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Autore: The_Grace_of_Undomiel    02/10/2016    3 recensioni
"Nei secoli passati, nella terra di Erendithum non prosperava la pace, ma era soggetta a guerre continue. I Regni più in contrasto in assoluto erano Il Regno dei Desideria e il Regno dei Mildriend, chioma rossa. Per molto tempo tra queste due popolazioni ci fu furono guerre e battaglie sanguinose, fino a quando non si giunse ad una faticosa pace, suggellata dal matrimonio del principe Desideria, Dawmanos e la principessa Mildriend, Fhanys. Purtroppo, questa pace non fu destinata a durare a lungo. Infatti una nuova minaccia sorse dal Regno degli Alkres, che tentò di usurpare il Regno dei Desideria e dei Mildriend, per ottenere la supremazia massima. Ma dopo una guerra lunga e violenta, il Regno degli Alkres fu sconfitto e confinato in una dimensione a noi sconosciuta per opera della Maga Ailenia. Sventata anche questa minaccia, si visse nuovamente in pace e armonia. Alla tragica e misteriosa morte dei due sovrani, salirono al trono il fratello del Re, Moron, e la sua consorte, Alidiana. In seguito a ciò, si scatenò nuovamente un conflitto con i Mildriend, popolo divenuto ribelle e pericoloso. La popolazione venne a lungo perseguitata fino a quando la razza dei Mildriend non scomparve"
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Scentialhan, la città lucente

Nel momento in cui il gruppo dei Mildriend si apprestava ad addentrarsi nel covo di Ferimorn, in tutt’altro luogo un carro trainato da un vecchio e pezzato ronzino cigolava e rimbalzava sulla strada ampia e lastricata, serpeggiante verso l’alto e costeggiata da verde e tenera vegetazione.
Se si scoccava un’occhiata verso il basso era possibile scorgere le acque del fiume scintillanti alla luce del sole e pontili di legno ai quali erano attraccate barche dalle diverse dimensioni e fatture.
Sul molo transitavano Syrma indaffarati e qualche Nureyel, intenti a trasportare casse ricolme di merci, mentre alcune guardie abbigliate con armature leggere e cotte di maglia rilucenti ai raggi come specchi argentati sorvegliavano il tutto, lo sguardo attento e le braccia strette al petto.
Il vecchio Syrma riportò l’attenzione sulla strada e con uno schiocco di redini esortò il cavallo ad aumentare l’andatura, le casse vuote sul retro che si scontravano tra loro in un rumore sordo.
Il carro proseguì in salita a ritmo costante per diverso tempo, sino a quando non si fermò dinanzi a un bivio: una strada serpeggiava a sinistra ancora più in alto, mentre un’altra, leggermente più piana, proseguiva verso destra.
“Siamo arrivati. Da qui io devo girare a destra, perciò dovresti scendere” bofonchiò il vecchio, scoccando un’occhiata all’esile figura al suo fianco, che per tutto il tempo si era mantenuta in un mite silenzio.
In un fruscio di vesti la giovane posò i piedi nudi sulla strada lastricata e si voltò verso il Syrma, che non poté celare un brivido nel ritrovarsi quegli occhi pallidi e inespressivi fissi nei suoi.
“La ringrazio per il passaggio, è stato molto gentile da parte sua” lo ringraziò la Nureyel, la voce ridotta a un basso e calmo mormorio.
“Nessun problema, dopotutto mi hai pagato” replicò il contadino, senza riuscire a smettere di osservare con aria dubbiosa la ragazza dai lunghi capelli verdi, la frangetta a coprirle la fronte.
Quando, quasi sei ore prima, l’aveva scorta camminare lenta sul ciglio della strada, vestita semplicemente con un abito lilla che le arrivava appena sopra le ginocchia e con in spalla una sacca rattoppata, si era fermato, anche se malvolentieri, e le aveva chiesto se andasse tutto bene.
La ragazza aveva alzato il viso dall’espressione vuota verso di lui e nel momento in cui gli aveva risposto di sì, aggiungendo se volesse che gli venisse letta l’anima, l’uomo era stato tentato di dare un colpo di redini e di partire a tutta velocità, inquietato da quello sguardo vacuo e da quella voce trasognata.
Non aveva però nemmeno avuto il tempo di ripartire che con il braccio tremante lei gli aveva teso una moneta d’oro lucente, chiedendogli se per favore potesse darle un passaggio sino alla capitale.
Di primo impatto il vecchio aveva pensato di risponderle di no, per nulla propenso all’idea di ospitare quella strana sconosciuta sul suo carro. Poi però, convincendosi che fosse per il semplice desiderio di guadagnare una moneta -oltre al fatto che fosse suo dovere di Syrma non lasciar gironzolare  individui strampalati per il Regno- e non perché l’evidente cecità della ragazza lo avesse impietosito, aveva deciso di permetterle di salire.
Sorprendentemente la ragazza non aveva avuto bisogno di alcun aiuto e così erano partiti, mantenendosi in silenzio per quasi tutta la durata del viaggio. L’unica cosa che l’uomo le aveva chiesto era stata il suo nome e la sua provenienza: Miradis, un nome che non gli diceva niente, partita da Duilliur.
“Senti un po’, sei proprio sicura di voler andare a Scentialhan?” aggiunse borbottando il Syrma.
“Certo, perché?” domandò di rimando Miradis, sinceramente stupita.
“Non mi sembra la città adatta a una come te, a dire il vero non so neanche se ti lasceranno entrare. Ci sono le guardie al cancello principale e sarai costretta a pagare una tassa”
“Oh, per questo non vi è problema, ho delle monete con me” sorrise appena l’indovina, indicando la sacca.
L’uomo le rivolse un’occhiata scettica. Non è solo una questione di denaro, pensò, riferendosi all’aspetto trasandato della ragazza. La possibilità che i soldati le permettessero di entrare nella lucente e ricca capitale era pressoché inesistente ma questo, si rammentò, non lo riguardava.
“Come vuoi, allora cerca di prestare attenzione, salendo verso l’alto la strada diventa più accidentata” disse e agitando la mano in un breve cenno di saluto ripartì.
“Certo, starò attenta. Grazie ancora, Robio”
Il cigolio della ruota e gli zoccoli del cavallo sul lastricato si erano portati via parte della voce della ragazza, ma l’uomo sentì chiaramente il suo nome sulle labbra di lei, nome che lui era certo di non averle mai rivelato, e non poté impedirsi di sussultare.
Si lasciò andare a un sospiro simile a un brontolio, lieto finalmente di esser rimasto da solo, visto quanto la questione era divenuta bizzarra. Dunque sparì all’orizzonte, pregustandosi già la cena di quella sera.
Nel frattempo Miradis si era incamminata e con passo incerto proseguiva lungo la salita. Non percepiva alcuna forma vivente, la strada doveva esser deserta, e per questo orientarsi le risultava più difficile del solito.
Erano ormai passati diversi giorni da quando aveva lasciato il gruppo dei Mildriend e in quell’arco di tempo aveva viaggiato principalmente a piedi o rimediando passaggi su alcuni carri. Aveva camminato per intere giornate, fermandosi a dormire all’aperto o in qualche fienile abbandonato, mentre talvolta le era capitato di viaggiare anche di notte, quando era riuscita a trovare qualcuno disposto a ospitarla sul suo carro.
I raggi caldi del sole sulla pelle chiara le suggerivano che dovesse esser circa primo pomeriggio, mentre un leggero venticello fiorito le scompigliava i capelli e la rinfrescava dalla calura.
Avanzò prestando la massima attenzione e facendo del suo meglio per orientarsi sino a quando, mezz’ora dopo, non percepì la presenza di persone e indistinti brusii, segno che doveva esser praticamente giunta.
Sul fondo della strada giganteggiava infatti, a conclusione delle bianche mura fortificate, un enorme cancello scuro, al centro una grossa porta dove passavano carri e transitavano Syrma. Lì davanti sostavano tre guardie, che scrupolose controllavano le merci, registravano su un archivio i nomi dei passanti e riscuotevano la tassa, ma tutto ciò che Miradis poteva vedere era un’ombra scura punteggiata da piccole sagome più chiare, sulla testa alcuni puntini luminosi che per lei avevano assunto un significato ben preciso ma che in termini di colori non avrebbe saputo definire.
Proseguì e quando giunse presso il cancello il rumore cozzante di armature la costrinse a fermarsi. Gli uomini si erano allontanati dalle mura e si erano avvicinati, tutti e tre con un’espressione ostile e dubbiosa sul viso.
“Ferma. Il tuo nome e la tua provenienza”
“Miradis. Provengo dalla città di Duilliur e sono nata nel villaggio di Esoden”
Una delle guardie scribacchiò il tutto sul registro, dopodiché aggiunse “Dichiara la tua occupazione”
“Sono una semplice visitatrice” rispose Miradis, trasognata come sempre. Le tre guardie si scambiarono fra loro un’occhiata.
“Come hai detto, prego?” domandò uno, scettico. La ragazza ripeté e quel punto due delle guardie ridacchiarono appena, mentre quello che le stava parlando sollevò le labbra in un sorriso obliquo.
“Questa città non è aperta ai vagabondi curiosi, se non sei qui per un motivo ben preciso allora sei pregata di sparire”
Miradis batté le palpebre, raggiunta in quell’istante da alcune sporadiche informazioni. Quella guardia era piuttosto giovane, sui trentacinque anni, il suo nome era Eroset, era nato nella capitale  e solitamente non era troppo scrupoloso nei controlli. Per qualche ragione con lei invece non pareva aver alcuna intenzione di sorvolare sui dettagli.
“Ho i soldi per pagare la tassa” rispose l’indovina. Tutte e tre le guardie erano accumunate dal desiderio di ricchezza e speravano di guadagnare abbastanza per poter presto abbandonare quella occupazione, dunque il denaro poteva essere una soluzione per permetterle di passare.
Difatti alla menzione dei soldi gli occhi di Eroset scintillarono, così come quelli degli altri due.
“Davvero? Se effettivamente hai con te tutti soldi necessari allora potrei persino chiudere un occhio: sono venti monete d’oro”
Miradis percepì chiaramente il proprio cuore precipitare con un tonfo sordo nello stomaco, mentre il leggero sorriso sul suo viso spariva e la sua espressione ritornava completamente vuota. Di monete nella sacca ne aveva appena sette e altre due erano in argento.
“Non ho con me tutto quel denaro” ammise, e lo sguardo dei soldati divenne duro, così come il sogghigno si tramutò in una smorfia tagliente.
“Allora non abbiamo altro di cui parlare”
“Ma, ecco…”
“Gira i tacchi, prima che sguaini la spada” la intimidì dunque Eroset, avvicinando le dita all’elsa.
Miradis tacque, avvertendo chiaramente le intenzioni ostili della guardia e  capendo che se fosse rimasta lì ancora a lungo non avrebbe esitato ad attaccarla, sebbene di per sé una ragazza cieca non fosse poi una tale minaccia. O almeno, teoricamente.
Fu in quel momento che un rumore di zoccoli alle sue spalle e il cigolio di un carro attirarono l’attenzione dei soldati, che scrutarono con un cipiglio tra l’altezzoso e l’infastidito il nuovo arrivato, dimenticandosi così momentaneamente di Miradis, ferma immobile. Non aveva neppure avuto la necessità di voltarsi, le informazioni erano già giunte rapide come un fascio di luce: una donna, Desideria, intorno ai trent’anni, di nome…
“Nome e provenienza” chiese autoritaria una delle guardie, riaprendo il registro.
“Amalea. Giungo dalla città di Duilliur e sono qui per affari” rispose la commerciante, la voce spigliata e colorita da una singolare punta di sicurezza. La guardia scribacchiò rapidamente.
“Per l’ingresso in città sono venti monete d’oro. Dobbiamo inoltre controllare il tuo carro, dunque sei pregata di scendere e di lasciarci ispezionare a dovere”
“Prego, guardate pure, ma vi anticipo già che in quel carrettino di spezie non troverete altro se non erbe e barattoli” replicò disinvolta, scendendo dal calesse con un balzo. Lanciò un sacchetto tintinnante di monete a una delle guardie, che stranito riuscì a prendere al volo, e si portò al fianco di Miradis, le mani sui fianchi e il viso all’insù, rivolto verso la parte superiore del cancello.
Un portamento che esprime disinvoltura e rilassata noncuranza rifletté la giovane indovina, che ancora non aveva accennato un solo movimento, lo sguardo vuoto volto dinanzi a sé, dove la porta ricavata nel cancello le lasciava intravedere ombre, quasi tutti Syrma, che frenetici si muovevano all’interno della città.
Frattanto, in completa opposizione all’espressione imperturbabile di Miradis, gli occhi smeraldini di Amalea brillavano di interesse e le sue labbra erano distese in un ampio sorriso compiaciuto.
“Una struttura gigantesca, ne avevo sentito parlare ma non avrei mai creduto che il cancello fosse così imponente. È chiaro che non abbiano badato a spese in fatto di sicurezza, ma considerato le ricchezze che vi sono in quella città non ne sono stupita” cominciò a parlare, il timbro estremamente confidenziale. L’indovina non rispose subito, al che la donna le scoccò un’occhiata, senza però perdere il sorriso spigliato.
“Vero. Dicono che i tetti di alcuni palazzi siano costituiti da puro oro” commentò poco dopo.
Amalea non poté impedirsi di ridacchiare, una breve risata bassa.
“Quelle sono solo semplici voci, leggende costruite intorno alla città. Se così fosse dell’oro non ne sarebbe rimasto neppure un frammento, qualche pazzo si sarebbe già arrampicato per scalpellarlo e riempirsene le tasche”
“Oh” mormorò trasognata Miradis “A questo non avevo proprio pensato. Non sono molto informata a proposito di Scentialhan”
“Anche tu qui per la prima volta?”
Miradis annuì piano.
“Lo stesso vale per me, anche se ormai ne ho sentito così tanto parlare che è come se ci fossi già stata. Le spezie non sono troppo diffuse in luoghi come questi, perciò confido che guadagnerò un bel po’ di denaro qui. Tu, invece? Quali affari ti portano alla scintillante capitale del Regno dei Syrma?”
“Niente di particolare, sono solo una visitatrice” rispose piano l’indovina, anche se esser sulle tracce di un misterioso individuo in grado di lanciare maledizioni non fosse proprio da definirsi nulla, ma questo ovviamente non poteva dirlo.
Amalea dovette lanciarle uno sguardo appena dubbioso nonostante l’evidente sorriso, poiché un lieve tremito attraversò il collo chiaro della giovane, come sempre accadeva quando riceveva occhiate di quel tipo.
“Capisco, allora avrai tutto il tempo di visitare la città come si deve” rispose la commerciante.
“In verità non ho il permesso di entrare, non ho abbastanza denaro per pagare la tassa”
“Davvero? Questo è un bel problema”
L’indovina non poteva esser più d’accordo, sebbene avesse già pensato a una soluzione: si sarebbe messa sul ciglio della strada a chiedere se qualcuno volesse che gli venisse letta l’anima e così facendo avrebbe guadagnato i soldi necessari, anche se non aveva idea di quanto tempo le sarebbe potuto servire, senza contrare che le provviste nella sacca stavano cominciando a scarseggiare.
“Abbiamo finito, il carro è a posto, puoi proseguire” la informò una delle guardie.
“Molto bene. Conoscete per caso qualche locanda in cui potrei alloggiare?” chiese, frattanto che risaliva sul calesse.
“Ce ne sono diverse, ma ti consiglio di recarti al ‘Calderone d’Argento’, è la più economica e l’unica che penso tu possa permetterti” rispose Eroset, le labbra sollevate in un sogghigno mal celato.
“Eccellente, che il Calderone d’Argento sia!” approvò la donna come al solito spigliata, affatto toccata dall’allusione poco gentile della guardia, che si vide arrivare fra le mani un altro sacchetto di monete.
“Hai già pagato la tassa” le ricordò, aggrottando la fronte senza comprendere.
“Lo so, questo è per l’ingresso della ragazza”
Miradis sussultò impercettibilmente, voltandosi d’istinto verso la donna e cercando disperatamente di sfondare l’oscurità che le impediva di vederne la figura.
Perché? tentavano di esprimere i suoi occhi pallidi, sebbene non fosse certa che la donna riuscisse a decifrare la sua espressione.
Eroset nel frattempo aveva dardeggiato un’occhiata sospettosa sull’indovina.
“Hai per caso qualche legame d’affari con lei?”
“Nessuno, a dire il vero, ma dal momento che ho saputo che in mancanza di denaro non può entrare ho pensato di pagare io al posto suo. Qualche problema a riguardo?”
La guardia, che già stava soppesando il sacchettino con le monete, scosse la testa.
“No, nessun problema” si schiarì la voce, cercando di ritrovare contegno “Non spetta a me decidere come tu voglia spendere il tuo denaro”
“Su questo siamo perfettamente d’accordo. Tu, avanti, sali a bordo” la invitò con un’amichevole cenno del capo Amalea.
Miradis rimase ferma qualche istante, stranita ed esitante, dopodiché si avvicinò e con qualche movimento tremulo si issò sul carro, che in uno schiocco di redini prese placido ad avanzare, lasciandosi alle spalle le tre guardie, compiaciute di aver ottenuto in un colpo solo ben quaranta monete d’oro.
 
 
Sotto i raggi abbacinanti del sole i palazzi, le vetrate delle finestre e le strade serpeggianti rilucevano come puro argento vivo. L’intera città si sviluppava verso l’alto tramite vie acciottolate e ampi gradini in pietra bianca, dinanzi ai quali si aprivano minuti giardini circolari, al centro dei quali vi era sempre un albero dalle scure foglie verdi e di fianco ad esso una panchina su cui sedevano donne elegantemente abbigliate.
La parte inferiore della capitale era alquanto sobria e ospitava le case popolari, le botteghe ed empori di vario genere, tra cui il magazzino dove giungevano le merci provenienti dal porto. Sulla strada era infatti possibile veder transitare diversi carri e carretti contenenti prodotti di ogni tipo.
Proseguendo verso l’alto gli edifici divenivano più grandi e raffinati sino a raggiungere il massimo splendore nell’area appena sottostante il palazzo reale, che imponente e scintillante giganteggiava sull’intera città. Pinnacoli e torri slanciate dalle punte bronzee spiccavano nel cielo cobalto mentre gli stendardi della famiglia reale vibravano al vento tiepido. Un’enorme e larga scalinata conduceva all’ampio cortile in pietra che anticipava il portone d’ingresso principale del castello. Diverse guardie sostavano ai lati e osservavano chiunque si aggirasse in quelle zone.
Infine altre vie, vicoli e stradine si sviluppavano intricati, completando quella che era la scintillante capitale del Regno dei Syrma, Scentialhan.
Gli occhi smeraldo di Amalea brillavano di interesse e compiacimento, mentre quelli pallidi di Miradis guardavano fissi in avanti, pieni di ombre e recettivi spostamenti e presenze di ogni genere.
Il carro della venditrice proseguì dritto per un po’, sino a quando non intraprese una via sulla sinistra che conduceva in una spaziosa piazza circolare, dove già sostavano diversi carri. I commercianti, principalmente Syrma insieme a diversi Nureyel e qualche Desideria, invitavano i cittadini ad avvicinarsi ai loro banchetti, le merci esposte con cura e invitanti.
Amalea fermò il carro in uno degli spazi ancora liberi, dopodiché balzò giù e cominciò a posizionare le varie spezie e barattoli sul banchetto di legno vuoto a disposizione dei commercianti.
Ve ne erano infinità, sparsi per l’intera capitale e di fattura più elaborata man mano che si proseguiva verso la sezione alta. Nei quartieri sopraelevati potevano accedere solo determinati commercianti, come quelli di pietre preziose, sete e vesti raffinate, e per sostare nei banchetti dovevano possedere un permesso speciale ottenibile solo nel secondo magazzino, quello posizionato appena due livelli sotto al castello.
Miradis scese lentamente dal carro e si avvicinò ad Amalea, indaffarata con l’allestimento della bancarella.
“La ringrazio molto per ciò che ha fatto per me. Non dimenticherò mai il suo gesto” sussurrò gentile, chinando appena il capo.
La venditrice inarcò un sopracciglio e sorrise.
“Certo, ne sono sicura. Ma per quanto mi sia stato gradito aiutarti credo che un piccolo pagamento da parte tua sia d’obbligo”
L’indovina sussultò impercettibilmente e schiuse appena le labbra, stranita. A quello non aveva proprio pensato.
“Capirai anche tu che la mia richiesta sia legittima, la reciprocità viene prima di tutto. Inoltre, ricorda che rimango comunque una venditrice, il massimo che posso concedere gratuitamente è un sacchettino di spezie” ammiccò, incrociando le braccia al petto. Miradis annuì piano.
“Non so se ho abbastanza denaro per ripagarti della tua gentilezza, però”
“Questo lo so bene, altrimenti non avresti avuto bisogno del mio aiuto per entrare in città. Tutto quello che ti chiedo è di lavorare l’intero pomeriggio al banchetto con me e aiutarmi in alcune faccende”
Miradis rimase qualche istante in un silenzio trasognato, dopodiché rispose che lo avrebbe fatto volentieri. Poteva permettersi di passare mezzo pomeriggio in compagnia di quella donna, poiché sicuramente avrebbe avuto il tempo di spostarsi per l’intera città nei giorni seguenti. L’aura di colui che le aveva lanciato la maledizione era debole e fioca, ma questo bastava a suggerirle che fosse almeno passato per quella città e magari, girovagando, sarebbe riuscita a trovare una pista un po’ più nitida. Nel frattempo ne avrebbe approfittato per guadagnare qualche soldo con la sua abilità.
“Perfetto, non appena scenderà la notte le nostre strade si divideranno e potrai dedicarti a ciò per cui sei venuta qui. Visitare la città, hai detto” disse Amalea, sebbene non comprendesse pienamente come una giovane cieca desiderasse una cosa simile, dal momento che non poteva vedere ciò che Scentialhan aveva da offrire. La venditrice però non si era mai reputata una persona con l’ardire di poter giudicare le scelte e le azioni altrui, dunque sentiva che la questione non dovesse riguardarle.
“Non molto lontano da qui si trova una stalla dove commercianti e viaggiatori possono lasciare il loro cavallo. Porterò Tanya lì e la riprenderò stasera. Tu nel frattempo finisci di sistemare le spezie sul banco. Attenta a non sparpagliarle e a non respirare quella rossa, potresti non smettere più di starnutire. Ci vediamo dopo” staccò la cavalla dal carretto e prese a tirarla per le redini, prima di soggiungere, guardando l’indovina da sopra la spalla “Un’ultima cosa. Non mi sembri affatto il tipo di persona, ma in ogni modo non provare a rubare la mia merce perché potresti pentirtene. Non mi sono mai piaciuti i ladri”
Le rivolse un sorriso sia d’intesa che di avvertimento, poi scomparve in una via. Miradis rimase qualche secondo imbambolata sul posto, dopodiché si mise a continuare il lavoro della venditrice, sistemando i barattoli e i sacchettini sul banco in legno. Si rendeva conto di non essere molto veloce, ma non poteva fare altrimenti, senza contare che tendeva a distrarsi facilmente.
Aveva appena concluso di sistemare i prodotti quando percepì qualcuno avvicinarsi. Come al solito le informazioni non tardarono ad arrivare: giovane Syrma, probabilmente sui diciannove anni, nata a Scentialhan nella seconda parte inferiore, lavorava al servizio di una famiglia piuttosto benestante al quarto distretto. Il suo nome era Prusys.
“Qual è il prezzo di questa spezia?” domandò, con voce tra l’incalzante e il seccato.
Miradis capì che la ragazza stava indicando un sacchettino sulla sinistra, ma non aveva idea di cosa contenesse né tantomeno quanto costasse.
“Non lo so” mormorò semplicemente.
“Come sarebbe a dire che non lo sai?”
“Il banchetto non è mio, sono qui un attimo in sostituzione”
“Allora controlla il libro dei prezzi, tutti i venditori ne hanno aggiornato una copia, dovrebbe essere sul carro, anche se non dovrei essere io a doverti spiegare certe pratiche”
Miradis annuì nel suo solito modo, come se i suoi pensieri si trovassero in quel momento da tutt’altra parte, e cercò nel retro del carro il fantomatico registro, mentre Prusys attendeva muovendo ritmicamente un piede, scocciata.
Effettivamente l’indovina riuscì a trovare il libro e lo posò goffamente sul banco, rischiando di far cadere qualche barattolo.
“Ecco qua” disse Miradis, iniziando a sfogliare le pagine “Potresti cercare quello che ti serve?”
“Come? Perché dovrei farlo io? È il tuo lavoro” replicò, incrociando le braccia e tamburellando nervosamente le dita sul gomito.
“In realtà non sarebbe il mio lavoro, sto solo…”
“Non mi interessa, adesso sei qui a un banchetto di spezie perciò sei pregata di eseguire quello che ti ho chiesto”
“Non posso” sussurrò di rimando. Pruys aggrottò le sopracciglia.
“Devi solo cercare il nome della spezia sul libro. Non ti hanno insegnato a leggere, per caso?”
“Chiedo scusa per i modi impacciati della mia assistente”
Amalea apparve al fianco dell’indovina, il solito sorriso spigliato e confidenziale sulle labbra.
“Ha appena iniziato, perciò non possiede molta dimestichezza con il mestiere”
“Sono qui da dieci minuti e le ho semplicemente chiesto di leggere su quel libro, ma sembra non esserne in grado”
“Infatti è così” con un semplice gesto la donna posò il palmo sulla fronte di Miradis e le sollevò la frangetta verde, rivelando gli occhi pallidi “Non può vedere”
Prusys batté un istante le palpebre.
“Non me l’ha detto” rispose stringendosi nelle spalle.
“Se avessi prestato più attenzione invece di aver fretta di finire e andartene te ne saresti accorta da sola”
La ragazza restrinse appena lo sguardo e Amalea si concesse qualche attimo per osservarla meglio. I capelli biondi e lisci le giungevano pari appena a metà del collo ed erano tirati indietro da una sottile fascia bianca, lasciandole scoperta la fronte. Gli occhi avevano il colore della bassa boscaglia e sul suo viso, spruzzato da piccole lentiggini sul naso e sotto gli occhi, sostava un cipiglio incalzante e in un certo senso annoiato. Indossava una veste dal corpetto e le maniche bianche, arrotolate sino all’avambraccio, e la gonna marroncina.
“Posso sapere il prezzo di quella spezia, allora?” chiese di nuovo, roteando gli occhi.
“Sono cinque monete d’oro” rispose affabile la venditrice.
“Ne prendo venti sacchetti. La tua assistente può aiutarmi a portarli sino all’abitazione in cui lavoro? Se ne è capace”
“Certamente. Ho due piccole casse che potrete utilizzare per trasportare il tutto. Avanti, ragazza. Aiutami” disse rivolta a Miradis, e le due si accovacciarono ai piedi del bancone.
“Se fossi stata una Syrma e non una Nureyel probabilmente non ti avrebbe chiesto di aiutarla, ma da queste parti è così e se si vuole guadagnare bisogna adeguarsi alle usanze” le spiegò in un basso sussurro, prendendo una cassa mentre l’indovina afferrava l’altra.
“Ho capito” mormorò la giovane.
“Quando avrai finito prima di tornare potrai pure farti un giretto. Sei in grado di ritornare, giusto, Miradis?”
L’indovina si bloccò un attimo, prima di sollevare il viso verso la donna.
“Come sa il mio nome?” chiese, la voce non più atona ma incuriosita. Amalea si limitò a sorridere furbescamente.
“Intuito” rispose e si rialzò in piedi, iniziando a buttare i sacchettini di spezie nei contenitori per poi schiaffare il suo tra le braccia di Prusys, non molto contenta del gesto rude.
Così le due ragazze si misero in cammino, con la Syrma in testa e dietro Miradis, che si voltò un’ultima volta alle sue spalle, verso Amalea.
La venditrice conosceva il suo nome, eppure era certa di non averglielo mai rivelato. Che avesse in realtà un potere simile al suo?
Prusys camminava spedita fra il fiume di gente, incurante se Miradis riuscisse o meno a tenere il passo. Dal canto suo l’indovina non aveva alcun problema a riguardo, poiché percepiva nitida la presenza della ragazza. Seguì ogni sua mossa, svoltando per le vie e salendo gli ampi gradini non appena percepiva Prusys fare altrettanto.
Nel corso del tragitto venne urtata diverse volte da alcuni passanti che mai le chiesero scusa e, anzi, le rivolsero diverse occhiate sprezzanti.
Quando giunsero nella quarta parte della città Miradis avvertì immediatamente la differenza, percependo nelle persone un portamento dall’impronta aristocratica e, allo stesso modo, atteggiamenti ancora più altezzosi.
Si fermarono dinanzi a un’elegante dimora dalle dimensioni contenute, il portone preceduto da una breve rampa di scale in pietra.
“Posa pure la cassa su quel gradino. Mi ci vorrà diverso tempo per scaricare i sacchettini e riporli nella dispensa, perciò ti conviene tornare al banchetto. Qualcuno ve le riporterà” spiegò, il solito atteggiamento scostante e seccato.
“D’accordo” annuì Miradis, che soggiunse “Prima di andare, vuoi che legga la tua anima?”
Prusys le scoccò un’occhiata.
“Come hai detto, prego?”
“Se vuoi che legga la tua anima”
La Syrma contrasse il viso in una smorfia e le voltò bruscamente le spalle.
“Mmpf, avevo avuto il sospetto che non ci fossi tutta di testa e questa è la conferma finale. Non cercare di propinarmi le tue baggianate e torna al lavoro, qualunque esso sia”
Con queste ultime parole sparì dentro la casa e richiuse il portone. Miradis rimase qualche secondo lì davanti, poi si rimise in cammino. Amalea aveva detto che prima di tornare avrebbe potuto girovagare un po’ per conto suo, dunque ne avrebbe approfittato per curiosare, senza però attardarsi troppo.
Un pagamento era un pagamento e Miradis aveva intenzione di restituire il favore a quella donna così disinvolta e misteriosa che l’aveva aiutata.
 
 
L’indovina era in grado di avvertire praticamente quasi ogni cosa, anime, persone, la loro indole e alcuni dettagli della loro vera natura. Sebbene i suoi occhi le mostrassero il vuoto la ragazza poteva forse vedere e comprendere più di chiunque altro, grazie anche agli altri sensi affinati con il tempo. Dunque, percepiva chiaramente di essersi persa.
Miriadi di sensazioni la attraversavano e nessuna di esse assomigliava vagamente a quelle avvertite nelle strade percorse con Prusys. Non sapeva con esattezza quando avesse sbagliato direzione, fatto stava che la zona in cui si trovava in quel momento le era completamente sconosciuta, non solo per i suoni, gli odori e la differente consistenza della strada sotto i piedi nudi, ma soprattutto per le anime delle persone per la via: malinconiche, rassegnate, alcune deboli e altre sin troppo in movimento.
Le ricordava la zona di Duilliur in cui era solita dormire e che mai avrebbe pensato di ricordare nella preziosa capitale Scentialhan. La sensazione della miseria, triste e opprimente.
Non aveva idea di che ore fossero ma i raggi del sole sulla sua pelle erano meno caldi e appena tiepidi, segno che non dovesse mancare molto al tramonto. Doveva trovare il modo di ritornare da Amalea, ma non poteva permettersi di ripresentarsi a mani vuote. Dal momento che l’aiuto lavorativo promesso era ormai fallito avrebbe guadagnato i soldi necessari a ripagarla in maniera alternativa, mettendosi a leggere le anime.
Tirò fuori dalla sacca il tappetino ocra, si accomodò vicino al muro di un’abitazione e poi cominciò a porre la sua solita domanda trasognata, in attesa che qualcuno si fermasse. Un problema frequente del suo lavoro era che non tutti si mostravano molto propensi a lasciarsi avvicinare da una ragazza con simile espressione e aspetto e con quella domanda sulle labbra, ma viste le sue condizioni sfruttare l’abilità che possedeva in dono era l’unico modo che aveva per guadagnarsi qualche soldo. Aveva tentato tempo addietro a trovare altre occupazioni, ma i proprietari delle botteghe non l’avevano accettata, influenzati dal suo aspetto e dalla sua condizione. Non le avevano neppure concesso una possibilità o qualche giorno di pratica, nulla, considerandola da principio inadatta.
Nessuno pareva interessato e i passanti indaffarati si limitavano a scoccarle qualche occhiata perplessa, probabilmente chiedendosi da dove fosse sbucata quella nuova mendicante, quando dei deboli e leggeri passi attirarono l’attenzione dell’indovina.
“Vuoi che legga la tua anima?” chiese lei. L’individuo, un ragazzo, si fermò e si voltò verso Miradis.
“Mi piacerebbe molto, ma non ho nulla da poterti offrire in cambio, mi dispiace” rispose lui, un lieve sorriso nella voce quieta e dolce.
“Non importa, siedi pure” lo invitò la giovane. Aveva bisogno di guadagnare, ma era anche vero che diverso tempo era passato dall’ultima lettura vera e propria, perciò un po’ di pratica le avrebbe senz’altro giovato.
Il ragazzo esitò qualche istante, poi lentamente si accomodò sul tappetino.
“Cosa intendi di preciso per ‘leggere le anime?’” chiese, il sorriso gentile  ancora sulle labbra e una leggera nota incuriosita nelle parole.
“Posso rivelarti diverse informazioni su ciò che si trova dentro di te, cose e sentimenti nascosti che forse neppure tu conosci. Non posso leggere tutto, poiché inconsapevolmente o meno le persone tendono a celare la loro parte più profonda e i segreti importanti. Posso percepire anche alcune informazioni se solo mi passi a fianco”
“Davvero? Ad esempio, senza avermi ancora letto, quanto conosci di me?”
“Il tuo nome è Horian, hai ventitré anni, sei nato nel villaggio di Noriver, hai un fratello minore e…sei cagionevole di salute”
“Sì, l’ultima parte è proprio evidente, vero?” sorrise, debole ma pivo di tristezza “Per il resto sono davvero colpito”
“Possiamo cominciare quando desideri”
“Va bene. Cosa devo fare?”
“Nulla, semplicemente guardarmi”
Fissò gli occhi pallidi in quelli di Horian, la via per Miradis verso la sua anima. Passarono diversi istanti di silenzio e immobilità, poi l’indovina si allontanò.
“Allora?” chiese il ragazzo, pacato.
“Hai un’anima tranquilla e cordiale, una delle più gentili che mi sia mai capitato di leggere. Ti affezioni facilmente agli altri, così come riponi in loro fiducia. Hai ideali fermi e attualmente non tolleri alcun tipo di scontro, anche se, paradossalmente, il tuo passato è macchiato da diversi episodi di violenza”
“Sono belle parole quelle che mi dici, e, purtroppo, l’ultima parte è vera”
“Provi vergogna per questo, e rimorso”
“Non lo nego. Se potessi tornare indietro lo farei senza esitare e avrei agito in maniera differente”
“Tendi spesso a ripercorrere il passato e a chiederti se le tue scelte siano state giuste o meno”
Horian sussultò lievemente e poi rise, una risata bassa e in un certo senso nostalgica.
“È vero anche questo, sono solito arrovellarmi su certe questioni”
“Vuoi molto bene a tuo fratello e non puoi fare a meno  di sentirti responsabile per una certa situazione in cui vi trovate, che però non riesco a vedere”
“Sei davvero abile, mi sorprende che tu ti trovi qui, in questo angolo povero della città, e non nei vari lussuosi palazzi a condividere la tua stupefacente capacità” disse, sincero.
“Le persone tendono a essere diffidenti nei miei confronti e in ogni caso non potrei condurre una vita simile”
“Come mai no?”
Miradis non rispose, l’espressione nuovamente trasognata, e il ragazzo rise ancora, piano.
“Scusami, sono stato invadente”
“Nessun problema” rispose, come ritornò, o almeno in parte, alla realtà “Hai detto che questa è la sezione povera della città?”
“Proprio così, lo spicchio di capitale per i mendicanti e reietti come noi”
“Non ne avevo idea, non credevo che anche Scentialhan fosse vittima della miseria” mormorò.
“La povertà è ovunque, non vi è luogo che ne sia graziato. Esiste dalla notte dei tempi e continuerà a perdurare, per quanto ci si opponga. L’unica differenza dalle altre capitali sta nel fatto che i nostri regnanti hanno deciso di ritagliare una sezione apposita per la gente come noi e nasconderci così dagli sguardi dei nobili e degli stranieri. Se hai prestato attenzione avrai di certo notato…anzi, percepito, l’assenza di mendicanti nelle strade principali. Dalle tue parole deduco che anche nella tua città vi fossero condizioni di miseria, da dove provieni?”
“Sono nata nel villaggio di Esoden, ma negli ultimi tempi ho vissuto nella capitale Duilliur. La povertà non manca lì, ma i cittadini si sono sempre mostrati comprensivi con la nostra categoria”
“Qui è diverso, i nobili e il resto degli abitanti ci evitano mentre altri non sanno neppure della nostra esistenza. Il nostro regno viene definito come ‘la terra del dorato splendore’, anche se forse preferirei un Regno meno florido ma più equo nel tenore di vita. Se non sono indiscreto, cosa ti ha spinta ha venire sin qui?”
“Il desiderio di viaggiare e visitare luoghi nuovi” rispose come sempre distratta l’indovina, la cui indole trasognata impediva agli altri di comprendere se stesse mentendo “Al momento sto aiutando una commerciante nel suo lavoro, anche se mi sono persa e non riesco più a raggiungerla”
“Dove si trova?”
“Nella piazza circolare in cui ci sono i vari banchetti, nel settore più basso della città”
“Ho capito, anche questo è il primo settore, ma l’estrema parte destra” il ragazzo sorrise, poi Miradis lo sentì lentamente alzarsi.
“Come dicevo non ho denaro con cui ripagarti, però posso guidarti sin nella piazza”
Miradis esitò nel rispondere. Quel ragazzo gentile si stava offrendo di aiutarla, tuttavia se fosse ritornata adesso non avrebbe avuto nulla da dare in cambio ad Amalea. Era anche vero però che difficilmente qualcun altro sarebbe stato disposto a mostrarle la strada e non poteva correre il rischio di non riuscire più a ritornare dalla venditrice e darle l’impressione di essere fuggita.
Forse era una stralunata indovina maledetta ma aveva ancora dei principi.
“Lo faresti davvero? Non vorrei…”
“Non preoccuparti per la mia salute, dovrei riuscire a portarti sino in piazza e tornare indietro senza problemi” la interruppe il ragazzo, rassicurandola pacato.
Così Miradis accettò e rimesso il tappetino nella sacca si apprestò a seguire Horian. Il passo del Syrma era lento e strascicato tuttavia sicuro per le strade della città e più in fretta di quanto si sarebbe aspettata l’indovina percepì presto la famigliare atmosfera della piazza. Non molto lontano avvertiva chiaramente la presenza di Amalea.
“Devo fermarmi qui, è meglio che uno come me non si faccia vedere troppo nelle vie principali” disse Horian, fermandosi.
“Ti ringrazio per ciò che hai fatto per me” mormorò Miradis, chinando appena il capo.
“Sono io a dover ringraziarti. Era da tempo che non uscivo e proprio oggi ho avuto l’occasione di assistere alla tua abilità” sorrise, per poi soggiungere “E’ davvero ammirevole ciò che fai”
“Che vuoi dire?” chiese Miradis, senza comprendere.
“Potresti sfruttare il tuo potere in modo diverso, ricattando le persone al fine di ottenere favori e guadagnare denaro sporco ma facile, eppure non lo fai. Sono lieto che un’abilità simile sia in mano tua e non in quelle di coloro che ci governano. Qual è il tuo nome?”
“Miradis” rispose l’indovina.
“Bene, è stato un piacere conoscerti, Miradis. Ti auguro buona fortuna” sorrise un’ultima volta, poi voltò le spalle e si incamminò, confondendosi fra gli altri passanti, sebbene la sua anime gentile risplendesse ancora vivida e inconfondibile.
L’indovina riprese a camminare e infine ritornò al banchetto di Amalea, intenta a vendere diversi sacchettini di spezie a due Syrma. Una volta concluso l’affare salutò nel suo solito modo affabile i clienti e come spostò lo sguardo si accorse subito della minuta figura non molto lontano dal banchetto. Un rapido bagliore compiaciuto attraversò gli occhi smeraldini.
“Sei tornata, Miradis” la salutò posandosi le mani sui fianchi, mentre la ragazza la raggiungeva dietro il banco.
“Chiedo scusa, mi ero persa”
“Non preoccuparti, sentivo che saresti tornata e sono lieta di aver vinto la scommessa” ammiccò.
“Una scommessa sul mio ritorno? Con chi?”
“Con me stessa, ovviamente. Una parte di me credeva che saresti tornata e ha deciso che se fosse andata così mi sarei concessa un bicchiere di vino, l’altra parte, più dubbiosa, non era convinta e nel caso non fossi ritornata non avrei potuto prendermi nulla. Sono felice che abbia vinto la parte fiduciosa, così posso concedermi un bicchiere. Teoricamente non potrei bere perché anche solo una goccia mi rende brilla, ma una scommessa è una scommessa”
Un po’ perché non ne trovava il senso, un po’ perché di nuovo si era smarrita nella sua testa, Miradis non comprese ma non chiese spiegazioni.
“È quasi il tramonto, mi dispiace non averla potuta aiutare come promesso. Se ha intenzione di fermarsi qui anche domani la aiuterò”
“Non ha importanza, grazie a te ho una scusa per bere un goccio ed è più che sufficiente, senza contare che hai portato la cassa di spezie all’abitazione in cui lavora quella Syrma. Mi aiuterai ancora a sbaraccare tutto e a rimetterlo sul carro, dopodiché mi reputerò soddisfatta. Domani trascorrilo a visitare la città come avevi in mente, altrimenti pagarti il pedaggio non sarà servito a nulla”
Miradis le rivolse un piccolo sorriso, dopodiché le due cominciarono a rimettere tutto sul carro. L’indovina spiegò poi ad Amalea che Prusys o qualche altro dipendente della villa avrebbe riportato le casse, probabilmente il giorno dopo.
“Lo spero proprio, non si trovano da tutte le parti contenitori di quelle dimensioni e mi infastidirebbe parecchio non rivederli più” bofonchiò, caricando i prodotti sul retro del carro.
Il sole era ormai basso e morente e i raggi obliqui carezzavano lievi le vie e i palazzi, avvolti in una riposante luce dorata, molto diversa da quella abbacinante del giorno. La piazza era pressoché deserta, tutti gli altri commercianti erano già andati via da diverso tempo, diretti a qualche taverna.
“Pigri e svogliati, tsk. Questi Syrma non conoscono proprio il vero spirito del commercio. Si arriva per primi e si va via per ultimi. Domani all’alba sarò già qui e mi accaparrerò i clienti migliori” affermò soddisfatta Amalea, per poi voltarsi verso Miradis “Torno un attimo alla stalla a riprendermi Tanya, tu aspettami qui. Al mio ritorno ci saluteremo”
La venditrice si avviò e Miradis si mise ad aspettarla, i palmi delle mani che carezzavano le braccia nel tentativo di scaldarle. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma all’improvviso un leggero e fastidioso brivido le si era posato addosso, anche sulle gambe magre. Forse non era abituata al clima? Aveva bisogno di un abito più lungo, quella veste era troppo corta e leggera, in vista anche degli altri Regni che avrebbe attraversato.
Amalea ritornò in fretta, gli zoccoli del cavallo che risuonavano nella strada deserta. Attaccò la puledra al carretto e poi si avvicinò a Miradis.
“Anche se per breve tempo è stato piacevole stare in tua compagnia”
“Lo stesso vale per me, e la ringrazio ancora per avermi pagato l’ingresso in città”
“Ah, basta con queste formalità, mi fai sentire vecchia e ho appena trent’anni! Almeno nel nostro addio parliamoci in modo confidenziale. Tieni, una cosina per ricordarti di me” sorrise complice, porgendole un sacchettino di spezie, che la giovane accettò un poco sorpresa. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei un regalo era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata.
“Grazie mille. Allora ti auguro buona fortuna, Amalea…” mormorò, trasognata. La donna ridacchiò.
“Sempre con questa tua strana voce, sei proprio una ragazza particolare. Dal canto mio ti dirò arrivederci, perché in futuro potremmo anche…” si interruppe come il sacchettino di spezie scivolò dalle dita dell’indovina e cadde a terra in un tonfo morbido.
Un tremito, breve ma intenso, scosse da capo a piedi il corpo di Miradis, gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Poi, si accasciò al suolo senza un mormorio.
 
°°°
Sale immense e scintillanti alternate a corridoi sobri ma eleganti si susseguivano in un labirinto di splendore, interrotto talvolta da rampe di scale abbellite da tappeti porpora che conducevano ad altrettanti piani e labirinti. Stanze, sale, biblioteche, giardini, cortili, nulla mancava nel lussuoso palazzo reale di Scentialhan. Preziose lampade dorate alternate a bagliori di luce magica illuminavano il tutto e pavimenti di marmo lisci come pura ossidiana ne riflettevano ulteriormente i bagliori. Nei lunghi corridoi sorgevano statue, mobili in mogano, vasi di vetro soffiato e ceramica, sulle pareti si susseguivano invece incorniciati i volti di personalità importanti del passato, suggestivi paesaggi o immense vetrate che si affacciavano su ogni angolo della capitale, bella quasi quanto lo stesso palazzo reale.
E tutta quella meraviglia apparteneva a lei. Seduta su una morbida poltrona nella sua stanza, Tsolais osservava la capitale dal vetro della grande finestra, l’angolo destro delle labbra, colorate dal rossetto rosa carico, arricciato verso l’alto in una smorfia compiaciuta. I capelli biondi si posavano lisci sul petto, le ultime due ciocche appena incurvate in una morbida onda, e le coprivano il lato sinistro del viso. L’occhio scoperto, castano scuro, scrutava la città, in un misto di durezza e soddisfazione. Sul capo scintillava un diadema intrecciato di fili d’oro, al centro un topazio lucente, abbinato al ciondolo che portava al collo.
Indossava un lungo vestito dalle tonalità calde impreziosito da alcune perle sulla scollatura e sulle maniche, che terminavano a triangolo all’inizio delle dita.
Tutto quello, ciò che indossava, il castello, la capitale illuminata dal bagliore argenteo della luna, era suo. Lo aveva ereditato e, cosa più importante, lo aveva trasformato in pochi anni in ciò che era ora e in futuro lo avrebbe tramutato in qualcosa di ancora più grande e prezioso. Il Regno dei Syrma avrebbe brillato incandescente e terribile sull’intera Erendithum, così intoccabile che persino Moron sarebbe stato costretto a piegare la testa dinanzi a lei e alla sua potenza. Ancora poco e gli avrebbe strappato il titolo di Regno più influente.
Qualcuno bussò alla porta, strappandola bruscamente dalle sue aspirazioni di gloria, e la regina si voltò, il viso contratto in un’espressione di pura irritazione.
“Avanti” disse, il tono di voce duro e dalla sfumatura innervosita. Uno dei servitori di palazzo, un giovane ragazzo, fece capolino dallo spiraglio della porta.
“M-mia signora, mi è stato detto di chiamarla per la cena” balbettò con timore riverenziale.
“Molto bene. Conducimi nella sala, dunque”
Si alzò e insieme al ragazzo, tremante al suo fianco, si avviò nei corridoi del castello. Presto si aggiunsero a loro donne di tutte le età, che a seguito di un rispettoso inchino affiancarono la regina, il cui sguardo, dopo essersi appena posato sulle sue dame di compagnia, ritorno fiero e compiaciuto dinanzi a sé, l’angolo delle labbra ripiegato come sempre verso l’alto.
Nel tragitto incontrarono numerosi servi intenti a lucidare i corridori e che in un sobbalzo si affrettarono ad abbassare il capo, chi impaurito, chi pieno di meraviglia, chi entrambi, ma Tsolais non li degnò di una sola occhiata.
Quando giunsero nella sala, un enorme banchetto imbandito li accolse e insieme ad esso diversi nobili e dame intenti a conversare tra loro. Qualcuno annunciò l’arrivo della regina e il silenziò calò rapido nel salone, prima che, dopo il saluto di Tsolais, una melodia cominciasse a diffondersi piacevole.
La donna prese posto a tavola e subito dopo il resto dei nobili fecero lo stesso, le dame che avevano ottenuto l’onore di sedersi al suo fianco già a prodigarsi in complimenti sul suo abito, complimenti che Tsolais accettava di buon grado, accentuando il sorriso in una smorfia compiaciuta.
“Sono lieta che questa sera la cena si limiti a pochi intimi” commentò una donna dal vestito blu acceso, riferendosi ai quaranta commensali riuniti “Recentemente vi sono stati molti banchetti e il tutto stava iniziando a essere faticoso”
“Sono d’accordo, troppe discussioni e personaggi non richiesti” annuì un'altra dalla sfarzosa collana di perle.
“Per questo ho pensato di ridurre i banchetti per i prossimi giorni, anche io ho necessito di una pausa” disse Tsolais.
“Non vi hanno lasciata tranquilla un istante, nella cena di ieri sera siete stata continuamente accerchiata da nobili di tutte le età!”
“Esatto, come sempre eravate molto contesa” esclamò entusiasta un’altra dal pronunciato naso aquilino.
“La situazione in effetti è sempre più problematica, soprattutto perché spesso tendono a essere insistenti” rispose Tsolais, sebbene la soddisfazione e il pizzico di arroganza fosse bene evidente.
“Dopotutto è plausibile, una splendida donna come voi, ancora senza marito. È evidente che i pretendenti non esitino a farsi avanti”
“Ma avranno da aspettare, dico bene, mia signora?” commentò la donna con la collana di perle, scoccando un’occhiata di intesa alla regina.
“Proprio così. Non necessito di un compagno che provi a imporsi nel mio modo di governare. Preferisco gestire il mio Regno come meglio credo e senza gli interventi di nessuno” affermò con convinzione.
Le altre dame concordarono con lei e il banchetto ebbe inizio. Squisite pietanze vennero portate in tavola dai servi, accompagnate da pregiato vino rosso in brocche lavorate. La cena proseguì a lungo, intervallata dalle chiacchiere dei commensali e dalla melodia in sottofondo, dopodiché, mentre la servitù si prodigava a sparecchiare rapidamente la tavola onde evitare le ire della regina, che non tollerava disordine nemmeno per un istante, gli altri nobili e Tsolais si diressero verso uno dei grandi salotti da conversazione.
La regina non interveniva troppo frequentemente nei discorsi, ma attendeva il momento opportuno e non appena parlava l’attenzione di ognuno era subito rivolta a lei, con sua immensa soddisfazione.
A fine serata la maggior parte dei nobili lasciò il castello reale per ritornare alle proprie tenute mentre altri, gli appartenenti alla stretta cerchia della regina, rimasero e palazzo e si ritirarono nelle stanze degli ospiti. Quando Tsolais ordinava, più o meno velatamente, la conclusione del banchetto, tutti erano tenuti a congedarsi. La donna organizzava spesso ricevimenti, ma non voleva assolutamente che le venissero sottratti i suoi momenti di solitudine perciò, una volta stanca degli ospiti, poneva fine alla serata.
Il salotto si era poco svuotato e Tsolais sedeva su una poltrona, un calice di vino in mano, quando qualcuno entrò nella stanza. La regina si voltò furiosa, pronta ad allontanare chiunque fosse arrivato, ma quando vide di chi si trattava trattenne le scortesie e si limitò a un’espressione infastidita.
“Gli ospiti sono già andati via?” domandò il vecchietto basso e composto, dai morbidi e corposi baffi bianchi striati di biondo e gli occhi scuri dal taglio pacato ma in cui brillava una scintilla acuta.
Indossava una morbida giacca verde scuro sobria tuttavia elegante e teneva le mani dietro la schiena, l’una stretta all’altra.
“Sì, li ho congedati. Questa sera non ero in vena”
“Capisco” annuì l’uomo, avvicinandosi “Dunque, dato che deduco non avrai altri impegni, potresti recarti nello studio principale insieme a me. Vi sono diverse questioni delle quali sarebbe il caso iniziare a discutere, oltre che numerose lettere e documenti da leggere, in vista anche degli imminenti incontri con i nobili più influenti del Regno dei Syrma”
Una smorfia tra il costipato e il tagliente apparve sul viso della regina.
“Non ho alcuna intenzione di occuparmi adesso di cose del genere, avrò tutto il tempo necessario nei prossimi giorni” disse, agitando la mano in un gesto di noncuranza.
“Lo so, ma sono davvero molte lettere, potrebbero volerci giornate intere e sarebbe bene darci almeno un’occhiata approssimativa prima di cominciare” spiegò, gentile e sereno. Qualunque fossero le circostanze, il vecchietto si mostrava sempre tranquillo, un lieve sorriso sulle labbra e il volto disteso. Non si adirava praticamente mai ed era armato di incredibile pazienza e lungimiranza.
“Ho detto di no, Roen” ripeté, stringendo gli occhi e serrando poi le labbra in una piega seccata.
Il vecchio sospirò, per poi annuire.
“Come desideri, mia cara. Sono consapevole che spesso posso risultare incalzante, ma è mio dovere di tuo consigliere e funzionario informarti”
“Non ricordo di averti mai assegnato il titolo di consigliere” sbottò aspramente ma anche allora l’uomo non si scompose affatto, rimanendo sorridente. L’irritazione scomparve dal viso di Tsolais, che riprese il solito portamento sicurò di sé.
“In ogni modo ho intenzione di ritornare nelle mie stanze. Accompagnami”
 Roen accettò di buon grado e così i due uscirono dal salottino, iniziando a percorrere i lussuosi corridoi. Come sempre diversi servi e cameriere si aggiravano indaffarati, intenti a riassettare e lucidare alla perfezione ogni dettaglio.
Tsolais e Roen camminarono per diverso tempo, la regina impegnata a commentare spazientita ciò che la contraddiceva e il vecchio pacifico e tutto orecchi, sino a quando la donna non si fermò non molto lontano da una vaso decorato.
“Tu” disse, chiamando un ometto impegnato a spolverare il soprammobile “Vieni qui”
Questi batté le palpebre a dir poco stupito e tremante deglutì, prima di avvicinarsi.
“In-in che cosa posso esservi utile, mia signora?”
“Ho bisogno di dissetarmi, vai nelle cucine e portami un infuso fresco alla mora”
L’uomo rimase un attimo immobile, mentre il suo sguardo diveniva ancora più confuso e la voce ridotta a un sussurro.
“Ma…mia signora, in teoria non sarebbe mio compito, mi è stato detto di occuparmi di questa ala del castello e di pulire”
Bastarono quelle parole perché il volto di Tsolais mutasse rapido come un lampo. Restrinse gli occhi a due fessure mentre una scintilla spietata e ricolma d’ira gelida le attraversava lo sguardo. La bocca era stretta e l’angolo delle labbra ripiegato verso il basso.
“Che cosa hai detto?” sibilò, frattanto che un’aura rabbiosa cominciava lenta a formarsi. L’uomo deglutì ancora e dovette trattenersi dallo squittire spaventato.
“Non c’è bisogno di adirarsi, mia cara” intervenne Roen, smorzando subito la tensione “Se non ricordo male quest’uomo è stato assunto da poco al castello e ha semplicemente seguito alla lettera le regole che gli sono state date”
“Dunque significa che è stato preso un incompetente. Quando do un ordine esigo che venga eseguito senza contestare. Ora recati in cucina e poi bussa alla porta della mia stanza”
In quell’istante si udirono dei passi e come una figura apparve sul fondo al corridoio la bocca di Tsolais si distese in un sottile sorriso obliquo, ma il suo sguardo rimase tale e quale a quello di prima.
Ordinò all’uomo di aspettare e tutti e tre attesero che l’individuo arrivasse a pochi passi da loro.
“Rekgaer! concluso il tuo giro di ronda?”  lo salutò allegro il funzionario.
Si trattava di un ragazzo, probabilmente sui diciotto anni. I capelli biondi scendevano appena mossi in ciocche ribelli lungo la fine del collo mentre alcuni ciuffi gli ricadevano sul viso. Indossava un’uniforme bianca su cui era appuntata una stella dorata, un paio di pantaloni scuri infilati negli stivali e una cintura lavorata a cui era appesa la fodera di una spada.
Gli occhi blu limpido dal taglio allungato sostavano seri e imperturbabili sul gruppetto.
“Sì, il mio turno è durato dalla notte precedente sino ad ora, come era stato stabilito. Ho affidato il comando a uno dei miei uomini” rispose.
“Ottimo lavoro. Sarai stanco dopo tutte queste ore, vai a riposarti, ne hai bisogno”
“Mia signora” parlò impaurito il servo “Vado a prendervi l’infuso che mi avevate chiesto?”
“Non sarà necessario, torna pure alle tue mansioni. Ci penserà Rekgaer, a farlo” rispose la regina, frattanto che un bagliore crudele attraversava i suoi occhi. Il ragazzo spostò lo sguardo immutato su di lei.
“Come desiderate” disse, privo di alcuna inflessione.
“Raggiungi le cucine e fatti preparare un infuso alle more, dopodiché portamelo nelle mie stanze. E un’altra cosa, quando avrai finito recati da Draudor, dovete discutere di una questione che quest’oggi ho già pensato ad accennargli. Ci penserà lui a informarti su tutto”
Gli occhi di Rekgaer si restrinsero appena, ma per il resto non manifestò nulla e si limitò ad annuire.
“Se non c’è altro, mi congedo”
“Vai pure. Se avessi ancora bisogno verrai informato”
Il ragazzo voltò le spalle e se ne andò, mentre l’ometto si era già defilato. Come rimasero soli, Tsolais incontrò lo sguardo di Roen, quel tipico sguardo che ormai da mesi le rivolgeva. Privo di rabbia o rimprovero e ancora con una punta serena, tuttavia intenso.
La regina semplicemente si voltò in avanti e riprese a camminare. Il suo modo di agire era lecito e corretto, la giusta punizione per chi se la meritava. Lei era le regina, il Regno dei Syrma era suo, ogni cosa era sua, e con ciò che le apparteneva si comportava come meglio credeva, fossero oggetti…o persone.
La curva delle labbra si fece appena sadica.



°Note dell'Autrice°
Ben ritrovati, lettori! Archivando per un attimo il gruppetto dei Mildriend, in questo capitolo sono riapparse, dopo diverso tempo, sia l'indovina Miradis che la venditrice Amalea e hanno fatto la loro comparsa nuovi personaggi, tra cui la tanto nominata e temuta Tsolais :3 Come vi è sembrata la sua prima apparizione? Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, nel prossimo rivedremo altre conoscenze, una forse più gradita e l'altra decisamente no XD Forse avete capito di chi parlo, kukuku.
Grazie come sempre a voi che leggete e a voi che recensite! <3
Alla prossima,


The_Grace_of_Undomiel

 
  
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