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Autore: ClaireOwen    02/10/2016    3 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Rieccomi qui,
è stata una settimana lunga, tra esami (che ahimè ancora non sono finiti) e impegni vari ma ci sono.
Ci provo ad essere puntuale e nonostante avessi detto che avrei aggiornato due volte al mese è andata a finire che fino ad ora sono riuscita a farlo una volta a settimana circa, spero sarà ancora così ma se qualche volta non dovessi farcela - tra pochi giorni ricominciano le lezioni all'Università - non uccidetemi.
Vengo al dunque invece di straparlare: questo capitolo non mi fa impazzire a dirla tutta ma era necessario per condurre i personaggi dove sto pensando di farli arrivare e quindi siate magnanimi ma comunque ditemi che ne pensate.
In realtà doveva coinvolgere anche un altro avvenimento (che non vi spoilero) ma ho visto che stava venendo un po' troppo lungo e quindi ho deciso di rimandare al prossimo.
Per il resto sarete voi a dirmi, se vi andrà, qualunque altra cosa.
Io nel frattempo mando un abbraccio ad ognuno di voi, a chi ha recensito, a chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e a chi è arrivato fin qui 

vostra Chiara.


VI
 
Stava appoggiato al muro esterno del locale stretto nel suo minaccioso cappotto nero su cui una toppa bianca identificava il suo ruolo: security.
Era una delle cose che più gli piaceva di quel lavoro, non aveva bisogno di parlare molto e spesso non faceva altro che starsene in quell’angolo ad osservare con occhi attenti i movimenti della città perlopiù assopita e maldestramente illuminata dai fari di qualche macchina di passaggio e dalle precarie luci calde dei lampioni.
Il suo turno sarebbe finito in meno di un’ora ma Bellamy sarebbe rimasto lì volentieri, non aveva molta voglia di rientrare in casa.
I pochi giorni che avevano seguito la sua chiacchierata con Clarke erano stati stranamente, o forse solo prevedibilmente, imbarazzanti, i due non sapevano più molto bene come rapportarsi l’uno all’altra.
Era passato dal non sopportarla a raccontarle dettagli della sua vita che per troppo tempo aveva cercato lui stesso di dimenticare ma che soprattutto non aveva mai osato rivelare a nessuno.
L’unica persona con cui era stato costretto ad avere qualche conversazione al riguardo era lo psicologo che gli era stato affidato quando aveva deciso di firmare le carte per accollarsi l’affidamento di Octavia, il dottor Jaha ovvero il padre di Wells ex compagno di scuola e futuro collega ai tempi.
Perciò era stata una pura formalità, una cosa che aveva dovuto fare per il bene di sua sorella, non si era mai aperto realmente con quell’uomo, aveva detto il necessario, quello che voleva sentirsi dire in sostanza, nessuno gli avrebbe ridato indietro una vita normale e parlarne non faceva altro che acuire il dolore e rendere più esplicita la mancanza.
 Con Clarke era stato totalmente diverso, si era sentito vulnerabile e a posteriori non era più tanto sicuro che fosse stata la mossa giusta, eppure aveva provato un incredibile senso di sollievo dopo, era persino riuscito a recuperare il sonno perso durante la nottata passata in bianco, niente incubi, niente cattivi pensieri prima di serrare gli occhi nonostante lo avessero quasi sempre perseguitato.
Ma non voleva che lei lo vedesse come una persona debole che non era in grado di tenersi dentro delle stupide emozioni, non sapeva bene perché ma Clarke era decisamente l’ultima persona da cui voleva farsi compatire.
Tutta quella faccenda aveva decisamente scombussolato i loro rapporti, la ragazza gli aveva indirizzato più “Come stai?” del dovuto e lui aveva cercato di divincolarsi da ogni conversazione scomoda come poteva, forse in modo eccessivo.
Ma non voleva farle pena.
Non voleva che qualcuno si preoccupasse per lui, non era mai successo nulla del genere nella sua vita perché doveva iniziare adesso? Semplicemente non riusciva e non poteva accettarlo.
Così aveva passato gli ultimi giorni il più lontano da casa possibile, usciva a fare la spesa, per andare a trovare Murphy e seguiva persino i corsi in palestra di Atom. Aveva chiesto dei turni in più al lavoro e fu grato di sapere dalla sorella, anche se ancora gli parlava a stento, che quella settimana Clarke aveva finalmente iniziato il suo tirocinio.
Sapeva che non sarebbe potuto andare avanti così ancora per molto eppure evitare il suo sguardo compassionevole gli era sembrata la cosa più giusta da fare finora.
-
Clarke era soddisfatta di come le cose stavano andando ora che finalmente aveva iniziato.
Il Boston Children Hospital era accogliente, all’avanguardia e vantava un personale preparatissimo, in molti avrebbero dato oro per ottenere un tirocinio della Harvard in quel luogo. Suo padre sarebbe stato fiero di lei, era per lui che sentiva di fare la cosa giusta, quando era morto a causa di un tumore al cervello quattro prima, lei aveva deciso di mollare tutto, se non fosse stato per Finn probabilmente si sarebbe ritirata persino dal liceo nonostante fosse all’ultimo anno. Poi però ricordò di come Jake l’avesse sempre incoraggiata ad essere forte, a non arrendersi e soprattutto a credere nelle sue capacità e quindi nei suoi sogni, “anche quelli che sembrano più irraggiungibili” le aveva detto.
 
 
Il primo giorno fu eccitante e profondamente strano, si era svegliata presto con una strana nuova emozione che l’assaliva. Aveva preso l’autobus e si era trovata in men che non si dica alla reception dell’ospedale dove, insieme agli altri tirocinanti, aspettò impaziente il coordinatore.
I ragazzi che se ne stavano lì erano cinque oltre lei, due ragazze e tre ragazzi uno dei quali le ricordava estremamente qualcuno.
Un uomo sulla cinquantina apparì dopo pochi minuti al loro cospetto era lo psicologo Thelonious Jaha, nonché coordinatore del loro tirocinio: li aveva divisi in coppie di lavoro e gli aveva mostrato l’intera struttura, ironia della sorte lei era finita con quel ragazzo dal volto già noto, si chiamava Wells e pensò che dovesse essere imparentato con il dottor Jaha perché la somiglianza era palese.
Durante la pausa pranzo si sedettero insieme al tavolo nella caffetteria interna riservata al personale medico.
La tampinò di domande, come del resto aveva fatto per tutta la mattinata ma Clarke era stata piuttosto schiva con la scusa di non volersi perdere nemmeno un dettaglio di ciò che il coordinatore stava spiegando, lui invece non le era apparso altrettanto interessato come se conoscesse a memoria già tutto quello che c’era da sapere.
Ora però non poteva ignorarlo e si vide costretta a mandare avanti la conversazione nel modo più cortese che le riuscì.
“Vieni da New York quindi?”
“Già”
“E come ti trovi?”
“Credo bene… Ma tu e, insomma, il dottor Jaha siete parenti per caso?”
“Si nota tanto eh?”
“Discretamente.”
“E’ mio padre”
“Mmh, anche tu psicologo, segui le sue orme, classico.”
“Lo stesso vale per te, no?”
“Cioè?”
“Segui il percorso di tua madre, giusto? So che è un chirurgo al Lenox Hill di New York.”
“Wow… la sua fama mi precede dunque.”
“In un certo senso.”
Poi Clarke si ricordò che non solo il suo viso aveva qualcosa di già visto ma anche il suo nome le suonava stranamente familiare, Wells… Murphy l’aveva nominato qualche giorno prima, doveva essere un collega di Bell da quanto aveva capito, che fosse lo stesso ragazzo?
“Conosci Bellamy Blake per caso?”
E lo disse istintivamente, senza nemmeno rendersene davvero conto, dopo quella chiacchierata, la bionda si era sorpresa più volte a riflettere sulla vita del maggiore dei Blake, aveva cercato di figurarsela al meglio dato che tutte le supposizioni che aveva fatto su di lui erano state tradite da quel dialogo fin troppo sincero che per una mattina li aveva resi più intimi del previsto. Dal canto suo i giorni successivi Bellamy era sfuggito quasi da ogni situazione di contatto anche solo visivo, O’ era più taciturna del solito ma soprattutto non voleva saperne del fratello e così la bionda si era ritrovata a rimuginare su quel ragazzo sostanzialmente da sola.
Wells nel frattempo la guardò stupito e si schiarì la voce
“Conoscere è un parolone, anche se siamo stati compagni di classe ed ex colleghi, abbiamo scambiato qualche battuta tal volta in tutti questi anni ma non credo di essergli mai andato molto a genio… Devo dire che la cosa era reciproca in ogni caso, non amo particolarmente quel tipo di ragazzi. Tu come lo conosci? Non sei qui da poco?”
Si sentì infastidita dalla superficialità con cui fece riferimento a quel ragazzo e pensare che appena pochi giorni prima avrebbe fatto lo stesso senza pensarci due volte.
Tagliò corto
“E’ il mio coinquilino.”
“Ah… capisco e ti ha parlato di me? Wow non me lo sarei mai aspettato, a dirla tutta per un mucchio di anni mi ha quasi sempre ignorato, non credevo nemmeno che riuscisse a ricordare il mio nome.”
Tecnicamente era Murphy che lo aveva nominato ma insomma se il suo migliore amico si ricordava ancora di lui di conseguenza doveva essere lo stesso per Bellamy.
“Magari ti sei fatto un’idea sbagliata su Bell.”
Il ragazzo scoppiò in una risata un po’ troppo fragorosa per i gusti di Clarke che lo guardò con fare servero alzando un sopracciglio.
“Impossibile” si riprese il giovane “Non ho mai visto un ragazzo come lui, ha una terribile spocchia e crede di essere superiore a tutti e tutto, nemmeno a provarci si può instaurare un rapporto con Blake che vada oltre ad una conversazione di cortesia e che comunque  sembrerà farti pesare per sempre… Non ha fatto lo stesso con te?”
La ragazza sospirò sonoramente, in realtà non poteva dare tutti i torti al suo nuovo collega… Se non fosse stato per quella mattina, lei stessa si sarebbe ritrovata probabilmente a dare la stessa descrizione del più grande dei Blake e per come le cose stavano andando non si sentiva di smentire il tutto, in ogni caso non fece tempo a ribattere che una figura li raggiunse al tavolo.
“Stavo cercando proprio voi due!”
Disse Jaha accomodandosi senza chiedere il permesso.
“Papà.” Lo salutò con un cenno del capo Wells
Lui sembrò ignorarlo e si concentrò sulla giovane
“Clarke non sai quanto mi fa piacere rivederti! Sei cresciuta ma vedo che non hai tradito i geni di famiglia né tantomeno le aspirazioni.”
Lei di tutta risposta lo guardò interdetta aveva detto rivederti? Questo voleva dire che in teoria era tenuta a riconoscerli? La sua espressione doveva essere talmente stupita che Thelonious si affrettò a giustificarsi
“Tranquilla, l’ultima volta che ti ho vista avevi sette anni. Sai io, mia moglie e Wells abbiamo abitato per i primi anni di vita di questo giovanotto a New York ed eravamo molto amici con tua madre e Jake, abbiamo frequentato l’università insieme, eravamo un gruppo inseparabile! Tu e Wells siete praticamente cresciuti insieme per questo ho deciso di mettervi a lavorare in coppia quando ho saputo che avevi passato la selezione per il tirocinio, eravate così affiatati da piccoli che ho pensato avreste potuto ritrovare facilmente sintonia anche in una situazione del genere.”
Ora il ragazzo che sedeva accanto a Clarke abbassò lo sguardo come imbarazzato. A lei finalmente fu chiaro perché il nome ed i lineamenti di Wells  le erano sembrati così familiari, effettivamente lo erano. Cercò di rispondere alla meglio
“Oh… mi dispiace tanto di non avervi riconosciuto però mi fa piacere, devo dire che non ho fatto moltissime amicizie qui fino ad adesso e mi fa piacere sapere che c’è qualche vecchia conoscenza anche qui! Perciò grazie, davvero.”
Wells alzò nuovamente lo sguardo ora velato di una mesta speranza mentre Clarke rifletteva su quanto appena detto, non era del tutto sbagliato, i suoi rapporti erano molto limitati considerato il fatto che non era sicura di aver fatto una grande impressione su Bellamy nonostante tutto, Raven invece l’aveva praticamente fatta sentire un’intrusa e Octavia sembrava raggiante con chiunque le rivolgesse la parola. L’unico che aveva mostrato un po’ di disincantato interesse nei suoi confronti era Murphy che però era un po’ troppo amico del più grande dei Blake, tutto sommato non le dispiaceva sapere che c’era qualcuno al di fuori di tutto quello.
 
Quando nel pomeriggio finalmente il loro turno era finito, Clarke si ritrovò a salutarsi con Wells davanti la macchina di quest’ultimo.
“Mi ha fatto tanto piacere, è bello sapere che c’è un volto amico anche a Boston”
Disse lei.
“A chi lo dici!”
“Certo avresti potuto dirmelo prima, mi sarei risparmiata la figuraccia con tuo padre…”
“Ma va! E’ che non sapevo come uscirmene, voglio dire la tua memoria infantile sembrava totalmente andata” La frase fu accompagnata da una risatina nervosa.
“Ci vediamo domani dai, devo andare, ho paura di perdere l’autobus.”
Il ragazzo esitò
“Se vuoi posso accompagnarti io… insomma se per te è okay”
“Davvero, sei gentilissimo ma non devi disturbarti.”
“Guarda che sono di strada!”
“Sicuro?”
Il giovane annuì ed aprì la portiera a Clarke.
I due chiacchierarono animosamente per tutto il tragitto, era strano ma le sembrò davvero che quella sintonia di cui parlava Jaha non fosse poi un’invenzione. Quando arrivarono di fronte a casa Blake Wells scese dalla macchina per aprirle nuovamente lo sportello e decise di azzardare
“Ti va se… insomma se una sera… pensavo che potremmo uscire, se a te va ovviamente.”
Clarke sorrise e acconsentì lasciandogli il suo numero di telefono , le avrebbe fatto bene un po’ di svago era sicura ma si precipitò in casa subito dopo averlo abbracciato, aveva bisogno di riposare soprattutto perché aveva avuto la malsana idea di promettere ad O’ che le avrebbe insegnato a fare la pizza fatta in casa.

-
 
“Caro Blake muovi il culo e vieni a prenderti la macchina, è pronta ma occupa spazio utile per altro lavoro quindi sei pregato di recuperarla entro stasera” diceva sul display un messaggio inviatogli da Raven. Fu strano leggere il precedente che gli appariva subito sopra “Facciamo da me quando stacchi? Non accetto risposte diverse da un sì.”
Scosse la testa.
Non è che Raven non le piacesse ma era il suo modo di fare che proprio non riusciva ad accettare forse perché troppo simile al suo, non tollerava che qualcuno prendesse decisioni per lei, era quasi dispotica e dopo tutto Bellamy sentiva un po’ suo quel modo di fare autoritario, non che lo avesse scelto o ne andasse fiero, lui era così, punto.
Ora doveva solo capire come raggiungere l’officina. Chiamò Atom ma aveva la segreteria. Quindi digitò velocemente il numero di Murphy, avrebbe chiesto anche ad altri ma abitavano tutti troppo fuori mano.
“A cosa devo l’onore di una tua chiamata Bell’addormentato?”
“Dio, Murphy smettila ti prego…”
L’altro rise dall’altra parte della cornetta
“Dimmi veloce però che stavo per uscire.”
“Sei impegnato?”
“Già, ho promesso a mia madre che l’avrei accompagnata dal medico, sono giorni che rimando e non posso più, deve fare le analisi e i controlli, sai per il fratellino in arrivo.”
A volte Bellamy dimenticava che sarebbe diventato inevitabilmente uno zio acquisito.
“Cazzo…”
Gli scappò.
“Ti serve qualcosa?”
“Dovrei andare da Raven a recuperare la macchina ma sai senza un altro mezzo di trasporto non posso, Atom ha la segreteria, non mi vengono altre idee.”
“Chiedi a Clarke no? In fondo te lo deve in un certo senso, è per lei che la macchina è finita dritta, dritta da Raven.”
“Scordatelo.”
“Fai come ti pare, io vado, ci sentiamo dopo!”
E riattaccò.
Bell si affacciò alla finestra sconsolato mentre pensava in fretta sul da farsi, non poteva chiedere a Clarke di accompagnarlo, l’ultima volta che erano stati da Raven non era stato il massimo e poi non aveva intenzione di rompere il silenzio che con fatica aveva ristabilito dopo quell’imbarazzante sfogo.
Una macchina rossa che ricordava piuttosto bene si fermò davanti il vialetto dell’abitazione, si chiese cosa diamine ci facesse Wells a casa loro ma poi lo vide scendere ed aprire cortesemente lo sportello del passeggero dal quale saltò fuori una sorridente Clarke che salutò il ragazzo abbracciandolo calorosamente.
Qualcosa nello stomaco di Bellamy si contorse.
Senza pensare molto a quanto stesse accadendo dentro di lui si diresse veloce all’entrata, scese i gradini a due a due e si ritrovò ad aprire la porta a Clarke prima che lei potesse aprirla con le sue stesse chiavi, mandò un’occhiata torva al ragazzo che l’aveva accompagnata a casa senza che lei potesse accorgersene ma con la consapevolezza che quest’ultimo avesse afferrato il concetto. Si stava comportando come avrebbe fatto se al posto della biondina ci fosse stata sua sorella e non capiva esattamente il perché ma decise di rimandare gli interrogativi perché convinto che Clarke era già pronta a porgli tremila domande.
“Stavi uscendo?”
“A dire il vero no.”
“E allora perché hai aperto la porta?”
“Ti ho vista dalla finestra e ti ho reso la vita più semplice, non trovi?”
Annuì scettica mentre si chiedeva per quale motivo adesso il maggiore dei Blake non solo le aveva ricominciato a rivolgere la parola ma era stato persino gentile con lei.
“Non sei bipolare vero?”
In quanto aspirante medico sapeva benissimo che il bipolarismo non comportava "sintomi" di questo tipo ma voleva fargli arrivare bene il concetto: avrebbe anche potuto smetterla di cambiare l’atteggiamento nei suoi confronti più velocemente di quanto si cambiasse la maglietta.
Lui la ignorò
“Che ci facevi con Wells?”
“Siamo colleghi se così si può dire e ho scoperto che da piccoli eravamo parecchio amici.”
“Mhh.”
Non capiva perché dovesse interessargli ma non riusciva a frenarsi dal voler sapere per quale motivo Clarke fosse legata a Wells, forse era che non lo sopportava, era da sempre stato la sua antitesi, sin dai tempi del liceo gli aveva soffiato il posto da primo della classe, non che lui lo volesse ma insomma non era una novità il suo istinto di voler primeggiare. I professori dicevano che lui era troppo indisciplinato e così nonostante fosse un ragazzino brillante i voti di Wells superavano sempre di qualche punto i suoi, stessa cosa al liceo quando l’altro aveva vinto le elezioni come rappresentante d’istituto, i suoi amici gli avevano detto che sembrava una figura più affidabile. Bellamy poi si era visto costretto a non poter continuare gli studi a differenza sua e così quando lo vide presentarsi al locale per coprire dei turni vacanti aveva deciso di riversare tutta la frustrazione accumulata negli anni su di lui. Sapeva bene in realtà che Wells rappresentava soltanto tutto quello che avrebbe potuto avere se solo la sua vita non gli avesse riservato determinati brutti scherzi.
Ma vederlo con Clarke lo fece impazzire.
Lei nel frattempo aveva già superato il giovane Blake pronta a dirigersi al piano superiore e Bell si ritrovò ad inseguirla sulle scale.
“Si può sapere cosa ti è preso?”
Lei si voltò di scatto e se la ritrovò ad un palmo di distanza, i loro visi per una volta alla stessa altezza dato che lei lo precedeva di un paio di scalini, deglutì ma decise di non indietreggiare.
“Volevo chiederti una cosa.”
Vide le guance della ragazza farsi rosso vivo ma nonostante questo il suo volto rimase impassibile, stava aspettando che continuasse.
“Potresti accompagnarmi da Raven con la tua macchina?”
Clarke sembrò stranamente sollevata
“Intendi adesso?”
Annuì.
“Dammi cinque minuti, mi cambio e arrivo.”
“Okay ti aspetto fuori.”
 
Fu stupito quando la vide fare capolino sul vialetto erano passati davvero cinque minuti, sua sorella ci avrebbe messo il triplo del tempo, era stretta in un maglioncino blu e dei jeans chiari le fasciavano le gambe, i capelli dorati tirati su in una pettinatura disordinata e selvaggia, ancora una volta il moro si ritrovò a constatare la sua bellezza quasi primitiva, spontanea.
“Se mi ricordi la strada guido io.” Annunciò lei.
Sapeva che protestare non sarebbe servito a nulla e così i due si posizionarono ai posti pronti per partire. Il ragazzo si sentiva a disagio, sentiva di dover dire qualcosa ma non sapeva bene da dove cominciare. Clarke teneva lo sguardo fisso sulla strada ma bisbigliò
“Non mi devi spiegazioni.”
Disse con un tono solenne ma non troppo convinto spezzando il silenzio claustrofobico che li aveva avvolti.
“Scusa?”
“Pensi che io sia una stupida? Mi hai evitato per giorni, rispondevi a malapena anche solo quando ti salutavo.”
Beccato.
“Ma no, è che avevo parecchio da fare.”
“Certo come no.” Fece una piccola pausa “In ogni caso mi devi un favore.”
“Cosa?!”
“Non è che fosse tra le mie priorità andare in officina da Raven oggi pomeriggio.”
“Se non mi avessi tamponato… non sarebbe stato necessario.”
“Non ci posso credere. Ancora con questa storia? Ma non ti stanchi mai di combattere? Non potevi passarci semplicemente sopra? Dovrai rimarcarlo per sempre?”
Aveva alzato parecchio il tono della voce e non aveva preso fiato dicendo tutto di getto, non era riuscita a pensare lucidamente perché l'istinto l'aveva sopraffatta, aveva passato giorni a tentare di giustificare Bellamy per il suo comportamento ma adesso dopo quella frecciatina che le aveva indirizzato per l'ennesima volta, il controllo era andato a farsi fottere completamente. Non sapeva che le prendeva ma poteva sentire la rabbia montarle dentro.
Bellamy strabuzzò gli occhi quando la vide continuare.
“Come se per me fosse facile ritrovarmi di fronte Raven per un altro pomeriggio, non potresti semplicemente ringraziarmi invece di farmelo pesare?”
“Gira a sinistra.”
“Uhm, fantastico, bel ringraziamento Bell, figurati.”
La ragazza senza rendersene conto, si era talmente fatta assalire da quel nervosismo che il contachilometri aveva superato di gran lunga la velocità massima consentita. Bell se ne accorse e cercò di avvertirla.
“Clarke ti prego, calmati.”
Lei scosse la testa mentre sentiva gli occhi inumidirsi si era resa conto in quel momento di avercela con lui, profondamente, solo ora che si trovavano nuovamente da soli, dopo giorni, aveva capito quanto le avesse dato fastidio il modo ostinato in cui l’aveva evitata, eppure lei aveva cercato solo di aiutato, pensava di aver fatto qualcosa di buono, non era stato lui a chiederle di restare? La confusione le faceva pulsare la testa, la frustrazione le stringeva la gola, non poteva ammetterlo ma quel ragazzo aveva un'abilità invidiabile nel far mutare così in fretta i sentimenti che confusamente sentiva di provare nei suoi confronti, di qualunque entità fossero.
Nel frattempo il ragazzo non riusciva a darsi una spiegazione per il cambio d’umore repentino della sua coinquilina
“Cazzo Clarke ma che ti prende? Accosta, non puoi guidare in questo stato.”
Le disse fissando il viso arrossato e gli occhi lucidi di lei.
Clarke fermò la vettura e si accasciò sul volante, si maledisse nuovamente, odiava con tutta se stessa perdere il controllo, non era da lei, ma quel ragazzo le faceva perdere la ragione e lei non riusciva ad accettarlo né tantomeno ad impedirlo.
Il maggiore dei Blake la guardava impotente senza capire cosa avesse fatto per turbare così tanto la biondina.
Lei sfilò le chiavi dal quadrante e gliele porse senza dire una parola. Poi scese e lo invitò a fare lo stesso, quando finalmente Bell si sedette nuovamente si voltò per guardarla in faccia.
“Si può sapere che hai fatto?”
Lei lo guardò con disprezzo.
Per un momento lui pensò che a quella vista il suo cuore avesse smesso di battere.
“Non credo di aver voglia di parlare”
E così dicendo Clarke appoggiò la testa sul vetro del finestrino guardando fuori, il cielo era scuro, le giornate si stavano accorciando visibilmente.
Bellamy rimise in moto e prese a guidare verso la destinazione ormai non molto lontana.
“E’ per Raven?”
Non demorse, odiava restare all’oscuro di qualcosa.
Mentre lei non era capace ad ignorare una domanda
“No, non m’importa un accidente di lei, non è stata altro che una povera inerme pedina, proprio come me. Certo non è che fosse in cima alla lista rivederla e farmi trattare di nuovo come se fossi una stronza patentata ma no, lei non c’entra.”
D’un tratto Bellamy fu illuminato. Pensava che l’atteggiamento di Clarke fosse il solito, rispondeva sempre sardonica dopo tutto quando era lui a rivolgerle la parola, sempre fino a quella mattina quantomeno.
Ora il suo tono era totalmente diverso, si accorse che Clarke emanava rancore da ogni poro del corpo e capì che forse la colpa era solamente sua. Come al solito aveva pensato prima a se stesso, il suo orgoglio era stato ferito ma la colpa non era della ragazza, era stato lui ad esporsi così ed era scappato con la coda tra le gambe quando aveva avvertito che lei lo guardava con occhi differenti, colmi di pietà.
Non era quello che voleva.
Ma non voleva nemmeno farla star male e lo capì in quel momento guardandola di sfuggita, sentiva un dolore nel petto vedendola in quello stato, sull'orlo delle lacrime. Si morse un labbro fino a farlo sanguinare leggermente, si sentiva un perfetto bastardo, l'aveva trattata come se fosse invisibile quando lei aveva solo cercato di venirgli incontro.
Lui invece aveva rincarato la dose come se non bastasse ricordandole che era per “colpa” sua se adesso si trovavano in quella macchina diretti dal meccanico. Sono un idiota si disse mentalmente.
Il primo giorno che l’aveva vista, quando era entrato nella sua camera mentre dormiva aveva notato un’espressione sofferente sul viso, la conosceva bene, era la stessa che Octavia aveva da bambina, la stessa che probabilmente aveva tutt’ora lui. Aveva capito poi che doveva esserci dell’altro, non si trattava solo di una stupida cotta andata a finire male, il dolore di Clarke doveva originarsi da qualcosa d’importante, qualcosa che probabilmente si era tenuta dentro.
Si sentì in colpa.
E quando lo realizzò aveva già parcheggiato, erano arrivati.
La bionda si stava slacciando la cintura
“Non c’è bisogno che tu venga, resta in macchina tranquilla, me la sbrigo io.”
Fu indubbiamente sollevata ma non disse nulla, si limitò ad annuire.
Mentre apriva lo sportello per scendere Bellamy si voltò cercando i suoi occhi e farfugliò
“Perdonami.”
Non volle sentire la risposta forse per paura, codardia si disse in realtà, e si sbrigò a scendere dalla macchina.
   
 
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