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Autore: Alessia_Way    21/09/2016    1 recensioni
"Come era possibile? Come poteva essere minimamente possibile che lui fosse attratto da quell’uomo? Attratto così tanto da esserne addirittura innamorato… Eppure da tre anni il rito era sempre stato quello, e lo faceva perché il suo carattere capriccioso voleva quel gesto, perché ne era davvero attratto. Ma da quando per il Conte la parola “attrazione” significasse “essere innamorato”? Lui non poteva innamorarsi, non di quell’uomo. Ci stava davvero cadendo, come tutti speravano che succedesse, e di certo non con lui. Eppure era proprio con lui che tutto stava accadendo. E voleva lasciarsi andare a quell’attrazione che stava attraversando il suo corpo e raggiungeva le sue labbra sottili, bramose delle altre. Lo desiderava, desiderava un contatto maggiore del semplice rito alla quale si erano promessi ogni qualvolta che lui riusciva nel suo ordine. E se… Quello che voleva sarebbe diventato un vero e proprio ordine? I suoi ordini facevano solamente muovere l’altro ai propri desideri… Quindi avrebbe potuto piegarlo al suo potere. Ma non sarebbe mai stato lo stesso se solo…" -Estratto
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Lindsey Ann Ballato, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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WriterCorner: Sono imperdonabile. Ancora. Ma ultimamente sono successe parecchie cose che mi hanno costretta a stare lontana dalla mia ff, ma sono ritornata, forse con un capitolo più corto, forse più lungo... Non lo so, ma sono ritornata, e chiedo davvero scusa per tutto ma credetemi, è ancora un periodo un po' difficile per me, soprattutto perchè adesso ho davanti il mio ultimo anno di liceo, la patente che mi aspetta e... Vi meritate questo capitolo, per avermi attesa. 
Arigatou.

 


執事赤 – Akashitsuji – The Red Butler

When eyes should see corpses, not bodies…

 
18 Marzo 1888

“Un, due, tre. Un, due, tre”.

Un.

Due.

Tre.

Quanto era difficile? Per lui non di certo.

“Devi darmi tregua!”.

“Concentratevi, bocchan! Dobbiamo lavorare parecchio”, la sua voce era decisa, che tentava di spronare quel piccolo disastro che stringeva fra le braccia per farlo “volteggiare” per tutta la stanza, senza alcun risultato. Pareva di stringere un pezzo di legno con gambe e braccia completamente paralizzate. Uno spettacolo esilarante tanto quanto stressante.

“No, basta!”, eccolo lì, che si arrese completamente. Madido di sudore, si allontanò dalle braccia del Maggiordomo, strattonandolo infastidito con affanno e i capelli completamente appicciati alla pelle della fronte, come il resto dei vestiti. Si dovette subito accomodare sulla poltrona sul fondo della stanza lasciata libera da strumenti musicali che, incessantemente, il Conte cercava di imparare senza alcun risultato. Giovane umano volubile.

“Vi siete già arreso?”.

Il tono di voce del Maggiordomo era cambiato, era provocatorio, come al solito, mentre il suo corpo si rilassava sul posto, con braccia incrociate e il peso spostato su una gamba, per niente stanco. Anzi, a differenza del giovane, era perfettamente lindo e pulito, senza alcuna traccia di sudore che non appartenesse al ragazzo che varie volte aveva poggiato distrattamente il viso sulla sua spalla per riposarsi. Eppure avevano ballato… Per due ore e mezzo. Possibile che fosse già così stanco? Non avevano fatto alcunché: il Conte aveva solo imparato da lui le regole, i passi base del valzer. Aveva promesso che non si sarebbe sbilanciato oltre eppure… Aveva distrutto il suo padrone.

“Geràrd, sono sfinito”, fece presente il Conte, fulminandolo con lo sguardo mentre tentava ancora di riprendere fiato, tenendo le mani poggiate sulle ginocchia, con la testa china e le labbra schiuse.

“E va bene, vi concedo una lunga pausa stavolta. Ma non credo che fermarci ancora ci sia d’aiuto, soprattutto a lei, signorino. Le sue abilità motorie sono alquanto…”

“Le mie abilità motorie sono solo fuori forma. E adesso preparami un bagno, continueremo nel pomeriggio”, e detto questo, il Conte si alzò di scatto, sprezzante, dalla poltrona. Ma la mancanza di ossigeno al cervello si fece sentire, tanto da fargli perdere l’equilibrio e svenire. Il corpo non sfiorò nemmeno il pavimento, ma si scontrò solo, nuovamente con quello del Maggiordomo, che lo resse in tempo da evitare una terribile botta con il parquet.

Umano debole.

Un sorriso divertito si fece strada tra le labbra dell’uomo che, delicatamente, avvolse con le braccia il corpo esile del padrone per portarlo nella rispettiva camera da letto, così da preparargli in seguito un bagno che lo avrebbe rigenerato, rilassato, e sicuramente lo avrebbe fatto riprendere da quello che si era rivelato un attacco di stanchezza. E così fece: adagiò il corpo del giovane sul piccolo divanetto che teneva accanto alla finestra, comodo, lasciando che le luci del giorno lo avrebbero dolcemente svegliato, per riempire la vasca di acqua tiepida nella toilette della camera da letto. Successivamente, avendo tutto pronto, si assicurò che il suo padrone si fosse svegliato, ma ciò non era ancora successo.

Perciò si avvicinò al corpo del giovane, ancora privo di sensi, e tentò di svegliarlo chiamandolo con voce cauta, con carezze o lievi colpetti di dita sulle guance. Nessun risultato.

Cos’altro avrebbe potuto fare per poterlo svegliare? Ovviamente non poteva lasciarlo in quello stato per chissà quanto tempo. Sudato com’era, non avrebbe rischiato che il suo padrone si ammalasse.

Eppure non si sarebbe mai permesso di toccarlo e di occuparsi di lui senza un permesso, soprattutto per fargli un bagno. In fondo, era solo un maggiordomo.
Ma in quei casi, era importante agire prima che il suo padrone prendesse un malore. E così fece: gli tolse delicatamente le bretelle che aveva messo per la lezione di valzer -in teoria le odiava ma sapeva quando era necessario indossarle- slacciandole sul davanti; lentamente sbottonò la sua camicia bianca e del tutto impregnata di sudore, che quasi si attaccava al giovane petto, rimasto poi libero e vittima di una lieve corrente dell’ampia stanza divenuta fredda su quella pelle umida.

Il corpo del giovane Conte poteva essere comunque visto come il corpo di un uomo non ancora del tutto formato, per via dell’età abbastanza matura, e lo si notava dalla non-presenza di pettorali poco definiti, ventre piatto e il tutto ricoperto da un velo sottile e morbido di peluria scura, in contrasto con il suo “fondo”. Non si permise di sfiorarlo con il tocco, ma solo con lo sguardo, scorrendo gli occhi dal collo e lungo le clavicole in bella mostra per via dell’esile corporatura; lo sterno era appena visibile ma le costole si presentavano più evidenti per via della pelle chiara e resa più vivida dai raggi di sole che penetravano dall’ampia finestra del bagno, l’unica fonte che illuminava le due figure. E la presenza del sudore imperlava e colorava di mille colori l petto che si alzava e si abbassava leggermente in atto di respirare. Fortunatamente ciò avveniva, rincuorò il suo cuore.

Si azzardò dunque a sfiorarlo all’altezza dello sterno, sulla peluria leggera, non riuscendo a vincere la tentazione, e passo poi le dita e lo sguardo lungo la linea centrale addominale, fino all’ombelico del ventre magro, pallido come se fosse perlato. Una visione paradisiaca.

Assurdo per uno come lui, soffermarsi su certe cose. Assurdo perché non poteva permettersi di concepire determinati pensieri sul suo padrone, nonostante quelle effusioni che spesso si scambiavano… E a lui non dispiacevano affatto.

No.

Non era permesso. Non era concepibile. Per lui il Conte era solo… una preda, un nulla, nulla che avesse importanza al di fuori del concepibile.

Non era nella sua indole, eppure desiderava…

“Cosa è successo?”, fu la voce che diede fine a tutti i pensieri, a tutte le azioni, che irrigidì il Maggiordomo, confondendolo maggiormente.

“Siete… Svenuto, mio signore”. Balbettava? Lui stava balbettando? Era inconcepibile. Era incredulo da quel tono di voce, tanto da non riuscire a capire da chi davvero potesse provenire quel suono. Eppure si toccò la gola con le dita coperte da guanti bianchi, cercando di capacitarsi di quello che era successo. Fortuna che il Conte parve non accorgersene…

“Svenuto? Mi hai sfiancato così tanto da farmi svenire?”, infatti il Conte cercò di mettersi in piedi, scendendo dalle braccia forti del Maggiordomo ma una volta aver poggiato i piedi a terra, un capogiro lo colpisce e ritorna ad addossarsi fra le braccia del suo salvatore, nuovamente in difficoltà nell’avere quel corpo mezzo nudo a stretto contatto. Era davvero in difficoltà.

“Perdonatemi, è stato il caldo che vi ha fatto perdere i sensi. Adesso vi rinfrescherete, pronto per affrontare il resto della giornata”. In effetti nella stanza entrava molta luce dall’esterno, si respirava un’aria calda, non troppo fastidiosa, ma con la lezione di ballo da poco intrapresa il corpo lo percepiva con una nota più alta.

“Tutto a posto, Geràrd? Non mi farai riprendere la lezione nel pomeriggio?”.

“Se vi sentite spossato, non insisterò per oggi”, o forse era una scusa per non ritrovarsi in situazioni poco piacevoli e consone…

Lasciò al Conte un po’ di spazio, assicurandogli che gli avrebbe sistemato la stanza e soprattutto il pranzo, visto che l’ora era vicina. E poi, non aveva troppa forza necessaria per reggere un solo sguardo in una determinata direzione al Conte. Non dopo l’episodio precedente.

La non-insistenza del Maggiordomo, spiazzò il Conte che, nel pomeriggio, dopo il pranzo e un lieve riposino, osservava ogni mossa dell’altro, facendo tutt’altro che dedicarsi alle lezioni di valzer promesse per il ballo.

“E se io volessi esercitarmi ancora?”.

“Non vorrei sveniste di nuovo”. La sua voce era lontana, poco interessata al vero soggetto della questione. Il Conte Frank notava particolari come quelli, lo conosceva alla perfezione, vista la convivenza protratta da lungo tempo. Ed erano proprio simili particolari che gli facevano destare sospetti sui pensieri del Maggiordomo. Aveva notato quel mattino con quanta fatica l’altro lo aveva guardato nudo mentre si rilassava in vasca, eppure non era mai stato un problema per lui, visto che lo vestiva e lo lavava continuamente. Nessuno, più di lui, lo aveva visto in determinate occasioni. E proprio quel giorno lo aveva insospettito tutto quel… distacco e quella difficoltà anche solo nel guardarlo.

“Sicuro che non ci sia dell’altro?”.

Il suo sguardo lo confuse. Gli occhi rossi parvero celare qualcosa di indecifrabile, una sorta di frustrazione senza alcun motivo, o almeno non ancora scoperto e compreso. Cosa c’era di tanto assurdo? Il tutto quel tempo, mai era capitata una cosa simile: certo, il Conte da poco aveva sviluppato un certo aspetto, più uomo, più virile, nonostante la giovane età si poteva dire che era cambiato da quando era solo un ragazzino magro e nient’altro. Non che praticasse sport di alcun tipo per perfezionare i muscoli, ma si poteva dire che il fisico slanciato, asciutto e muscoloso nei punti giusti e senza esagerazioni, facevano di lui un uomo che iniziava a crescere veramente sotto il punto di vista fisico – moralmente, era già cresciuto da un pezzo.

Quel mattino, infatti, si era guardato allo specchio, come per paura di trovare qualcosa di sbagliato nel proprio aspetto, tipo le spalle man mano sempre troppo pronunciate, la peluria sul petto, l’assenza di colore della pelle – che non gli era mai dispiaciuta – o anche solo in viso, i capelli o la leggera barba sulla mandibola. Perché adesso lo guardava in quel modo?

“Nient’altro, bocchan”.

Sentì un brivido, un brivido che lo fece raddrizzare sulla poltrona del proprio studio mentre osservava il Maggiordomo preparargli il tè con il solito rituale. Aveva già smesso di guardarlo per occuparsene, e sembrava più tranquillo, quando non era costretto a farlo.

“Geràrd…”.

E lì lo guardò di nuovo, quasi confuso, frustrato, specchio degli occhi del suo Conte, che si era alzato e lo aveva raggiunto dall’altro lato della scrivania per poggiargli una mano sulla spalla. Il Maggiordomo parve cedere, come se non riuscisse a sostenere quella vicinanza dopo quello che era accaduto poco prima. Si sentiva crollare, e non gli era mai capitata una cosa del genere. In fondo, lui era solo… lui. Ma era tutto diverso, in quel momento, tanto da sentirsi confuso e spaesato.

“Ditemi, mio padrone”, tentò però di sostenere la situazione, eliminando dalla mente i pensieri poco adatti che aveva pensato quella mattina dopo la lezione di ballo.
Non ebbe il tempo di sentirsi rispondere che percepì subito il fiato caldo del giovane vicino al proprio, vicino le labbra ma non quel tanto da potersi sfiorare o anche solo toccare e ciò lo frustrava a livelli che non pensava di poter raggiungere.

“Non ho bisogno di menzogne. Sai bene che ti conosco e non ho bisogno di sentirti mentire per capire che lo stai facendo”.

La sua voce era così debole ma provocatoria sotto un certo aspetto che il Maggiordomo non si aspettava in quel momento di poter sentire e si sentì troppo preso alla sprovvista che rischiò di farsi vedere troppo debole. Si ricompose immediatamente, annuendo piano alle parole dell’altro e senza dire nulla gli baciò la fronte, allontanandosi da quel corpo per potersi salvare.

“Vi preparo il pranzo, bocchan”.

Non avrebbe più permesso che quei momenti avrebbero nuovamente preso il sopravvento su di lui, mostrarsi esposto agli occhi del suo padrone, di quel ragazzo era una cosa che non poteva più permettersi. Ed era proprio come lui si prometteva a se stesso, il Conte si maledisse per aver annullato quella distanza fra di loro in così poco tempo ed essersi avvicinato troppo a quel viso meraviglioso che, purtroppo, continuava a regnare nei propri sogni la notte e che portava alla luce sensazioni mai provate prima.


E che forse, non avrebbe mai dovuto provare.









My thoughts are with you
Holding hands with your heart to see you
Only blue talk and love,
Remember how we knew love was here to stay

   
 
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