… non scomodarti, non sono dell’umore adatto per vederti…”


Anche parlarle per un minuto era ormai troppo pesante per lei


“Chiamerò il nonno, chiederò a lui di portarmeli se riesce.”


“No, Kagome-chan… il nonno è molto occupato al tempio, non so se riesce a venire”


Come sempre…


Non sapeva cosa dire.


Non aveva voglia di parlare, non aveva voglia di pensare, non aveva voglia di far niente. Era solo stanca, molto stanca. Era preparata ad imprevisti del genere, ma ogni volta le facevano un male incredibile: la legavano ancora di più al dolore, alla malattia. Vedeva i canoni di una vita normale sempre più lontani e sfocati e non riusciva a fare troppi sforzi per vederli meglio, per raggiungerli.


Correva quanto poteva, ma non era mai abbastanza.


Si voltò e, di nuovo, dava le spalle alla madre: seduta su quel letto si sentiva così minuscola e impotente.


“Se… se veramente vuoi fare qualcosa di utile, vai da papà…


La donna non rispose: rimase in piedi, dietro la figlia alcuni istanti. Poi, sempre senza dire niente, uscì dalla stanza come aveva chiesto Kagome e se ne andò.


Come la madre uscì, Kagome prese il borsone e ne tirò fuori un pigiama azzurro e una bandana violetto e, in bagno, si rinfrescò e si cambiò, si tolse la parrucca e la ripose con cura in una piccola scatola che teneva sempre in quella borsa.


Si avvicinò alla finestra per guardare il panorama: la città pulsante di vita, piena di rumori, voci e profumi. Un mondo vivace al quale lei sentiva di non appartenere.


Deglutì con forza per non piangere.


Scusami, papà… non riesco, non ci riesco…


Il mio mondo è questo, ormai… non so più come difenderti…








Inuyasha… anche tu…


Inuyasha…






La campanella della pausa pranzo suonò, con grande gioia degli studenti.


Come lesse quel messaggio, la tristezza la invase: era stata fregata di nuovo e le dispiacque moltissimo. Non le rispose, non sapeva che dire oltre alle solite frasi fatte che, di certo, non l’avrebbero aiutata. Sarebbe andata a trovarla quel pomeriggio con Miroku, anche se avrebbe dovuto uscire con sua madre.


Non poté fare niente per fermarsi: si alzò dal suo banco e si diresse verso Kikyo che, nel frattempo, stava riordinando le sue cose e tirando fuori il bento.


“Per la cronaca, Kagome è stata ricoverata in istituto stamattina. Sarai contenta, ora hai via libera, no?” disse stizzita, senza salutarla e stupendo Kikyo non poco.


Aggrottò la fronte stupita come se le avessero che due più due fa cinque e non quattro.


“Che cosa vuoi dire? Via libera a cosa?” rispose altrettanto acida.


Le mancava solo Sango, in quel momento.


“Sai benissimo a cosa alludo…” e se ne andò senza lasciare la possibilità a Kikyo di replicare.





Quel pomeriggio, lei e Inuyasha erano nello sgabuzzino del tempio Higurashi per pulirlo e riordinarlo. Nessuno dei due parlava, erano entrambi occupati con il loro lavoro. Ma a Kikyo quel silenzio metteva agitazione, la infastidiva. Voleva romperlo ad ogni costo.


Si fermò un attimo e si voltò appena per osservare Inuyasha, intento a sgomberare un alto scaffale da tutte le scartoffie per pulirlo. Sembrava molto concentrato su quello che faceva e, scrutando il suo viso che non tradiva alcuna emozione, non poté fare a meno di arrossire appena.


Nella mente, quasi come un flash, le passarono le immagini e le voci di quegli ultimi giorni: Inuyasha che entrava in classe al termine della prima ora per prendere sia le sue cose che quelle di Kagome…


Con il cuore alla gola…


Vedere Kagome litigare con la madre e Inuyasha osservare le due, inebetito.


Come se non se lo fosse mai aspettato…


Vedere Inuyasha prendere in braccio Kagome senza poter replicare e senza poter chiedergli, una volta tornato un’ora dopo, come stava la sua amica e se fosse successo qualcosa.


Il suo sguardo triste…


“Inuyasha…” sussurrò facendosi coraggio per spezzare quel silenzio che, ormai, non riusciva proprio a sopportare più.


Il ragazzo si voltò.


“Cioè… no, scusa…” ridacchiò


“Ti ho chiamato per nome, scusa… scusami…”


Inuyasha fece per risponderle ma lei lo interruppe


“Ecco, Taisho…”


Non interrompermi, non riuscirei ad andare avanti


“Ecco… ecco… tu…”


Stai calma, Kikyo, respira, respira.


“Tu… mi piaci molto… ti… ti farebbe piacere… uscire con me? Per… per conoscerci meglio… ti andrebbe?”





Note dell'autrice: prima di passare alle mie solite stupide chiacchiere, alcune annotazioni di tipo medico e pratico. I valori indicati dei globuli bianchi e della creatinina non sono stati sparati a caso, ma sono andata a pescare un esame del sangue che avevo fatto verso giugno 2007 e allora, come capita a Kagome, sono stata ricoverata all'ultimo: succede spesso e per risolvere problemi del genere somministrano terapie per endovena (quindi, via cvc) e il ricovero è d'obbligo, devono tenerti d'occhio. In parole povere, non sai mai per cosa ti possono tenere in ospedale anche se la tendenza che hanno in INT è quella di tenerti lì il meno possibile, grazie al cielo. Poi, la storia delle equipe: esistono vari tipi di tumori: sarcomi, blastomi, linfomi ecc... e per ogni tipo ce ne sono di vari (rabdomiosarcomi, sarcomi di Ewing, ecc...). In istituto, la pediatria (non so gli altri reparti) ha uno staff medico diviso in diverse equipe di due-tre medici che si occupano di determinati tumori e ogni equipe ha un responsabile: l'equipe che segue il mio caso è composta da tre medici più due specializzande. Il dottor Suzuki è ispirato (fedelmente XD) al capoccia dell'equipe che mi segue e, manco a dirlo, è troppo un mito (ha addirittura firmato un'impegnativa per me in cui diceva che posso bere birra a giorni alterni, alla faccia di mia sorella xD L'ha anche firmata e timbrata ed è qui appesa in bacheca in camera mia!): il capoccia decide il programma terapeutico da seguire, le medicine da somministrare, il loro dosaggio ecc... Anche se sei seguito da un equipe particolare, tutti i medici conoscono i casi di tutti e, in ambulatorio, può capitare di essere visitato da un medico che non è della tua equipe. Poi... le terapie pediatriche sono molto, molto più pesanti delle terapie per adulti: è un controsenso quasi raccapricciante ma è così. Per i bambini (e per chi è colpito da tumore pediatrico, a 20 anni anche) le terapie sono fisicamente più dure di quelle adulte. Infine, "borsa d'emergenza" e "semi-isolamento": la prima è un borsone, contenente pigiama, salviette e medicine di scorta, che sarebbe meglio portarsi dietro ogni volta che si va in ambulatorio: se c'è un ricovero dell'ultimo minuto si ha già con sé alcune cose utili. Le altre... beh, le altre le si vanno a prendere a casa! Il secondo, infine, non è come l'isolamento completo: la persona in semi-isolamento può ricevere visite ma i visitatori devono essere muniti di mascherina. Inoltre, la stanza è chiusa da due porte, una immediatamente dopo l'altra. Bene, detto tutto. Ora passo alle mie ciancie! XD Visto?? Un mese! Aggiornamento dopo un mese! *_* E spero di ridurre ulteriormente i tempi! In questo capitolo vengono svelate parecchie cose su Kagome e sul suo passato, introducendo il tema portante della storia nel suo intero: la malattia (che resta il mio focus xD) legata al proprio passato, alle problematiche familiari. E' un tema che mi sta molto a cuore: io non ho un padre in coma da dieci anni, è vivo e vegeto ma il mio problema è un altro, legato a mia madre che non sto a dire. La litigata con la madre e quella con Kikyo sono un specchio del mio carattere: se m'incazzo m'incazzo, ho usato parole che userei nella vita reale (anzi, ne userei di peggiori XD). Ad esempio, l'espressione "non sai un cazzo di niente" la uso spesso XD Come sono fine... ._. Non aspettatevi la risposta di Inuyasha a Kikyo, nel prossimo capitolo verrà trattato l'argomento "Kagome in ospedale" e "Kagome durante la malattia", argomenti per me molto delicati e difficili già solo da buttar giù, figuriamoci da scrivere. Vorrei dedicargli tutto il capitolo. Spero comunque di poter tenere questo ritmo! ^^





L'autrice risponde ai commenti:
Darkina: figurati, anzi a me piace molto riservare uno spazietto per rispondere alle recensioni :) E lo faccio molto volentieri! ^^ Sono contenta che ti piaccia! Eh eh, Inuyasha è cotto sì! Tra lui e Kagome è scattato un bel colpo di fulmine! Io non ci credo molto ai colpi di fulmine, però... mai dire mai, no? :) Eh, mi dispiace deluderti ma Kikyo darà un pò di fastidio. Non per molto, anche perchè (come ho dichiarato nella presentazione della storia) il pairing è Inuyasha/Kagome. Quindi su questo tranquilla! Alla prossima, un bacio!
illyfra: un'altra fan della coppia da tempo! *_* Eh eh, i miei Inucchi e Kagome sono diversi, è vero, però sapere che sono molto apprezzati mi fa davvero molto piacere! Come potrai notare da questo capitolo, invece, Miroku è sempre il solito dongiovanni! XD E avrò anche modo di sottolinearlo ulteriormente nei prossimi capitoli! :) Grazie mille per i complimenti, mi fanno davvero molto piacere! ^///^ Mi lusinga sapere che continuerai a recensire! *clap clap* XD Grazie, grazie!!
inukag4ever: una nuova lettrice! ^^ Ma ciao! :) Che dire, le tue parole mi rendono molto felice, il mio obiettivo è quello di sensibilizzare le persone sul tema della malattia, spesso trattato come tabù, arrivando dritta "al cuore" della gente. E leggere recensioni con scritto che lascio il segno mi riempie di gioia, sul serio! Gli intermezzi sono di chiarimento, è vero, ma mi riservo la cattiveria di inserire frasi che mandano in confusione! XD Comunque il prossimo che scriverò (ma non sarà il prossimo capitolo) sarà sulla madre di Kagome e prometto che sarà solo di chiarimento! :) Giurin giurello! Eh tra Inucchi e Kagome... eh... bisogna andare avanti con la fic! :) Spero di averti incuriosita abbastanza con questo capitolo! eh eh! A presto!!


Come sempre, non posso farne a meno: ringrazio le persone che leggono (siete sempre tantissimi!), che aggiungono ai favoriti o ai seguiti Aoki e che recensiscono! Mi raccomando recensite in tanti, mi fareste davvero felice! Recensite, occhèi? XD Alla prossima, un bacio!
  
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