--- ACHTUNG: la prima parte può sembrare
sconnessa. Ricordatevi che Henka è un po’ alticcio…
IX.
Repentini fulgidi abbagli di cieli in
tempesta dai colori così brillanti, cupi, malinconici, da sembrare essere
usciti da un quadro romantico di Friederich nella sua ora più infausta,
danzavano palpitanti in giravolte di vorticoso delirio innanzi ai miei occhi
offuscati ed appesantiti.
Le nuvole disegnavano contorni aggraziati
che scemavano via via nell’azzurro, nel blu e nel violetto della laguna
malferma del cielo, e come cavalcanti orde di schiumose onde soffici si
riversavano nel loro delicato, gentile e soave balletto per quella distesa ora
placida ora tormentata di stelle cangianti in tutto e per tutto simili ad un
buio e scintillante prato di incantevoli e magici fiori luminosissimi
Appariva come una serie sovrastante ed
ineffabile nella sua leggerezza di immagini irreali e giochi di luci e
rifrazioni, nella mia mente annebbiata, ma talora di una nitiditezza acuta al
punto da ferirmi gli occhi, altrimenti scialbi, scoloriti, annacquati tanto da
farmene dispiacere.
Scivolavano gli uni sugli altri rimestandosi
in una miscela sempre pura di tinte e sfumature cromatiche tenebrose, lugubri e
tristi.
Il mare, che avvertivo vicinissimo
risuonarmi nel suo perpetuo e leggero sciabordio con una calma e una pacatezza
così infelicemente inumane, mi lambiva i sensi come ovattato da una coltre
sottile di seta dolcissima al tatto sopraffino. Leccava la terra con costanza
nel suo gioco acquatico tanto ben calibrato di luci e ombre, di caloroso e
freddo, di forza e saggezza.
Io non vedevo il mare, potevo solo udirne il
rollio delle onde che si infrangevano sulla spiaggia e contro gli scogli aguzzi
e taglienti come la lama di un rasoio.
Ma vedevo il cielo così magistralmente tinteggiato,
e, lo giuro, me lo ricorderò per sempre, le sue leggere sfumature di colore che
spaziavano dal blu più penetrante dell’oceano al rosso Magenta, a tutti i
colori tipici della tempesta –il bleu manganese, il cobalto, l’antracite, il
petrolio o la pervinca- fondersi con grazia e drammaticità oscura in una serie
infinita di piccole sfumature eclatanti, traslucide e smaltate che nessun genio
pittorico, per quanto sensibile ed impeccabile, avrebbe mai potuto lontanamente
imitare e raggiungere in splendore e maestà.
Però i quadri degli impressionisti avevano
un’analogia di fondo con quel paesaggio tanto surrealmente impregnato di
misticismo ed escatologia: penso di non aver ritrovato nemmeno una macchia di
vero nero.
Penetrante ed incisivo.
I granellini ruvidi della sabbia cominciarono ad insinuarsi sotto la maglietta leggera di cotone e a graffiarmi la pelle tenera e tanto candida.
Penso di aver riso di fronte all’evidenza
netta dello spettacolo che mi si stava offrendo.
‘E questo?’ Ammiccai indicando la volta d’Atlante. Lui si che doveva aver toccato con mano il Capolavoro.
‘Henka, alzati. Davvero.’
Non c’era nessuno attorno a noi, e pensai
fosse strano data l’evenienza. Ma Giulio mi spiegò con semplicità e una certa
nota di stanchezza nella voce che mi aveva quasi trascinato seco per uno
stretto sentierino nascosto tra gli scogli ed una rada ed arida vegetazione di
macchia mediterranea fino ad una piccolissima, graziosa caletta che
condividevamo solo noi due e i nostri discorsi di muta comprensione reciproca.
Lui l’aveva scoperta per caso.
Sospirai mentre facevo leva sulle braccia
robuste e mi sollevai dalla sabbia ancora tiepida. Mi guardai intorno e
osservai con più circospezione ed un’ammirazione quasi tangibile la sinfonia
accurata del paesaggio che si snodava progressivamente davanti ai miei occhi
sbalorditi.
Eravamo quasi chiusi tra due pareti di
roccia molto alte dalle quali si dipanava una sottile lingua di scalee scavate
direttamente nella pietra –eccolo, il sentiero per il quale ero stato tanto faticosamente
trascinato-. Dietro di noi si ergeva con imponenza e pomposità orgogliose una
parete a strapiombo alta almeno una ventina di metri, sulla quale cresceva un
boschetto refrigerante di pini marittimi.
La spiaggia, come tutte le spiagge della Liguria,
non era ampia fino alla battigia, piuttosto una lingua sottile, e non correvano
più di quattro metri dal dirupo contro il quale ci eravamo accoccolati al
bagnasciuga.
In lontananza scorgevo tre isole il cui
profilo era illuminato dalle luci della luna e dai puntini indistinti e
tremolanti delle abitazioni. Un faro, sulla più piccola di queste, illuminava
costantemente ad intervalli regolari la costa nella nostra direzione.
Ma il vero spettacolo era il mare, così
fastidiosamente simile in tutto e per tutto al cielo opaco nelle sfumature, se non per il moto ondoso
aritmico e quella tragicamente toccante scia luminosa che lo attraversava con
caparbietà.
Allora doveva essere trascorsa la mezzanotte
perché la cerimonia tradizionale era già stata effettuata: ogni anno, alla fine
di Luglio, venivano lasciati scivolare in mare dei semplici lumini bianchi, un
perlaceo distillato di lucentezza, in piccole miniature di imbarcazioni che
dovevano permetterne la traversata.
I lumini viaggiavano fino ad essere sopraffatti
dalle onde in una processione che mi incupiva l’animo.
Giulio mi stava accarezzando i lunghi
riccioli biondi per ripulirli dalla sabbia.
Mi sdraiai di nuovo appoggiandogli la testa
in grembo, mentre lui continuava la sua opera meticolosa, e mi sfuggì un
sospiro di profonda tristezza.
‘Capisci cosa voglio dire? Quest’atmosfera…
nient’altro che un’insieme di percezioni sensoriali, è in grado di
condizionarti, seppur in minima parte, l’animo.’
‘Sì. Sono un po’ triste.’
‘Lo sospettavo Henka.’
‘E tu non lo sei?’
‘Lo sono sempre.’
‘Mm. Dimenticavo quanto sconfinate fossero
la tua autocommiserazione e la tua perenne depressione.’
Fece un verso che significava di tacere
–avevo imparato anche a decifrare la sua lingua fatta di espressioni facciali e
smorfie-.
‘Ma io non voglio essere costantemente
influenzato nella mia personalità!’
‘Eh, ma è così dall’inizio del modo! Sono
situazioni che scattano a livello inconscio.
L’uomo, per forza di cose, percepisce il
mondo che lo circonda, e ne è vincolato. Il giorno che ci dimenticheremmo della
nostra anima, allora saremmo finalmente felici. Ma a quel punto non avrà più
alcuna importanza.’
--- Mi vergognavo a darvi solo quel
capitolettino-ino-ino… e poi mi porto avanti, perché tra un po’ di päivä
(giorno. Il plurale non lo so fare. Chissà quando arriva la grammatica
finlandese che ho ordinato). Dicevo che tra un po’ di giorni (e non mi ricordo
di preciso quando, tanto per cambiare) vado in gita (ah ah). Sto via una
settimana, quindi devo anticipare due chappy prima o dopo. Sennò non finiamo
più… vero che siete contenti? Eh?
Come sono magnanima.
Mah, mi sento depressa. Sensei, un’altra
mail! Sto per morire! T___T non sono abituata a questo schifo… uffa…
Lo sai che… ho rivisto i mitici bigliettini
di mate e credo di aver copiato da te… nel senso… aver copiato proprio la tua
verifica, il che non sarebbe grave se non fosse per il piccolo particolare che
erano due verifiche diverse. Come ho potuto? T___T. Ho anche rotto la busta del
biglietto del compleanno di Winnie… quella con scritto “auguri per i tuoi 4
anni”. La conservavo da un sacco di tempo. Sigh.
A Pasqua sono andata a Tellaro e ho
cominciato a vagare sconsolata per tutti i posti che vi ho descritto (la
maggior parte non sono inventati). Mi ricordavo piuttosto bene. Strano. Io non
ho una buona memoria. Qualcuno dice che non ho una memoria.
Comincio a credere di essere pazza, a furia
di sentirmelo ripetere, ripetere, ripetere…
Scusate i miei piccoli sfoghi… Vorrei assolutamente
recensioni per questo capitolo, perché è uno dei miei preferiti. Vi prego,
mettetevi d’impegno. Sniff… solo due minutini… dai…
=D ß fiduciosa della vostra buona
volontà.
Love_in_idleness