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Autore: BebaTaylor    26/09/2016    1 recensioni
2015. Erikson, Presidente degli Stati Uniti d'America, rivela al mondo l'esistenza di alcune persone dotate di poteri particolari: possono creare il fuoco dal nulla, possono trasformarsi in animali, creano elettricità con le mani, hanno premonizioni... Erikson le vuole catturare e rinchiudere perché sono pericolosi. Mostri assassini, li definisce. Soldier, si definiscono loro.
Crystal fugge dopo la morte della nonna, unica parente. Non si fida più di nessuno, nemmeno dei vicini. Marie-Anne scappa, spaventata da quello che è. Benjamin se ne va dopo la misteriosa scomparsa del padre. Kathy e Samuel fuggono dopo la festa per il loro fidanzamento, Erik segue l'istinto e scappa, Kyle e Jenna scappano perché è l'unica cosa da fare. William, Emily e Sarah scappano dopo che gli uomini di Erikson hanno ucciso la madre davanti a loro. Dawn, della sede Newyorchese della Projeus, momentaneamente trasferita in Canada, cerca di salvarli, perché Erikson è venuto in possesso di una lista con i nomi di tutti i Soldier della parte orientale degli USA. C'è una talpa, alla sede. E ce ne è una anche nei fuggitivi diretti in Canada.
E questa è la loro storia.
*eventuali scene splatter|Azione|Introspezione*
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Projeus:
The Big War

3.
Terzo Giorno -Prima Parte-

Lunedì 7 Settembre.

Benjamin aprì gli occhi e si guardò attorno, non capendo dove fosse. Mise a fuoco la stanza, non riconoscendola. Per un attimo si domandò se non fosse andato a casa di qualche ragazza conosciuta in un pub, magari dopo aver bevuto un po' troppo. Poi ricordò.

Fissò Crystal che dormiva prona, Emily accanto a lei, che stringeva una ciocca di capelli della mutaforma nel pugno sinistro, mentre il pollice destro poggiava sulle labbra. William dormiva su un fianco. Li coprì e fissò Sarah, nel lettino ai piedi del letto, la vide agitarsi nel sonno, il ciuccio accanto alla testa. Lo prese e sfiorò la bocca della bambina: lei schiuse le labbra e il ciuccio scivolò fra di esse. Benjamin uscì da quella camera e, una volta in corridoio, guardò l'orologio. Erano appena le tre di notte.

Andò in bagno, in fondo era per quello che si era svegliato: forse trangugiare una pinta di acqua prima di dormire non era stata una buona idea. Mentre si lavava le mani, la torcia appoggiata alla mensola sotto allo specchio, pensò a quello che era successo la sera prima. Aveva fatto sesso con Crystal. Ne aveva avuto il disperato bisogno. Tutto quello che era successo il giorno prima era stato semplicemente troppo. Veramente troppo. Voleva sentirsi vivo, almeno per un momento. E si era sentito vivo mentre stringeva fra le braccia Crystal o mentre le mordeva il collo, o quando lei lo aveva graffiato, gemendo così piano il suo nome che se non avesse avuto l'udito di un lupo non l'avrebbe mai sentito. Si lavò le mani, scacciando quei pensieri e tornò a letto, dicendosi che poteva dormire altre tre ore.

❖.❖.❖

Dawn scivolò dalle braccia di Steven stando attenta a non svegliarlo. Si mise seduta e sbadigliò, alzò le braccia sopra la testa e le stiracchiò. Si alzò in piedi e andò nel bagno della sua stanza. Con uno sbadiglio si guardò allo specchio, decidendo che i capelli erano ancora puliti, così prese la cuffia di plastica e la indossò, infilando sotto di essa tutte le ciocche bionde. Erano appena le quattro e lei non sarebbe più riuscita a dormire, quindi tanto valeva alzarsi e iniziare a lavorare.

Uscì dalla doccia e afferrò l'asciugamani giallo chiaro e, prima di avvolgerlo sul suo corpo, si guardò allo specchio: sopra il seno sinistro s'intravedeva una sottile bruciatura, che scendeva fino quasi al capezzolo, seguendo una linea a zig-zag immaginaria. Era stato Steven a fargliela, la sera prima. Il ragazzo era un elettrocinetico. A lui piaceva darle qualche scarica elettrica e a lei piaceva riceverle. Le piaceva quel piccolo brivido che le procurava, facendola eccitare ancora di più. Le piaceva quando lui la sfiorava, partendo dalle labbra e scendendo lungo la gola, per poi soffermarsi sui seni, scendere ancora più giù, sulla pancia e ancora più giù...

Dawn scosse la testa e si coprì, tolse la cuffia, afferrò la spazzola e iniziò a pettinarsi.

Un quarto d'ora dopo era nella caffetteria dell'istituto. Apriva alle sei e mezzo del mattino e chiudeva alle undici di sera, quindi non avrebbe trovato nessuno che le preparasse un cappuccino, però c'era la caffetteria americana, quella da bar, bollitori, fornelli elettrici per scaldarsi il latte, zucchero, panna da caffè in monoporzioni, bustine di tè e tisane. Dawn si preparò del caffè e ci aggiunse del latte caldo, infilò nella tasca dei pantaloni un paio di bustine di zucchero e un cucchiaio di plastica, afferrò un paio di panne e andò nel suo ufficio, dall'altra parte dell'edificio.

Una volta lì accese il computer, aggiunse panna e zucchero al caffè e fissò il sistema operativo che si caricava. Avviò il programma dell'istituto e fissò la colonna a destra, quella che indicava chi fosse collegato in quel momento.

Fissò i nomi — erano sei — e si accorse che erano tutti del Projeus Institute di Los Angels, al momento trasferito in Canada anche quello, a Edmonton. Daniel era in linea, così cliccò sulla sua faccia, facendo aprire una finestrella.

“Ancora sveglio?” gli scrisse.

“Già sveglia?” replicò lui e un attimo dopo la video chiamata fu avviata.

«Come va?» domandò Daniel, gli occhi azzurri cerchiati da profonde occhiaie.

«Come da voi.» sospirò lei e sorseggiò il caffè. «Una merda.» disse.

Daniel annuì. «Avete trovato la talpa?» domandò.

«Non ancora.» grugnì lei, «È stata capace di non lasciare tracce.»

Daniel fece una smorfia, «La troverete.» disse.

«Sì.» esclamò, certa che l'avrebbero trovata. Erano i migliori, dopotutto. «Senti... non è che avresti un Cercatore da prestarmi?» domandò.

Daniel scosse la testa e i capelli biondo scuro gli scivolarono sugli occhi, li scostò con una mano e sospirò, «Purtroppo no.» disse. «Abbiamo un quarantacinquenne ma al momento lo stanno operando: uno stronzo lo ha accoltellato.» sospirò, «Poi c'è Abram, ma ha quasi settantasei anni e la sindrome del viale al tramonto...» scosse la testa, «L'unico che potevo mandarti lo hanno ammazzato.» sputò.

«Merda.» sbuffò Dawn. «E i canadesi?» domandò, «Qui non ce li prestano, hanno troppa paura... anche se devono solo puntare il dito su una cazzo di cartina.» borbottò.

«Anche qui.» confermò lui. «Ce la faremo, Dawn.» disse dopo qualche attimo di silenzio.

Dawn sorrise, «Sì.» confermò, «Vai a dormire, Danny.» disse e ignorò la smorfia di lui, che odiava essere chiamato in quel modo. «Ci sentiamo.»

«Dormi anche tu.» replicò lui, soffocando uno sbadiglio, «Ciao.» disse e la comunicazione venne interrotta.

Dawn bevve un lungo sorso e reclinò il capo, posandolo contro il poggia testa. Fissò il soffitto, sentendosi stanca e svuotata. La situazione le stava sfuggendo di mano e lei si sentì inutile.

Inspirò a fondo e prese un altro sorso di caffè. Mosse il mouse, andando ad aprire l'elenco di tutti i Soldier di cui si occupava l'istituto di New York. Fissò le colonne: dati anagrafici, il loro stato attuale — morto, arrivato lì in Canada, disperso.

Quelli arrivati lì in Québec erano solo una piccola parte, circa il quindi percento sul totale. I Soldier erano lo 0,01777% di tutta la popolazione degli USA, 56700 persone, e la sede di New York si occupava della metà di loro. Di questi, solo duecentoquaranta erano già arrivati in Canada, sistemati in vari appartamenti o in hotel, in attesa che la situazione si sistemasse.

Dawn voleva disperatamente avere un Cercatore, così avrebbe potuto mettergli davanti la foto dei dispersi, una cartina degli USA e chiedergli di trovarli, poi avrebbe mandato uno dei ragazzi con il teletrasporto per prelevarli e portarli in Canada. Peccato che i Cercatori fossero lo 0,011% della popolazione Soldier, ossia appena sei, di cui una bambina, un ventiquattrenne e una novantacinquenne — una dei loro capi — attaccata a un respiratore. Nascevano ogni diciassette anni e mezzo e non erano ancora riusciti a capire perché il potere non si trasmettesse come gli altri.

Fissò la lista dei poteri dei Soldier, disposte in ordine, dal più numeroso al più raro: mutaforma, forzuto, elettrocinetico, pirocinetico, miratrice, preveggenza, calcolo dei sistemi complessi, calcolo probabilità, teletrasporto, corsa, apparizione oggetti, psicometria, invisibilità, Cercatore.

Sospirò, frustata, finì il caffè e si alzò in piedi per andare a prepararsene un altro.

❖.❖.❖

Benjamin sentì qualcosa che gli toccava la faccia. Sbadigliando, aprì gli occhi e intravide la faccia di William che lo fissava.

«Devo fare la pipì.» mormorò il bambino, «Ma è buio.»

Benjamin sbatté un paio di volte le palpebre e vide che mancavano dieci minuti alle sei, «Sì, sì.» borbottò, «Andiamo.» sospirò, afferrò la torcia e l'accese. Nel letto c'era solo Emily.

Quando uscì dalla camera, gettò uno sguardo in cucina: Crystal era seduta al tavolo e stava dando un biberon di latte a Sarah. «Buongiorno.» la salutò.

«Giorno.» sbadigliò lei, «Il caffè e pronto, se vuoi.»

Benjamin annuì e accompagnò William in bagno. Quando uscirono andarono in cucina, fece sedere il bambino e si versò una tazza di caffè. «Sei sveglia da tanto?» domandò sedendosi a sua volta.

«Una ventina di minuti.» rispose Crystal, «Aveva fame.» indicò con un cenno della testa la bambina.

«Mamma! Mamma!»

Il grido fece sobbalzare tutti quanti e Sarah scoppiò a piangere. Benjamin si alzò di scatto, corse in camera e sollevò Emily che singhiozzava, «Non piangere.» le sussurrò accarezzandole la schiena scossa dai singulti. Tornò in cucina e si sedette, tenendola in braccio. Passarono interi minuti prima che i singhiozzi cessassero e che la bambina smettesse di piangere.

«Vuoi fare colazione?» le chiese Benjamin e la bambina annuì, «Ci sono latte e biscotti.» disse e si alzò, fece sedere la bambina al suo posto e andò al fornello per scaldare il latte.

Fecero colazione in silenzio, sistemarono le loro cose e, alle sei e trentacinque, uscirono da quella casa.

Camminarono per poco e Benjamin si fermò. «Guarda.» disse a Crystal.

Lei fissò l'auto grigia con la portiera spalancata, il corpo di un uomo riverso accanto a lei. Deglutì, «Vuoi prenderla?» domandò.

Benjamin annuì, «Sì.» rispose, «State qui.» ordinò e si allontanò, attraversò la strada e si chinò sull'uomo: aveva una cinquantina di anni abbondati, forse sessanta. E un buco in fronte. Con un sospiro raccolse le chiavi accanto alla mano dell'uomo e le infilò in tasca poi trascinò l'uomo lontano dalla vista dei bambini, dietro una bassa siepe. Fece un cenno con la mano e Crystal e i bambini lo raggiunsero.

«Salite.» disse.

«Non ci sono i seggiolini.» protestò Emily, «Noi dobbiamo stare sui seggiolini.» disse.

«Ha ragione.» sospirò Crystal, «In particolare per Sarah.»

«Puoi tenerla in braccio.» disse Benjamin.

«È pericoloso.» borbottò lei, «Può farsi molto male.» disse, «Basta anche un minuscolo tamponamento.»

Benjamin si morsicò le labbra ed espirò. «Okay.» soffiò, «Per ora salite, adesso cerchiamo dei seggiolini, okay?» propose, «Ma salite, svelti.» disse e aprì la portiera posteriore e i bambini salirono di corsa, stringendosi al petto gli zainetti e i pupazzi. Benjamin caricò gli zaini nel bagagliaio e Crystal sollevò Sarah dal passeggino e prese anche la borsa. Se la bambina avesse avuto fame, avrebbe potuto darle un biscotto: lo aveva fatto anche quella mattina e la piccola aveva gradito.

«Le cinture.» esclamò, con una vocina quasi petulante, Emily.

«Ah, sì, giusto.» disse Benjamin e le allacciò a entrambi i bambini, notando che le cinghie passavano proprio sotto il loro collo. «Adesso troviamo dei seggiolini.» disse e salì in auto, si allungò e aprì la portiera del passeggero. Crystal salì, lasciò la borsa fra i suoi piedi e sistemò la bambina sulle sue gambe.

«Aiutami.» disse mentre con una mano sosteneva Sarah e con l'altra tirava la cintura di sicurezza.

Benjamin l'aiutò, allacciò anche la sua e strinse la chiave, la infilò nella serratura e sorrise. «Pronti per il Canada?» domandò mentre il rombo del motore risuonava nel mattino silenzioso.

Mentre avanzava fra le strade della piccola città si guardava attorno, alla ricerca di un auto con uno di quei cartelli “Bimbo a bordo”. «Crys, adesso freno.» disse, «Guarda a sinistra.»

«Non chiamarmi Crys.» replicò lei e guardò. Fissò il lunotto posteriore della Nissan blu. “Claire a bordo”, “Lucas a bordo”, “Charlie a bordo”. «È perfetto.» disse, «Speriamo che uno vada bene per Sarah.» sospirò.

Benjamin frenò piano e fermò l'auto, «Bambini, state qui.» disse, «Io e Crystal andiamo a prendervi i seggiolini.» spiegò e i bambini annuirono.

Crystal slacciò la cintura e aprì la portiera, uscì e spalancò quella dietro, «State attenti, non fatela cadere.» disse posando Sarah nello spazio fra i due bambini. Torniamo subito.» sorrise. Fu quando si voltò che sentì quell'odore: sangue. «Benjamin...» mormorò.

Lui si voltò e annuì. Quell'odore era troppo forte, troppo vicino e troppo familiare. Fu quello a colpirlo più di tutti. Quell'odore che conosceva così bene. Fece il giro dell'auto e portò le mani alla bocca, imponendo all'urlo che voleva uscire di restare lì.

«Dio mio.» soffiò Crystal, apparendo al suo fianco. «Li hanno... li hanno...»

«Uccisi.» soffiò lui, fissando i cinque cadaveri. Forse era stato Nelson a ucciderli. Un'intera famiglia distrutta. «Sono... erano lupi.» mormorò distogliendo lo sguardo. Deglutì a fatica, sentendo un groppo in gola, «Prendiamo i seggiolini.»

La macchina non era chiusa, così spalancarono le portiere e, con un po' di fatica, riuscirono a prendere i seggiolini. Velocemente e in silenzio li montarono sulla “loro” auto, ci sistemarono i bambini e ripartirono, sempre in silenzio.

«Dove sono?»

Crystal voltò la testa, fissando Emily che stringeva Mr Pig, Sarah con in bocca il ciuccio e William che aveva fatto quella domanda. «Chi?» chiese.

«I bambini di questi seggiolini.» rispose lui. «Dove sono?» ripeté «E la loro mamma?»

Crystal lo fissò, sapendo che non poteva dire loro la verità, «Non ci sono.» rispose, «Sono andati via.» sospirò tornando a guardare la strada.

«Sono morti?»

La domanda di William gelò Crystal e Benjamin, che si fissarono. «Sì.» soffiò Crystal.

«Come la mamma?» chiese il bambino.

«Sì.» rispose Crystal.

«Ah.» commentò il bambino e nell'auto tornò di nuovo il silenzio.

❖.❖.❖

Samuel strinse la cartina e sbuffò. Quel girare in tondo gli faceva venire l'ansia ma si fidava di Erik quando diceva che c'erano pattuglie e soldati mandati da Erikson. Quello che non sopportava più era il comportamento di Marie-Anne: se avesse detto un'altra volta che dovevano prendere l'interstatale non era sicuro di trattenersi dal buttarla giù dall'auto in corsa.

«Dove siamo?» domandò Kathy.

«A metà strada fra Luray e Harrisonburg.» rispose lui.

«Sei precisissimo.» borbottò Erik.

«Non è colpa mia se questa cartina non segna tutte le città e i paesini.» replicò Samuel.

«Dobbiamo prendere la sta-»

«La statale.» finì Erik per lei. «Sì, lo dici sempre.» disse, «Ma non sarà così.» la guardò dallo specchietto retrovisore e le sorrise, vedendola arrossire appena. «Prenderemo una statale solo quando varcheremo il confine.» esclamò, «Con il Canada.»

Marie-Anne tacque e incrociò le braccia, vagamente offesa. Non sopportava più Erik e il modo in cui la trattava, come se avesse sei anni e non ventisei. Guardò fuori dal finestrino, annoiata dal paesaggio tutto uguale. «Se continuiamo a girare in tondo non arriveremo mai.» si lamentò.

«Ha ragione.» disse Kathy, stupendo tutti quanti — e per poco Erik non inchiodò in mezzo alla strada quasi deserta.

«Cosa?» fece Marie-Anne, stupita, forse più degli altri.

Kathy scrollò le spalle, «Ha ragione.» disse, «Sono due giorni che giriamo in tondo, andiamo in West Virginia e poi torniamo qui, poi siamo di nuovo là e poi ancora qui...» esclamò e sospirò, abbassando le spalle, «Basta che ce ne andiamo.» disse.

Erik sospirò, «In West Virginia c'è una persona che conosco.» disse, «Ma non riesco a capire chi sia. E se provo a concentrarmi su tutte le persone che conosco mi scoppierà il cervello.»

«Vuoi andare da lei?» chiese Kathy, «Ma sai almeno se è maschio o femmina?» domandò.

Erik scosse la testa, «Non lo so.» rispose, «E sì, voglio trovarla.»

«Lasciamola lì!» squittì Marie-Anne, «Lasciala lì!» esclamò, «Cosa ce ne frega! Andiamo via!»

Erik frenò così bruscamente che gli occhiali scivolarono via dal naso di Samuel. Li trattene con due dita e li spinse al suo posto. «Lasciarla lì?» esclamò il Cercatore. «È una persona come noi, con un potere.» disse, «Se ho raccolto te non vedo perché non debba farlo con questa.» ringhiò, facendo appiattire Marie-Anne contro lo schienale del divanetto posteriore. Inspirò a fondo, calmandosi. «Andiamo.» disse, ingranò la marcia e partì.

Samuel si trattenne dallo scoppiare a ridere, dicendosi che non era né il momento né la situazione adatta. Si disse che doveva essere serio. Durò trenta secondi: le sue spalle furono scosse dalle risate trattenute mentre degli sbuffi uscivano dalle sue labbra.

«Che c'è?» chiese Erik? «Se devi vomitare dillo che mi fermo subito.»

Samuel scosse la testa, «No.» gracchiò, «È che... che...» non si trattenne più e scoppiò a ridere, «La sua faccia! La sua faccia!» rise fissando l'altro, «Sembrava che dovesse farsela addosso da un momento all'altro!»

Marie-Anne lo fissò non capendo a chi si riferisse, fece per aprire la bocca e chiederlo poi capì: la stava prendendo in giro. Emise uno sbuffo rumoroso, incrociò le braccia e puntò lo sguardo sul paesaggio pensando che se la sua auto non si fosse rotta a quell'ora probabilmente era già in Canada.

«Da che parte?» chiese Erik.

«Dimmi dove non devi andare e ti dirò dove bisogna girare.» sospirò Samuel.

Erik fermò l'auto, «Facciamo cambio.» disse uscendo, il motore ancora acceso.

«Eh?» esclamò Samuel, stupito che gli stesse dicendo proprio quello. Da quando lo aveva conosciuto Erik si era rifiutato di dargli il cambio alla guida.

«Non posso guidare, concentrarmi su dove siano quei figli di puttana e guardare la cartina.» spiegò Erik con una alzata di spalle.

Samuel annuì, ancora scioccato, scivolò al posto di guida, regolò il sedile e gli specchietti e attese che Erik chiudesse la portiera prima di partire. Guidò velocemente per una decina di minuti prima di incominciare a rallentare. Strizzò gli occhi, maledicendo la sua miopia, cercando di capire cosa facesse muovere in quel modo i cespugli alla sua sinistra. Avrebbe potuto alzarsi gli occhiali e usare la vista da pantera per vedere bene da lontano ogni singolo dettaglio di quelle foglie ma così non sarebbe più riuscito a vedere bene la strada, se ne avesse avuto bisogno — e ne avrebbe avuto bisogno visto che stava guidando.

«Kathy.» soffiò, «Fra ore nove e ore dieci, cinquecento piedi davanti a noi.»

La ragazza girò la testa e sgranò gli occhi mentre la macchina avanzava, «Accelera, accelera!» gridò battendo una mano sul sedile davanti a lei, «Muoviti!»

Samuel schiacciò il piede sul pedale e quasi urlò quando vide gli animale sbucare dal sottobosco, la macchina sbandò quando fu colpita sulla parte posteriore e il mutaforma perse per un'istante il controllo. Lo ritrovò, girò il volate dalla parte opposta e tornò nella giusta corsia. Poco più avanti accostò, il cuore che batteva nel petto, minacciando di esplodere da un momento all'altro.

Quattro teste si girarono, «Cinghiali?» fece Erik.

«Sì.» deglutì Kathy, «Stanno scappando.» disse fissando i sei animali — tre adulti e tre cuccioli — che finivano di attraversare la strada per fermarsi nel campo lì accanto, come se fossero stanchi per la corsa e dovessero riprendere fiato.

«Ma cosa?» borbottò Samuel fissando le foglie che si muovevano. Un attimo dopo quattro urla riempirono l'abitacolo. Quattro grosse, enormi e mutanti* scimmie apparvero in strada, ringhiando e agitando le zampe dotate di lunghi artigli. Una di loro raggiunse in due balzi uno dei cuccioli, gli strinse la coda e lo sollevò. Il cinghiale si agitò strillando così forte che Kathy sentì quelle urla nel cervello e pensò che non se ne sarebbero mai andate via. Un cinghiale si girò — e la pantera pensò che fosse la madre del cucciolo —, caricò la scimmia e le si avventò contro, ma quella scaraventò via il grosso animale semplicemente colpendo con una zampa. Alzò ancora di più il cucciolo, fino a ritrovarselo proprio sopra le fauci spalancante. Kathy chiuse gli occhi e fu un bene: un attimo dopo la scimmia chiuse le sue enormi fauci sulla testa del cucciolo.

Samuel partì, deciso ad andare lontano da quello spettacolo disgustoso, mentre Erik inspirava così velocemente che pensò di morire. «Fermati.» soffiò.

Samuel lo fece ed Erik spalancò la portiera, si piegò di lato e vomitò. Kathy premette le mani sulle orecchie, strizzando gli occhi, cercando di cancellare quell'immagine dalla sue mente. Marie-Anne fissava davanti a sé, lo sguardo puntato sul poggia testa e si ripeteva che non era possibile, che mostri del genere non esistevano. Kathy girò piano la testa, fissando uno dei cinghiali che colpiva da dietro la scimmia, mandandola a gambe all'aria e facendola cadere. Un attimo dopo al suo posto apparve una donna piccola e magra.

«Dio mio.» gemette, «È una di noi.»

«Cosa?» esclamò Samuel girandosi a sua volta mentre Erik prendeva dell'acqua per sciacquarsi la bocca.

«Vai.» disse il Cercatore prima di chiudere la portiera, «Ora!»

Samuel fissò le scimmie mutanti avanzare verso di loro e non se lo rifece ripetere due volte: partì immediatamente sgommando.

Fu solo quando furono lontani che si rilassarono, «Fermati.» disse Erik indicando un cartello che indicava un dinner a dodici miglia di distanza. «Tanto è quasi ora di pranzo.» sospirò chiudendo gli occhi e posando la fronte contro il finestrino.

«Sì.» si limitò a rispondere l'altro, le mani strette sul volante.


Entrarono nel locale qualche minuto dopo ed Erik disse di ordinargli un caffè mentre lui andava in bagno. Fu quando Erik tornò e ordinarono che Kathy prese un block notes dalla sua borsa e una biro.

«Che fai?» mormorò Erik, la tazza di caffè fumante fra le mani.

«Il punto della situazione.» replicò Kathy cercando una pagina vuota. «Io ho sentito solo i cinghiali.» soffiò e Samuel annuì.

«E quelle... cose?» chiese Erik, «Non... non le avete sentite?» domandò, «Perché?»

Kathy inspirò e fece uno scarabocchio nell'angolo del foglio, «Non ne ho idea.» disse, «Anche prima, quando abbiamo incontrato quella lince...» scosse la testa. «Niente.»

«Già.» confermò Samuel.

Erik posò la tazza sul tavolo, «Questa è una pessima notizia.» sospirò, «E tu?» guardò Marie-Anne, «Tu niente.» si rispose da solo, «Non hai sentito neppure i cinghiali, vero?»

Marie-Anne annuì e pensò che non avrebbe mai voluto sentire né cinghiali, né quelle cose o qualsiasi altro animale. «Ma loro... loro sono...»

«Come noi, già.» mugugnò Kathy, gli occhi fissi sul foglio.

«Non è possibile.» disse Erik, «Insomma voi...» si sporse in avanti e abbassò la voce: «Voi siete sì più grandi degli animali in cui vi tramutate, ma non siete dei cazzo di mutanti.»

Samuel annuì e lasciò andare un lungo sospiro, «Sì.» disse, «È...» scosse la testa, «Strano.»

«E se fosse per colpa di quello stronzo?» propose Kathy mentre Marie-Anne taceva, le mani strette attorno alla tazza, attenta alle loro parole: non aveva idea di quello di cui stessero parlando.

Erik annuì, «Sì, può essere.» rispose, «Ma chi è quello stronzo che decide di seguirlo, pur essendo...» lasciò cadere la domanda.

«Soldi.» disse Samuel, «Per i soldi si fa di tutto.»

«Lo pensate sul serio?» pigolò Marie-Anne, «Che qualcuno possa fare una cosa simile?» chiese alzando gli occhi dal tavolo. Deglutì, «E se fossero anche loro...» mormorò, «Mutaforma.» soffiò, «Magari loro sono... così, sono mostri già nati così.»

Erik fece per rispondere ma arrivò la cameriera con le loro ordinazioni. «No.» disse quando quella si fu allontanata. «Non nascono mutaforma così.» bisbigliò sporgendosi verso di lei, fissandola negli occhi castani spalancati. «Non sai proprio niente!» disse.

Marie-Anne annuì, troppo spaventata, «Non voglio sapere nulla.»

«Invece dei saperlo.» esclamò Samuel dividendo a metà il suo tramezzino. «Devi saperlo perché è importante.» disse, «Per te, perché è quello che sei. Per noi, perché devi sapere cosa devi fare.»

Marie-Anne lo fissò, sorpresa dal suo tono brusco, «Io non sono pronta.» pigolò.

«Hai ventisei anni, dovresti esserlo.» esclamò Samuel e lanciò un'occhiata a Kathy, che gli aveva appena dato un calcio sotto al tavolo.

«Ha ragione.» confermò Erik dopo aver bevuto del caffè, «Kathy, puoi spiegarle qualcosa?» domandò, «Per favore.»

Kathy prese un angolo del tramezzino e annuì, i capelli rossi le scivolarono davanti al viso e li scostò, «Certo.» rispose.


«Noi, quando ci trasformiamo, assumiamo l'aspetto di un determinato animale. È una roba genetica: se tua madre è un cavallo, tu sarai un cavallo, non potrai mai essere una pecora.» spiegò Kathy e Marie-Anne annuì.

«Quando siamo animali, nel mio caso una pantera, siamo più grande dell'animale che puoi vedere allo zoo.» continuò Kathy, «Anche tu sei più grande di uno spatola rosa.»

Marie-Anne s'irrigidì. Quando si era tramutata nel volatile si era guardata nello specchio: non sapeva se fosse più grande oppure no, l'unica cosa che sapeva era che si era spaventata a morte. Una volta tornata normale si era giurata che non l'avrebbe più fatto, nemmeno sotto tortura. «Okay.» soffiò.

Kathy sorrise, «Bene.» disse, «Quando siamo umani, abbiamo alcune qualità dell'animale in cui possiamo mutarci: vista, udito, olfatto...» esclamò, «Guariamo più in fretta degli altri, te ne sei accorta?»

L'altra annuì. Una volta si era sbucciata il ginocchio destro cadendo dalla bicicletta e l'enorme crosta era sparita in un paio di giorni, lasciando spazio alla pelle rosea, terrorizzandosi a morte, pensando di avere una qualche grave malattia.

«Se da pantera mi ferisco e sanguino, quando torno umana l'emorragia smette praticamente subito.» continuò Kathy fissando Marie-Anne, capendo che era terrorizzata ma non smise, perché era giusto che sapesse.

«Peccato che certe ferite non smettano di sanguinare per almeno quattro giorni.» sospirò Samuel, ancora alla guida.

«Uh?» esclamò Erik, «Che intendi?» domandò, «Ah, il ciclo.» sospirò.

«Già.» sbuffò Kathy.

«Ma lui ha gli occhiali.» disse Marie-Anne indicando Samuel.

«Certe cose non guariscono.» esclamò l'interessato. «Miopia, astigmatismo, tumori...» disse.

«Ah.» commentò Marie-Anne, «Capisco.» disse. «E... che mutaforma esistono?» domandò. Era curiosa, anche se non avrebbe voluto esserlo.

«Tutti i grandi felini.» rispose Kathy, «Rapaci, cavalli, lupi e molti altri.» elencò.

«Lupi?» Marie-Anne la guardò, «Mi piacciono i lupi.» disse, «Sono belli.»

«Non potresti mai riprodurti con un lupo.» disse Erik, staccando brevemente gli occhi dalla cartina, «E neppure con nessun altro mutaforma che sia diverso da quello che sei tu.»

«Perché?» domandò Marie-Anne.

«Genetica, tesoro.» rispose Erik, afferrò la bottiglietta d'acqua e l'aprì. «Altrimenti, se rimanessi incinta di... che so, un mutaforma tigre, potrebbe nascere un bambino che, quando si tramuta, avrebbe il corpo da tigre, le ali e il becco da uccello.» spiegò.

«Non ci sono problemi se un mutaforma va con uno che ha un potere tipo...» Kathy scrollò le spalle, recuperando una bottiglietta di succo dalla borsa, «Elettrocinetico, forzuto o roba del genere, » continuò «perché nascerebbe un bambino che è o un mutaforma o che ha il potere dell'altro genitore.»

Marie-Anne annuì, assimilando quelle informazioni, che erano comunque troppe. «Quindi da un Cercatore e un lupo potrebbe nascere uno o l'altro?» chiese.

«Al limite lupa.» sospirò Erik, «Sai, potremmo avere poteri che gli altri possono solo sognare ma sono le femmine quelle che rimangono incinte.» rise, «Comunque no.» disse, «Nascerebbe lupo.»

«Perché?» chiese Marie-Anne.

«Perché nasce un Cercatore o una cercatrice una volta ogni...» Erik scrollò le spalle, «Quindici anni circa.» disse, «Dai quindici ai vent'anni, più o meno.»

«Perché?» chiese Marie-Anne, «Cos'è, sei una specie rara tipo panda?» domandò. «Non capisco. Se si tramanda dai genitori ai figli... perché ogni vent'anni?» chiese.

«Perché... in realtà non si sa con esattezza.» rispose Kathy, sorseggiò il succo e tenne stretta la bottiglietta fra le mani, «Nascono in tutto il mondo, da quello che so.» disse, «Papà... lui aveva incontrato un elettrocinetico che aveva un amico nel Projeus Institute che gli aveva detto che stavano cercando di capire come mai i Cercatori fossero così rari.» sospirò, «Non so altro.»

«Capisco.» disse Marie-Anne, anche se non capiva del tutto. «Quindi se tu...» guadò Erik.

«Se io e te facessimo sesso e tu rimanessi incinta...» Erik la interruppe e si fermò e guardò brevemente Samuel, che stringeva le labbra, impedendosi di scoppiare a ridere, «Nascerebbe uno spatola rosa.» finì Erik e guardò di nuovo Samuel, che si stava mordendo le labbra. 

«Ah.» commentò Marie-Anne e tornò nel suo mutismo, troppo spaventata, sotto shock per tutta quella valanga di informazioni ricevute. Lei non voleva essere così. Non voleva essere una mutaforma, non voleva essere un mostro orribile. Pensò che una volta in Canada avrebbe chiesto una cosa sola.

Di guarire.

❖.❖.❖

Benjamin fissò il grosso animale che bloccava la strada già stretta di suo. Erano da qualche parte a metà strada fra la White Sulphur Spring e Mapledale. «Levati, stupido!» esclamò e suonò il clacson, senza successo. Il maiale rimase fermo, strappando ciuffi d'erba ai lati della strada.

«Non si sposta.» disse Emily, sgranocchiando un biscotto.

«Già.» borbottò Benjamin, «Sto stro...» non finì d'insultarlo, dicendosi che non era il caso che i bambini sentissero certe parole.

«Bambini, vi ricordate che vi abbiamo detto che siamo mutaforma?» domandò Crystal voltandosi verso il sedile posteriore. «Non spaventatevi, va bene?» chiese e Benjamin non capì perché lo stesse facendo, poi la vide levarsi la felpa e capì.

«Vuoi spaventarlo?» domandò lui.

Crystal annuì, «Sì.» disse, «Giusto per mandarlo sul prato.» sospirò levandosi anche la maglia a maniche lunghe, rimanendo in reggiseno. Tolse scarpe e calze, alzò il sedere e abbassò i pantaloni insieme alle mutandine.

«Ma sei nuda!» squittì William coprendosi gli occhi e mentre le guance diventavano di un rosso acceso.

«Già.» rise Crystal e tolse il reggiseno, lasciando cadere sul mucchio di vestiti fra i suoi piedi. «Lasciala aperta.» disse spalancando la portiera e Benjamin le annuì in risposta.

Lei sorrise e posò le mani sull'asfalto: un attimo dopo la lupa sgattaiolò via, verso il maiale che se ne stava lì da almeno un'ora abbondante. E la strada era troppo stretta per fare manovra: da un lato il bosco, dall'altro il fossato che divideva la strada dal prato.

Benjamin fissò Crystal che correva in cerchio attorno al maiale, abbaiando e ringhiando, facendo dei balzi in avanti e poi indietro e poi ancora in avanti.

«Non si sposta.» fece Emily. «Posso avere l'acqua, per favore?» domandò. Benjamin annuì e le passò la bottiglietta già aperta.

«Devo andare in bagno.» disse la bambina dopo aver bevuto e passato la bottiglietta a suo fratello che bevve e la ridiede a Benjamin, che la chiuse e la tenne fra le mani.

«Aspetta che Crystal torni e vai con lei.» esclamò Benjamin fissando il maiale che non voleva muoversi.

«C'è un bagno, più avanti.» replicò la bambina. «Là.» puntò il dito verso una macchia di alberi, a circa un miglio e mezzo di distanza.

«Un bagno?» domandò Benjamin.

Emily annuì, «Sì, ho cercato un bagno di un negozio.» disse e riprese a mangiare il biscotto.

«Hai cercato un bagno?» Benjamin era sempre più sorpreso. La bambina annuì orgogliosa e lui le sorrise, «Bravissima.» si complimentò e tornò a guardare la strada.

Il maiale si spostò appena, guardando la lupa che gli correva attorno come se fosse matta. La lupa scosse la testa e ululò piano, prima di sfiorare con le zampe anteriori il posteriore dell'altro, che avanzò emettendo uno sbuffo quasi scocciato, come se rimanersene in mezzo alla strada fosse la cosa più bella del mondo. Crystal tornò indietro, ringhiando all'animale che continuava a ignorarla. Si avvicinò di nuovo, decisa a dargli una zampata e mandarlo via. Il maiale indietreggiò, schiacciandole una zampa: Crystal guaì e gli morsicò una coscia. Finalmente il maiale si spostò, andando nel prato, superando il fossato senza difficoltà.

La lupa tornò in auto, balzando agilmente sul sedile, anche se era troppo piccolo per lei. Guardò i bambini, che la fissavano con gli occhi sgranati. Si erano alzati, posando i piedi sul pavimento dell'auto fra i due sedili — si erano slacciati le cinture quando avevano capito che il maiale non si sarebbe spostato facilmente.

«Possiamo toccarti?» pigolò William, indeciso se allungare oppure no una mano verso Crystal e affondarla nel pelo lucido e folto. La lupa si sporse, con un po' di fatica, fra i sedili anteriori e i bambini iniziarono a toccarla sul collo, sul muso, le fecero i grattini dietro alle orecchie... e Crystal apprezzò tutto quanto: se fosse stata un gatto, avrebbe iniziato a fare le fusa.

Ritornò sul sedile, pronta per tornare umana quando Benjamin la toccò, posandole una mano sulla schiena. «Fammi vedere la zampa.» ordinò lui. La lupa fissò il mucchietto di vestiti e poi di nuovo Benjamin. «Adesso.» disse lui e Crystal alzò la zampa anteriore destra — quella calpestata dal maiale — e la posò sulla coscia del ragazzo. Lui la sollevò, controllando che non ci fosse nulla di rotto. «È tutto okay.» le sorrise.

La lupa sbuffò e si concentrò mentre Benjamin le prendeva la felpa, pronto a coprirla appena fosse tornata umana. La fissò mentre il pelo spariva, le ossa tornavano umane, lasciando il posto a Crystal. Aveva visto chiaramente il brivido che l'aveva scossa, che partiva dalla testa e arrivava ai piedi, come se fosse un piccolo terremoto.

Lei rimase qualche istante accucciata sul sedile, le braccia strette attorno alle gambe e strinse forte gli occhi mentre si morsicava le labbra. Espirò e si rivestì.

«Andiamo?» chiese Emily, «Devo fare pipì.» disse.

«Sì.» esclamò Crystal infilando la calza destra, «Metto le scarpe e arrivo.»

«Ma no!» sbuffò la bambina, «Là c'è un bagno.»

Crystal la fissò, sentendosi confusa, «Cosa?» chiese.

«Ha cercato il bagno di un negozio.» spiegò Benjamin, «Dice che è oltre quegli alberi.» disse e li indicò. «Allacciatevi le cinture, adesso ce ne andiamo.» esclamò.

Neanche cinque minuti dopo Benjamin frenò dolcemente davanti alla farmacia e si chiese cosa ci facesse una farmacia così grande in un paesino così piccolo e sconosciuto degli Appalachi. Si slacciò la cintura e sospirò. «Su, andiamo.» disse. Scesero tutti e il mutaforma prese il passeggino e lo aprì, permettendo così a Crystal di adagiarvi Sarah che, sveglia, si esprimeva a urletti quasi gioiosi.

Si stavano spostando verso l'ingresso — erano a cinque metri dalla porta — quando l'odore del sangue colpì Benjamin e Crystal come uno schiaffo. «State un attimo qui, voi.» disse lui e deglutì, «Io vado a... controllare.»

«Che non ci siano mostri?» chiese Emily e Benjamin annuì, abbassò la zip della felpa ed entrò nello stabile a un piano.

Crystal, a un paio di passi dall'auto, strinse con forza i manici del passeggino, inspirando lentamente. Sentì gli uccellini cinguettare e sorrise, per poi voltarsi di scatto quando un brivido le corse lungo la schiena. Fissò l'auto e attraverso i finestrini, senza vedere niente oltre il verde degli alberi e il grigio dell'asfalto. Tornò a guardare in avanti, mentre le sue mani artigliavano il passeggino. Quel brivido non voleva lasciarla.

«Andiamo?»

Crystal guardò Emily, «Aspettiamo che Benjamin venga a chiamarci.» disse, la gola che diventava improvvisamente arida. Sentì un rumore e poi un altro, come se qualcosa stesse graffiando l'asfalto. «Benjamin.» mormorò e guardò attraverso i finestrini dell'unica auto nel parcheggio — la loro.

«Bambini...» soffiò, «Correte, svelti.» disse.

«Perché?» chiese William.

«Correte e basta.» replicò Crystal e allora la bestia, uguale alla volpe deforme che aveva visto il giorno prima, balzò sul tettuccio dell'auto, gli artigli che cozzavano contro la lamiera, lasciando graffi così profondi da romperla. Il viso della giovane sbiancò mentre fissava la volpe che ringhiava piano verso di lei. «Adesso!» strillò, con una mano tenne il passeggino mentre con l'altra sollevava Emily — che strillò, spaventata — e la posava sulla pedana. Le urlò di tenersi forte. «Will, corri, corri più forte che puoi!» strillò, «Ben! Ben! Benjamin!» gridò fino a diventare rauca, «Benjamin!»

Il ragazzo apparve sulla soglia, «Che...» la domanda gli morì in gola, scattò in avanti e afferrò William un attimo prima che inciampasse e cadesse. Crystal spinse il passeggino nel negozio, oltre la porta e tirò forte le leve dei freni. Ansimò e si voltò, fissando Benjamin che rimetteva a terra il bambino prima di fiondarsi sulla porta e chiuderla.

«State bene?» domandò il ragazzo.

Gli altri annuirono e Sarah scoppiò a piangere, seguita da Emily. Crystal sollevò la più piccola e deglutì, fissando la volpe mutante che balzava giù dall'auto, scoperchiando metà tettuccio, le fauci spalancate con grosse gocce di saliva che colavano a terra.

«Dietro il bancone.» soffiò Benjamin e si avvicinò a Emily per prenderla in braccio quando si udì il botto e l'urlo strozzato di Crystal. Il ragazzo si girò, fissando la volpe che si buttava a peso morto contro la porta, fatta di acciaio e vetro spesso. L'animale continuava a cercare di buttare giù la porta., usando la propria testa come un ariete. «Andiamo.» fece Benjamin, posò una mano sulla spalla di William, costringendolo a voltarsi.

«Ce n'è un altro!» strillò Emily e Benjamin voltò appena la testa: un'altra grossa — e deforme — volpe arrivò in aiuto dell'altra. Iniziarono a dare testate alla porta, prima una poi l'altra, determinate, ignorando i lividi, le ferite, mandate avanti solo dalla voglia di sangue.

«Sono tre.» piagnucolò William, stringendosi alla gamba di Crystal così forte che lei sentì le dita del bambino pizzicarla.

«Muovetevi.» disse Benjamin e si sistemarono dietro al bancone, sapendo che non sarebbe stato sufficiente.

«Rompono il vetro.» soffiò Crystal, guardando la porta e, un attimo dopo, una testata di una delle due volpi causò una sottile crepa che andava ad allagarsi sempre di più a ogni colpo. La terza bestia si avvicinò piano, come se stesse studiando una strategia. «Perché lo fanno?» mormorò più a se stessa che agli altri.

Benjamin si spogliò della felpa e della maglietta a maniche corte, aiutandosi con i piedi levò le scarpe, affondò una mano nella tasca dei pantaloni e prese le chiavi dell'auto. «Io le distraggo.» disse, «Tu sali in auto con i bambini e parti.» continuò. «Non tornare indietro.» soffiò contro il viso di lei.

«Cosa?» squittì lei.

«Benjamin Micheal Carter, nato l'otto Giugno del novanta, a Roanoke, Virginia.» disse, «Mio padre si chiama Micheal.»

«Ma... Benjamin.» mormorò Crystal capendo cosa volesse fare lui, «Se ti lascio tu... loro...»

Lui chiuse gli occhi, le afferrò la mano e ci mise sopra le chiavi, per poi piegarle le dita a pugno. «Lo so.» disse fissandola, sapeva che sarebbe stato sopraffatto da quelle tre. Era grande e grosso quando era lupo ma loro erano in tre e determinate a uccidere. E lui sarebbe morto per permettere agli altri di salvarsi. «Ma tu vai, Crystal.» mormorò e, prima che lei se ne rendesse conto, Benjamin l'aveva baciata sulle labbra. «Salvali.» soffiò.

«Stanno entrando!» gridò Emily.

La terza volpe saltò sul cofano dell'auto e piegò gli artigli, distruggendo la lamiera. Benjamin si slacciò i pantaloni e stava per abbassarli quando lo sparò risuonò forte. Mentre la volpe che era arrivata per ultima rotolava giù dall'auto, Emily strillò e corse verso la porta più vicina, quella del bagno per i clienti.

Una mano apparve davanti agli occhi di una delle volpi e in un attimo cadde a terra, il collo rotto. Dietro di lei apparve un uomo che quasi spaventò Benjamin: era alto due metri e pieno di muscoli e l'aria di chi si era alzato con il piede sbagliato.

Una donna entrò nella farmacia, passando per la porta ormai rotta, schiacciò i vetri con gli stivali da cowboy e andò verso l'ultima volpe, che si era avvicinata con un solo balzo a Crystal, Sarah, Benjamin e William. «Orecchio sinistro.» disse prima di alzare il grosso fucile e sparare. Il proiettile attraversò l'aria, entrò nell'orecchio sinistro e la belva cadde a terra, morta. Un attimo dopo era una donna più larga che alta, dalla pelle bianchissima e i capelli biondicci.

«Tira dentro gli artigli, lupo.» esclamò l'uomo sconosciuto.

Benjamin si guardò le mani, fissando le zampe da lupo. In un secondo erano tornate umane. «Voi...» deglutì e allacciò i calzoni.

«Kyle.» si presentò l'uomo, «Lei è Jenna.» fecce un cenno alla donna che ricaricò il fucile. «Un avvertimento: non giocare con lei a una partita di biliardo.» disse, «Ti ritroveresti in mutande.» rise.

«Sei una miratrice.» squittì Crystal.

Jenna sorrise e annuì. «Sì.»

«Oh.» fece Benjamin, «Emily!» gridò andando verso la porta del bagno, «Emily, tesoro, vieni qui.» bussò alla porta, «Sono andati via.»

«Vai via!» strillò lei. «Voglio la mamma.» pianse mentre Jenna e Kyle fissavano Crystal.

Lei sospirò, «È una lunga storia.» disse.

«Delle scimmie mutanti hanno ucciso la mamma.» pigolò William.

Jenna strinse le labbra e annuì. «Vai da lei.» disse a Crystal, «Tengo io la bambina.» allungò le braccia dopo aver posato il fucile sul bancone.

«Lasciala stare!» gridò il bambino sprigionando dai suoi palmi tutta l'energia di cui era capace.

«Non voglio farle del male.» sorrise Jenna, piegandosi all'altezza del bambino. «Giuro.» disse posando una mano sul cuore.

Crystal allungò la bambina a Benjamin, che l'afferrò malamente, mentre Sarah continuava a piangere, agitando le braccia paffute; la lupa si accucciò davanti alla porta, desiderando potersi sdraiare lì, nell'anti bagno, rannicchiarsi e dormire. Invece bussò piano, «Emily, tesoro, sono io.» soffiò.

«Dai la bimba a Jenna.» esclamò Kyle, «Sa come si tengono.» sorrise, ricacciando in gola la risata. «Spostiamo questi, altrimenti... Emily si spaventa di nuovo.»

Benjamin annuì e lo fece, «Vai da Crystal.» disse a William. «Vengo.» sospirò guardando l'altro. Aveva rotto il collo a mani nude a una delle volpi mutanti, era un forzuto e avrebbe potuto spostarli facilmente anche tirando loro le orecchie.

Jenna cullò Sarah, avvicinandosi piano a Crystal, che alzò una mano e abbassò la maniglia, per poi spingere piano la porta.

Emily era rannicchiati nell'angolo fra la tazza e il muro, singhiozzava rumorosamente. Crystal gattonò fino a lei, «Tesoro.» disse, «Non ci sono più, vieni.» soffiò sedendosi sui talloni e allungando le braccia verso la bambina.

«Ho fatto la pipì.» mormorò la bambina strisciando fuori dal suo nascondiglio, si alzò in piedi e Crystal notò la macchia sui pantaloni di velluto rosa, “gentile omaggio” dei Newyorchesi.

«Oh.» commentò Crystal prendendole le mani. «Non importa.» le sorrise scostandole i capelli dalla fronte, «Adesso ti cambio, va bene?»

La bambina si limitò ad annuire e infilarsi il pollice in bocca.

«Anche lei va cambiata.» esclamò Jenna indicando Sarah.

«C'è... c'è il passeggino.» sospirò Crystal, «Nella borsa ci sono i pannolini.» disse sollevò Emily, facendola sedere sul marmo che circondava il marmo del lavandino.

Jenna annuì, «E il cambio?» domandò.

Crystal tolse la scarpa da tennis bianca e rosa e la fece cadere per terra, «Chiedi a Benjamin.» rispose, «C'è una borsa con il cambio, lui sa qual è.» disse, Jenna annuì e uscì.

«Posso andare in bagno?» domandò William.

Crystal tolse l'altra scarpa e annuì, «Certo, tesoro.» rispose, fissò il bambino entrare nel cubicolo con la tazza e chiudere la porta, «Non usare la chiave.» raccomandò. Il bambino annuì e chiuse la porta e Crystal sospirò quando non sentì il click della chiave. Si guardò attorno e fissò uno straccio per i pavimenti ancora chiuso nel cellophane, posato supra un mobiletto, lo prese lo scartò e lo stese accanto al lavandino.

«Perché?» pigolò Emily togliendosi per un attimo il pollice dalla bocca.

«Perché se ti spoglio per lavarti senti freddo se ti siedi sul marmo.» rispose Crystal, sollevò la bambina per le ascelle e le raccomandò di stare ferma mentre le toglieva i pantaloni e le mutandine. Fortunatamente le calzine non si erano bagnate ma gliele tolse ugualmente, posandole dall'altra parte del lavandino.

«Adesso Benjamin porta il cambio.» esclamò Jenna rientrando, spingendo il passeggino che fortunatamente non aveva subito danni.

«Nella borsa c'è anche uno fasciatoio portatile, di stoffa.» disse Crystal gettando i vestiti sporchi per terra.

Jenna lo tirò fuori, lo srotolò e prese Sarah.

«Sei brava.» commentò Crystal fissando Jenna che spogliava velocemente la bambina e aprì una confezione di salviette umidificate.

«Ogni tanto badavo a mia nipote.» disse Jenna e Crystal notò qualcosa di triste nella sua voce.

«Quanto ha?» domandò Crystal iniziando a pulire Emily.

Jenna fece un lungo sospiro mentre gettava il pannolino ripiegato nel cestino della pattumiera. «È morta.» disse, «Mia cognata l'ha uccisa.»

Crystal annaspò, «Morta?» mormorò, «Tua... cognata?»

Jenna afferrò un paio di salviette e iniziò a pulire Sarah. «La moglie di mio fratello.» disse, «Ha ucciso anche lui.» abbassò gli occhi, «Pensava che lui la tradisse.»

Crystal rimase in silenzio e fece sedere Emily sullo strofinaccio, le afferrò la mano sinistra e pulì anche quella. «Mi dispiace.» soffiò e Jenna si limitò a sorridere.

«Tutto bene?» esclamò Benjamin apparendo con la borsa rosa che avevano riempito di vestiti per bambini. «Emily?»

«Vai via!» strillò lei buttandosi su Crystal e stringendosi forte, «Via!» piagnucolò, Benjamin posò la borsa per terra e uscì.

«William?» domandò dallo spiraglio della porta.

«In bagno.» rispose Jenna sistemando Sarah nel passeggino, lavò il ciuccio che era caduto per terra e lo diede alla bambina, che lo strinse fra le labbra, felice. La donna — Crystal pensò che dovesse avere trent'anni — raccolse la borsa con i cambi dei bambini e l'agganciò ai manici del passeggino, insieme alla borsa con dentro i pochi pannolini rimasti.

Crystal inspirò a fondo, cercando di rilassare le spalle: per un momento aveva pensato che sarebbe morta. Che avrebbe lasciato Benjamin con quelle tre bestie, a morire da solo. E lei non ce l'avrebbe fatta da sola con tre bambini. Sospirò e finì di vestire Emily e la prese in braccio, stringendola forte, come se fosse un àncora di salvezza. Attesero William e uscirono da lì, raggiungendo Benjamin e Kyle.

«L'auto è andata.» sospirò il mutaforma.

«Cosa?» fece Crystal e si girò, fissando attraverso le vetrate la loro auto, il tettuccio che mancava, il cofano distrutto e... pezzi di motore sparsi sull'asfalto. «Merda.» sbottò.

«Andate in Canada?» domandò Kyle e Benjamin annuì, «Bhe, se pensate di passare per la Pennsylvania e attraversare uno dei laghi vi conviene cambiare idea.» disse, «Hanno tirato su un muro su tutto il lungo lago.» fece una smorfia, «Ma tanto venite con noi.» scrollò le spalle, come se fosse una cosa data per assodata.

«Davvero?» commentò Crystal, «Avete un auto abbastanza grande?»

«Abbiamo un camper, un Westfalia.» rispose Jenna «C'è posto anche per voi.» sorrise, «Staremo un po' stretti, ma ci adatteremo.» esclamò, tirando fuori un all'allegria che non aveva.

«Devo prendere alcune cose per Sarah» disse Crystal, «Pannolini, cibo, latte...» scrollò le spalle, «Adesso ti metto giù, okay?» mormorò a Emily

«No.» piagnucolò la bambina.

«La prendo io.» esclamò Benjamin, «Viene qui.» le disse. Emily staccò le braccia dal collo di Crystal e si aggrappò a Benjamin. Crystal si guardò attorno, alla ricerca di una borsa: trovò uno scatolone posto sotto il bancone. Un cartello recitava che, spendendo quindici dollari e aggiungendone uno, si poteva avere una delle borse in omaggio. Erano verde acido, arancione e giallo scuro.

Prese quella verde, «William, ti ricordi quali omogenizzati comprava tua madre per Sarah?» domandò fissando il bambino, ancora in piedi, la schiena rigida e le braccia lungo i fianchi. Quando il bambino le rispose di sì lei gli sorrise, gli prese una mano e andò con lui verso il reparto con il cibo per i bambini da zero a dodici mesi.

«Cos'è successo alla loro madre?» domandò Jenna osservando Crystal e il bambino.

Benjamin sospirò, «È una lunga storia.» mormorò, «Meglio parlarne dopo.» disse e alzò gli occhi su Crystal, intenta a prendere qualche pacco di pannolini. «È...» sospirò ancora e deglutì, «Brutto.» soffiò.

Crystal irrigidì la schiena, cercando di dimenticare la madre dei bambini, tornò indietro, fissando William che stringeva al petto ben tre pacchi di biscotti per bambini, come se fossero un piccolo tesoro. Passò accanto a uno scaffale e si fermò, mentre Kyle diceva che ne avrebbero parlato più tardi, dopo cena. «Sul camper ci sono le prese?» domandò, fissando uno scalda biberon elettrico.

Jenna annuì, «Sì.» rispose, «E c'è un generatore che le fa funzionare anche se non siamo collegati.»

«Ma i Westfalia non sono quei furgoni adattati a essere camper?» chiese Benjamin, «Non sono come i veri camper.» commentò, «Per dormire... non ci stiamo tutti su un letto.»

«È una versione deluxe.» replicò Kyle, «Ha due letti.» disse, «Ci stiamo tutti.» confermò mentre Crystal prendeva lo scalda biberon e un altro biberon, ricordandosi che quello che avevano aveva la tettarella un po' rovinata.

«C'è spazio per i seggiolini?» domandò Crystal tornando al bancone, posò tutto quanto e prese altre due borse: in una infilò il biberon e lo scalda biberon, si fece dare i biscotti da William e li aggiunse. Nell'altra infilò dentro i pannolini, cinque confezioni di salviette e un paio di tubetti di crema allo zinco.

«Ehm... no.» disse Jenna, «Oltre al posto di guida e quello del passeggero ci sono altri tre sedili.» spiegò, «In ogni caso due si dovrebbero sedere sul divano che poi diventa letto.» continuò, «In ogni caso lei» indicò Sarah «va nel seggiolino.»

Crystal si limitò ad annuire, «Allora... andiamo?» chiese, «Ma dobbiamo prendere le nostre cose.» indicò l'auto.

«Voglio Mr Pig.» mormorò Emily.

«Certo.» sorrise Benjamin e le toccò i capelli, «Vai da Crystal, così lo prendo.» disse. Crystal prese la bambina e due delle tre borse, mentre Benjamin l'ultima. Jenna recuperò il fucile e spinse il passeggino fuori dalla porta. La lupa vide subito il camper di colore nero, posteggiato di traverso, occupando quasi quattro posti.

«Vieni.» disse Jenna a Crystal, «Facciamo salire i bambini.» esclamò.

Crystal la seguì, dietro di lei William, che ogni tanto allungava una mano e la toccava. Un attimo dopo Crystal entrò nel camper con Emily, fissò il divanetto in fondo al camper e si diresse lì, «Resta qui un attimo.» soffiò facendo sedere la bambina. William le raggiunse e si sedette accanto alla sorella, Crystal posò le borse sul pavimento e fissò i segni che avevano iniziato a formarsi. Si voltò quando si sentì chiamare.

«Prendi Sarah.» esclamò Jenna, «Io sistemo il seggiolino.» disse, Crystal annuì, afferrò Sarah e si sedette sul pavimento a gambe incrociate, appoggiando la schiena contro il divanetto. Fissò Jenna scendere e la sentì scambiare due parole con Kyle. Crystal si guardò attorno, vedendo come fosse il camper. Il divano era blu scuro e sotto, nella base di legno, vide le maniglie dei cassetti. Pensò che si sarebbe trasformato in letto semplicemente abbassando lo schienale, distante un paio di piedi dal fondo del camper. Immaginò che lì dietro, sotto a quella parte del divano-letto, ci fosse dello spazio per mettere le valigie... “Se solo fosse una normale vacanza.” pensò, triste. Si alzò in piedi, fissando il blocco cucina alla sua destra, distante un piede e mezzo — o forse meno — dal divanetto. Era composto da un fornello a due fuochi, un lavello con una vasca rotonda e uno spazio per preparare i cibi. Sotto a quest'ultimo e al lavello c'erano dei cassetti, mentre sotto il fornello notò la maniglia del frigorifero. Davanti alla cucina c'era un cubicolo con la porta socchiusa e Crystal vide il minuscolo bagno con gabinetto, lavandino e un piatto doccia minuscolo. Dopo il bagno c'erano i tre sedili, posti l'uno accanto all'altro, davanti a loro un tavolino che sporgeva dalla parete del mezzo. Poi c'erano il posto guida e quello del passeggero, oltre a innumerevoli scomparti.

Jenna tornò nel camper, seguita da Kyle e Benjamin. La miratrice alzò i tre sedili, ribaltandoli, mostrando così un altro spazio, abbastanza grande da farci stare gli zaini dei due mutaforma. Benjamin andò a dare ai bambini i loro zainetti e i pupazzi, Emily strinse Mr Pig con la mano sinistra e infilò il pollice destro in bocca.

Jenna abbassò i sedili e Kyle le passò il seggiolino di Sarah, che la donna si affrettò a montare.

«Ma se dobbiamo prendere una cosa dagli zaini dobbiamo spostarla.» notò Crystal.

«Non serve.» disse Jenna mentre Crystal le passava Sarah, «È come nelle auto: puoi ribaltare solo due sedili.» spiegò. Crystal annuì e fissò le borse, ancora sul tavolo e chiese a Jenna dove potesse metterla. Jenna le prese, aprì uno dei grandi cassetti sotto al lavandino e le spinse dentro.

«Bambini, venite a sedervi qui.» esclamò Benjamin, indicò i sedili e sorrise.

«Io ho sonno.» pigolò Emily.

Jenna sospirò e si scostò una ciocca castana dalla fronte, «Abbassiamo lo schienale.» disse e si avvicinò al divanetto e in un attimo apparve il letto. Recuperò due cuscino da uno dei cassetti sottostanti e li diede ai bambini. Benjamin le porse le copertine. «Mi sa che non ci state tutti.» commentò, «Starete un po' stretti.»

«Ho il sacco a pelo.» disse Benjamin, «Dormirò per terra.»

Jenna lo guardò e scrollò le spalle, «Come vuoi.»

«E il vostro letto?» chiese Benjamin, «Dov'è?»

Jenna indicò verso l'alto, «Basta premere un pulsante e il tetto si alza.» spiegò, «C'è il letto.»

Crystal stava per dire di partire, che non voleva più stare lì quando Emily la chiamò. In due passi la raggiunse, «Dimmi.» fece sfiorandole la fronte.

«Voglio il latte.» mormorò la bambina.

«Tesoro, dobbiamo andare.» replicò Crystal e le sorrise, «Non possiamo cucinare mentre il camper va.»

«Voglio il biberon.» piagnucolò la bambina, «Quando Sarah avanza il latte lo finisco sempre io.» pigolò fissando Crystal, «Per favore.»

Crystal inspirò, «Va bene.» acconsentì, «Vuoi anche il biscotto granulare?» chiese ed Emily annuì, la ragazza tolse le scarpe ai bambini e posò sul letto il loro zainetti, William prese il suo e lo aprì, trasse un libretto dei Piccoli Brividi e lo aprì.

Crystal prese il latte in polvere, il biscotto granulare, il biberon e lo scalda biberon, che passò a Benjamin, chiedendogli di attaccarlo alla corrente, preparò il biberon, lo infilò nella base dello scalda biberon e attese che fosse pronto, per poi darlo a Emily. Inspirò a fondo e tornò al tavolino, dove Benjamin stava staccando lo scalda biberon dalla presa di corrente, posta qualche centimetro sopra l'inizio del tavolo, poco sotto la finestra.

«Possiamo partire.» esclamò Kyle, «Bambini, le vedete le maniglie?» domandò e William rispose di sì, «Se corro troppo veloce dovete stringere le maniglie, va bene?» disse e i bambini annuirono. L'uomo si sedette sul sedile di guida, girandolo completamente verso il voltante. Jenna si assicurò che la porta fosse chiusa e si sedette anche lei.

«Vuoi stare vicino a Sarah?» chiese Benjamin a Crystal che si limitò ad annuire prima di scivolare sul sedile di mezzo, si allacciò la cintura — era quella alla vita — e sentì Benjamin sedersi al suo fianco. Un attimo dopo Kyle mise in moto e il camper si spostò dal parcheggio della farmacia, immettendosi sulla strada.

Crystal fissò il paesaggio per qualche minuto, poi posò le braccia incrociate sul tavolino e abbassò la testa. Inspirò fondo, sentendo l'odore dal prodotto usato per pulire il tavolino che le solleticava il naso. Chiuse gli occhi, artigliando con le mani i gomiti.

Benjamin la fissò e pensò che non fosse nulla grave, che Crystal fosse solo stanca. Fu solo alla seconda occhiata che si accorse delle spalle di lei che sussultavano, le sfiorò la schiena, «Crystal.» soffiò.

«Sto bene.» pigolò lei.

 Fece per dire qualcosa ma Emily disse di aver finito il latte, così Benjamin recuperò il biberon e lo mise nel lavandino, dicendosi che lo avrebbe lavato dopo, tornò a sedersi e guardò Crystal, con la testa ancora scossa da singhiozzi silenziosi. «Vuoi dell'acqua?» le domandò.

«Sì.» fu la flebile risposta di lei, «Grazie.»

«Nel frigo.» disse Jenna, gli occhi fissi sulla strada. Non sapeva cosa fosse successo esattamente a quei due nei giorni precedenti ma, dopo quello che avevano passato lei e Kyle nei giorni precedenti, la capiva benissimo se voleva piangere. «È sotto il fornello.» continuò, «Ci sono dei bicchieri nel mobile sopra il lavandino.»

Benjamin annuì, afferrò una bottiglia e un paio di bicchieri, ne riempì uno e lo passò a Crystal, che lo sostenne con entrambe le mani mentre beveva. «Hai sete, William?» domandò.

«Sì, grazie.» rispose il bambino alzando gli occhi dal suo libro.

Benjamin sorrise, riempì un altro bicchiere e lo passò al bambino. Mentre lui beveva il mutaforma fissò Emily, che si era addormentata stringendo a sé Mr Pig. William ridiede il bicchiere a Benjamin, che finì il dito d'acqua al suo interno. Tornò a sedersi, dando un tovagliolo di carta a Crystal, che lo ringraziò con un bisbiglio.

Il mutaforma reclinò la testa, posandola contro lo schienale, sentendosi improvvisamente stanco. Fissò Crystal e le posò la mano sinistra sulla schiena, prima solo la punta delle dita e poi anche il palmo. Chiuse gli occhi e pensò che fosse un miracolo essere ancora vivo.

Che tutti loro fossero ancora vivi.


E il terzo capitolo è qui, molto più lungo dei precedenti, per questo lo dividerò in due. All'inizo la prima parte di Dawn non ci doveva essere. Poi c'è stata, come altre cose del resto.
Ed ecco che arrivano anche Kyle e Jenna. Ci sono tutti.
Apprezzate lo sforzo sulle percentuali, io e la matematica non siamo due pianeti opposti:siamo di più. La matematica fugge, quando mi vede.
Grazie a chi legge, chi commenta e chi mette la storia fra i preferiti.

   
 
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