Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Chemical Lady    21/09/2016    3 recensioni
"La tradizione vuole che i soldati che muoiono oltre le Mura diventino stelle" aveva iniziato lui con quel suo tono che aveva un che autoritario anche mentre suonava rassicurante, facendole alzare gli occhi sulla volta celeste con un cenno. "Il loro ardore non smetterà mai di risplendere e illuminare il cammino di coloro che verranno dopo. Per ogni vita che si spezza, si accende una luce."
Lei sapeva che quello era un contentino, una storia per bambini, ma per il cielo, la forza che le aveva dato quel discorso l'aveva rinvigorita. Suo fratello sembrava crederci sinceramente. Una tradizione della Legione, della loro gente, di quelle persone che conoscevano il dilaniante dolore della perdita come lo conosceva lei. Nina non aveva mai capito cosa significasse davvero appartenere a qualcosa, prima di tornare dalla sua prima missione e scorgere sul volto dei compagni lo stessa amarezza che provava lei. Ma anche la stessa forte determinazione nel voler davvero credere che, quelle luci, non si sarebbero mai spente o avrebbero smesso di vegliare.
[[ Levi x OC || Un sacco di OC, like un sacco davvero]]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Levi, Ackerman, Nuovo, personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
11

 

Wenn die Sterne leuchten.

 

 

 

 

 

Capitolo Decimo.

 

 

 

Where the lost are the heroes
And the thieves are left to drown
But everyone knows by now
Fairy tales are not found
They're written in the walls

https://www.youtube.com/watch?v=O1asGKxmS34

 

 

 

Anno 846

Distretto di Stohess.

 

 

 

A svegliarlo fu, almeno inizialmente, la sensazione fastidiosa delle lenzuola a contatto con la schiena sudata, seguita poi da una voce che, ai piedi delle scale stava chiamando con una certa insistenza Friedhelm.

Seppur con riluttanza, il giovane ragazzo si mise seduto, passandosi una mano fra i capelli umidi, prima di allungare un occhio per la stanza avvolta dalla penombra degli scuri ancora chiusi. Rielke, alla sua destra, dormiva profondamente col il viso rivolto al muro e nascosto da una mano. Era un bene, visto che da quando Erwin era arrivato cinque giorni prima a Stohess, l’amico non aveva fatto altro se non piangere o chiudersi in un mutismo che non lo rappresentava affatto.

Il solo pensarci gli chiuse lo stomaco che, fino a un secondo prima, reclamava cibo. Non si sarebbe mai abituato a perdere le persone che amava, non aveva quindi l’autorità di chiedere a Rielke di farlo al posto suo. Non poteva accettarlo, non così, vedendo partire un amico con addosso quella mantella verde piena di significati futili e belle speranze verso un luogo in cui lui non poteva andare.

Buon senso o codardia, non aveva importanza. Lui era vivo e doveva rimanere tale per seppellirli tutti? Quale ingiustizia. Perché così si sentiva, destinato a vivere una vita all’insegna dei lutti; prima o poi il suo cuore sarebbe diventato di pietra, abituandosi.  

Si alzò perché ormai non avrebbe più ripreso sonno, prendendo una camicia nera pulita dalla sua sacca, insieme ad un paio di pantaloni del medesimo colore. A Stohess era tradizione portare avanti il lutto per soli sette giorni, nel quale la famiglia del deceduto si impegnava a vestire di colori scuri e a intonare lamenti al crepuscolo, non andando a lavorare né prestando servizio militare. Ancora due giorni e poi sarebbero stati tutti costretti ad andare avanti, riprendere le loro vite e soprattutto accettare quel che era successo.

“Se la morte di un legionario fermasse il mondo, allora esso sarebbe finito da cent’anni”, questa era stata la frase che aveva sentito da un vicino di casa alla fine della commemorazione alla memoria di Nina. Più di uno di loro si era ritrovato a pensare a quanto poco rispettoso sarebbe stato spaccare la faccia di un vecchio proprio durante la Settimana dei Lamenti, ma Fried aveva risolto in fretta la questione sbattendolo fuori dalla corte interna della casa.

“Buongiorno, Leo.”

Fu proprio lui che si ritrovò di fronte una volta messo il naso fuori dalla camera di Rielke. Il biondo statuario le stava salendo, anche lui vestito con un paio di pantaloni scuri e una camicia di un blu così cupo da sembrare nera stinta. Il rosso rispose al saluto, coprendosi la bocca con la mano, mentre si esibiva in un rumoroso sbadiglio “Siamo i soli svegli?”

Fried gli si fermò di fronte, scuotendo piano il capo “Alma sta cucinando delle uova e io sto andando a svegliare Marika e i bambini. Sarò anche in licenza e il forno ora è chiuso, ma dormire fino all’ora di pranzo non è salutare. Rielke?”

“Lascialo stare” Leopold iniziò a scendere le scale, con le mani ben piantate nelle tasche dei calzoni “Meglio vederlo dormire che piangere.” Non credeva che l’amico si sarebbe mai ripreso dalla morte della cugina. L’aveva visto disperato alla commemorazione per Fritz, ma a quella di Nina non si reggeva in piedi da solo. Di tutti loro, era certamente quello che l’aveva presa peggio, perché sembrava che ingenuamente non se lo aspettasse. Lui e il signor Müller erano diventati come due spettri, intenti ad aleggiare per la casa nella negazione più assoluta.

Passando di fronte al salotto, Leo vide con la coda dell’occhio la padrona di casa che stava lavorando a maglia nonostante fosse ancora abbastanza presto. Ne osservò il profilo senza però fermarsi sull’uscio, provando un moto di fastidio. Adelaide non pareva per niente toccata dalla perdita della figlia. A stento sembrava essersene accorta nel momento in cui Erwin era arrivato, appoggiando la giacca sporca di sangue della ragazza sulle braccia di Wilhelm Müller, riuscendo chissà come a snocciolare le classiche parole di compianto, seppur con un tono diverso. Non aveva reagito, quella donna di ghiaccio, limitandosi a guardare il marito piangere come un bambino fra le braccia dei figli maggiori, non facendo nulla per consolarlo o cercar consolazione a sua volta.

Leopold non era ancora arrivato, ma c’era chi non si era risparmiato di raccontargli che scena patetica era seguita. Adelaide aveva osservato il marito inchiodare quell’indumento grottesco sul camino, sostenendo che avrebbe turbato gli ospiti. Come se invece la mantella di Flagon Turret, li accanto, non potesse essere altrettanto grottesca, così come il vaso contenenti le ceneri di Ewald.

Con l’arrivo di Mieke, giunta a Stohess un paio di ore dopo il rosso, erano esposi i fuochi artificiali; la più piccola della famiglia aveva litigato con la madre e da allora non le parlava. L’intera famiglia aveva un po’ isolato Adelaide, seppur Leo credesse che c’era chi non l’avesse fatto di proposito. Nessuno, eccetto Alma, che quella che chiamava donna orribile non l’aveva mai potuta soffrire, da quando aveva messo piede per la prima volta in casa. Allora Alma aveva sedici anni ed era abituata ad accudire il padre e Fried da sola. Si era vista portata via la direzione della casa. Se prima non tirava una buona aria, poiché la pace era sorretta dalla fragile scusa che quella donna aveva messo al mondo un paio di creature, a seguito di quel pesante lutto era difficile camminare per casa schivando occhiatacce e frecciatine.

Persino quando mise piede in cucina, Leo rischiò di prendere una padella in faccia.

“Scusami” aveva prontamente detto Alma, abbassando le braccia “Stavo per urlare alla megera di venire a mangiare, ma infondo preferisco che le abbia tu, le uova. Almeno la tua vita ha senso” senza replicare, il rosso si sedette al tavolo, prendendo di buon grado il piatto pieno di uova saltate con quella che sembrava erba cipollina e un bicchiere di acqua fresca dal pozzo “Hector è morto” proseguì Alma, parando via dal volto i capelli che erano sfuggiti al concio malmesso sul capo “Flagon è morto. Ewald è morto. Nina è morta. Eppure lei, quella stronza che a stento posso definire una persona, ancora infesta questo mondo con la sua sciagurata presenza. Questa…. Questa è ingiustizia.”

Alma…” il fratello entrò in quel disastro che poteva definirsi in qualche modo cucina, andando verso la maggiore e appoggiandole entrambe le mani sulle spalle mentre Leo mangiava, grato all’uomo di averlo salvato dal dover dire qualcosa di consolante. Non era proprio in grado, in quel momento, di esternare un sentimento che non fosse l’amarezza o la tristezza. “Non vale la pena di rovinarsi la salute per lei. Smettila e mangia con noi, avanti.”

“Non è giusto Fried.” Avvolgendo le braccia attorno al busto del fratello, Alma si strinse a lui.

Leopold si ritrovò a pensare a quanto straziante fosse quella situazione, sentendo come se non avesse il diritto di lamentarsi e stare male se confrontato a loro. Abbassò gli occhi sul piatto, portando le mani al capo.

“Amico, muoviti o si freddano” Fried gli battè una mano sulla spalla così forte da spingerlo contro al tavolo, mentre si sedeva accanto a lui.

“Questo è troppo” Leo rialzò il viso, prendendo riprendendo respiro mentre sentiva il sangue gelarsi nelle vene “Non lo sopporto.”

“Senti la mancanza di Jara?” Alma si asciugò una lacrima al lato dell’occhio, allungando al fratello un piatto e un bicchiere pulito proprio mentre Fried si stava avvicinando la brocca “Le ho chiesto di rimanere, ma capisco il motivo per cui è partita subito dopo la cerimonia.”

“Odia i lutti, ancora non ha superato quello del fratello” fu il commento del maggiore, che si strusciò l’occhio marrone, spiando con l’azzurro prima il ragazzo accanto a lui e poi la sorella “Se continuiamo a questo ritmo, a seppellirne uno ad anno, non andrà molto avanti la famiglia.”

Leopold sorrise, seppur pallidamente, quando l’uomo contò Fritz come parte di quella famiglia. Forse anche per lui c’era posto, dopo tutto quel tempo “Serve del tempo a tutti” si permise di aggiungere, trovando un appoggio in Fried mentre Alma si esibiva in un’espressione alquanto scettica sul volto privo di colore. Fu l’arrivo dei figli della donna, Anneke e Heiner, a far cessare ogni discussione. I bambini, di sei e otto anni, si sedettero al tavolo, pretendendo di avere il latte con i biscotti secchi.

“Dopo aver mangiato, prendiamo Weike e andiamo al mercato, va bene?” disse Fried, spettinando la zazzera bionda del nipotino, che lo guardo con un occhio azzurro e uno giallo da gatto, proprio come quello del defunto padre.

“Io voglio le caramelle al miele” snocciolò Anneke, mentre Leopold si sforzava di finire le uova che non volevano saperne di andar giù “ Sono giorni che la mamma promette che le compra, ma ancora non le ho avute.”

“Non fino alla fine del lutto.” Fu il puntualizzare di Alma che mise un freno alle richieste. La piccola prese la treccia che le pendeva sulla spalla fra le mani, tirandola piano, come a soffocare un capriccio, forse consapevole di cosa fosse successo oltre le mura alla giovane zia.

Leo non si permise di dire nulla, perché non era padre.

Però sapeva che Fried, quelle caramelle, le avrebbe comprate e avrebbe fatto sì che i bambini le finissero prima del ritorno a casa.

Perché era giusto, almeno per loro, non essere così tristi.

Stavano piangendo a sufficienza gli adulti, anche per i bambini.  

 

Seduto sul patio con un bicchierino di liquore di anice in mano, Erwin sembrava aspettare qualcosa.

Alzò lo sguardo oltre la corte della palazzina, verso il cielo, dove grazie alle lunghe giornate estive, nonostante fossero passate le nove di sera, l’aeree era dipinto di rosato e rosso e rendeva ancora possibile vedere senza  dover accendere le lampade ad olio.

Era uscito per permettere alle donne di casa di sistemare dopo la cena, cacciato come sempre da tutte loro nel momento in cui s’era alzato con un piatto in mano per aiutare. Iniziava a credere che ciò che il signor Müller, ovvero che ogni donna è la signora della propria cucina, fosse vero. Abituato com’era alla vita in caserma, gli dispiaceva starsene così in panciolle. Era un Comandante che non aveva paura di sporcarsi le mani di olio e sugo, dopotutto.   

A fargli compagnia ci pensò Friedhelm, che andò a prendere posto sulla sedia di legno accanto alla sua, tenendo in mano anche lui un bicchierino, ma avendo anche l’indecenza di portarsi dietro l’intera bottiglia. La appoggiò fra loro, allungando le gambe per incrociare le caviglie davanti a sé. Alzò il bicchiere, guardando verso Erwin, che avvicinò il suo facendo tintinnare piano il vetro.

“A Nina?”

“A Nina.”

Buttarono giù tutto il contenuto e, prima ancora di pensarci, Müller stava riempiendo nuovamente. Dalla porta lasciata socchiusa potevano sentire le stoviglie ticchettare, le donne di casa parlare, ad eccezione di Adelaide che come ogni sera s’era ritira nella sua stanza a pregare le dee Maria, Rose e Sina. Di cosa, era un bel mistero.

I bambini giocavano nella corte, tutti insieme in un angolo del cortile, poco lontano dalla stalla, ad eccezione di Henke che dormiva placidamente nella culla accanto al caminetto spento, nel salotto, troppo piccolo per partecipare con i cugini e il fratello maggiore. Fried puntò gli occhi proprio sui tre, passandosi poi la mano sul mento per grattarlo. Suo figlio Weike stava brandendo un bastoncino come una spada e la cosa lo preoccupava un po’; nonostante avesse solo quattro anni, avrebbe potuto sviluppare anche lui quel senso di dovere che seppur non rimproverava a Erwin così come non aveva rimproverato a Ewald e a Nina, sarebbe diventato un bel peso sul cuore di un padre.

“Sai, stavo pensando al giorno in cui Nina si è arruolata” Erwin interruppe quel suo ciclo di pensieri catastrofisti, accostando il gomito alla sedia per potersi appoggiare col capo al polso “Te lo ricordi?”

Fried ridacchiò sotto ai baffi, girandosi col busto per guardarlo “Tua madre era così incazzata…” iniziò con una certa soddisfazione “Nina le aveva giurato sulle Mura che avrebbe scelto la Gendarmeria se fosse rientrata fra i primi dieci.  Come se poi gliene fosse mai importato qualcosa del Credo. Infatti, non solo si è sforzata tanto per arrivare terza, ma ha comunque deciso di entrare in Legione. Pensavo che l’avrebbe uccisa con le sue stesse mani quando è tornata a casa alla prima licenza.”

Erano volati piatti quel giorno e anche improperi degni di un’osteria del ghetto. Erano volati insulti e previsioni catastrofiche, ma Nina non aveva dato nemmeno un minimo cenno di preoccupazione. Come avrebbe potuto, dopotutto? Era dove era sempre voluta essere.

La porta alle loro spalle si aprì e eleganti nelle loro divise d’ordinanza, un gendarme e uno stazionario uscirono nel cortile. Rielke era pallido come un morto, tanto che le lentiggini risaltavano ancora di più sotto agli occhi acquosi. Leopold invece sembrava solo stanco, come se avesse corso tutto il perimetro delle mura Sina in un giorno “Sono riuscito a farlo vestire decentemente” disse però con un certo orgoglio, facendo sorridere pallidamente l’amico, “Andiamo a bere qualcosa. Vi unite?”

“No grazie, sono decisamente troppo grande per le osterie di lunedì” Fried guardò il cugino un po’ sollevato, allungando anche il piede per tirargli un calcetto giocoso che questi evitò con un saltello “Noi vecchiacci beviamo del liquore e poi andiamo a dormire con le galline.”

“Attenti a non vivere una vita troppo eccitante” li riprese di nuovo Schitz, prima di avviarsi per primo con Rielke alle calcagne.

Il Capitano Müller sospirò pesante “Spero che gli concedano di andare in Capitale con Leo per un po’, altrimenti tra un po’ seppelliamo anche Rielke.” Erwin non si sentì di dire nulla in proposito. Prese un altro sorso dal bicchiere ancora pieno di quella sostanza trasparente, sentendola bruciare mentre scendeva lungo la gola “Guardaci, comunque. Senza una divisa addosso cosa siamo? Una famiglia di militari, ecco cosa siamo. Era molto meglio cinquant’anni fa, quando se nascevi Müller nascevi con addosso ricamate le Rose della Guarnigione. Poi cosa è successo? Abbiamo iniziato a perderci. Gritte non s’è nemmeno arruolata, mentre Thomas è entrato insieme a suo fratello in Guarnigione. Sono i soli però. Loro fratello maggiore Ewald è morto oltre le mura che tu eri una recluta, causando un dolore tale nel cuore della zia che è sbiancata di capelli. Io sono un gendarme e Mieke…. Chi prendiamo in giro? Nina è morta e Mieke vorrà il suo lascito.” Fece una pausa, Friedhelm, stringendo il pugno della mano libera. Si rilassò quando Weike si avvicinò, porgendogli una foglia di castagno, che lui prese prima di tirarsi il bambino sulle ginocchia. Poi fece una domanda che l’altro non si sarebbe mai aspettato “Quanti ne avete persi da gennaio?”

Erwin prese un sorso generoso prima di rispondere. Non aveva bisogno di chiedere a cosa si riferisse. “Settanta due, ma solo cinquanta sei per colpa dei giganti” fece una pausa, mentre il fratellastro sistemava sulla gamba il figlio, che aveva preso a giocare con il bordo dello stivale “Dieci sono morti per incidenti vari, dalle esercitazioni, all’addestramento, fino a tragedie durante le spedizioni.”

“Tipo cadute da cavallo?”

“Anche.” Fried lo guardò come per dire che trovava quelle morti stupide, ma il loro peso non annullava comunque il fatto che erano avvenute.

“Le altre?”

“Quattro persone sono morte per complicanze dovute a vaccini o trattamenti medici, poi ci sono stati due suicidi.” Fece una pausa, il comandante dell’esplorativa, prima di parlare nuovamente “Con la squadra di Sankov, di cui non abbiamo trovato un solo superstite, siamo saliti a ottantuno. Nove morti tutti insieme, è un bel numero anche per noi, per una singola azione sul campo. Nina era fra loro.”

“Sai che non è colpa tua, vero?” di nuovo, Erwin non gli rispose. Fried scosse piano il capo, accarezzando la nuca del bambino “Lei non avrebbe mai lasciato. Aveva scelto molto prima di prendere le Ali al posto delle Rose.”

Smith si lasciò sfuggire un sospiro “Non avrebbe mai lasciato la Legione.”

“No. Non avrebbe mai lasciato te.”

Calò un silenzio strano, improvvisamente teso. Entrambi erano consci del fatto che le parole del Capitano non erano vane. Nina aveva preteso di studiare medicina e ci era riuscita solo perché Erwin aveva convinto Adelaide a lasciarla andare dai Meier. E perché Nina aveva scelto di diventare un medico? Perché voleva potere esserci quando e se suo fratello, il suo eroe, avesse avuto bisogno di lei. Voleva essere fondamentale nella causa, voleva avere un ruolo importante e lo voleva perché Erwin non pensasse mai che sarebbe potuta rivelarsi inutile. Si era allenata con Levi notte e giorno, persino lì a Stohess nelle licenze, per diventare forte abbastanza da non essere un peso per lui e alla fine era morta nell’osservanza degli ordini da lui sempre impartiti.

Per questo Erwin si sentiva in colpa. Perché inconsciamente era stato il motore che aveva portato a quegli eventi.

“Credi che se io non-”

“Levi non è venuto alla cerimonia. Non me lo aspettavo di lui, sembrava sinceramente preso da nostra sorella.”

Nel voler evitare qualsiasi discorso ricolmo di dubbi, Fried aveva comunque fatto un danno. Parlare di Levi non era molto saggio, soprattutto perché la sua assenza s’era sentita più di quanto avrebbe potuto immaginare chiunque, in quella casa. Leopold era stato il primo a notarlo, con una punta di amarezza assai poco velata, il giorno in cui avevano alzato i tendaggi neri nella corte e avevano invitato amici e vicini al loro cordoglio.

Erwin prese le sue difese, come aveva fatto ogni qualvolta qualcuno chiedeva “Levi non ha accettato ciò che è successo” disse di fatto il Comandante, tirando diritta la schiena sulla sedia, mentre anche il secondo bicchiere  si ritrovò svuotato. Allungò la mano alla ricerca della bottiglia, che poi alzò per rimboccare al goccio l’oggetto che pareva ormai un’ancora “Insiste nel negarlo e quindi non ha ritenuto necessaria la sua partecipazione.”

“Capisco. Deve essere dura per lui, tanto forte da sembrare il protagonista di una leggenda, ma incapace di proteggere coloro che ama.”

“Non essere così duro, Fried.” Il signor Müller uscì nella corte, riprendendo il figlio seppur debolmente. Erwin gli cedette subito la sedia, facendolo ridacchiare “Rimani, figliolo” gli disse, nonostante questi fosse già in piedi “Rimani seduto. Sei fin troppo gentile al contrario di questa carogna.”

“Ho in braccio il bambino” fece notare Fried al suo vecchio, che prese posto nella sedia ora libera, tenendosi la gamba “Parlavamo di Levi” gli fece infine sapere, mentre Erwin si appoggiava con la schiena al legno della colonna del patio, che sorreggeva la tettoia sopra di loro “Tu cosa ne pensi?”

“Che ognuno vive il lutto come lo preferisce” fu la risposta saggia dell’uomo, che incrociò le mani sulla pancia sporgente. Prese quindi un respiro profondo, puntando gli occhi verso le stelle, sempre le stelle, che iniziavano a puntellare di luci il cielo sempre più buio “Che sia qui o a Trost, l’importante è ricordarsi di lei. Spero solo di rivederlo, prima o poi. Mi sta simpatico quel ragazzo.”

“Fra tre giorni sarebbe stato il suo compleanno. Di Nina, intendo.” Wieke pretese di essere rimesso a terra, seppur non consapevole di quei discorsi fra adulti, e i tre uomini lo guardarono tornare verso i cugini che s’erano seduti per terra e parlottavano sottovoce “Solo io mi aspettavo che lei aspettasse di compiere vent’anni prima di sposare Levi e iniziare a sfornare mocciosi?”

Quella frase, che mise addosso a Erwin una melanconia pesante, fece ridere di cuore Wilhelm, i cui occhi però si velarono appena di lacrime “Ah, l’avrebbe anche fatto, la mia Nina. Ce li saremmo trovati tutti qui, conoscendola! Non avrebbe mai appeso la mantella al chiodo!”.

Quel discorso venne accolto con un mezzo sorriso e un’altra bevuta. Se avesse potuto, se il suo cuore l’avesse permesso, anche Wilhelm avrebbe approfittato del liquore per celare la sua debolezza. Era certo che però anche per gli uomini fosse inutile per nascondere a sé stessi la verità.

“Ogni mattina è sempre peggio; è come se nel sonno fosse semplice dimenticarsi di cosa è successo. Ogni mattina è come risvegliarsi senza memoria, almeno sino a che l’impietosa consapevolezza non riporta alla mente ogni ricordo, con tutto il dolore al seguito. Allora, solo allora, mi viene in mente che la mia bambina non c’è più e che non rivedrò mai più il suo sorriso. Non ho mai seppellito un figlio prima, non dovrebbe succedere. Doveva essere lei a seppellire me, insieme a voi due e ad Alma. Avrebbe dovuto avere una bella vita, la mia Nina. Se la meritava.”

Quindi è questo il rumore di un cuore che si spezza? Il dolore di un padre?

Nessuno dei due disse nulla, perché non c’era nulla da dire.

La sofferenza in quelle parole era troppo, quasi insostenibile. Erwin staccò la schiena dalla colonna, appoggiando una mano sulla spalla di Fried “Rientro, il liquore mi ha dato alla testa” sussurrò, così da non disturbare i pensieri del signor Müller, che intanto si era preso il viso fra le mani e se ne stava in silenzio. Il fratellastro gli fece cenno con la testa di andare e mentre Erwin valicava l’uscio, lo vide appoggiare un braccio sulle spalle del padre, scosse da un singhiozzo. Chiuse la porta dietro di sé appoggiandosi poi ad essa con la fronte.

Chiuse gli occhi e prese un respiro, ricercando la sua misurata compostezza, sempre più vicina a crollare.

Si voltò per salire le scale, con il chiaro intento di sparire nella sua stanza e leggere qualche notifica di rapporto o a scrivere una lettera a Mike per sapere come procedevano le cose al quartier generale, ma venne distratto da una figura adagiata morbidamente sul divano. Con il naso ficcato in un libro c’era Mieke.

Le si avvicinò, controllando la copertina verde spento, mentre sentiva le labbra incurvarsi in un sorrisetto istintivo “i diari del Comandate Carlo Piquet?” le chiese, sedendosi sul bracciolo pur tenendo un piede ben piantato sulle mattonelle.

Lei alzò gli occhi azzurri di sfumature diverse su di lui, senza abbassare il tomo “Già. Non sapevo cosa leggere. Se temi che io possa unirmi alla Legione, però, ti tranquillizzo subito; non è mia intenzione unirmi a coloro che vanno a morire.”

Erwin le appoggiò una mano sul capo, conscio del caratterino della più piccola dei Müller, ma anche un po’ sollevato da quella dichiarazione non richiesta “Ho regalato io questo libro a tua sorella” le fece sapere, incrociando poi le braccia sul petto ampio “Molto tempo fa.”

“Me lo ricordo. Nina l’avrà letto almeno una ventina di volte.” Notando che Erwin non intendeva andarsene, Mieke si arrese appoggiandosi il diario sul petto e ricambiando lo sguardo. Lei e Nina si somigliavano molto nell’aspetto fisico, ma non sarebbero potute essere più differenti di carattere; il carisma di Erwin non sortiva nessun effetto su Mieke che lo vedeva esattamente come vedeva Friedhelm o Rielke.“Posso fare qualcosa per te?”

“Mi chiedevo se volessi parlare” iniziò Erwin, senza spostare gli occhi zaffirini dal volto della sorellina “Sono giorni che parli con noi.”

Lei alzò le spalle con totale non curanza, passando una mano fra i capelli corti ritti sul capo per grattare un prurito “Non c’è molto da dire, non pensi?”

“No, non c’è molto da dire. Ma tenerti le cose dentro non ti farà bene.”

Erwin era solo l’ultimo di tanti avventurosi che avevano provato a cavar fuori qualcosa dalla ragazzina, senza risultati. Laddove Adelaide era fredda e distaccata, la più piccola dei fratelli Müller sembrava non essere stata toccata da quel lutto. Infatti, per l’ennesima volta, nascose il viso dietro al libro “Non mi tengo niente proprio nulla. Nina è viva e quando tornerà ci sarà da divertirsi.”

Il Comandante non si aspettava una risposta di quel livello. Guardò sorpreso Mieke, prima di toglierle il libro dalle male “Cosa intendi?”

“Lei è viva” insistette, incrociando le gambe sul divano e guardandolo decisa “Io lo sento.”

….Mieke, hai parlato con Levi?”

Con la sua miglior faccia da carte, la biondina scrollò le spalle “Perché avrei dovuto parlare con Levi? Sono venuta direttamente qui.”

“Lui è venuto da te?” Alla fine, Erwin realizzò. E si sentì come colpito da un fulmine, “Levi è venuto a parlare con Shadis?”

“Perché? È così difficile per te pensare che più di una persona sia convinta che non cercarla e tornare alle mura senza nessuna prova della sua morte se non un giacchetto pregno di sangue, sia stata una mossa stupida?”

Erwin si sentì ancor più stanco, come se un carico da novanta gli fosse appena stato scaricato sulle spalle di colpo “Mieke…

“Lo so cosa succede oltre le mura” insistette la giovane ragazza, impuntandosi “Non c’è bisogno di uscire con la Legione per saperlo: morte, urla, sangue e tutte quelle altre cose di cui i racconti sono pieni. Intere squadre che vengono annientate in un soffio, errori grossolani che portano un Capitano a dare la propria compagnia in pasto ai mostri. Io lo capisco, Erwin, ma la cosa che ci differenzia dai giganti è proprio il fatto di avere una mente che pensa” si fermò solo il tempo di portarsi in ginocchio accanto a lui. Gli prese il volto fra le mani e lo guardò negli occhi, fissa, cercando di seminare il dubbio nella sua mente. Ciò che lesse nelle iridi però le fece capire che quel dubbio c’era già “Perché non ti sei fidato di lei? Non è la ragazza più sveglia che esista, anzi è abbastanza sciocca, è vero, fa parecchie cose stupide... Ma è brava, lo sai che è brava, lo è diventata! Nina farebbe qualsiasi cosa per tornare a casa…. Tu hai fatto qualsiasi cosa per assicurarti che non c’era speranza?” Era una mossa crudele da parte sua, ma andava fatto. Lo aveva promesso a Levi e lei non voleva che tutto finisse così. Non voleva arrendersi alla morte di Nina, non voleva arrendersi e basta. “Perché hai preferito lasciarti andare invece di fidarti dei tuoi uomini? Come fai ad essere vivo se non credi in loro?”

Erano tante le argomentazioni che Erwin avrebbe potuto usare in quel momento, affidandosi alla sua esperienza e al suo sesto senso, maturato in tanti anni di fedele servizio nella Legione. Avrebbe potuto rimetterla al suo posto con severità o con gentile pena nell’accorgersi che Mieke, esattamente come Levi, preferiva pensare che sua sorella era rimasta sola la fuori, invece che saperla divorata. Avrebbe anche potuto dirle che se Nina fosse anche sopravvissuta all’attacco, non c’erano possibilità che una settimana da sola nelle terre perse di Maria avessero potuto risparmiarla.

Era brava? Non bastava essere bravi per sopravvivere o tanti suoi commilitoni non si sarebbero ritrovato divorati o mutilati nell’arco di quegli anni.

Non lo disse. Si limitò ad abbracciarla in silenzio, sentendo la stretta ricambiata con intensità “Nella vita è meglio avere rimorsi che rimpianti” gli diede il colpo di grazia, “Dall’alto dei miei dodici anni non posso dirti cosa fare, perché non lo so forse, ma almeno ascolta chi hai attorno e sa cosa si prova.”

“Avrai anche dodici anni, ma hai più giudizio di me e persuasione di Levi” Erwin si separò da lei, accarezzandole i capelli. Avrebbe voluto dirle che qualsiasi cosa sarebbe successa, avrebbe fatto di tutto per non lasciare mai indietro di nessuno e che per questo non credeva di aver lasciato indietro proprio sua sorella, ma un urlo dal cortile li fece trasalire entrambi.

“Alma! Aiuto!”

Scattarono in piedi, arrivando all’uscio dopo Alma, che per un attimo nascose loro la vista. Solo quando si fu chinata accanto al fratello, entrambi poterono vedere a chi apparteneva il braccio steso sul terreno. Ci furono urla, lacrime. Fu chiamato anche un medico, che arrivò celermente seguendo Marika che tremava spaventata, ma nemmeno lui fu in grado di svegliare Wilhelm Müller, né di farlo alzare dal terreno polveroso della corte.

 

 

 

 Nothing could ever stop us
From stealing our own place in the sun
We will face the odds against us
And run into the fear we run from

 

 

 

Anno 844

I Fuochi di Stohess e il saluto all’anno che nessuno potrà mai dimenticare.

 

 

Levi arrivò a Stohess insieme ad Erwin che Nina era giunta ormai da due giorni.

Tutto ciò che fece, una volta messo piede nelle corte interna alla palazzina di proprietà dei Müller, fu guardarsi attorno interessato e consegnare una lettera a Friedhelm, che odorava di profumo femminile un po’ dozzinale. Nina non l’aveva ancora perdonato per l’aver regalato la sua sciarpa verde a un barbone, ma soprattutto per come si era procurato una sciarpa vermiglia dall’aria più vissuta.

“Me l’ha regalata una prostituta quindicenne.”

Questa pragmatica frase si era guadagnata, di nuovo, lunghi silenzi e, in aggiunta, Nina aveva anche preso ad ignorarlo, tanto da decidere di partire per la Capitale con un giorno di anticipo, dove si era riunita a Leopold, Fritz e uno strano amico di quest’ultimo, che come ogni anno si sarebbero goduti insieme all’amica i Fuochi di Stohess.

Levi, a cui una volta arrivato era stata data la camera di Rielke - che lui aveva provveduto a ripulire da cima a fondo con una certa cura- fingeva di non essere toccato dal comportamento immaturo della bionda, preferendo concentrarsi sulla sua permanenza distretto di Stohess, che così come Nina stessa aveva detto quella mattina al mercato di Trost, era più vivace e colorato. I tetti delle case risplendevano di rosso e oro, mentre la chiesa del Culto che faceva bella mostra di sé nel centro cittadino, affacciata sulla Pizza della Mercanzia, brillava come un diamante in mezzo all’oro.

Se poi si fosse stufato di mirare la città, avrebbe avuto il caos che impregnava quelle mura a tenergli compagnia. Il fatto che sotto quel tetto convivessero ben quindici persone di norma (diciassette con Nina e Erwin a casa), lo lasciava basito. Era una palazzina piuttosto grande, in effetti, ma fra i membri della famiglia e i ben quattro ospiti venivano sforati i venti abitanti. La confusione era inevitabile e gli adulti ne facevano di più dei bambini.

La signora Adelaide non sembrava per niente felice all’idea di ospitarlo. L’aveva guardato male già durante la sua permanenza a Trost, ma averlo addirittura lì sembrava quasi un affronto, per il quale non aveva fatto altro che litigare con la figlia maggiore. Levi non si era per niente pentito di aver mandato all’aria un’incontro organizzato fra Nina e il figlio del notaio Bender la prima sera, distraendola con una sessione estrema di allenamenti e sapeva che Nina l’aveva mentalmente ringraziato per averle evitato quell’ennesimo strazio. Di tutt’altro avviso parevano gli altri Müller, in particolare la sorella maggiore, Alma; Levi aveva notato quando lei, Mieke e Nina si somigliassero, ma c’era qualcosa di particolare in quella che poteva essere etichettata sin da subito come la vera padrona di casa. Non era alta come le sorelle, ne magra come loro. Il suo corpo aveva visto due gravidanze e ben due mariti morti, insieme al duro lavoro al forno di famiglia, mentre i suoi occhi, che non deludevano le aspettative, brillavano di due tonalità diverse di blu. Una intensa come l’acqua di un lago profondo, l’altra violetta, come le prime luci dell’alba in inverno. Sembrava più vecchia dei suoi trentadue anni, sicuramente a causa della vita passata per lo più a lavorare per prendersi cura di un padre vedovo e di un fratello con grandi aspettative di carriera nell’esercito. Gli ricordò un po’ la storia di Jara, seppur con diversa sotto molti punti di vista. Alma aveva avuto due mariti, anche se di loro non si parlava. Era stato Erwin a rivelargli, mentre si stavano dirigendo a Stohess a cavallo, che Alma era la vedova di Flagon Turret, il primo capo squadra che il biondo aveva avuto appena messo piede in Legione. Lui ricordava molto bene anche come l’avevano trovato, sul campo di battaglia che era diventato lo scenario della morte di Isabel e Farlan. Anche Hector, il primo marito della donna, era morto nell’esplorativa ed era stato proprio Turret a portarle il lutto a casa si un’incombenza di Erwin. Strano come il destino operi, ad Alma aveva dato e tolto costantemente, non piegandola però, ma temprandola.  

Seppur sia la famiglia di Fried che i genitori di Rielke  si dimostrarono gentili con Levi, Alma era stata la sola a trattarlo così come Levi si aspettava da una sconosciuta. L’aveva guardato con l’aria di chi la sapeva lunga, seppur senza ombra di supponenza, poi a bruciapelo aveva chiesto se era stato lui ad allenare Nina sino a quel momento. Quando Levi aveva confermato con un cenno,Alma aveva lanciato un’occhiata alla sorella, che sedeva in salotto insieme a Leo, Fritz e Friederich Engel. Alla fine aveva sorriso, abbassando gli occhi e pronunciando una sola frase.

“Sì, vai bene. Mi piaci.”

 

La cena era il momento peggiore della giornata, in termini di chiasso.

Se a pranzo non si trovava mai la famiglia riunita, tra soldati in servizio e Alma, Marika e il signor Albert che aiutavano il padrone di casa con il lavoro al forno, a cena c’era la banda al completo. La tavola dove veniva consumato il pasto era lunga, laccata e piena di graffi, a testimonianza del passaggio di molti bambini. Levi si ritrovava schiacciato con una spalla contro quella imponente di Erwin, mentre l’altra era più libera visto che doveva dividere lo spazio con Alma, che sulla panca sedeva poco perché assieme alla moglie del fratello serviva tutti e aveva giusti un paio di minuti per mangiare a sua volta. Di fronte a lui, Nina e Fritz davano il meglio di loro con Rielke e Leopold e anche il nuovo arrivato, quel Engel non era di certo da meno. Levi l’aveva guardato a lungo, chiedendosi se l’avesse visto nel suo passaggio a Nedlay di un mese prima. Sicuramente, quel giovane del nord dai capelli corvini che per coincidenza si chiamava a sua volta Friederich, s’era ambientato bene.

Facevano una confusione infernale.

Levi sospirò piano, appoggiando il gomito al tavolo una volta passato il piatto ora vuoto a Marika, che sorrise ringraziando mentre teneva una pila con una mano e l’altra sul pancione. Anche volendolo, non sarebbe stato in grado di alzarsi e farsi strada fino alla cucina, più per assicurarsi che i piatti venissero ben lavati che per buon cuore. L’avrebbe fatto anche solo per liberarsi di quel chiacchiericcio insistente, ma era virtualmente relegato al suo posto dalla marea di persone al tavolo. Spostò lo sguardo su Nina, che sedeva proprio di fronte a lui, con una benda sull’occhio destro che aveva battuto quello stesso pomeriggio. Che aveva battuto sul pugno di Levi, per essere precisi, ma nemmeno lui si era aspettato di vederla venir avanti col viso. Se l’era praticamente dato da sola quel pugno, ma abituata com’era al combattimento corpo a corpo con lui non aveva fatto la piega. Si era portata la mano al sopracciglio che perdendo sangue le impediva di vedere bene e aveva chiesto una breve pausa per fasciarsi.

Poi avevano ripreso da lì.

Non frignava più, anche se infondo dire che aveva frignato in passato sarebbe stato ingiusto; fra i suoi difetti non c’era quel tipo di debolezza. Lei, che aveva chiesto di essere addestrata, non s’era mai tirata indietro.

Lo sguardo del moro si scontrò con l’occhio sano della bionda, che gli lanciò un veloce sorrisetto, prima di ridere, portando una mano alla bocca per chissà quale cavolata lanciata da Rielke.

Non sembravano soldati. A partire dai cinque seduti di fronte a lui, fino a Erwin, che parlava concitato con Friedhelm di donne. Era qualcosa di più raro di una mosca bianca, vedere il Capitano Smith lasciarsi andare in certe frivolezze, ma gli dava anche una certa sicurezza scoprirlo umano. C’erano stati momenti in cui non l’aveva creduto tale. Poco più avanti, a capo tavola, Wilhelm Müller era la vera anima della festa. Apriva bottiglie di vino, proponeva brindisi a Erwin o alla figlia, ai grandi legionari del nord e a nuovo ospite Levi che, se avesse potuto, avrebbe anche fatto a meno di quelle attenzioni.

Avrebbe mentito, però, dicendo apertamente che quell’atmosfera lo infastidiva. Certo, facevano un casino del demonio, tanto da fargli battere le tempie fino al momento del riposo, ma vivere tutta la vita in una fogna silenziosa come una tomba l’aveva portato ad apprezzare un sorriso sincero quando lo vedeva. Non occorreva dirlo però. Gli bastava alzare ogni volta il suo bicchiere, picchiettando il vetro contro quello dei vicini e continuando a bere vino fino a capir meno discorsi che di senso ne avevano già poco.

“Il Caporale Schwarz è la donna più bella che io abbia mai visto” stava dicendo proprio Engel, gesticolando frenetico alla volta di Fritz, che aveva roteato gli occhi senza però celare un sorriso divertito “Non ti azzardare a far quella faccia, tu. Che quando parli di-”

“Ho capito il concetto”  replicò sbrigativo Meier, prima di notare che Levi stava seguendo il discorso “Tu l’hai incontrata mentre eri a Breimer, vero?”

Levi annuì, appoggiando entrambi i gomiti al tavolo e sporgendosi leggermente in avanti, fiacco “Sì. Mi ha anche regalato la sua mantella.”

A quella parole, Nina lo guardò alzando un sopracciglio, mentre Engel si sporgeva verso di lui stralunato “Davvero? Ah! Che cuore ha!”

“Parlate della donna in rosso, no?” chiese a quel punto Nina, prendendo in mano il bicchiere e sorseggiando l’ultimo goccio di vino che conteneva, prima di proseguire “La donna che Fried si è portato a letto?”

“Sii più specifica, che se dobbiamo fare una cernita ne passano due di Yula” le disse Rielke con tono cospiratorio, ma solo dopo aver controllato di non avere l’interessato o peggio, sua moglie, alle spalle.

“Al ricevimento di Pixis” aggiunse quindi la giovane, mentre accanto a lei Mieke ascoltava interessata “La mora che accompagnava Schimdt.”

“La ricordo appena” convenne Fritz, inclinando di lato il capo “Ancora devo andarci a Briemer, quindi mi riservo dal dare giudizi.”

“Non che ci sia molto da dire, se è una delle donne di Fried.” Il commento un po’ malevolo di Leopold attirò su di lui lo sguardo di Engel, che si ottenebrò appena “Amico, non è colpa mia se attira solo un tipo di donna, quello.”

“Uno solo? Parli per invidia?” lo stesso Friedhelm, che s’era avvicinato silenzioso, battè una mano sulla spalla del rosso e una su quella del cugino, facendoli sussultare “Non vi è tipo di donna che mi resista. Se volete imparare qualcosa, domani vi porto in osteria.”

“Domani è festa e va passata in famiglia” gli fece presente con tono bonario Erwin, che pareva improvvisamente partecipe di quella delirante conversazione. Guardò il fratellastro con sguardo ammonitorio, prima di sorridere rallegrato “Non rovinare tutto come l’anno scorso.”

“L’anno scorso è stato tutto un equivoco. Oh! A proposito di equivoci! È arrivato Doak!”

Levi voltò il capo verso l’ingresso così come il resto dei compagni di pasto, notando che ora, a parlare con Alma e il signor Müller, c’era anche un uomo alto con addosso l’uniforme della Gendarmeria, poco visibile sotto al pastrano invernale che lo difendeva dal freddo. Per mano teneva una bambina dai capelli selvatici, tenuti insieme da un paio di codine, mentre una donna dal seno abbondante e i fianchi tondi reggeva fra le braccia un bambino ancora in fasce.

Sia Erwin che Nina si alzarono, andando a salutare l’uomo insieme a Friedhelm. Erwin pareva conoscerlo bene, tanto che se lo tirò da parte per parlargli come si deve. Nina invece prese a vezzeggiare il neonato insieme a Alma, prendendolo anche in braccio mentre sorrideva a Marie, parlando del più e del meno.

“Tu non vai a salutare?” di nuovo, la voce di Fritz lo portò a guardare i ragazzi di fronte a lui. Stava parlando con Rielke, mentre Leopold stesso di alzava per andare a portare i suoi saluti e i suoi auguri all’ufficiale del suo stesso corpo militare.

Il biondino lentigginoso sbuffò “Non mi è mai stato molto simpatico e poi dobbiamo ancora mangiare i biscotti coi canditi.”

“A me dispiace per lui. Sua moglie è innamorata di Erwin.”

“Chi non lo è?”

“Chi è innamorata di Friedhelm.”

Levi sentì il bisogno di manifestare il suo pensiero per la portata della conversazione cavandosi un occhio con la fochetta, anche se però stava avendo un po’ un’idea di come funzionassero le cose lì “Mocciosi” disse, attirando la loro attenzione mentre Rielke si sporgeva per recuperare la bottiglia di vino; rimase gelato sul tavolo, in attesa “Chi è quello?”

Fu Fritz a rispondere, perché a quanto sembrava ne sapeva parecchio degli affari che giravano in quella casa. “Nile Doak” rispose “Un Capitano decorato della Gendarmeria. Lui e Erwin sono cresciuti insieme e hanno fatto l’addestramento insieme.”

Fried dice che anche lui sarebbe dovuto entrare in Legione” disse Rielke, versando a tutti, compreso Levi, mentre Engel seguiva quei pettegolezzi con aria sinceramente interessata “Però all’ultimo ha deciso che avrebbe preferito fare il marito e il padre al farsi divorare dai giganti. È molto simile a Leopold…

“Questa leggenda che si muore e basta, in Legione…

“Stai zitto, Fritz. Non è una leggenda.” Rielke guardò l’amico, prima di sporgersi in avanti sul tavolo, parlando piano mentre teneva puntati gli occhi in quelli affilati di Levi “La donna con lui è sua moglie, Marie. Quando erano dei cadetti, passava da Nile a Erwin e alla fine pare che lui sia rimasto con lei perché lei glielo ha chiesto. Noi pensiamo che l’abbia chiesto prima a Erwin e che lui abbia detto di no.”

“Siete malevoli” Nina sai sedette affianco a Levi, tenendo un pacchettino in mano “Perché non dovrebbe aver scelto Nile?”

“Parla piano” la riproverò Fritz, prima di notare il pacchettino.

“Perché c’è chi sceglierebbe il  CapitanNoia-mortale-sono-un-rigoroso-genderme sopra a Erwin?” chiese Leopold, ritornando al suo posto a sua volta. Ora che la famigliola se n’era andata e che Fried aveva portato Erwin a scegliere il liquore da aprire per dar degna compagnia al vino, erano più liberi di far le comare. Non che si fossero molto trattenuti, prima “Tuo fratello avrà dei difetti, tra cui l’aver sempre addosso una e una sola espressione e in bocca uno e un solo discorso, ma almeno non è Nile Doak.”

“Il bue che dice cornuto all’asino! Voi gendarmi siete tutti uguali!”

“Stai zitto Rielke, sei nella Guarnigione, ovvero quelli più inutili!”

“Che cos’hai lì, Nina?” Fritz li fece smettere di battibecchiare, riportando l’attenzione sulla bionda.

“Un regalo del Comandante Kessler” rispose, riaprendo il pacchettino già sfatto e mostrando a tutti un bel fermacapelli d’argento a forma di rosa.

“Te l’ha mandato tramite Nile?”

La giovane annuì, “Quella donna è sempre così gentile con me” soppesò, girandosi l’oggetto fra le mani, prima di girare il capo verso Levi, sventolandola sotto al suo naso nel tentativo di porgergliela “Ti dispiace?”

I quattro ragazzi seguirono la scena sino a che Levi non prese fra le mani il fermaglio, poi tornarono a ciarlare concitati fra loro.

Nina diede le spalle al moro, incrociando le gambe sulla panca per quando la gonna lunga dell’abito che indossava glielo permettesse. Lui passò il fermaglio sulle ciocche color grano della ragazza,tirandole indietro sul capo e fermandole e fissandole sulla nuca.

Lei portò una mano a verificare che fosse ben messo, prima di tornare a mettersi diritta, guardando l’uomo “Allora? Quanto ci stai odiando per tutto questo chiasso?”

Lui sbuffò, allungando una mano per prendere il bicchiere. Nina osservò quel suo modo buffo che aveva di fare ogni volta che doveva bere, prima di aprire la bocca per parlare di nuovo. Lui però la interruppe “Non è male.”

E lei capì che si sentiva più a suo agio di quanto sembrasse.

 

La festa di Yula dell’ultimo giorno dell’anno era forse la ricorrenza più importante all’interno delle Mura, seguita dalla Festa delle Messi o Luginaza in estate, dalla Settimana della Vendemmia, – alla fine della quale, nel giorno delle grandi celebrazioni di Maben, chi camminava diritto non era degno di essere definito uomo- il Giorno di Eosteria in primavera conosciuto anche come la Festa della Luce e il primo giorno del mese di maggio, Beletane.

Ogni distretto aveva tradizioni proprie e particolari usanze, anche se era noto che nei distretti dell’est, Yula venisse festeggiata in modo particolarmente fastoso. Stohess, in quanto il più ricco distretto dell’est e del Muro Sina, era sicuramente il luogo migliore in cui perdersi nei festeggiamenti.

Essi erano iniziati già la sera precedente, come da tradizione, con il banchetto famigliare. Fritz aveva poi insistito per portare Engel a fare un giro delle taverne, finendo per far rincasare tutti che l’alba iniziava già ad affacciarsi oltre le mura. Nina e Leo l’avevano guardata con gli occhi socchiusi dalla stanchezza, con una sigaretta e pendere dalle labbra e la consapevolezza che sarebbe stata una lunga, lunga giornata. Avevano dormito come la sera precedente, ammassati nella camera che la bionda divideva con la sorella minore. Il letto di Nina e quello di Mieke erano stati uniti e mentre la prima s’era presa Fritz, con il quale era riuscita a dormire almeno sei ore prima dell’entrata in scena di un’Adelaide particolarmente arrabbiata per l’ora tarda in cui ancora stavano dormendo, Leo e Rielke si erano litigati le coperte con Mieke per ore, riuscendo forse a riposare la metà degli amici e riuscendo anche nell’intendo di disturbare la ragazzina che così gentilmente li aveva ospitati sul suo materasso. Ad Engel era andata la branda in fondo alla stanza, in quanto ospite.

“Se Levi fosse andato a dormire con Erwin, come era stato deciso in partenza,  noi uomini saremmo potuti rimanere in camera di Rielke,  risultando così tutti più comodi.” Si stava di fatti lamentando il rosso, mentre infilava gli abiti tipici dell’est, non poi così pronto a far festa.

Schiacciato contro il muro, Fritz stava permettendo a Nina di sonnecchiare ancora un poco, col viso nascosto contro il suo petto e l’espressione disturbata sul viso. Le accarezzò la guancia fino al bendaggio sull’occhio, prima di guardare il migliore amico con divertimento “L’hai detto anche ieri. Smettila di fare il brontolone della situazione, che pari un vecchio!”

“Se fossi tu a svegliarti col culo sul pavimento non parleresti così! I due materassi vanno alla deriva, durante la notte.” Cercando di spostarsi per lo spazio saturo della piccola stanza, Leo prese ad allacciarsi la camicia, prima di alzare le bretelle sul petto, controllando in uno specchio che il colletto bianco fosse in ordine “Che poi parli tu, che non fai altro che dire quanto ti faccia schifo Nedlay?”

“Il nord è un luogo meraviglioso e incompreso” fu il solo commento che arrivò dall’angolo in cui Engel ancora doveva trovare la forza di alzarsi.

“Il nord non è incompreso” rilanciò subito Meier, facendo ridacchiare piano Nina che ormai si era arresa al fatto che non sarebbe riuscita a dormire nemmeno un’ora in più “Freddo, sì. Triste? Anche. Le case sono meno accoglienti e le donne più brutte. La sola cosa migliore è il cibo.”

“Le donne del nord sono vere donne” lo corresse Engel, prima di sbadigliare “Ma cosa sto a parlare con un ignorante come te? Caprone.”

“Siete così fastidiosi!” Mieke fece il suo ingresso con addosso l’abito per la festa, lanciando sul letto di Nina quello della sorella “Non vedo l’ora che sia domani per aver di nuovo il silenzio che merito.”

“Ci siamo svegliati col piede sbagliato?” Leopold le tirò la guancia, mentre Fritz e Nina si alzavano, ridendo di fronte al tentativo fallito di Mieke di smollare al rosso un calcio, ostacolata dalla gonna a ruota.

Alla fine riuscirono a scendere per l’ora di pranzo. La prima cosa che Nina aveva notato era che stava nevicando, seppur piano. La seconda era Levi che, con addosso gli abiti tradizionali di Stohess per la festa era…. Strano. Strano a dir poco. Il calzoni corti gli arrivavano sotto al ginocchio, anche se avrebbero dovuto fermarsi al di sopra; nessun uomo di quella casa aveva una taglia che potesse stargli e quelli, che erano appartenuti a Rielke qualche anno fa, risultavano comunque troppo lunghi. Non potevano accomodarli, però, perché tagliandoli avrebbero tolto anche i ricami sulla stoffa ruvida grigia. Nina non seppe dire però se era poi strano con i polpacci muscolosi in vista o con il cappello pieno di piume sui capelli neri. Forse era l’espressione per niente convinta. Non riuscì a non ridere, mentre si avvicinava tenendo in mano un sacchettino di seta blu.

Lui lo adocchiò subito e la guardò male farsi sempre più vicina “Non ci pensare.”

“Questa è la tradizione” rispose lei, tirando i fili per aprire il sacchetto. Immerse due dita all’interno del pigmento di un magenta acceso, andando poi a disegnarli due linee parallele per tutta la fronte “Le donne colorano gli uomini, che fanno loro un complimento” attese qualche secondo, chinandosi anche alla sua altezza visto che lui era seduto. Capendo che ci sarebbe voluto un po’, Nina si mise in ginocchio sul pavimento, appoggiando o gomiti alle ginocchia di Levi “Io non ho fretta.”

Lui sbuffò sonoramente “Sei una stupida ragazzina.”

“Un complimento, ovvero il contrario di quello che hai appena detto.”

Poteva farcela, Nina se lo sentiva. Lo guardò sempre in attesa, tenendo in mano il sacchettino e ponderando che se avesse continuato su quella linea, lei avrebbe potuto accidentalmente far cadere la polverina su quella bella camicia bianca. Non ce ne fu bisogno “Hai dei bei capelli” disse infine, sbrigandosi poi ad aggiungere frettoloso un “Ma non sono funzionali. Tagliali.”

Nina si ritenne soddisfatta, tanto che si alzò, compiendo a saltelli la distanza tra lei, il cugino e Fritz, piantando una bella manata di magenta sul viso di entrambi prima di iniziare a correre dietro a Schitz che si stava rifiutando di collaborare alle tradizioni ‘barbare’ del distretto. “Ho già messo i pantaloncini, Nina! Non esagerare!”

Levi la guardò rincorrere l’amico attorno al tavolo, constatando che per quanto quella scena fosse stupida, gli aveva dato modo di notare come si fosse effettivamente conciata la giovane. L’abito da festa delle donne non era altro se non un vestito scuro, formato da una gonna molto ampia che lasciava scoperte le caviglie e una porzione del polpaccio e un bustino rigido tenuto insieme da nastri di seta colorata. Sotto, tutte le donne portavano una camicetta con le maniche che arrivano si e no al gomito. Era la gonna però a nascondere un segreto. Ogni volta che Nina si girava, essa si apriva e nelle pieghe, Levi poté contare almeno una dozzina di pezzi di stoffa cuciti insieme a quella dell’abito di altrettanti colori diversi. Fu Alma poi a spiegargli che quelle stoffe venivano da vecchi abiti dimessi, cuciti dalle donne di casa sull’abito da festa. Era un modo per portare il vecchio insieme al nuovo, un po’ un vade mecum per l’anno nuovo.

Quando si misero a tavola per pranzare con i due dolci tradizionali, lo Zelten e lo Stollen, c’erano pigmenti di colore più o meno ovunque e quelli più provati e colorati erano Erwin e Fried che si erano messi anche a tirarseli a vicenda fin nei capelli, incuranti del fatto che non erano donne.

Erwin non sembrava nemmeno lui e forse la colpa era anche un po’ di tutto quell’alcool che stavano bevendo in quei giorni e che stavano avendo effetto su tutti, eccetto Levi.

Vederlo a quel modo era strano, certo, ma la complicità col fratellastro e l’allegria della festa convinsero il moro che non c’erano doveri che tenevano, di fronte alla famiglia. Nemmeno per il Comandante Smith.

 

Erwin aveva trascinato Levi per bancarelle per tutto il pomeriggio, costringendolo a sfilare per la città con quei ridicoli calzoni che, tra l’altro, non avevano fatto niente se non gelargli le gambe. Non importava se tutti erano vestiti a quel modo, iniziava a non sentirsi più molto a suo agio.

Fried si era lanciato in un’importante dibattito sulla guerra della birra fra i distretti, sostenendo che per lui la più buona rimaneva quella al malto di Briemer, mentre Erwin era un fermo sostenitore della rossa di Stohess. Alla fine al dibattito si era aggiunta anche Nina, difendendo la bionda di Trost, nel momento in cui avevano incontrato il gruppo di giovani amici a Piazza della Mercanzia, di fronte al grande falò che bruciava dalla mezzanotte precedente e sarebbe stato alimentato fino alla fine della festa di quella notte. Guardò Nina e Fritz buttarci dentro un’agenda, Mentre Leopold provvedeva a disfarsi di qualche lettera e Rielke di un plico di fogli bello grande.

“Si brucia la vecchia” gli spiegò il Capitano Smith quando il moro gli rivolse uno sguardo perplesso “Documenti o oggetti che sono serviti nell’anno appena trascorso e che in quello nuovo non saranno più di alcuna utilità. Tu non hai niente da bruciare?”

“Vorrei poterti dire che voglio buttarci Hanji” gli rispose, facendolo sospirare rassegnato, seppur divertito “Ma lei non è qui e poi non è stata utile nemmeno per quest’anno. Quindi perderebbe un po’ del suo significato.”

Levi venne scaricato al termine della frase. Erwin era sparito fra la folla con il fratellastro e un paio di amici di vecchia data, lasciandolo con i giovincelli. Visto che non aveva avuto diritto di scelta, Levi si accodò a questi giusto per non tornare a casa a leggere. Ebbe modo di capire perché a pranzo avevano avuto solo dei dolci; non fecero altro che mangiare, tutto il pomeriggio. Piatti tipici della zona, di altre zone, addirittura di distretti opposti a Stohess. Mangiarono così tanto che Levi iniziò a sentirsi nauseato.

Poi venne il momento in cui iniziarono a perdersi. Il primo a sparire fu Rielke che, adocchiata una bella ragazza, non si era fatto scrupoli a seguirla senza quasi avvisare. Poi la folla aveva inghiottito anche Fritz e Leopold e lui e Nina si erano ritrovati a girare per la città fino al punto in cui Levi aveva iniziato a non farcela più. Ormai il cielo era parecchio buio e a illuminare tutto c’erano le luci artificiali dei lampioni a olio, quando lui iniziò ad arrendersi. Troppe persone tutte insieme, la confusione e un altro insieme di fattori l’avevano fatto chiudere in un mutismo un po’ teso, mentre Nina continuava a spiegargli di tradizioni e a snocciolare nomi strani di luoghi e pietanze che un sorcio del ghetto come lui non s’era mai nemmeno immaginato.

“Sei stanco?” gli chiese, accostandosi per farsi sentire sul brusio della folla. Non attese nemmeno la risposta, gli prese il polso e andò verso una bancarella, pagando in fretta un sacchettino bianco sigillato “Ho avuto un idea” gli disse nell’orecchio, facendogli poi segno di seguirla.

Con sollievo, Levi notò che stavano tornando verso casa.

Una volta lì, però, Nina sembrava intenzionata a far qualcosa.

“Saliamo sul tetto” gli disse, mentre con l’occhio libero spiava le lancette della pendola “Intanto non troveremo mai gli altri in tempo per mezzanotte, manca poco meno di mezzora.”

“Sul tetto?”

“Capirai quando sarà mezzanotte il perché.”

Levi non fece altre domande, decidendo di assecondarla ancora una volta. Si impresse nelle mente che mancava poco a mezzanotte e che quindi poi sarebbe potuto andare a dormire, lasciando perdere tutti quei deliri. Non c’erano feste nel ghetto, non così tanto chiassose. Cosa avrebbero dovuto festeggiare, dopotutto? A mala pena sapevano che giorno dell’anno era e nemmeno per i matrimoni c’era più di un suonatore e qualche ospite sbronzo.

Il tetto era stranamente asciutto, complice il fatto che la leggera nevicata del pomeriggio era poi stata sostituita da un bel sole. Attenta a non scivolare a causa delle scarpe di vernice, Nina si tirò su dal lucernaio della sua stanza, andando a sedersi su una trave di raccordo fra le tegole. Levi la raggiunse e lei, stringendosi addosso il mantello, attese che lui si fu seduto per guardarlo “Devi ordiarci parecchio” iniziò, aprendo il sacchettino e iniziando ad appoggiare accanto a sé alcuni oggetti che Levi non poteva vedere. “Tutta questa confusione, per qualcuno di tranquillo come te, deve essere un incubo.”

“Non è poi così male” replicò spicciolo Levi, guardandola mentre apriva quello che sembrava un grosso rettangolo di carta bianco “Cosa diavolo è quello?”

“Una lanterna” rispose lei, sfilandosi una matita dal concio che aveva sul capo. In una cascata dorata, i capelli tenuti insieme da tante treccioline e nastrini colorati ricaddero sulla schiena e sul viso. Nina prese un foglietto, iniziando a scribacchiare qualcosa. Quando Levi si sporse per leggere, lei si ritrasse.

“Non leggere” gli disse, battendogli piano la matita sul naso e facendolo così allontanare “Questo è il mio desiderio.”

“Desiderio?”

“Sì, devi scriverne uno e attaccarlo alla lanterna. Se sei fortunato e la lanterna arriva oltre le mura, si esaudisce.”

“Che stronzata.”

Lei non rispose, finendo di scrivere prima di chiudere in quattro il foglietto “Quindi tu non vuoi scriverne uno?” lui la guardò semplicemente e lei capì. Per quieto vivere, Nina riprese a montare la lanterna. Nonostante sembrasse tutto normale, fu proprio da quel suo modo di lasciar perdere che Levi capì che le cose fra loro erano ben lontane dall’essersi sistemate. Conoscendola, la ragazza avrebbe insistito fino allo sfinimento per farglielo fare. Il fatto che avesse ceduto facilmente era un chiaro sintomo che era ancora arrabbiata per tutte quelle cose non dette e quelle infantili provocazioni lanciate del moro.

Levi decise di mettere un freno a quella situazione ridicola “A Briemer fa molto più freddo che qui” iniziò dal niente, attirando l’attenzione della ragazza che stava annusando una piccola candela bianca “Se l’avessi saputo, non sarei andato a cercare la donna che mi ha cresciuto. Mi sono gelate le palle lungo la strada del ritorno, in quel cesso di paesello chiamato Gershinka.”

Ora lei pendeva dalle sue labbra, quasi incredula per quella rivelazione spontanea “La donna che ti ha cresciuto?”

Lui annuì “Gretha” le disse, appoggiando le braccia sulle ginocchia e alzando il viso verso il cielo “Vive lì insieme al figlio bastardo dell’uomo che mi ha salvato la vita quando ero bambino. Prima che me lo chiedi, no. Non ho idea di chi cazzo sia, so solo che si chiama Kenny. È lui che cerco da quando sono venuto in superficie” fece una piccola pausa, prima di tornare a guardarla inclinando il capo “Speravo che Gretha sapesse darmi un’indicazione che valesse di più di qualche leggenda metropolitana, ma Kenny sembra essere sparito nel nulla e forse è meglio così. Tutto quello che so di lui è che è un grande stronzo e che viene da fuori del ghetto.”

Senza quasi accorgersene, Nina si appoggiò con la spalla a quella del moro, abbassando gli occhi sulla strada sotto di sé e verso la piazza gremita poco distante. Mancava poco, tante luci iniziavano ad accendersi, così anche lei posizionò la candela nella lanterna di carta “Tua madre?”

Lui abbassò un attimo gli occhi, prima di rispondere “È morta quando ero piccolo. Sono rimasto solo e questo tizio inquietante e fuori di testa mi ha sfamato e insegnato a usare un coltello.”  

“E ora lo vuoi ritrovare…. Cosa gli chiederai quando l’avrai trovato?”

“Tu non vorresti chiedere alla persona che ti ha salvato e insegnato a sopravvivere perché lo ha fatto? Per quello che ne so lui potrebbe anche essere…

“Tuo padre?” domandò lei senza nessuna inflessione particolare nella voce, mentre ponderava il fatto che forse a Briemer, Levi poteva avere un fratello. Lui si limitò a annuire brevemente, guardandola sfilarsi il bendaggio sull’occhio. Era rimasta solo una piccola crosta al limitare delle sopracciglia bionde, e un discreto livido attorno, ma nel complesso stava bene e voleva guardarlo come si doveva “Le Mura non sono poi così grandi” gli disse con un sorriso “Lo troveremo.”

Si scambiarono un’occhiata e lui parve quasi riconoscente.

Mentre si guardavano,  di fronte a loro sul profilo della città, qualche lanterna iniziava a librarsi in volo, seguita da tante altre “Mezzanotte!” strillò la giovane, prendendo un fiammifero dalla scatolina che teneva nella tasca interna al mantello, mentre passava a Levi la lanterna affinché la reggesse. Attenta a non bruciare la carta, Nina accese la candela, appoggiando sotto di essa il suo fogliettino. “Lasciala andare” disse quindi all’uomo che, dopo una lieve esitazione, lo fece rimanendo sorpreso nel vederla sollevarsi lentamente. Seguirono la rotta di quella lanterna fino a vederla congiungersi con centinaia di altre simili, fino a creare un fiume di luci che iniziarono a danzare, trasportate dal vento, illuminando la notte e accendendola di rosso “I Fuochi di Stohess” sussurrò Nina con tono quasi sognante “Li vedo ogni anno, ma non smettono mai di essere bellissimi.”

“Fanno concorrenza alle stelle” aggiunse Levi, per una volta, genuinamente stupito. “Ne è valsa la pena.”

“La nostra vita è così breve, che vedere questi spettacoli mi fa sentire meglio” sussurrò lei, prima di voltare il capo per guardarlo. Sorprendentemente, quello di Levi era già rivolto verso di lei “Grazie per avermi parlato di te, prima. Vorrei sapere tutto sulla tua vita.”

“Non c’è molto da dire, su di me.”

“Ne sei proprio convinto?”

Di nuovo, così come quella mattina alla partenza di Levi e Fritz, l’aria si accese, improvvisamente elettrica. La vicinanza, forse mescolata al coraggio infuso dalla birra e dall’ambiente famigliare, fecero balenare nella mente di Nina un’idea peregrina.

L’aver sprecato un’occasione un po’ le era pesato, a posteriori, seduta sul letto della mansarda vuoto. Sentiva dentro al suo cuore che se si fosse lasciata sfuggire anche quella possibilità, allora sarebbe stato come chiudere una porta che difficilmente sarebbe riuscita a riaprire. Levi non sembrava intenzionato a far nulla, le guardava il viso, gli occhi, le labbra, le mani che stringevano al petto le ginocchia, ma non faceva nulla se non pensare forse a quelle stesse considerazioni.

Nina, che s’era sempre sentita coraggiosa, ora improvvisamente timorosa come una bambina, fece la sua mossa.

Allungò piano la mano, passando le dita lunghe e belle sullo zigomo del moro, fino ad accarezzargli la guancia col palmo, cancellando qualche traccia residua di pigmento dal suo volto. Alla fine, ipnotizzata da quello sguardo quasi metallico, ma non freddo nonostante le iridi di ghiaccio, si sporse verso di lui, lasciando scontrare le loro labbra.

È fatta.

Il punto di non ritorno.

Sospirò contro la pelle dell’altro che, inaspettatamente, fece scivolare il braccio dietro alle sue spalle, facendola sbilanciare ancora di più verso il suo corpo.

Fu solo quando il bacio prese vita in un accarezzarsi di labbra e lingue, che Nina realizzò che era come se entrambi non stessero aspettando altro. La mano che s’era abbassata tornò ad alzarsi sulla nuca del moro, accarezzandone i capelli rasi fino a quelli più lunghi e sottili, che strinse senza forza. Quella libera di Levi, invece, andò ad appoggiarsi sul suo ginocchio, scivolando poi sotto alla mantella verde fino al fianco della ragazza, dove trovò il suo appoggio.

Il bacio accrebbe di intensità, per poi tornare a stabilizzarsi in un sensuale movimento reciproco di bocche. Quando si staccarono, perché Nina aveva bisogno di prendere aria, si guardarono semplicemente negli occhi.

Lei sospirò, sentendo le labbra pulsare dalla voglia di ritrovare quelle dell’altro “Levi io-”

“Taci.” Lapidario, fu il moro a cercare il contatto, tirandola di nuovo a sé col braccio attorno alle sue spalle.

Decisamente, è fatta.

Nina non represse un moto di pura euforia, lanciando entrambe le braccia attorno al collo del moro. Stava già pensando di proporre a Levi di spostarsi nella stanza di Rielke, ben conscia che nessuno dei due era alle prime esperienze e che quindi avrebbe avuto delle remore a concludere la giornata di festeggiamenti col botto. Stava solo pensando a come mettere giù la frase senza far capire che non aspettava altro se non darsi completamente a lui, quando una grossa mano le batté sulla spalla, facendola sussultare.

Si staccò di colpo, conscia che avrebbe urlato se le sue labbra non si fossero trovate così occupate.

“Cazzo!” Levi invece non si trattenne, colto di sorpresa per la prima volta da quando si conoscevano, a causa della gemella di quella mano  che s’era abbattuta anche sulla sua schiena. Quando entrambi alzarono il capo sul volto sorridente di Erwin che li sovrastava, s’ammutolirono. Levi fu bravo a mascherare  il palese imbarazzo con la solita stizza apatica “Arrivare alle spalle in questo modo è pericoloso. Sei fortunato che io non abbia un coltello con me.”

Nina, invece, non replicò, scivolò solo di lato quando il fratello mostrò la sua intenzione di sedere fra i due e prese il bicchierino fra le mani quando Erwin glielo porse. Uno a uno, i tre bicchieri vennero riempiti da un liquore che odorava di limoni “Vi cercavo per augurarvi buon anno” fu la risposta candida del Capitano, mentre riponeva la bottiglia “Se avessi saputo a che portata si erano estesi i festeggiamenti su questo tetto, non sarei venuto.”

“Erwin, ti supplico” Nina portò una mano al volto, lasciando ai capelli il compito di nascondere il rossore delle gote. Stava andando a fuoco.

Il biondone fece loro la grazia, poiché si limitò a sorridere rivolto verso il cielo, reprimendo il desiderio impellente di dire altro. Poi alzò il bicchiere verso le stelle, come a voler brindare con esse “Quest’anno sarà diverso, lo sento” iniziò, attirando l’attenzione degli altri due che stavano guardando ovunque se non lui o l’altro “Avremo una svolta” proseguì “Questo sarà l’anno in cui la ricognitiva avrà il posto che le spetta.”

Anche Nina alzò il bicchiere, imitata poco dopo da Levi “Alla Legione. Che durante questo 845 non provino a sopprimere il corpo. Di nuovo” disse la giovane, battendo piano il bicchiere verso quello degli altri due, per poi buttar giù il liquido forte.

Non potevano sapere a che tipo di svolta stavano andando incontro, ma ciò non gli impedì di passare il resto della notte a sognare un mondo in cui il loro lavoro avrebbe dato così tanti frutti, da non aver più bisogno di una Legione esplorativa.

Ne di quattro Mura a chiudere gli orizzonti.

 

L’alba stava tingendo di rosa e arancio il cielo e Fritz si apprestava a partire.

La bella nottata che si era figurato con Nina, a ballare e ridere insieme non si era potuta realizzare, contando che aveva recuperato la compagnia della giovane solo una volta tornato a casa con gli altri. Leopold e Rielke l’avevano salutato alla meno peggio, prima di ritirarsi a dormire mezzi ubriachi e stanchi morti. Il rosso, che si era rifiutato di tornare a cavallo con lui e Engel quella stessa mattina, gli aveva battuto incoraggiante una mano sulla sua spalla.

“Io la licenza me la sono tenuta” aveva detto con impertinenza tipica di lui “Se tu non sai far piani, è affar tuo! Buon ritorno a Nedlay!”

La prospettiva del nord non lo animava, ma almeno sarebbe passato da casa a dormire prima di avviarsi il giorno successivo.

Engel era già seduto sul cavallo, occhi chiusi e mento appoggiato al petto, nascosto dalla pensante mantella.

Gli parve addormentato.

“Siete sicuri di voler andar via così?”

Fritz si voltò verso Nina, che con gli occhi appesantiti dalla stanchezza non si era comunque tirata indietro e aveva deciso di salutarlo per bene. Sistemò l’ultima cinghia della sella, prima di fronteggiarla, appoggiandole le mani sulle guance “Non ho il tempo per dormire, ora” le fece sapere, prima di sospirare grave “Ci rivedremo alla fine della primavera, temo.”

“Pregherò mio fratello per farti assegnare a Trost, in qualche modo” Nina lo abbracciò per i fianchi, appoggiando l’orecchio sul petto del ragazzo e godendosi i battiti del suo cuore, un poco accelerati dalla sua vicinanza “Un giorno lavoreremo gomito a gomito, io e te.”

“Sono anni che me lo auguro.”

Si abbracciarono il più a lungo possibile e poi Meier, costretto, si staccò per guardarla. Come ogni volta, si chinò su di lei per baciarla, ma lei glielo impedì, tirandolo a sé e appoggiando le labbra sulla sua fronte.

Qualcosa era cambiato irrimediabilmente.

“Fa attenzione lassù, va bene? E scrivimi ogni settimana.”

Un po’ deluso dal bacio mancato, ma con un sorriso dolce sulle labbra sottili, il dottore la lasciò andare “Come sempre.” Salì sul cavallo con un saltello fiacco, sistemandosi la mantella mentre Nina si stringeva addosso una coperta di lana  bianca intrecciata “Riguardati, Nina.”

Lei alzò una mano, in segno di saluto “Anche tu. Sappi che sei sempre nei miei pensieri.”

“Nina, io ti-”

“Allora andiamo?” Engel, che pareva essersi destato all’improvviso, si rese conto di aver interrotto qualcosa, ma non ne poteva più “Voglio andare a dormire e siamo a due ore e mezzo dalla Capitale.”

“Andiamo, andiamo!” sbuffò Meier, prima di guardare di nuovo la donna di cui era tanto preso “Ci vediamo tra qualche mese!”

I due cavalli si avviarono sul ciottolato e Nina non attese di vederli sparire oltre la via per rientrare, così stanca da riuscire a mala pena ad infilarsi nel letto di Rielke, accanto a Levi, prima di addormentarsi contro il suo petto, senza esitazione alcuna.

 

Se avesse saputo che quella sarebbe stata l’ultima volta il suo sguardo si sarebbe posato sul sorriso dolce di Fritz, allora non l’avrebbe lasciato partire.

 

 

 

Nda.

 

So che sono sempre più in ritardo, ma tra l’esame finale della mia carriera da triennale e la tesi ho sempre meno tempo e riempio i buchi notturni con la scrittura.

Questo capitolo trasuda tutto il mio percorso di studi in Antropologia: feste,  che richiamano i nomi delle festività pagane, usi e costumi strani e addirittura abitudini alimentari!

Mi sono proprio divertita.

 

Spero piacerà anche a voi, grazie a chi legge e in particolare a chi mi recensirà.

Grazie alla dolce pulzella che ha lasciato un commentino all’ultimo capitolo e a chi segue e basta.

 

Alla prossima!

C.L.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Chemical Lady