Wenn die Sterne leuchten.
Capitolo Decimo.
Where
the lost are the heroes
And the thieves are left to drown
But everyone knows by now
Fairy
tales are not found
They're
written in the walls
https://www.youtube.com/watch?v=O1asGKxmS34
Anno 846
Distretto di Stohess.
A svegliarlo fu, almeno inizialmente,
la sensazione fastidiosa delle lenzuola a contatto con la schiena sudata, seguita
poi da una voce che, ai piedi delle scale stava chiamando con una certa
insistenza Friedhelm.
Seppur con riluttanza, il
giovane ragazzo si mise seduto, passandosi una mano fra i capelli umidi, prima
di allungare un occhio per la stanza avvolta dalla penombra degli scuri ancora
chiusi. Rielke, alla sua destra, dormiva
profondamente col il viso rivolto al muro e nascosto da una mano. Era un bene,
visto che da quando Erwin era arrivato cinque giorni prima a Stohess, l’amico non aveva fatto altro se non piangere o chiudersi
in un mutismo che non lo rappresentava affatto.
Il solo pensarci gli chiuse
lo stomaco che, fino a un secondo prima, reclamava cibo. Non si sarebbe mai
abituato a perdere le persone che amava, non aveva quindi l’autorità di
chiedere a Rielke di farlo al posto suo. Non poteva
accettarlo, non così, vedendo partire un amico con addosso quella mantella
verde piena di significati futili e belle speranze verso un luogo in cui lui
non poteva andare.
Buon senso o codardia, non
aveva importanza. Lui era vivo e doveva rimanere tale per seppellirli tutti? Quale
ingiustizia. Perché così si sentiva, destinato a vivere una vita all’insegna
dei lutti; prima o poi il suo cuore sarebbe diventato di pietra, abituandosi.
Si alzò perché ormai non
avrebbe più ripreso sonno, prendendo una camicia nera pulita dalla sua sacca, insieme
ad un paio di pantaloni del medesimo colore. A Stohess
era tradizione portare avanti il lutto per soli sette giorni, nel quale la
famiglia del deceduto si impegnava a vestire di colori scuri e a intonare
lamenti al crepuscolo, non andando a lavorare né prestando servizio militare.
Ancora due giorni e poi sarebbero stati tutti costretti ad andare avanti,
riprendere le loro vite e soprattutto accettare quel che era successo.
“Se la morte di un legionario
fermasse il mondo, allora esso sarebbe finito da cent’anni”, questa era stata
la frase che aveva sentito da un vicino di casa alla fine della commemorazione
alla memoria di Nina. Più di uno di loro si era ritrovato a pensare a quanto
poco rispettoso sarebbe stato spaccare la faccia di un vecchio proprio durante
la Settimana dei Lamenti, ma Fried aveva risolto in fretta la questione sbattendolo
fuori dalla corte interna della casa.
“Buongiorno, Leo.”
Fu proprio lui che si ritrovò
di fronte una volta messo il naso fuori dalla camera di Rielke.
Il biondo statuario le stava salendo, anche lui vestito con un paio di
pantaloni scuri e una camicia di un blu così cupo da sembrare nera stinta. Il
rosso rispose al saluto, coprendosi la bocca con la mano, mentre si esibiva in
un rumoroso sbadiglio “Siamo i soli svegli?”
Fried gli si fermò di fronte, scuotendo piano il capo “Alma
sta cucinando delle uova e io sto andando a svegliare Marika e i bambini. Sarò
anche in licenza e il forno ora è chiuso, ma dormire fino all’ora di pranzo non
è salutare. Rielke?”
“Lascialo stare” Leopold
iniziò a scendere le scale, con le mani ben piantate nelle tasche dei calzoni
“Meglio vederlo dormire che piangere.” Non credeva che l’amico si sarebbe mai
ripreso dalla morte della cugina. L’aveva visto disperato alla commemorazione
per Fritz, ma a quella di Nina non si reggeva in piedi da solo. Di tutti loro,
era certamente quello che l’aveva presa peggio, perché sembrava che
ingenuamente non se lo aspettasse. Lui e il signor Müller
erano diventati come due spettri, intenti ad aleggiare per la casa nella
negazione più assoluta.
Passando di fronte al
salotto, Leo vide con la coda dell’occhio la padrona di casa che stava
lavorando a maglia nonostante fosse ancora abbastanza presto. Ne osservò il
profilo senza però fermarsi sull’uscio, provando un moto di fastidio. Adelaide
non pareva per niente toccata dalla perdita della figlia. A stento sembrava
essersene accorta nel momento in cui Erwin era arrivato, appoggiando la giacca
sporca di sangue della ragazza sulle braccia di Wilhelm Müller,
riuscendo chissà come a snocciolare le classiche parole di compianto, seppur
con un tono diverso. Non aveva reagito, quella donna di ghiaccio, limitandosi a
guardare il marito piangere come un bambino fra le braccia dei figli maggiori,
non facendo nulla per consolarlo o cercar consolazione a sua volta.
Leopold non era ancora
arrivato, ma c’era chi non si era risparmiato di raccontargli che scena
patetica era seguita. Adelaide aveva osservato il marito inchiodare
quell’indumento grottesco sul camino, sostenendo che avrebbe turbato gli
ospiti. Come se invece la mantella di Flagon Turret, li accanto, non potesse essere altrettanto
grottesca, così come il vaso contenenti le ceneri di Ewald.
Con l’arrivo di Mieke, giunta a Stohess un paio
di ore dopo il rosso, erano esposi i fuochi artificiali; la più piccola della
famiglia aveva litigato con la madre e da allora non le parlava. L’intera
famiglia aveva un po’ isolato Adelaide, seppur Leo credesse che c’era chi non
l’avesse fatto di proposito. Nessuno, eccetto Alma, che quella che chiamava donna orribile non l’aveva mai potuta
soffrire, da quando aveva messo piede per la prima volta in casa. Allora Alma
aveva sedici anni ed era abituata ad accudire il padre e Fried
da sola. Si era vista portata via la direzione della casa. Se prima non tirava
una buona aria, poiché la pace era sorretta dalla fragile scusa che quella
donna aveva messo al mondo un paio di creature, a seguito di quel pesante lutto
era difficile camminare per casa schivando occhiatacce e frecciatine.
Persino quando mise piede in
cucina, Leo rischiò di prendere una padella in faccia.
“Scusami” aveva prontamente
detto Alma, abbassando le braccia “Stavo per urlare alla megera di venire a
mangiare, ma infondo preferisco che le abbia tu, le uova. Almeno la tua vita ha
senso” senza replicare, il rosso si sedette al tavolo, prendendo di buon grado
il piatto pieno di uova saltate con quella che sembrava erba cipollina e un
bicchiere di acqua fresca dal pozzo “Hector è morto” proseguì Alma, parando via
dal volto i capelli che erano sfuggiti al concio malmesso sul capo “Flagon è morto. Ewald è morto. Nina
è morta. Eppure lei, quella stronza che a stento posso definire una persona,
ancora infesta questo mondo con la sua sciagurata presenza. Questa….
Questa è ingiustizia.”
“Alma…”
il fratello entrò in quel disastro che poteva definirsi in qualche modo cucina,
andando verso la maggiore e appoggiandole entrambe le mani sulle spalle mentre
Leo mangiava, grato all’uomo di averlo salvato dal dover dire qualcosa di
consolante. Non era proprio in grado, in quel momento, di esternare un
sentimento che non fosse l’amarezza o la tristezza. “Non vale la pena di
rovinarsi la salute per lei. Smettila e mangia con noi, avanti.”
“Non è giusto Fried.” Avvolgendo le braccia attorno al busto del fratello,
Alma si strinse a lui.
Leopold si ritrovò a pensare
a quanto straziante fosse quella situazione, sentendo come se non avesse il
diritto di lamentarsi e stare male se confrontato a loro. Abbassò gli occhi sul
piatto, portando le mani al capo.
“Amico, muoviti o si
freddano” Fried gli battè
una mano sulla spalla così forte da spingerlo contro al tavolo, mentre si
sedeva accanto a lui.
“Questo è troppo” Leo rialzò
il viso, prendendo riprendendo respiro mentre sentiva il sangue gelarsi nelle
vene “Non lo sopporto.”
“Senti la mancanza di Jara?” Alma si asciugò una lacrima al lato dell’occhio,
allungando al fratello un piatto e un bicchiere pulito proprio mentre Fried si stava avvicinando la brocca “Le ho chiesto di
rimanere, ma capisco il motivo per cui è partita subito dopo la cerimonia.”
“Odia i lutti, ancora non ha
superato quello del fratello” fu il commento del maggiore, che si strusciò
l’occhio marrone, spiando con l’azzurro prima il ragazzo accanto a lui e poi la
sorella “Se continuiamo a questo ritmo, a seppellirne uno ad anno, non andrà
molto avanti la famiglia.”
Leopold sorrise, seppur
pallidamente, quando l’uomo contò Fritz come parte di quella famiglia. Forse
anche per lui c’era posto, dopo tutto quel tempo “Serve del tempo a tutti” si
permise di aggiungere, trovando un appoggio in Fried
mentre Alma si esibiva in un’espressione alquanto scettica sul volto privo di
colore. Fu l’arrivo dei figli della donna, Anneke e Heiner, a far cessare ogni discussione. I bambini, di sei e
otto anni, si sedettero al tavolo, pretendendo di avere il latte con i biscotti
secchi.
“Dopo aver mangiato,
prendiamo Weike e andiamo al mercato, va bene?” disse
Fried, spettinando la zazzera bionda del nipotino,
che lo guardo con un occhio azzurro e uno giallo da gatto, proprio come quello
del defunto padre.
“Io voglio le caramelle al
miele” snocciolò Anneke, mentre Leopold si sforzava
di finire le uova che non volevano saperne di andar giù “ Sono giorni che la
mamma promette che le compra, ma ancora non le ho avute.”
“Non fino alla fine del
lutto.” Fu il puntualizzare di Alma che mise un freno alle richieste. La piccola
prese la treccia che le pendeva sulla spalla fra le mani, tirandola piano, come
a soffocare un capriccio, forse consapevole di cosa fosse successo oltre le
mura alla giovane zia.
Leo non si permise di dire
nulla, perché non era padre.
Però sapeva che Fried, quelle caramelle, le avrebbe comprate e avrebbe
fatto sì che i bambini le finissero prima del ritorno a casa.
Perché era giusto, almeno per
loro, non essere così tristi.
Stavano piangendo a
sufficienza gli adulti, anche per i bambini.
Seduto sul patio con un
bicchierino di liquore di anice in mano, Erwin sembrava aspettare qualcosa.
Alzò lo sguardo oltre la corte
della palazzina, verso il cielo, dove grazie alle lunghe giornate estive,
nonostante fossero passate le nove di sera, l’aeree era dipinto di rosato e
rosso e rendeva ancora possibile vedere senza dover accendere le lampade ad olio.
Era uscito per permettere
alle donne di casa di sistemare dopo la cena, cacciato come sempre da tutte
loro nel momento in cui s’era alzato con un piatto in mano per aiutare. Iniziava
a credere che ciò che il signor Müller, ovvero che
ogni donna è la signora della propria cucina, fosse vero. Abituato com’era alla
vita in caserma, gli dispiaceva starsene così in panciolle. Era un Comandante
che non aveva paura di sporcarsi le mani di olio e sugo, dopotutto.
A fargli compagnia ci pensò Friedhelm, che andò a prendere posto sulla sedia di legno
accanto alla sua, tenendo in mano anche lui un bicchierino, ma avendo anche l’indecenza
di portarsi dietro l’intera bottiglia. La appoggiò fra loro, allungando le
gambe per incrociare le caviglie davanti a sé. Alzò il bicchiere, guardando
verso Erwin, che avvicinò il suo facendo tintinnare piano il vetro.
“A Nina?”
“A Nina.”
Buttarono giù tutto il
contenuto e, prima ancora di pensarci, Müller stava
riempiendo nuovamente. Dalla porta lasciata socchiusa potevano sentire le
stoviglie ticchettare, le donne di casa parlare, ad eccezione di Adelaide che
come ogni sera s’era ritira nella sua stanza a pregare le dee Maria, Rose e Sina. Di cosa, era un bel mistero.
I bambini giocavano nella
corte, tutti insieme in un angolo del cortile, poco lontano dalla stalla, ad
eccezione di Henke che dormiva placidamente nella
culla accanto al caminetto spento, nel salotto, troppo piccolo per partecipare
con i cugini e il fratello maggiore. Fried puntò gli
occhi proprio sui tre, passandosi poi la mano sul mento per grattarlo. Suo figlio
Weike stava brandendo un bastoncino come una spada e
la cosa lo preoccupava un po’; nonostante avesse solo quattro anni, avrebbe
potuto sviluppare anche lui quel senso di dovere che seppur non rimproverava a
Erwin così come non aveva rimproverato a Ewald e a
Nina, sarebbe diventato un bel peso sul cuore di un padre.
“Sai, stavo pensando al
giorno in cui Nina si è arruolata” Erwin interruppe quel suo ciclo di pensieri
catastrofisti, accostando il gomito alla sedia per potersi appoggiare col capo
al polso “Te lo ricordi?”
Fried ridacchiò sotto ai baffi, girandosi col busto per
guardarlo “Tua madre era così incazzata…” iniziò con
una certa soddisfazione “Nina le aveva giurato sulle Mura che avrebbe scelto la
Gendarmeria se fosse rientrata fra i primi dieci. Come se poi gliene fosse mai importato
qualcosa del Credo. Infatti, non solo si è sforzata tanto per arrivare terza, ma
ha comunque deciso di entrare in Legione. Pensavo che l’avrebbe uccisa con le
sue stesse mani quando è tornata a casa alla prima licenza.”
Erano volati piatti quel
giorno e anche improperi degni di un’osteria del ghetto. Erano volati insulti e
previsioni catastrofiche, ma Nina non aveva dato nemmeno un minimo cenno di preoccupazione.
Come avrebbe potuto, dopotutto? Era dove era sempre voluta essere.
La porta alle loro spalle si
aprì e eleganti nelle loro divise d’ordinanza, un gendarme e uno stazionario
uscirono nel cortile. Rielke era pallido come un
morto, tanto che le lentiggini risaltavano ancora di più sotto agli occhi
acquosi. Leopold invece sembrava solo stanco, come se avesse corso tutto il
perimetro delle mura Sina in un giorno “Sono riuscito
a farlo vestire decentemente” disse però con un certo orgoglio, facendo
sorridere pallidamente l’amico, “Andiamo a bere qualcosa. Vi unite?”
“No grazie, sono decisamente troppo
grande per le osterie di lunedì” Fried guardò il
cugino un po’ sollevato, allungando anche il piede per tirargli un calcetto
giocoso che questi evitò con un saltello “Noi vecchiacci beviamo del liquore e
poi andiamo a dormire con le galline.”
“Attenti a non vivere una
vita troppo eccitante” li riprese di nuovo Schitz,
prima di avviarsi per primo con Rielke alle calcagne.
Il Capitano Müller sospirò pesante “Spero che gli concedano di andare
in Capitale con Leo per un po’, altrimenti tra un po’ seppelliamo anche Rielke.” Erwin non si sentì di dire nulla in proposito. Prese
un altro sorso dal bicchiere ancora pieno di quella sostanza trasparente,
sentendola bruciare mentre scendeva lungo la gola “Guardaci, comunque. Senza una
divisa addosso cosa siamo? Una famiglia di militari, ecco cosa siamo. Era molto
meglio cinquant’anni fa, quando se nascevi Müller nascevi
con addosso ricamate le Rose della Guarnigione. Poi cosa è successo? Abbiamo iniziato
a perderci. Gritte non s’è nemmeno arruolata, mentre
Thomas è entrato insieme a suo fratello in Guarnigione. Sono i soli però. Loro fratello
maggiore Ewald è morto oltre le mura che tu eri una
recluta, causando un dolore tale nel cuore della zia che è sbiancata di
capelli. Io sono un gendarme e Mieke…. Chi prendiamo
in giro? Nina è morta e Mieke vorrà il suo lascito.” Fece
una pausa, Friedhelm, stringendo il pugno della mano
libera. Si rilassò quando Weike si avvicinò,
porgendogli una foglia di castagno, che lui prese prima di tirarsi il bambino
sulle ginocchia. Poi fece una domanda che l’altro non si sarebbe mai aspettato “Quanti
ne avete persi da gennaio?”
Erwin prese un sorso generoso
prima di rispondere. Non aveva bisogno di chiedere a cosa si riferisse. “Settanta
due, ma solo cinquanta sei per colpa dei giganti” fece una pausa, mentre il
fratellastro sistemava sulla gamba il figlio, che aveva preso a giocare con il
bordo dello stivale “Dieci sono morti per incidenti vari, dalle esercitazioni,
all’addestramento, fino a tragedie durante le spedizioni.”
“Tipo cadute da cavallo?”
“Anche.” Fried
lo guardò come per dire che trovava quelle morti stupide, ma il loro peso non
annullava comunque il fatto che erano avvenute.
“Le altre?”
“Quattro persone sono morte
per complicanze dovute a vaccini o trattamenti medici, poi ci sono stati due
suicidi.” Fece una pausa, il comandante dell’esplorativa, prima di parlare nuovamente
“Con la squadra di Sankov, di cui non abbiamo trovato
un solo superstite, siamo saliti a ottantuno. Nove morti tutti insieme, è un
bel numero anche per noi, per una singola azione sul campo. Nina era fra loro.”
“Sai che non è colpa tua,
vero?” di nuovo, Erwin non gli rispose. Fried scosse
piano il capo, accarezzando la nuca del bambino “Lei non avrebbe mai lasciato. Aveva
scelto molto prima di prendere le Ali al posto delle Rose.”
Smith si lasciò sfuggire un
sospiro “Non avrebbe mai lasciato la Legione.”
“No. Non avrebbe mai lasciato
te.”
Calò un silenzio strano,
improvvisamente teso. Entrambi erano consci del fatto che le parole del
Capitano non erano vane. Nina aveva preteso di studiare medicina e ci era
riuscita solo perché Erwin aveva convinto Adelaide a lasciarla andare dai
Meier. E perché Nina aveva scelto di diventare un medico? Perché voleva potere
esserci quando e se suo fratello, il suo eroe, avesse avuto bisogno di lei. Voleva
essere fondamentale nella causa, voleva avere un ruolo importante e lo voleva perché
Erwin non pensasse mai che sarebbe potuta rivelarsi inutile. Si era allenata
con Levi notte e giorno, persino lì a Stohess nelle
licenze, per diventare forte abbastanza da non essere un peso per lui e alla
fine era morta nell’osservanza degli ordini da lui sempre impartiti.
Per questo Erwin si sentiva
in colpa. Perché inconsciamente era stato il motore che aveva portato a quegli
eventi.
“Credi che se io non-”
“Levi non è venuto alla
cerimonia. Non me lo aspettavo di lui, sembrava sinceramente preso da nostra
sorella.”
Nel voler evitare qualsiasi
discorso ricolmo di dubbi, Fried aveva comunque fatto
un danno. Parlare di Levi non era molto saggio, soprattutto perché la sua
assenza s’era sentita più di quanto avrebbe potuto immaginare chiunque, in
quella casa. Leopold era stato il primo a notarlo, con una punta di amarezza
assai poco velata, il giorno in cui avevano alzato i tendaggi neri nella corte
e avevano invitato amici e vicini al loro cordoglio.
Erwin prese le sue difese, come
aveva fatto ogni qualvolta qualcuno chiedeva “Levi non ha accettato ciò che è
successo” disse di fatto il Comandante, tirando diritta la schiena sulla sedia,
mentre anche il secondo bicchiere si
ritrovò svuotato. Allungò la mano alla ricerca della bottiglia, che poi alzò
per rimboccare al goccio l’oggetto che pareva ormai un’ancora “Insiste nel
negarlo e quindi non ha ritenuto necessaria la sua partecipazione.”
“Capisco. Deve essere dura
per lui, tanto forte da sembrare il protagonista di una leggenda, ma incapace
di proteggere coloro che ama.”
“Non essere così duro, Fried.” Il signor Müller uscì
nella corte, riprendendo il figlio seppur debolmente. Erwin gli cedette subito
la sedia, facendolo ridacchiare “Rimani, figliolo” gli disse, nonostante questi
fosse già in piedi “Rimani seduto. Sei fin troppo gentile al contrario di
questa carogna.”
“Ho in braccio il bambino” fece
notare Fried al suo vecchio, che prese posto nella
sedia ora libera, tenendosi la gamba “Parlavamo di Levi” gli fece infine
sapere, mentre Erwin si appoggiava con la schiena al legno della colonna del
patio, che sorreggeva la tettoia sopra di loro “Tu cosa ne pensi?”
“Che ognuno vive il lutto
come lo preferisce” fu la risposta saggia dell’uomo, che incrociò le mani sulla
pancia sporgente. Prese quindi un respiro profondo, puntando gli occhi verso le
stelle, sempre le stelle, che
iniziavano a puntellare di luci il cielo sempre più buio “Che sia qui o a Trost, l’importante è ricordarsi di lei. Spero solo di
rivederlo, prima o poi. Mi sta simpatico quel ragazzo.”
“Fra tre giorni sarebbe stato
il suo compleanno. Di Nina, intendo.” Wieke pretese
di essere rimesso a terra, seppur non consapevole di quei discorsi fra adulti,
e i tre uomini lo guardarono tornare verso i cugini che s’erano seduti per
terra e parlottavano sottovoce “Solo io mi aspettavo che lei aspettasse di
compiere vent’anni prima di sposare Levi e iniziare a sfornare mocciosi?”
Quella frase, che mise
addosso a Erwin una melanconia pesante, fece ridere di cuore Wilhelm, i cui
occhi però si velarono appena di lacrime “Ah, l’avrebbe anche fatto, la mia
Nina. Ce li saremmo trovati tutti qui, conoscendola! Non avrebbe mai appeso la
mantella al chiodo!”.
Quel discorso venne accolto
con un mezzo sorriso e un’altra bevuta. Se avesse potuto, se il suo cuore l’avesse
permesso, anche Wilhelm avrebbe approfittato del liquore per celare la sua
debolezza. Era certo che però anche per gli uomini fosse inutile per nascondere
a sé stessi la verità.
“Ogni mattina è sempre peggio;
è come se nel sonno fosse semplice dimenticarsi di cosa è successo. Ogni
mattina è come risvegliarsi senza memoria, almeno sino a che l’impietosa
consapevolezza non riporta alla mente ogni ricordo, con tutto il dolore al
seguito. Allora, solo allora, mi viene in mente che la mia bambina non c’è più
e che non rivedrò mai più il suo sorriso. Non ho mai seppellito un figlio
prima, non dovrebbe succedere. Doveva essere lei a seppellire me, insieme a voi
due e ad Alma. Avrebbe dovuto avere una bella vita, la mia Nina. Se la
meritava.”
Quindi è questo il rumore di
un cuore che si spezza? Il dolore di un padre?
Nessuno dei due disse nulla, perché
non c’era nulla da dire.
La sofferenza in quelle
parole era troppo, quasi insostenibile. Erwin staccò la schiena dalla colonna,
appoggiando una mano sulla spalla di Fried “Rientro,
il liquore mi ha dato alla testa” sussurrò, così da non disturbare i pensieri
del signor Müller, che intanto si era preso il viso
fra le mani e se ne stava in silenzio. Il fratellastro gli fece cenno con la
testa di andare e mentre Erwin valicava l’uscio, lo vide appoggiare un braccio
sulle spalle del padre, scosse da un singhiozzo. Chiuse la porta dietro di sé appoggiandosi
poi ad essa con la fronte.
Chiuse gli occhi e prese un
respiro, ricercando la sua misurata compostezza, sempre più vicina a crollare.
Si voltò per salire le scale,
con il chiaro intento di sparire nella sua stanza e leggere qualche notifica di
rapporto o a scrivere una lettera a Mike per sapere come procedevano le cose al
quartier generale, ma venne distratto da una figura adagiata morbidamente sul
divano. Con il naso ficcato in un libro c’era Mieke.
Le si avvicinò, controllando
la copertina verde spento, mentre sentiva le labbra incurvarsi in un sorrisetto
istintivo “i diari del Comandate Carlo Piquet?” le chiese, sedendosi sul
bracciolo pur tenendo un piede ben piantato sulle mattonelle.
Lei alzò gli occhi azzurri di
sfumature diverse su di lui, senza abbassare il tomo “Già. Non sapevo cosa
leggere. Se temi che io possa unirmi alla Legione, però, ti tranquillizzo
subito; non è mia intenzione unirmi a coloro
che vanno a morire.”
Erwin le appoggiò una mano
sul capo, conscio del caratterino della più piccola dei Müller,
ma anche un po’ sollevato da quella dichiarazione non richiesta “Ho regalato io
questo libro a tua sorella” le fece sapere, incrociando poi le braccia sul
petto ampio “Molto tempo fa.”
“Me lo ricordo. Nina l’avrà
letto almeno una ventina di volte.” Notando che Erwin non intendeva andarsene, Mieke si arrese appoggiandosi il diario sul petto e
ricambiando lo sguardo. Lei e Nina si somigliavano molto nell’aspetto fisico,
ma non sarebbero potute essere più differenti di carattere; il carisma di Erwin
non sortiva nessun effetto su Mieke che lo vedeva esattamente
come vedeva Friedhelm o Rielke.“Posso
fare qualcosa per te?”
“Mi chiedevo se volessi
parlare” iniziò Erwin, senza spostare gli occhi zaffirini dal volto della
sorellina “Sono giorni che parli con noi.”
Lei alzò le spalle con totale
non curanza, passando una mano fra i capelli corti ritti sul capo per grattare
un prurito “Non c’è molto da dire, non pensi?”
“No, non c’è molto da dire. Ma
tenerti le cose dentro non ti farà bene.”
Erwin era solo l’ultimo di
tanti avventurosi che avevano provato a cavar fuori qualcosa dalla ragazzina,
senza risultati. Laddove Adelaide era fredda e distaccata, la più piccola dei
fratelli Müller sembrava non essere stata toccata da
quel lutto. Infatti, per l’ennesima volta, nascose il viso dietro al libro “Non
mi tengo niente proprio nulla. Nina è viva e quando tornerà ci sarà da
divertirsi.”
Il Comandante non si
aspettava una risposta di quel livello. Guardò sorpreso Mieke,
prima di toglierle il libro dalle male “Cosa intendi?”
“Lei è viva” insistette,
incrociando le gambe sul divano e guardandolo decisa “Io lo sento.”
“….Mieke,
hai parlato con Levi?”
Con la sua miglior faccia da
carte, la biondina scrollò le spalle “Perché avrei dovuto parlare con Levi? Sono
venuta direttamente qui.”
“Lui è venuto da te?” Alla
fine, Erwin realizzò. E si sentì come colpito da un fulmine, “Levi è venuto a
parlare con Shadis?”
“Perché? È così difficile per
te pensare che più di una persona sia convinta che non cercarla e tornare alle
mura senza nessuna prova della sua morte se non un giacchetto pregno di sangue,
sia stata una mossa stupida?”
Erwin si sentì ancor più
stanco, come se un carico da novanta gli fosse appena stato scaricato sulle
spalle di colpo “Mieke…”
“Lo so cosa succede oltre le
mura” insistette la giovane ragazza, impuntandosi “Non c’è bisogno di uscire
con la Legione per saperlo: morte, urla, sangue e tutte quelle altre cose di
cui i racconti sono pieni. Intere squadre che vengono annientate in un soffio,
errori grossolani che portano un Capitano a dare la propria compagnia in pasto
ai mostri. Io lo capisco, Erwin, ma la cosa che ci differenzia dai giganti è
proprio il fatto di avere una mente che pensa” si fermò solo il tempo di
portarsi in ginocchio accanto a lui. Gli prese il volto fra le mani e lo guardò
negli occhi, fissa, cercando di seminare il dubbio nella sua mente. Ciò che
lesse nelle iridi però le fece capire che quel dubbio c’era già “Perché non ti
sei fidato di lei? Non è la ragazza più sveglia che esista, anzi è abbastanza
sciocca, è vero, fa parecchie cose stupide... Ma è brava, lo sai che è brava, lo
è diventata! Nina farebbe qualsiasi cosa per tornare a casa….
Tu hai fatto qualsiasi cosa per assicurarti che non c’era speranza?” Era una
mossa crudele da parte sua, ma andava fatto. Lo aveva promesso a Levi e lei non
voleva che tutto finisse così. Non voleva arrendersi alla morte di Nina, non
voleva arrendersi e basta. “Perché hai preferito lasciarti andare invece di
fidarti dei tuoi uomini? Come fai ad essere vivo se non credi in loro?”
Erano tante le argomentazioni
che Erwin avrebbe potuto usare in quel momento, affidandosi alla sua esperienza
e al suo sesto senso, maturato in tanti anni di fedele servizio nella Legione. Avrebbe
potuto rimetterla al suo posto con severità o con gentile pena nell’accorgersi
che Mieke, esattamente come Levi, preferiva pensare
che sua sorella era rimasta sola la fuori, invece che saperla divorata. Avrebbe
anche potuto dirle che se Nina fosse anche sopravvissuta all’attacco, non c’erano
possibilità che una settimana da sola nelle terre perse di Maria avessero
potuto risparmiarla.
Era brava? Non bastava essere
bravi per sopravvivere o tanti suoi commilitoni non si sarebbero ritrovato
divorati o mutilati nell’arco di quegli anni.
Non lo disse. Si limitò ad
abbracciarla in silenzio, sentendo la stretta ricambiata con intensità “Nella
vita è meglio avere rimorsi che rimpianti” gli diede il colpo di grazia, “Dall’alto
dei miei dodici anni non posso dirti cosa fare, perché non lo so forse, ma
almeno ascolta chi hai attorno e sa cosa si prova.”
“Avrai anche dodici anni, ma
hai più giudizio di me e persuasione di Levi” Erwin si separò da lei,
accarezzandole i capelli. Avrebbe voluto dirle che qualsiasi cosa sarebbe
successa, avrebbe fatto di tutto per non lasciare mai indietro di nessuno e che
per questo non credeva di aver lasciato indietro proprio sua sorella, ma un
urlo dal cortile li fece trasalire entrambi.
“Alma! Aiuto!”
Scattarono in piedi,
arrivando all’uscio dopo Alma, che per un attimo nascose loro la vista. Solo quando
si fu chinata accanto al fratello, entrambi poterono vedere a chi apparteneva
il braccio steso sul terreno. Ci furono urla, lacrime. Fu chiamato anche un
medico, che arrivò celermente seguendo Marika che tremava spaventata, ma
nemmeno lui fu in grado di svegliare Wilhelm Müller,
né di farlo alzare dal terreno polveroso della corte.
Nothing could ever stop us
From stealing our own place in the sun
We will face the odds against us
And run into the fear we run from
Anno 844
I Fuochi di Stohess e il
saluto all’anno che nessuno potrà mai dimenticare.
Levi arrivò a Stohess insieme ad Erwin che Nina era giunta ormai da due
giorni.
Tutto ciò che fece, una volta
messo piede nelle corte interna alla palazzina di proprietà dei Müller, fu guardarsi attorno interessato e consegnare una
lettera a Friedhelm, che odorava di profumo femminile
un po’ dozzinale. Nina non l’aveva ancora perdonato per l’aver regalato la sua
sciarpa verde a un barbone, ma soprattutto per come si era procurato una
sciarpa vermiglia dall’aria più vissuta.
“Me l’ha regalata una
prostituta quindicenne.”
Questa pragmatica frase si
era guadagnata, di nuovo, lunghi silenzi e, in aggiunta, Nina aveva anche preso
ad ignorarlo, tanto da decidere di partire per la Capitale con un giorno di
anticipo, dove si era riunita a Leopold, Fritz e uno strano amico di quest’ultimo,
che come ogni anno si sarebbero goduti insieme all’amica i Fuochi di Stohess.
Levi, a cui una volta
arrivato era stata data la camera di Rielke - che lui
aveva provveduto a ripulire da cima a fondo con una certa cura- fingeva di non
essere toccato dal comportamento immaturo della bionda, preferendo concentrarsi
sulla sua permanenza distretto di Stohess, che così
come Nina stessa aveva detto quella mattina al mercato di Trost,
era più vivace e colorato. I tetti delle case risplendevano di rosso e oro,
mentre la chiesa del Culto che faceva bella mostra di sé nel centro cittadino,
affacciata sulla Pizza della Mercanzia, brillava come un diamante in mezzo all’oro.
Se poi si fosse stufato di
mirare la città, avrebbe avuto il caos che impregnava quelle mura a tenergli
compagnia. Il fatto che sotto quel tetto convivessero ben quindici persone di
norma (diciassette con Nina e Erwin a casa), lo lasciava basito. Era una
palazzina piuttosto grande, in effetti, ma fra i membri della famiglia e i ben
quattro ospiti venivano sforati i venti abitanti. La confusione era inevitabile
e gli adulti ne facevano di più dei bambini.
La signora Adelaide non
sembrava per niente felice all’idea di ospitarlo. L’aveva guardato male già
durante la sua permanenza a Trost, ma averlo addirittura
lì sembrava quasi un affronto, per il quale non aveva fatto altro che litigare
con la figlia maggiore. Levi non si era per niente pentito di aver mandato all’aria
un’incontro organizzato fra Nina e il figlio del notaio Bender
la prima sera, distraendola con una sessione estrema di allenamenti e sapeva che
Nina l’aveva mentalmente ringraziato per averle evitato quell’ennesimo strazio.
Di tutt’altro avviso parevano gli altri Müller, in
particolare la sorella maggiore, Alma; Levi aveva notato quando lei, Mieke e Nina si somigliassero, ma c’era qualcosa di
particolare in quella che poteva essere etichettata sin da subito come la vera
padrona di casa. Non era alta come le sorelle, ne magra come loro. Il suo corpo
aveva visto due gravidanze e ben due mariti morti, insieme al duro lavoro al
forno di famiglia, mentre i suoi occhi, che non deludevano le aspettative,
brillavano di due tonalità diverse di blu. Una intensa come l’acqua di un lago
profondo, l’altra violetta, come le prime luci dell’alba in inverno. Sembrava più
vecchia dei suoi trentadue anni, sicuramente a causa della vita passata per lo
più a lavorare per prendersi cura di un padre vedovo e di un fratello con
grandi aspettative di carriera nell’esercito. Gli ricordò un po’ la storia di Jara, seppur con diversa sotto molti punti di vista. Alma aveva
avuto due mariti, anche se di loro non si parlava. Era stato Erwin a
rivelargli, mentre si stavano dirigendo a Stohess a
cavallo, che Alma era la vedova di Flagon Turret, il primo capo squadra che il biondo aveva avuto
appena messo piede in Legione. Lui ricordava molto bene anche come l’avevano
trovato, sul campo di battaglia che era diventato lo scenario della morte di
Isabel e Farlan. Anche Hector, il primo marito della
donna, era morto nell’esplorativa ed era stato proprio Turret
a portarle il lutto a casa si un’incombenza di Erwin. Strano come il destino
operi, ad Alma aveva dato e tolto costantemente, non piegandola però, ma
temprandola.
Seppur sia la famiglia di Fried che i genitori di Rielke si dimostrarono gentili con Levi, Alma era
stata la sola a trattarlo così come Levi si aspettava da una sconosciuta. L’aveva
guardato con l’aria di chi la sapeva lunga, seppur senza ombra di supponenza,
poi a bruciapelo aveva chiesto se era stato lui ad allenare Nina sino a quel
momento. Quando Levi aveva confermato con un cenno,Alma aveva lanciato un’occhiata
alla sorella, che sedeva in salotto insieme a Leo, Fritz e Friederich
Engel. Alla fine aveva sorriso, abbassando gli occhi e pronunciando una sola
frase.
“Sì, vai bene. Mi piaci.”
La cena era il momento
peggiore della giornata, in termini di chiasso.
Se a pranzo non si trovava
mai la famiglia riunita, tra soldati in servizio e Alma, Marika e il signor
Albert che aiutavano il padrone di casa con il lavoro al forno, a cena c’era la
banda al completo. La tavola dove veniva consumato il pasto era lunga, laccata
e piena di graffi, a testimonianza del passaggio di molti bambini. Levi si
ritrovava schiacciato con una spalla contro quella imponente di Erwin, mentre l’altra
era più libera visto che doveva dividere lo spazio con Alma, che sulla panca
sedeva poco perché assieme alla moglie del fratello serviva tutti e aveva
giusti un paio di minuti per mangiare a sua volta. Di fronte a lui, Nina e
Fritz davano il meglio di loro con Rielke e Leopold e
anche il nuovo arrivato, quel Engel non era di certo da meno. Levi l’aveva
guardato a lungo, chiedendosi se l’avesse visto nel suo passaggio a Nedlay di un mese prima. Sicuramente, quel giovane del nord
dai capelli corvini che per coincidenza si chiamava a sua volta Friederich, s’era ambientato bene.
Facevano una confusione
infernale.
Levi sospirò piano,
appoggiando il gomito al tavolo una volta passato il piatto ora vuoto a Marika,
che sorrise ringraziando mentre teneva una pila con una mano e l’altra sul
pancione. Anche volendolo, non sarebbe stato in grado di alzarsi e farsi strada
fino alla cucina, più per assicurarsi che i piatti venissero ben lavati che per
buon cuore. L’avrebbe fatto anche solo per liberarsi di quel chiacchiericcio insistente,
ma era virtualmente relegato al suo posto dalla marea di persone al tavolo. Spostò
lo sguardo su Nina, che sedeva proprio di fronte a lui, con una benda sull’occhio
destro che aveva battuto quello stesso pomeriggio. Che aveva battuto sul pugno
di Levi, per essere precisi, ma nemmeno lui si era aspettato di vederla venir avanti
col viso. Se l’era praticamente dato da sola quel pugno, ma abituata com’era al
combattimento corpo a corpo con lui non aveva fatto la piega. Si era portata la
mano al sopracciglio che perdendo sangue le impediva di vedere bene e aveva
chiesto una breve pausa per fasciarsi.
Poi avevano ripreso da lì.
Non frignava più, anche se
infondo dire che aveva frignato in passato sarebbe stato ingiusto; fra i suoi
difetti non c’era quel tipo di debolezza. Lei, che aveva chiesto di essere
addestrata, non s’era mai tirata indietro.
Lo sguardo del moro si
scontrò con l’occhio sano della bionda, che gli lanciò un veloce sorrisetto,
prima di ridere, portando una mano alla bocca per chissà quale cavolata
lanciata da Rielke.
Non sembravano soldati. A
partire dai cinque seduti di fronte a lui, fino a Erwin, che parlava concitato con
Friedhelm di donne. Era qualcosa di più raro di una
mosca bianca, vedere il Capitano Smith lasciarsi andare in certe frivolezze, ma
gli dava anche una certa sicurezza scoprirlo umano. C’erano stati momenti in
cui non l’aveva creduto tale. Poco più avanti, a capo tavola, Wilhelm Müller era la vera anima della festa. Apriva bottiglie di
vino, proponeva brindisi a Erwin o alla figlia, ai grandi legionari del nord e
a nuovo ospite Levi che, se avesse potuto, avrebbe anche fatto a meno di quelle
attenzioni.
Avrebbe mentito, però,
dicendo apertamente che quell’atmosfera lo infastidiva. Certo, facevano un
casino del demonio, tanto da fargli battere le tempie fino al momento del
riposo, ma vivere tutta la vita in una fogna silenziosa come una tomba l’aveva
portato ad apprezzare un sorriso sincero quando lo vedeva. Non occorreva dirlo
però. Gli bastava alzare ogni volta il suo bicchiere, picchiettando il vetro
contro quello dei vicini e continuando a bere vino fino a capir meno discorsi
che di senso ne avevano già poco.
“Il Caporale Schwarz è la donna più bella che io abbia mai visto” stava
dicendo proprio Engel, gesticolando frenetico alla volta di Fritz, che aveva
roteato gli occhi senza però celare un sorriso divertito “Non ti azzardare a
far quella faccia, tu. Che quando parli di-”
“Ho capito il concetto” replicò sbrigativo Meier, prima di notare che
Levi stava seguendo il discorso “Tu l’hai incontrata mentre eri a Breimer, vero?”
Levi annuì, appoggiando
entrambi i gomiti al tavolo e sporgendosi leggermente in avanti, fiacco “Sì. Mi
ha anche regalato la sua mantella.”
A quella parole, Nina lo
guardò alzando un sopracciglio, mentre Engel si sporgeva verso di lui
stralunato “Davvero? Ah! Che cuore ha!”
“Parlate della donna in rosso,
no?” chiese a quel punto Nina, prendendo in mano il bicchiere e sorseggiando l’ultimo
goccio di vino che conteneva, prima di proseguire “La donna che Fried si è portato a letto?”
“Sii più specifica, che se dobbiamo
fare una cernita ne passano due di Yula” le disse Rielke con tono cospiratorio, ma solo dopo aver controllato
di non avere l’interessato o peggio, sua moglie, alle spalle.
“Al ricevimento di Pixis” aggiunse quindi la giovane, mentre accanto a lei Mieke ascoltava interessata “La mora che accompagnava Schimdt.”
“La ricordo appena” convenne
Fritz, inclinando di lato il capo “Ancora devo andarci a Briemer,
quindi mi riservo dal dare giudizi.”
“Non che ci sia molto da
dire, se è una delle donne di Fried.” Il commento un
po’ malevolo di Leopold attirò su di lui lo sguardo di Engel, che si ottenebrò appena
“Amico, non è colpa mia se attira solo un tipo di donna, quello.”
“Uno solo? Parli per invidia?”
lo stesso Friedhelm, che s’era avvicinato silenzioso,
battè una mano sulla spalla del rosso e una su quella
del cugino, facendoli sussultare “Non vi è tipo di donna che mi resista. Se volete
imparare qualcosa, domani vi porto in osteria.”
“Domani è festa e va passata
in famiglia” gli fece presente con tono bonario Erwin, che pareva
improvvisamente partecipe di quella delirante conversazione. Guardò il
fratellastro con sguardo ammonitorio, prima di sorridere rallegrato “Non
rovinare tutto come l’anno scorso.”
“L’anno scorso è stato tutto
un equivoco. Oh! A proposito di equivoci! È arrivato Doak!”
Levi voltò il capo verso l’ingresso
così come il resto dei compagni di pasto, notando che ora, a parlare con Alma e
il signor Müller, c’era anche un uomo alto con
addosso l’uniforme della Gendarmeria, poco visibile sotto al pastrano invernale
che lo difendeva dal freddo. Per mano teneva una bambina dai capelli selvatici,
tenuti insieme da un paio di codine, mentre una donna dal seno abbondante e i
fianchi tondi reggeva fra le braccia un bambino ancora in fasce.
Sia Erwin che Nina si
alzarono, andando a salutare l’uomo insieme a Friedhelm.
Erwin pareva conoscerlo bene, tanto che se lo tirò da parte per parlargli come
si deve. Nina invece prese a vezzeggiare il neonato insieme a Alma, prendendolo
anche in braccio mentre sorrideva a Marie, parlando del più e del meno.
“Tu non vai a salutare?” di
nuovo, la voce di Fritz lo portò a guardare i ragazzi di fronte a lui. Stava parlando
con Rielke, mentre Leopold stesso di alzava per
andare a portare i suoi saluti e i suoi auguri all’ufficiale del suo stesso
corpo militare.
Il biondino lentigginoso
sbuffò “Non mi è mai stato molto simpatico e poi dobbiamo ancora mangiare i
biscotti coi canditi.”
“A me dispiace per lui. Sua moglie
è innamorata di Erwin.”
“Chi non lo è?”
“Chi è innamorata di Friedhelm.”
Levi sentì il bisogno di
manifestare il suo pensiero per la portata della conversazione cavandosi un occhio
con la fochetta, anche se però stava avendo un po’ un’idea
di come funzionassero le cose lì “Mocciosi” disse, attirando la loro attenzione
mentre Rielke si sporgeva per recuperare la bottiglia
di vino; rimase gelato sul tavolo, in attesa “Chi è quello?”
Fu Fritz a rispondere, perché
a quanto sembrava ne sapeva parecchio degli affari che giravano in quella casa.
“Nile Doak” rispose “Un
Capitano decorato della Gendarmeria. Lui e Erwin sono cresciuti insieme e hanno
fatto l’addestramento insieme.”
“Fried
dice che anche lui sarebbe dovuto entrare in Legione” disse Rielke,
versando a tutti, compreso Levi, mentre Engel seguiva quei pettegolezzi con
aria sinceramente interessata “Però all’ultimo ha deciso che avrebbe preferito
fare il marito e il padre al farsi divorare dai giganti. È molto simile a Leopold…”
“Questa leggenda che si muore
e basta, in Legione…”
“Stai zitto, Fritz. Non è una
leggenda.” Rielke guardò l’amico, prima di sporgersi
in avanti sul tavolo, parlando piano mentre teneva puntati gli occhi in quelli
affilati di Levi “La donna con lui è sua moglie, Marie. Quando erano dei
cadetti, passava da Nile a Erwin e alla fine pare che
lui sia rimasto con lei perché lei glielo ha chiesto. Noi pensiamo che l’abbia
chiesto prima a Erwin e che lui abbia detto di no.”
“Siete malevoli” Nina sai
sedette affianco a Levi, tenendo un pacchettino in mano “Perché non dovrebbe
aver scelto Nile?”
“Parla piano” la riproverò
Fritz, prima di notare il pacchettino.
“Perché c’è chi sceglierebbe
il CapitanNoia-mortale-sono-un-rigoroso-genderme
sopra a Erwin?” chiese Leopold, ritornando al suo posto a sua volta. Ora che la
famigliola se n’era andata e che Fried aveva portato
Erwin a scegliere il liquore da aprire per dar degna compagnia al vino, erano
più liberi di far le comare. Non che si fossero molto trattenuti, prima “Tuo fratello
avrà dei difetti, tra cui l’aver sempre addosso una e una sola espressione e in bocca uno e un solo discorso, ma almeno non è Nile
Doak.”
“Il bue che dice cornuto all’asino!
Voi gendarmi siete tutti uguali!”
“Stai zitto Rielke, sei nella Guarnigione, ovvero quelli più inutili!”
“Che cos’hai lì, Nina?” Fritz
li fece smettere di battibecchiare, riportando l’attenzione
sulla bionda.
“Un regalo del Comandante
Kessler” rispose, riaprendo il pacchettino già sfatto e mostrando a tutti un
bel fermacapelli d’argento a forma di rosa.
“Te l’ha mandato tramite Nile?”
La giovane annuì, “Quella donna
è sempre così gentile con me” soppesò, girandosi l’oggetto fra le mani, prima
di girare il capo verso Levi, sventolandola sotto al suo naso nel tentativo di
porgergliela “Ti dispiace?”
I quattro ragazzi seguirono
la scena sino a che Levi non prese fra le mani il fermaglio, poi tornarono a
ciarlare concitati fra loro.
Nina diede le spalle al moro,
incrociando le gambe sulla panca per quando la gonna lunga dell’abito che
indossava glielo permettesse. Lui passò il fermaglio sulle ciocche color grano
della ragazza,tirandole indietro sul capo e fermandole e fissandole sulla nuca.
Lei portò una mano a
verificare che fosse ben messo, prima di tornare a mettersi diritta, guardando
l’uomo “Allora? Quanto ci stai odiando per tutto questo chiasso?”
Lui sbuffò, allungando una
mano per prendere il bicchiere. Nina osservò quel suo modo buffo che aveva di
fare ogni volta che doveva bere, prima di aprire la bocca per parlare di nuovo.
Lui però la interruppe “Non è male.”
E lei capì che si sentiva più
a suo agio di quanto sembrasse.
La festa di Yula dell’ultimo giorno dell’anno era forse la ricorrenza
più importante all’interno delle Mura, seguita dalla Festa delle Messi o Luginaza in estate, dalla Settimana della Vendemmia, – alla
fine della quale, nel giorno delle grandi celebrazioni di Maben,
chi camminava diritto non era degno di essere definito uomo- il Giorno di Eosteria in primavera conosciuto anche come la Festa della
Luce e il primo giorno del mese di maggio, Beletane.
Ogni distretto aveva
tradizioni proprie e particolari usanze, anche se era noto che nei distretti
dell’est, Yula venisse festeggiata in modo
particolarmente fastoso. Stohess, in quanto il più
ricco distretto dell’est e del Muro Sina, era
sicuramente il luogo migliore in cui perdersi nei festeggiamenti.
Essi erano iniziati già la
sera precedente, come da tradizione, con il banchetto famigliare. Fritz aveva
poi insistito per portare Engel a fare un giro delle taverne, finendo per far
rincasare tutti che l’alba iniziava già ad affacciarsi oltre le mura. Nina e
Leo l’avevano guardata con gli occhi socchiusi dalla stanchezza, con una
sigaretta e pendere dalle labbra e la consapevolezza che sarebbe stata una
lunga, lunga giornata. Avevano dormito come la sera precedente, ammassati nella
camera che la bionda divideva con la sorella minore. Il letto di Nina e quello
di Mieke erano stati uniti e mentre la prima s’era
presa Fritz, con il quale era riuscita a dormire almeno sei ore prima dell’entrata
in scena di un’Adelaide particolarmente arrabbiata per l’ora tarda in cui
ancora stavano dormendo, Leo e Rielke si erano
litigati le coperte con Mieke per ore, riuscendo
forse a riposare la metà degli amici e riuscendo anche nell’intendo di
disturbare la ragazzina che così gentilmente li aveva ospitati sul suo
materasso. Ad Engel era andata la branda in fondo alla stanza, in quanto ospite.
“Se
Levi fosse andato a dormire con Erwin, come era stato deciso in partenza, noi uomini saremmo potuti rimanere in camera
di Rielke, risultando così tutti più comodi.” Si stava di
fatti lamentando il rosso, mentre infilava gli abiti tipici dell’est, non poi
così pronto a far festa.
Schiacciato
contro il muro, Fritz stava permettendo a Nina di sonnecchiare ancora un poco,
col viso nascosto contro il suo petto e l’espressione disturbata sul viso. Le accarezzò
la guancia fino al bendaggio sull’occhio, prima di guardare il migliore amico
con divertimento “L’hai detto anche ieri. Smettila di fare il brontolone della
situazione, che pari un vecchio!”
“Se
fossi tu a svegliarti col culo sul pavimento non parleresti così! I due
materassi vanno alla deriva, durante la notte.” Cercando di spostarsi per lo
spazio saturo della piccola stanza, Leo prese ad allacciarsi la camicia, prima
di alzare le bretelle sul petto, controllando in uno specchio che il colletto
bianco fosse in ordine “Che poi parli tu, che non fai altro che dire quanto ti
faccia schifo Nedlay?”
“Il
nord è un luogo meraviglioso e incompreso” fu il solo commento che arrivò dall’angolo
in cui Engel ancora doveva trovare la forza di alzarsi.
“Il
nord non è incompreso” rilanciò subito Meier, facendo ridacchiare piano Nina
che ormai si era arresa al fatto che non sarebbe riuscita a dormire nemmeno un’ora
in più “Freddo, sì. Triste? Anche. Le case sono meno accoglienti e le donne più
brutte. La sola cosa migliore è il cibo.”
“Le
donne del nord sono vere donne” lo corresse Engel, prima di sbadigliare “Ma
cosa sto a parlare con un ignorante come te? Caprone.”
“Siete
così fastidiosi!” Mieke fece il suo ingresso con
addosso l’abito per la festa, lanciando sul letto di Nina quello della sorella “Non
vedo l’ora che sia domani per aver di nuovo il silenzio che merito.”
“Ci
siamo svegliati col piede sbagliato?” Leopold le tirò la guancia, mentre Fritz
e Nina si alzavano, ridendo di fronte al tentativo fallito di Mieke di smollare al rosso un calcio, ostacolata dalla
gonna a ruota.
Alla
fine riuscirono a scendere per l’ora di pranzo. La prima cosa che Nina aveva
notato era che stava nevicando, seppur piano. La seconda era Levi che, con
addosso gli abiti tradizionali di Stohess per la
festa era…. Strano. Strano a dir poco. Il calzoni
corti gli arrivavano sotto al ginocchio, anche se avrebbero dovuto fermarsi al
di sopra; nessun uomo di quella casa aveva una taglia che potesse stargli e
quelli, che erano appartenuti a Rielke qualche anno
fa, risultavano comunque troppo lunghi. Non potevano accomodarli, però, perché tagliandoli
avrebbero tolto anche i ricami sulla stoffa ruvida grigia. Nina non seppe dire
però se era poi strano con i polpacci muscolosi in vista o con il cappello
pieno di piume sui capelli neri. Forse era l’espressione per niente convinta. Non
riuscì a non ridere, mentre si avvicinava tenendo in mano un sacchettino di
seta blu.
Lui
lo adocchiò subito e la guardò male farsi sempre più vicina “Non ci pensare.”
“Questa
è la tradizione” rispose lei, tirando i fili per aprire il sacchetto. Immerse due
dita all’interno del pigmento di un magenta acceso, andando poi a disegnarli
due linee parallele per tutta la fronte “Le donne colorano gli uomini, che
fanno loro un complimento” attese qualche secondo, chinandosi anche alla sua
altezza visto che lui era seduto. Capendo che ci sarebbe voluto un po’, Nina si
mise in ginocchio sul pavimento, appoggiando o gomiti alle ginocchia di Levi “Io
non ho fretta.”
Lui
sbuffò sonoramente “Sei una stupida ragazzina.”
“Un
complimento, ovvero il contrario di quello che hai appena detto.”
Poteva
farcela, Nina se lo sentiva. Lo guardò sempre in attesa, tenendo in mano il
sacchettino e ponderando che se avesse continuato su quella linea, lei avrebbe
potuto accidentalmente far cadere la
polverina su quella bella camicia bianca. Non ce ne fu bisogno “Hai dei bei
capelli” disse infine, sbrigandosi poi ad aggiungere frettoloso un “Ma non sono
funzionali. Tagliali.”
Nina
si ritenne soddisfatta, tanto che si alzò, compiendo a saltelli la distanza tra
lei, il cugino e Fritz, piantando una bella manata di magenta sul viso di
entrambi prima di iniziare a correre dietro a Schitz
che si stava rifiutando di collaborare alle tradizioni ‘barbare’ del distretto.
“Ho già messo i pantaloncini, Nina! Non esagerare!”
Levi
la guardò rincorrere l’amico attorno al tavolo, constatando che per quanto
quella scena fosse stupida, gli aveva dato modo di notare come si fosse
effettivamente conciata la giovane. L’abito da festa delle donne non era altro
se non un vestito scuro, formato da una gonna molto ampia che lasciava scoperte
le caviglie e una porzione del polpaccio e un bustino rigido tenuto insieme da
nastri di seta colorata. Sotto, tutte le donne portavano una camicetta con le
maniche che arrivano si e no al gomito. Era la gonna però a nascondere un
segreto. Ogni volta che Nina si girava, essa si apriva e nelle pieghe, Levi
poté contare almeno una dozzina di pezzi di stoffa cuciti insieme a quella dell’abito
di altrettanti colori diversi. Fu Alma poi a spiegargli che quelle stoffe
venivano da vecchi abiti dimessi, cuciti dalle donne di casa sull’abito da
festa. Era un modo per portare il vecchio insieme al nuovo, un po’ un vade mecum per l’anno nuovo.
Quando
si misero a tavola per pranzare con i due dolci tradizionali, lo Zelten e lo Stollen, c’erano
pigmenti di colore più o meno ovunque e quelli più provati e colorati erano
Erwin e Fried che si erano messi anche a tirarseli a
vicenda fin nei capelli, incuranti del fatto che non erano donne.
Erwin
non sembrava nemmeno lui e forse la colpa era anche un po’ di tutto quell’alcool
che stavano bevendo in quei giorni e che stavano avendo effetto su tutti,
eccetto Levi.
Vederlo
a quel modo era strano, certo, ma la complicità col fratellastro e l’allegria
della festa convinsero il moro che non c’erano doveri che tenevano, di fronte
alla famiglia. Nemmeno per il Comandante Smith.
Erwin aveva
trascinato Levi per bancarelle per tutto il pomeriggio, costringendolo a
sfilare per la città con quei ridicoli calzoni che, tra l’altro, non avevano
fatto niente se non gelargli le gambe. Non importava se tutti erano vestiti a
quel modo, iniziava a non sentirsi più molto a suo agio.
Fried si era lanciato in un’importante
dibattito sulla guerra della birra fra i distretti, sostenendo che per lui la
più buona rimaneva quella al malto di Briemer, mentre
Erwin era un fermo sostenitore della rossa di Stohess.
Alla fine al dibattito si era aggiunta anche Nina, difendendo la bionda di Trost, nel momento in cui avevano incontrato il gruppo di
giovani amici a Piazza della Mercanzia, di fronte al grande falò che bruciava
dalla mezzanotte precedente e sarebbe stato alimentato fino alla fine della
festa di quella notte. Guardò Nina e Fritz buttarci dentro un’agenda, Mentre
Leopold provvedeva a disfarsi di qualche lettera e Rielke
di un plico di fogli bello grande.
“Si brucia la vecchia” gli spiegò il Capitano Smith
quando il moro gli rivolse uno sguardo perplesso “Documenti o oggetti che sono
serviti nell’anno appena trascorso e che in quello nuovo non saranno più di
alcuna utilità. Tu non hai niente da bruciare?”
“Vorrei poterti
dire che voglio buttarci Hanji” gli rispose,
facendolo sospirare rassegnato, seppur divertito “Ma lei non è qui e poi non è
stata utile nemmeno per quest’anno. Quindi perderebbe un po’ del suo
significato.”
Levi venne
scaricato al termine della frase. Erwin era sparito fra la folla con il
fratellastro e un paio di amici di vecchia data, lasciandolo con i giovincelli.
Visto che non aveva avuto diritto di scelta, Levi si accodò a questi giusto per
non tornare a casa a leggere. Ebbe modo di capire perché a pranzo avevano avuto
solo dei dolci; non fecero altro che mangiare, tutto il pomeriggio. Piatti tipici
della zona, di altre zone, addirittura di distretti opposti a Stohess. Mangiarono così tanto che Levi iniziò a sentirsi
nauseato.
Poi venne il
momento in cui iniziarono a perdersi. Il primo a sparire fu Rielke
che, adocchiata una bella ragazza, non si era fatto scrupoli a seguirla senza
quasi avvisare. Poi la folla aveva inghiottito anche Fritz e Leopold e lui e
Nina si erano ritrovati a girare per la città fino al punto in cui Levi aveva
iniziato a non farcela più. Ormai il cielo era parecchio buio e a illuminare
tutto c’erano le luci artificiali dei lampioni a olio, quando lui iniziò ad
arrendersi. Troppe persone tutte insieme, la confusione e un altro insieme di
fattori l’avevano fatto chiudere in un mutismo un po’ teso, mentre Nina
continuava a spiegargli di tradizioni e a snocciolare nomi strani di luoghi e
pietanze che un sorcio del ghetto come lui non s’era mai nemmeno immaginato.
“Sei stanco?”
gli chiese, accostandosi per farsi sentire sul brusio della folla. Non attese
nemmeno la risposta, gli prese il polso e andò verso una bancarella, pagando in
fretta un sacchettino bianco sigillato “Ho avuto un idea” gli disse nell’orecchio,
facendogli poi segno di seguirla.
Con sollievo,
Levi notò che stavano tornando verso casa.
Una volta lì,
però, Nina sembrava intenzionata a far qualcosa.
“Saliamo sul
tetto” gli disse, mentre con l’occhio libero spiava le lancette della pendola “Intanto
non troveremo mai gli altri in tempo per mezzanotte, manca poco meno di mezzora.”
“Sul tetto?”
“Capirai quando
sarà mezzanotte il perché.”
Levi non fece
altre domande, decidendo di assecondarla ancora una volta. Si impresse nelle
mente che mancava poco a mezzanotte e che quindi poi sarebbe potuto andare a
dormire, lasciando perdere tutti quei deliri. Non c’erano feste nel ghetto, non
così tanto chiassose. Cosa avrebbero dovuto festeggiare, dopotutto? A mala pena
sapevano che giorno dell’anno era e nemmeno per i matrimoni c’era più di un
suonatore e qualche ospite sbronzo.
Il tetto era
stranamente asciutto, complice il fatto che la leggera nevicata del pomeriggio
era poi stata sostituita da un bel sole. Attenta a non scivolare a causa delle
scarpe di vernice, Nina si tirò su dal lucernaio della sua stanza, andando a sedersi
su una trave di raccordo fra le tegole. Levi la raggiunse e lei, stringendosi
addosso il mantello, attese che lui si fu seduto per guardarlo “Devi ordiarci parecchio” iniziò, aprendo il sacchettino e
iniziando ad appoggiare accanto a sé alcuni oggetti che Levi non poteva vedere.
“Tutta questa confusione, per qualcuno di tranquillo come te, deve essere un
incubo.”
“Non è poi così
male” replicò spicciolo Levi, guardandola mentre apriva quello che sembrava un
grosso rettangolo di carta bianco “Cosa diavolo è quello?”
“Una lanterna”
rispose lei, sfilandosi una matita dal concio che aveva sul capo. In una
cascata dorata, i capelli tenuti insieme da tante treccioline
e nastrini colorati ricaddero sulla schiena e sul viso. Nina prese un
foglietto, iniziando a scribacchiare qualcosa. Quando Levi si sporse per
leggere, lei si ritrasse.
“Non leggere”
gli disse, battendogli piano la matita sul naso e facendolo così allontanare “Questo
è il mio desiderio.”
“Desiderio?”
“Sì, devi
scriverne uno e attaccarlo alla lanterna. Se sei fortunato e la lanterna arriva
oltre le mura, si esaudisce.”
“Che stronzata.”
Lei non rispose,
finendo di scrivere prima di chiudere in quattro il foglietto “Quindi tu non
vuoi scriverne uno?” lui la guardò semplicemente e lei capì. Per quieto vivere,
Nina riprese a montare la lanterna. Nonostante sembrasse tutto normale, fu
proprio da quel suo modo di lasciar perdere che Levi capì che le cose fra loro
erano ben lontane dall’essersi sistemate. Conoscendola, la ragazza avrebbe
insistito fino allo sfinimento per farglielo fare. Il fatto che avesse ceduto
facilmente era un chiaro sintomo che era ancora arrabbiata per tutte quelle cose
non dette e quelle infantili provocazioni lanciate del moro.
Levi decise di
mettere un freno a quella situazione ridicola “A Briemer
fa molto più freddo che qui” iniziò dal niente, attirando l’attenzione della
ragazza che stava annusando una piccola candela bianca “Se l’avessi saputo, non
sarei andato a cercare la donna che mi ha cresciuto. Mi sono gelate le palle
lungo la strada del ritorno, in quel cesso di paesello chiamato Gershinka.”
Ora lei pendeva
dalle sue labbra, quasi incredula per quella rivelazione spontanea “La donna
che ti ha cresciuto?”
Lui annuì “Gretha” le disse, appoggiando le braccia sulle ginocchia e
alzando il viso verso il cielo “Vive lì insieme al figlio bastardo dell’uomo
che mi ha salvato la vita quando ero bambino. Prima che me lo chiedi, no. Non
ho idea di chi cazzo sia, so solo che si chiama Kenny. È lui che cerco da
quando sono venuto in superficie” fece una piccola pausa, prima di tornare a
guardarla inclinando il capo “Speravo che Gretha
sapesse darmi un’indicazione che valesse di più di qualche leggenda
metropolitana, ma Kenny sembra essere sparito nel nulla e forse è meglio così. Tutto
quello che so di lui è che è un grande stronzo e che viene da fuori del ghetto.”
Senza quasi
accorgersene, Nina si appoggiò con la spalla a quella del moro, abbassando gli
occhi sulla strada sotto di sé e verso la piazza gremita poco distante. Mancava
poco, tante luci iniziavano ad accendersi, così anche lei posizionò la candela
nella lanterna di carta “Tua madre?”
Lui abbassò un
attimo gli occhi, prima di rispondere “È morta quando ero piccolo. Sono rimasto
solo e questo tizio inquietante e fuori di testa mi ha sfamato e insegnato a
usare un coltello.”
“E ora lo vuoi ritrovare…. Cosa gli chiederai quando l’avrai trovato?”
“Tu non vorresti
chiedere alla persona che ti ha salvato e insegnato a sopravvivere perché lo ha
fatto? Per quello che ne so lui potrebbe anche essere…”
“Tuo padre?”
domandò lei senza nessuna inflessione particolare nella voce, mentre ponderava
il fatto che forse a Briemer, Levi poteva avere un
fratello. Lui si limitò a annuire brevemente, guardandola sfilarsi il bendaggio
sull’occhio. Era rimasta solo una piccola crosta al limitare delle sopracciglia
bionde, e un discreto livido attorno, ma nel complesso stava bene e voleva
guardarlo come si doveva “Le Mura non sono poi così grandi” gli disse con un
sorriso “Lo troveremo.”
Si scambiarono
un’occhiata e lui parve quasi riconoscente.
Mentre si
guardavano, di fronte a loro sul profilo
della città, qualche lanterna iniziava a librarsi in volo, seguita da tante
altre “Mezzanotte!” strillò la giovane, prendendo un fiammifero dalla scatolina
che teneva nella tasca interna al mantello, mentre passava a Levi la lanterna
affinché la reggesse. Attenta a non bruciare la carta, Nina accese la candela,
appoggiando sotto di essa il suo fogliettino. “Lasciala
andare” disse quindi all’uomo che, dopo una lieve esitazione, lo fece rimanendo
sorpreso nel vederla sollevarsi lentamente. Seguirono la rotta di quella lanterna
fino a vederla congiungersi con centinaia di altre simili, fino a creare un
fiume di luci che iniziarono a danzare, trasportate dal vento, illuminando la
notte e accendendola di rosso “I Fuochi di Stohess”
sussurrò Nina con tono quasi sognante “Li vedo ogni anno, ma non smettono mai
di essere bellissimi.”
“Fanno
concorrenza alle stelle” aggiunse Levi, per una volta, genuinamente stupito. “Ne
è valsa la pena.”
“La nostra vita
è così breve, che vedere questi spettacoli mi fa sentire meglio” sussurrò lei,
prima di voltare il capo per guardarlo. Sorprendentemente, quello di Levi era
già rivolto verso di lei “Grazie per avermi parlato di te, prima. Vorrei sapere
tutto sulla tua vita.”
“Non c’è molto
da dire, su di me.”
“Ne sei proprio
convinto?”
Di nuovo, così
come quella mattina alla partenza di Levi e Fritz, l’aria si accese,
improvvisamente elettrica. La vicinanza, forse mescolata al coraggio infuso
dalla birra e dall’ambiente famigliare, fecero balenare nella mente di Nina un’idea
peregrina.
L’aver sprecato
un’occasione un po’ le era pesato, a posteriori, seduta sul letto della
mansarda vuoto. Sentiva dentro al suo cuore che se si fosse lasciata sfuggire
anche quella possibilità, allora sarebbe stato come chiudere una porta che
difficilmente sarebbe riuscita a riaprire. Levi non sembrava intenzionato a far
nulla, le guardava il viso, gli occhi, le labbra, le mani che stringevano al
petto le ginocchia, ma non faceva nulla se non pensare forse a quelle stesse
considerazioni.
Nina, che s’era
sempre sentita coraggiosa, ora improvvisamente timorosa come una bambina, fece
la sua mossa.
Allungò piano la
mano, passando le dita lunghe e belle sullo zigomo del moro, fino ad
accarezzargli la guancia col palmo, cancellando qualche traccia residua di
pigmento dal suo volto. Alla fine, ipnotizzata da quello sguardo quasi
metallico, ma non freddo nonostante le iridi di ghiaccio, si sporse verso di
lui, lasciando scontrare le loro labbra.
È fatta.
Il punto di non
ritorno.
Sospirò contro
la pelle dell’altro che, inaspettatamente, fece scivolare il braccio dietro
alle sue spalle, facendola sbilanciare ancora di più verso il suo corpo.
Fu solo quando
il bacio prese vita in un accarezzarsi di labbra e lingue, che Nina realizzò
che era come se entrambi non stessero aspettando altro. La mano che s’era
abbassata tornò ad alzarsi sulla nuca del moro, accarezzandone i capelli rasi fino
a quelli più lunghi e sottili, che strinse senza forza. Quella libera di Levi,
invece, andò ad appoggiarsi sul suo ginocchio, scivolando poi sotto alla
mantella verde fino al fianco della ragazza, dove trovò il suo appoggio.
Il bacio
accrebbe di intensità, per poi tornare a stabilizzarsi in un sensuale movimento
reciproco di bocche. Quando si staccarono, perché Nina aveva bisogno di
prendere aria, si guardarono semplicemente negli occhi.
Lei sospirò,
sentendo le labbra pulsare dalla voglia di ritrovare quelle dell’altro “Levi io-”
“Taci.” Lapidario,
fu il moro a cercare il contatto, tirandola di nuovo a sé col braccio attorno
alle sue spalle.
Decisamente, è fatta.
Nina non
represse un moto di pura euforia, lanciando entrambe le braccia attorno al
collo del moro. Stava già pensando di proporre a Levi di spostarsi nella stanza
di Rielke, ben conscia che nessuno dei due era alle
prime esperienze e che quindi avrebbe avuto delle remore a concludere la
giornata di festeggiamenti col botto. Stava solo pensando a come mettere giù la
frase senza far capire che non aspettava altro se non darsi completamente a
lui, quando una grossa mano le batté sulla spalla, facendola sussultare.
Si staccò di
colpo, conscia che avrebbe urlato se le sue labbra non si fossero trovate così
occupate.
“Cazzo!” Levi
invece non si trattenne, colto di sorpresa per la prima volta da quando si
conoscevano, a causa della gemella di quella mano che s’era abbattuta anche sulla sua schiena. Quando
entrambi alzarono il capo sul volto sorridente di Erwin che li sovrastava, s’ammutolirono.
Levi fu bravo a mascherare il palese
imbarazzo con la solita stizza apatica “Arrivare alle spalle in questo modo è
pericoloso. Sei fortunato che io non abbia un coltello con me.”
Nina, invece,
non replicò, scivolò solo di lato quando il fratello mostrò la sua intenzione
di sedere fra i due e prese il bicchierino fra le mani quando Erwin glielo
porse. Uno a uno, i tre bicchieri vennero riempiti da un liquore che odorava di
limoni “Vi cercavo per augurarvi buon anno” fu la risposta candida del
Capitano, mentre riponeva la bottiglia “Se avessi saputo a che portata si erano
estesi i festeggiamenti su questo tetto, non sarei venuto.”
“Erwin, ti
supplico” Nina portò una mano al volto, lasciando ai capelli il compito di
nascondere il rossore delle gote. Stava andando a fuoco.
Il biondone fece loro la grazia, poiché si limitò a sorridere
rivolto verso il cielo, reprimendo il desiderio impellente di dire altro. Poi alzò
il bicchiere verso le stelle, come a voler brindare con esse “Quest’anno sarà
diverso, lo sento” iniziò, attirando l’attenzione degli altri due che stavano
guardando ovunque se non lui o l’altro “Avremo una svolta” proseguì “Questo
sarà l’anno in cui la ricognitiva avrà il posto che le spetta.”
Anche Nina alzò
il bicchiere, imitata poco dopo da Levi “Alla Legione. Che durante questo 845
non provino a sopprimere il corpo. Di nuovo” disse la giovane, battendo piano
il bicchiere verso quello degli altri due, per poi buttar giù il liquido forte.
Non potevano
sapere a che tipo di svolta stavano andando incontro, ma ciò non gli impedì di
passare il resto della notte a sognare un mondo in cui il loro lavoro avrebbe
dato così tanti frutti, da non aver più bisogno di una Legione esplorativa.
Ne di quattro
Mura a chiudere gli orizzonti.
L’alba stava
tingendo di rosa e arancio il cielo e Fritz si apprestava a partire.
La bella nottata
che si era figurato con Nina, a ballare e ridere insieme non si era potuta
realizzare, contando che aveva recuperato la compagnia della giovane solo una
volta tornato a casa con gli altri. Leopold e Rielke
l’avevano salutato alla meno peggio, prima di ritirarsi a dormire mezzi
ubriachi e stanchi morti. Il rosso, che si era rifiutato di tornare a cavallo
con lui e Engel quella stessa mattina, gli aveva battuto incoraggiante una mano
sulla sua spalla.
“Io la licenza
me la sono tenuta” aveva detto con impertinenza tipica di lui “Se tu non sai
far piani, è affar tuo! Buon ritorno a Nedlay!”
La prospettiva
del nord non lo animava, ma almeno sarebbe passato da casa a dormire prima di
avviarsi il giorno successivo.
Engel era già
seduto sul cavallo, occhi chiusi e mento appoggiato al petto, nascosto dalla
pensante mantella.
Gli parve
addormentato.
“Siete sicuri di
voler andar via così?”
Fritz si voltò
verso Nina, che con gli occhi appesantiti dalla stanchezza non si era comunque
tirata indietro e aveva deciso di salutarlo per bene. Sistemò l’ultima cinghia
della sella, prima di fronteggiarla, appoggiandole le mani sulle guance “Non ho
il tempo per dormire, ora” le fece sapere, prima di sospirare grave “Ci
rivedremo alla fine della primavera, temo.”
“Pregherò mio
fratello per farti assegnare a Trost, in qualche modo”
Nina lo abbracciò per i fianchi, appoggiando l’orecchio sul petto del ragazzo e
godendosi i battiti del suo cuore, un poco accelerati dalla sua vicinanza “Un
giorno lavoreremo gomito a gomito, io e te.”
“Sono anni che
me lo auguro.”
Si abbracciarono
il più a lungo possibile e poi Meier, costretto, si staccò per guardarla. Come ogni
volta, si chinò su di lei per baciarla, ma lei glielo impedì, tirandolo a sé e
appoggiando le labbra sulla sua fronte.
Qualcosa era
cambiato irrimediabilmente.
“Fa attenzione
lassù, va bene? E scrivimi ogni settimana.”
Un po’ deluso
dal bacio mancato, ma con un sorriso dolce sulle labbra sottili, il dottore la
lasciò andare “Come sempre.” Salì sul cavallo con un saltello fiacco,
sistemandosi la mantella mentre Nina si stringeva addosso una coperta di lana bianca intrecciata “Riguardati, Nina.”
Lei alzò una
mano, in segno di saluto “Anche tu. Sappi che sei sempre nei miei pensieri.”
“Nina, io ti-”
“Allora andiamo?”
Engel, che pareva essersi destato all’improvviso, si rese conto di aver
interrotto qualcosa, ma non ne poteva più “Voglio andare a dormire e siamo a
due ore e mezzo dalla Capitale.”
“Andiamo,
andiamo!” sbuffò Meier, prima di guardare di nuovo la donna di cui era tanto
preso “Ci vediamo tra qualche mese!”
I due cavalli si
avviarono sul ciottolato e Nina non attese di vederli sparire oltre la via per
rientrare, così stanca da riuscire a mala pena ad infilarsi nel letto di Rielke, accanto a Levi, prima di addormentarsi contro il
suo petto, senza esitazione alcuna.
Se avesse saputo
che quella sarebbe stata l’ultima volta il suo sguardo si sarebbe posato sul
sorriso dolce di Fritz, allora non l’avrebbe lasciato partire.
Nda.
So che sono sempre più in
ritardo, ma tra l’esame finale della mia carriera da triennale e la tesi ho
sempre meno tempo e riempio i buchi notturni con la scrittura.
Questo capitolo trasuda tutto
il mio percorso di studi in Antropologia: feste, che richiamano i nomi delle festività pagane,
usi e costumi strani e addirittura abitudini alimentari!
Mi sono proprio divertita.
Spero piacerà anche a voi,
grazie a chi legge e in particolare a chi mi recensirà.
Grazie alla dolce pulzella
che ha lasciato un commentino all’ultimo capitolo e a chi segue e basta.
Alla prossima!
C.L.