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Autore: localcyrus    23/09/2016    0 recensioni
La vita di Rebecca Ashenoff è stata segnata nel profondo quando la sua migliore amica si è spenta davanti a lei durante un incidente stradale.
Il senso di colpa la trafigge continuamente e trasferisi a Chicago, la città che da sempre desidera visitare, sembra essere l'unica soluzione per evitare il disastro emotivo.
Fino a quando, in circostanze piuttosto ambigue, si imbatte nel giovane Zayn Malik, un enigmatico e promettente talento dell'informatica, che nasconde però la sua identità, mostrandosi al mondo unicamente servendosi dell'uso di un robot, con la scusa di dover testare l'oggetto nel Centro di Sperimentazione Robotica dove entrambi lavorano.
Dapprima affascinata, la ragazza si troverà a fare i conti con il proprio passato, per poi scoprire che all'apparenza nulla è come sembra.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La musica suonata a tutto volume dallo stereo gracchiante della mia auto non mi disturba, mi aiuta a non pensare che sto letteralmente fuggendo come una vagabonda, con i capelli arruffati e ancora i vestiti di stamattina addosso. Mi strofino gli occhi stanchi, noncurante del trucco che si sarà sicuramente sciolto. Il mio aspetto è l'ultima cosa di cui m'importa al momento. Cerco di respirare profondamente, come se fosse facile dato che ho una pietra bloccata sul petto che non accenna a spostarsi. La strada davanti a me è deserta e lineare, ho da poco lasciato il traffico cittadino per immettermi nella tranquillità della campagna che sboccia al tramonto. Dovrò affrontare molte ore di viaggio ma ciò non mi preoccupa molto, spero che questa piccola fuga mi aiuti a rimettere insieme i pezzi di una vita disordinata e caotica. Il mio telefono squilla ma lo ignoro, per tutte le ventisette volte in cui lo fa, perché semplicemente non m'importa se qualcuno ha qualcosa di importante da dirmi, se Liam si arrabbierà perché non andrò a lavoro o se Zayn non vorrà più vedermi per il resto della sua vita, semplicemente non m'importa. Quando il sole ha lasciato il posto alla notte già da diverso tempo e sono in viaggio da ormai sei ore, decido di fermarmi in un motel squallido quasi quanto la mia casa il giorno in cui l'ho vista per la prima volta, ma non mi lamento. Butto il mio borsone sul letto sciattamente rifatto per poi stendermi accanto ad esso, chiudendo gli occhi ed addormentandomi nella solitudine di questi miei giorni tristi, cullata dal silenzio che mi invade e mi riempie. Mi sveglio a causa dei raggi solari che puntano dritto ai miei occhi, imprecando di prima mattina per questo buongiorno non proprio soave. Con la luce solare ho modo di osservare la camera, che forse era meglio rimanesse nell'oscurità. L'armadio cigolante da film dell'orrore domina gran parte dell'ambiente ed è un bene che io non l'abbia notato ieri sera, altrimenti penso che non avrei chiuso occhio stanotte, terrorizzata di vedere qualche demonio spuntarne fuori. La moquette marrone, che non toccherei nemmeno dietro compenso in denaro, è costellata da macchie di diverse dimensioni, di cui non voglio conoscerne la provenienza. Il bagno è accettabile, per quello che si può sperare in un motel da venti dollari a notte pieno di camionisti ubriachi e prostitute indaffarate, e mi beo della sensazione di una doccia tiepida che ristora, anche se di poco, il mio corpo. Lascio che il calore prodotto dal piccolo rubinetto arrugginito mi riscaldi fin dentro le ossa mentre l'acqua porta via le lacrime secche sul mio viso spento. Fisso la mia immagine attraverso il piccolo specchio appannato: ho gli occhi incavati e piccoli, come se non dormissi da secoli o mi fossi appena sparata in vena qualche sostanza stupefacente, le guance inarcate verso l'interno mi ricordano che non mangio nulla da ieri e il mio stomaco che si contorce lievemente ne è la conferma. I capelli sono un ammasso informe simile ad un nido di uccello, devo sistemarli in qualche modo, penso he sarà la prima cosa che farò non appena arriverò a casa. Sono sfibrati e hanno lo stesso aspetto da troppo tempo, il castano mogano con cui li ho tinti mi ricordano troppo i capelli di Susan, motivo in più per ritornare al biondo naturale che avevo diversi anni fa. Penso che questo sia il primo passo per ricominciare, forse non paragonare i miei capelli ai suoi ogni volta che passo davanti ad uno specchio mi potrebbe aiutare. Accantono questi pensieri nell'angolo più remoto della mia mente, prima di indossare qualcosa di decente, per quanto mi sia possibile visto che mi accorgo solo ora di aver messo nel borsone vestiti completamente a caso e incoerenti tra loro, ma poco m'importa. Una t-shirt grigia con un paio di jeans neri strappati alle ginocchia e una giacca di pelle possono andare bene. Non ho molte pretese per il mio look, soprattutto non oggi. Mi affretto a lasciare quel posto squallido dopo aver allungato una banconota da venti dollari all'uomo di mezza età intento a fare cruciverba dietro la scrivania e a bere gin tonic nonostante non potrà essere più tardi delle dieci di mattina. Il telefono squilla nel momento esatto in cui mi siedo al lato di guida della mia auto, in un tempismo perfetto. "Pronto" Decido di rispondere. "Rebecca!" Liam "Dove sei finita stavolta?" Sono contenta che si preoccupi per me e si accerti che non sono deceduta nel sonno, ma la sua insistenza certe volte mi mette a disagio, come se volesse controllarmi o qualcosa del genere. "Sì..Scusa" Mugugno mordendomi l'interno del labbro inferiore mentre rifletto velocemente su una scusa plausibile da inventare "Ho la febbre, sono a letto" "Oh. Mi spiace. Vuoi che venga a farti compagnia?" Domanda premuroso, e per un attimo, solo uno, mi pento di avergli mentito. "Ehm...no, non preoccuparti...non voglio che...ti ammali anche tu, ecco" Mormoro sperando che se la beva. "Okay...solo, sei sicura di stare bene?" "Benissimo. Cioè, è okay ho solo un po' di febbre" "Va bene" Annuisce, prima di fare mille raccomandazioni per poi chiudere la chiamata. Spero che non mi chiami in continuazione, davvero non riesco a sopportare le persone che mi stanno troppo addosso. Senza pensarci troppo mi immetto sulla strada non troppo trafficata, ringraziando mentalmente il Minnesota per non essere poi così tanto incasinato come Chicago. Mi ci vogliono altre tre ore di viaggio prima di arrivare a destinazione, e alla fine decido di fermarmi in una stazione di servizio per comprare qualcosa a papà e a Niall, visto che oltretutto mi sto presentando lì senza nemmeno avvisare. Ma dopotutto sono maggiorenne e quella è anche casa mia, quindi non penso che faranno troppe storie vedendomi sbucare dal nulla. Essere a casa mi ricorda cose belle e altre che vorrei dimenticare, come due facce delle stessa medaglia. Le strade, i parchi, le auto posteggiate accanto ai piccoli negozi mi portano lontano dalla frenetica vita cittadina a cui mi sto lentamente abituando, in un veloce, quanto doloroso salto nel passato che rimando da troppo tempo. Fermo l'auto davanti alla scuola di Niall, il liceo che non molto tempo fa ho frequentato anche io, insieme a lei. Scaccio via qualche brutto pensiero che, insieme a qualche piccola lacrima, minaccia di farmi crollare proprio ora e mi appoggio alla fiancata del mio fuoristrada non troppo pretenzioso un attimo prima che la campanella di fine lezione emetta quello stridulo suono, provocando una folle immane di studenti che si riversa nel cortile ghiaioso. Certo di scrutare con gli occhi i visi di quei ragazzi, non conosco quasi più nessuno, ormai le persone che vanno al liceo sono quelli che io e qualche altro mio amico prendevamo in giro ai tempi delle medie, quando loro erano bambini e noi giocavamo ad essere più grandi. Il viso di ognuno di loro mi ricorda qualcosa, o qualcuno. Posso riconoscere quella che mi sembra essere la sorella di Tracy, una delle tante sgualdrine della mia classe, che pare aver ereditato lo scettro da perfetta stronza, come il dna di famiglia impone. Cammina con fare altezzoso e sorrido nel vederla pavoneggiarsi con altre sue coetanee, decidendo forse su quale ragazzo fare colpo alla prossima partita di rugby. Nessuno qui sembra notarmi, e ne sono grata, ma c'era un periodo in cui tutti sapevano chi fossi. Mi fermavano per strada, o quando mi vedevano mormoravano frasi del tipo 'la ragazza dell'incidente', 'stava insieme a quella che è morta' e giù a ridere come se sulla morte di qualcuno ci fosse davvero qualcosa su cui scherzare. Susan è stata tutto meno che una persona da prendere in giro, eppure lo hanno fatto anche dopo la sua morte. C'erano persone che mi offrivano compassione, come se avessi sul serio avuto bisogno di una spalla estranea su cui piangere, come se un 'mi dispiace' mormorato per sentirsi in pace con la propria coscienza fosse servito a riportarla in vita. Ora sono contenta che nessuno mi riconosca, preferisco stare in incognito piuttosto che sotto lo sguardo di tutti. "Sorella?" Okay, forse per una persona posso fare un'eccezione, e mi va, anzi mi spetta di diritto essere riconosciuta. "Fratello" Mormoro compiaciuta, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla. "Oddio, vieni qui" Mugugna saltandomi letteralmente addosso. Le sue braccia sono come un piccolo rifugio per me, sembra ieri quando ero io a dare conforto a lui, quando si sbucciava un ginocchio e piangeva allungando il labbro inferiore all'infuori, mentre ora penso che se non ci fosse stato lui a reggermi in piedi sarei già caduta molteplici volte. "Non ci credo" Afferma guardandomi negli occhi, i suoi lucidi e vivi. Mio fratello ha questo pregio: riesce a farmi sentire in pace. Gli sorrido accarezzandogli il collo, la sua altezza sovrasta notevolmente sulla mia da ormai un mucchio di anni e ci ho fatto l'abitudine. "Pensavo che non saresti mai tornata" Mormora guardandomi negli occhi. La sua voce piccola e roca. "Sono stata via solo un mese e poi non potrei mai dimenticarmi di voi. Di te, specialmente" Sorride cingendomi un fianco mentre gli accarezzo le guance rosa. "Sei bellissima, Rebecca" Afferma tutt'a un tratto, tenendo gli occhi fissi sul pavimento. "Okay, stai divagando" Alzo le mani per sdrammatizzare, lui mi sorride e capisco che il suo umore si è leggermente risollevato. "Ti ho portato un regalo, anzi due" Proseguo, i suoi occhi si illuminano immediatamente "Uno di questi ti piacerà, nel vero senso della parola" Annuncio entrando in macchina ed invitandolo a fare lo stesso. "È tua?" Domanda curioso mentre mi allungo verso i sedili posteriori. "La macchina dico" "Sì. Sai non potevo continuare a prendere autobus all'infinito e, anche se io e Roxy ci stiamo ancora conoscendo, penso che diventeremo grandi amiche" "Hai dato un nome alla tua auto?" Ridacchia mostrando delle piccole fossette al lato della bocca. "Sì, forse" Faccio spallucce porgendogli una busta blu con cui ho confezionato il regalo. Quando la apre gli occhi gli brillano come al solito, quando vede del cibo, e io so, non che prima non lo sapessi, di aver colto nel segno. "Rebecca" Dice adorante, analizzando la tavoletta di cioccolato che ho acquistato lungo la strada "Tu mi vuoi morto" Indica il dolce, ed io alzo ed abbasso le sopracciglia ripetutamente, in senso di sfida. "C'è ancora una cosa" Indico il sacchetto sulle sue ginocchia che lui fissa attentamente prima di infilare la mano al suo interno. "No" Mormora estraendo l'ultimo cd degli Artic Monkeys. "Non ti piace?" Ironizzo, sapendo che è la sua band preferita. "Ti ho mai detto che ti amo?" Esorta indicandomi. "Lo hai fatto ora" Alzo una spalla come se non mi importasse, in realtà sono felice di avergli fatto un regalo. "Sei la sorella migliore del mondo, e non scherzo" Mi lancia uno sguardo d'intesa, e io capisco che non lo sta dicendo solo per fare il ruffiano al momento. "Io non ho un regalo" Annuncia quando siamo quasi sotto casa. "Non ho detto di volerne uno" "Sì ma-" "Il tuo regalo sarà aiutare papà a riprendersi quando mi vedrà spuntare dal nulla" Lo interrompo ridendo. "Non glielo hai detto?" Domanda visibilmente stupito, come dargli torto "Andrà tipo in paranoia!" "Sì, inizierà a dire 'Oddio la casa non è in ordine' o cose simili" Mormoro imitando la sua voce mascolina. "Come se io fossi un ospite alla fine" "Oppure dirà 'Non ho nemmeno fatto la spesa, il frigo è vuoto'" Prosegue mio fratello, trattenendosi dalle risate. "Niall" Gli lancio una lunga occhiata prima di tornare a fissare la strada quasi deserta "Non ricordo un attimo della mia vita in cui il nostro frigo sia stato pieno, questo perché tu hai sempre fatto fuori tutto nel giro di due minuti. Quindi non penso sia questo il problema" Ridacchio. Lui fa una smorfia da finto offeso e io allungo una mano per solleticargli la pancia e farlo ridere. "Ti ricordi quando papà aveva comprato la torta alla fragola la sera prima del tuo compleanno e il giorno dopo non c'era più?" Domanda divertito. "Dovei picchiarti per questo, lo sai? Mi hai traumatizzato un compleanno!" "Era buona" Mi strizza l'occhio sorridendo. "Come...come hai fatto a mangiare un'intera torta a forma di sette in una notte?" Gli chiedo sbalordita. "Non è stato in una notte" Puntualizza alzando un dito "Ho finito tutto in neanche cinque minuti" Lo fisso cercando di trattenermi, ma quando mima una faccia buffa non posso fare altro che abbandonarmi alle risate insieme a lui nel ricordare la sua faccia sporca di panna e fragola quella mattina, mentre giurava di non aver fatto nulla. E in un attimo sembra non esserci mai stato nulla, niente di brutto o drammatico, nessun ricordo triste o lacrima versata sul pavimento freddo con il petto in fiamme. Sembra come se avessi dimenticato che, ventiquattr'ore fa stavo lasciando che il dolore si impadronisse si me, impedendomi quasi di respirare. In un attimo, non c'è più nulla. Ci siamo solo io e mio fratello, in un auto, fermi sul ciglio di una strada familiare a ridere fino ad avere le lacrime agli occhi, fino a non riuscire più a parlare, fino a dimenticarsi del dolore che ha trapassato entrambi per intero.
   
 
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