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Autore: NightWatcher96    04/10/2016    2 recensioni
Mikey è scomparso misteriosamente e niente è come un tempo ma tutto cambia con l'arrivo di un cucciolo di tartaruga così grazioso che rimpiazzerà il secondo del Team B.
Tutto raccontato dai membri della famiglia.
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: April O'Neil, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'Autrice

Non mi è possibile aggiornare quotidianamente... cercherò però di farlo ogni settimana. Ci sarà un capitolo o due ogni sette giorni. :) Dopo questo, vi ringrazio in numerose e vi posto qui il nuovo capitolo. Come sempre, enjoy!
P.S. I ricordi dei ragazzi scritti in corsivo sono in terza persona.



Chapter 2: New Mikey
 
Un gelato d’inverno era un po’ strano; non si riusciva quasi a percepire il vero gusto e per ogni morso sulla superfice gelata lo stomaco ringhiava perché non gradiva quel cibo gelido. Eppure assaporarlo con una persona cara a fianco, su una ringhiera di un alto palazzo, rischiarati dall’argentea luce della luna piena e New York splendente come panorama era il massimo.
L’idea di un gelato anziché della solita pizza serale era stata di Mikey e, poiché a Raphael piacevano molto le sfide e le cose innovative, aveva accettato con il solito ghigno. E adesso si gustava il suo cono a fragola, cioccolato e pistacchio.

“Devo ammetterlo, fratello! Di tutte le tue idee balorde, questa è stata la migliore!”- esclamò, dopo l’ennesima leccatina.

Mikey sorrise ampiamente. facendo risaltare le sue labbra dipinte del bianco del fior di latte, suo gusto preferito insieme a nocciola e fragola. Raph scoppiò a ridere e giocosamente gli tirò il cappuccio della logora felpa arancio sbiadito sulla testa.

“Ehi!”- protestò il giovane, preoccupato più per il gelato.

Raphael se la rise ancora più sonoramente per risposta e inghiottito l’ultimo pezzetto del suo cono, saltò sulla cabina dell’ascensore, sedendosi con una gamba sull’altra e le braccia a sorreggere il busto possente sotto la giacca nera, bordata di rosso.

Mikey mise il broncio ma ben presto imitò Raphael e i due rimasero a godersi il panorama a lungo, almeno fino a quando i rumori prodotti dalla lingua del minore non divennero alquanto insopportabili.

“Non sai mangiare meno rumorosamente?!”- protestò il focoso.

Mikey gli fece la linguaccia ma poi gli passò il suo gelato e disse: “Prova tu. Ecco, mangia anche il mio gelato. Non credo di avere più le meningi!”.

A Raphael ci vollero quasi trenta secondi interi per realizzare il gesto fraterno di Mikey che dondolava amorevolmente le gambe in alternanza e aspettava di vederlo papparsi la gelida leccornia; poi sorrise e dopo un abbraccio veloce, divorò anche il secondo gelato.

“Ti voglio bene, Raphie…”…
 


Un gridolino acuto riecheggiava nel mio orecchio.
Pensavo di essere ancora immerso nei sogni ma mi sbagliavo e stancamente schiusi almeno un occhio per capire un po’ cosa mi ero perso. Le prime cose che notai furono il lume acceso e la mia tartarughina sveglia, oltre che scodinzolante con un'aria molto felice.
Era adorabile.

“Ehi…”- espirai in uno sbadiglio. “Dormito bene?”.

Un altro grido come risposta... forse era un sì? Ridacchiai un po’ e incrociando le braccia dietro la testa squadrai a lungo il posto in cui mi trovavo. Era la stanza di Mikey. Avevo dormito qui, allora e in più il mio sogno era stato cullato da un ricordo a me caro.
Era così vero, così reale che adesso mi sentivo vuoto.

Improvvisamente, un pensiero mi scosse: se nessuno mi aveva svegliato, oltre il mio piccolo amico, chi diavolo aveva acceso la luce?

“Dì un po’, non è che sei stato tu a darmi un luminoso risveglio?”- dissi.

Il piccolo annuì e zampettando sul mio cuscino si concentrò incredibilmente a balzare sul bordo del comodino.

“Non farlo!”- esclamai, scattando seduto. “Chi ha detto che le tartarughe sono lente? Tu ti muovi velocissimo, lo sai, piccolo?”.

La tartaruga mi guardò leggermente corrucciata e perfino infastidita che le avessi impedito di compiere il salto. Per caparbietà o cosa, mi dimostrò quanto fosse agile spiccando un agilissimo salto che terminò con un atterraggio perfetto sul liscio piano del comodino. Successivamente, si alzò sugli arti inferiori e pigiò l’interruttore della lampada con una zampa, sostenendo il suo piccolo corpo grazie al rialzo del gambo d’ottone che a sua volta sosteneva la lampadina. E la luce si spense.
E io? Avevo la bocca talmente spalancata che un hamburger ci sarebbe entrato completamente.

“C… come h… hai…?”- farfugliai, stropicciandomi poi gli occhi. “Come hai fatto?”.

La tartarughina scodinzolò per tutta risposta e balzando nuovamente sul cuscino mi si strofinò contro il fianco, in cerca di coccole. Ovviamente non mi rifiutai.

“Ho un nome per te… non ti da fastidio se ti chiamo Spot?”- dissi.

Il mio piccolo amico mi fece una linguaccia e si accucciò perfino disgustato, poi cominciò a roteare su se stesso emettendo grida di protesta.

“Ok, ok! Non ti piace! E che ne dici di Nerino?”.

La reazione fu la medesima della precedente ma non mi scoraggiai e provai altri nomi come Black, Kame, Teddy, Thora e altri nati dalla foga di continuare quella specie di gioco. Eppure, alla fine comunque mi rassegnai cadendo a peso morto sul letto, con il piccoletto sistemato comodamente sui piastroni superiori.

“Sei un tipetto difficile, lo sai?”- ridacchiai, accarezzandogli la testolina.

La tartarughina si strusciò completamente contro il mio polpastrello quando, d’un tratto, si fermò e si voltò verso qualcosa proveniente dal cassetto socchiuso del mio fratellino. Veloce come poteva essere, zampettò di nuovo sul cuscino e da lì, raggiunto il comodino, spinse con tutte le sue forze affinché avrebbe potuto aprirsi un varco più ampio per entrare.

“Si può sapere che stai facendo adesso?”- domandai tra l’ironico e il perplesso.

Neanche dieci secondi dopo, il piccolo sbucò con qualcosa di arancione tra i denti. Il mio cuore si rabbuiò pesantemente e mentre le lacrime annebbiavano i miei occhi, il mio amico mi tornò accanto, consegnandomi quel familiare pezzo di stoffa arancione.

“Mikey…”- mormorai in un sussurro rauco.

Il piccoletto guaì felicemente e cercò in tutti i modi di legarsi da solo il pezzo di stoffa sul guscio, anche per tirarmi su il morale.

“Vuoi che… ti chiami Mikey, per caso? E’ questo quello che stai cercando di farmi capire?”- domandai.

La tartaruga scodinzolò e gridò in estasi per l’ennesima volta.

“D’accordo… Mikey. Da adesso tu sarai il mio nuovo fratellino, almeno per un po’. Che ne dici?”.

L’esserino non poteva esserne più raggiante, soprattutto perché aveva anche un grazioso fiocchetto (in stile donna in costume, Anni Trenta) sulla corazza che avrebbe sicuramente rappresentato un ottimo punto di riferimento per cercarlo, nell’eventualità di una sua scomparsa.

“Bene, Mikey! Andiamo a dare a tutti la notizia!”…

 

Non mi aspettavo certamente un silenzio alquanto dubbioso circa la mini avventura capitata trenta minuti prima. Nonostante il mio racconto obiettivo, senza inventare nulla o ingigantire le cose, nemmeno Don o sensei mi avevano creduto.

“Insomma! Che devo fare per un po’ di credito, qui?”- sbottai infine, stufo.

“Non è che non ti crediamo, fratello… è solo che, vedi, è tutto molto irreale. Anche se questo piccolino ha mangiato un po’ della mia pizza, ieri, non mi convincono per niente i suoi salti dal letto al comodino, la sua spiccata intelligenza verso le tue proposte e la morbosità nel voler avere il nome di Mikey.”- elencò Donatello, contando sulle dita.

La mia rabbia era quasi a un livello insopportabile e dubitavo di essere in grado di rilassarmi, come solitamente faceva Leonardo. Anzi, lui continuava a fissare il mio piccolo amico al centro della tavola con aria un po’ incuriosita, nella speranza di trovare a tutti i costi anche un fondo di verità con le mie parole.
Forse da lui potevo avere un appoggio… chissà!

“Io non penso che Raph menta.”- disse poi.

Donnie roteò gli occhi e rispose scocciato: “Ma va, Leo! Sai meglio di me che le tartarughe non fanno questo genere di cose, a meno che non si trattino di creature con più del trentacinque per cento di DNA mutante!”.

Leonardo fece le spallucce mentre si avvicinava al cucinino per servire in tavola un piatto con un ultimo trancio di pizza fredda con salame. Lo guardammo leggermente stupiti, oltre che con un affondo nel cuore nel ricordarci di Mikey e la sua mania di consumare pizza anche a colazione.

“Il momento migliore della pizza è la colazione, ragazzi!”, diceva sempre.

“Io credo a Raph.”- mormorò.

Avvicinò il piatto al cucciolo e ci fece cenno con lo sguardo di restare a vedere il sicuro spettacolo che di lì a poco sarebbe avvenuto. E infatti, oltre a gonfiare d’orgoglio me stesso, il mini Mikey annusò dapprima l’aria, poi agitò il sederino simpaticamente e saltò dritto sulla morbida pasta della pizza.

“Altro che cavalletta! Si sarà alzato di almeno trenta centimetri!”- borbottò Donnie, sconcertato.

In fretta addentò un lauto strato di mozzarella e agì indisturbato nel divorare anche del salame, incurante di diventare più rosso di pomodoro che nero di pelle.

“Raph, ritiro tutto quello che ho detto!”- esclamò Donnie, stropicciandosi gli occhi.

“E’ ovvio, geniaccio. Io non dico bugie!”- sogghignai, rivolgendomi poi a Mikey: “Vero, piccolo?”.

Il mio amico annuì e tornò a mangiare il suo pasto preferito.

Preso un respiro profondo, il sensei intervenne con un’aria piuttosto pensierosa dipinta sul viso: “Come può una piccola tartaruga avere doti del genere? Questo è molto strano. E’ agile, veloce a suo modo e soprattutto ama la pizza. Inoltre, le sue caratteristiche sono insolite”.

Nessuno aveva risposte. Neanche Don, piuttosto concentrato a studiare silenziosamente il piccolo Mikey mentre avanzava sulla pizza, condotto dalla sua fame insaziabile. Tutto ci ricordava di lui, il fratellino scomparso e ci alimentava anche le speranze con il suo fare inconsapevole.

Chissà, magari questo cucciolo poteva aiutarci o sapeva qualcosa della nostra missione!

“No, troppo strano!” pensai, con un cipiglio di rabbia sul viso.

“Raphael.”- chiamò improvvisamente il sensei, alzandosi dal tavolo: “Vieni con me, figlio mio”.

Scambiai semplicemente uno sguardo perplesso con i miei fratelli e mi avventurai verso la stanza del mio sensei.
 


La stanza era illuminata da quattro candele, disposte a rombo sul tatami consumato dove Splinter s’inginocchiava e meditava; odorava di tè alle erbe e di un sottile strato d’incenso.
Alle pareti leggermente scrostate capeggiavano numerose fotografie di noi quattro in versione poppanti e durante la nostra infanzia. Non mancava certamente il ritratto di Tang Shen e Miwa sulla mensola di legno, alla nostra sinistra.

Imitato mio padre nell’inginocchiarmi, senza farmelo dire, attendevo solo la serie di domande mirate al cucciolo di tartaruga in balia dei miei fratelli… ma al contrario, il suo silenzio mi fece solo rialzare la testa chinata pochi secondi fa per disagio.

“Il tuo piccolo amico è una creatura fuori dall’ordinario.”- mormorò Sensei, calmo.

“Beh… lo so. Fa cose che…”.

“Non mi riferisco a ciò che ci ha dimostrato.”- interruppe: “Ma a ciò che ho visto nel suo cuore. Ha un Chi forte, di un azzurro intenso e un’empatia fuori dal comune. Queste cose non sfuggono a occhi esperti, Raphael. Non potevo non accorgermene”.

Il mio cuore mancò un battito: erano le stesse caratteristiche di Mikey. Empatia, ingenuità, forte Chi luminoso… tutto combaciava perfettamente! Ma cosa poteva mai significare?

“Forse questo piccolo può avere un nesso con il nostro Michelangelo.”- continuò Sensei.

Troppo bello per essere vero.
Una parte di me ci sperava, l’altra no, troppo realista per illudersi. Scossi leggermente il capo, intenzionato a non voler più continuare quella conversazione e invece mio padre mi tenne ancora lì, davanti a lui, con una mano sulla spalla.

“Il tuo piccolo amico cerca di comunicare con te. Ascoltalo a tuo modo, Raphael. So che vuole dirci qualcosa e noi dobbiamo essere pronti a comprenderlo”.

Un piccolo sorriso increspò le mie labbra; ero molto meno aspro, adesso e nel mio petto un piccolo calore cresceva per ogni battito di speranza. Forse, potevo davvero creare un legame con il piccolino.

Appena mi rialzai e m’inchinai in profonda gratitudine, lasciando la stanza, non feci nemmeno in tempo a dirigermi verso la cucina che una piccola macchiolina nera zampettò velocissima fino al mio piede.

“Ehi! Fermati!”- esclamò Don, poco dietro con Leo.

Era Mikey e mi osservava implorante!

“Su, vieni qui…”- gli dissi, raccogliendolo nella mia mano.

Non potei fare a meno di notare che sul suo faccino c’era un piccolo ghigno!

“Si può sapere che è successo?”- chiesi, ridacchiando.

“Prova a dirlo a Flash!”- sbuffò Donnie.

“Don lo stava di nuovo studiando ma la tartaruga si è vendicata con un morso al pollice e poi è saltata dal tavolo alla sedia e da essa al pavimento, filando dritta verso di te. Questo è quanto.”- spiegò Leo, divertito.

“Analizzavi Mikey o lo torturavi?”- domandai sospettoso.

Sbuffando, Don replicò: “D’accordo… lo ammetto! Gli ho involontariamente schiacciato una zampetta, ma solo perché si rifiutava di restarmi fermo tra le mani!”.
Me la risi con totale nonchalance.

“Bravo, piccolo! Sai il fatto tuo!”.

Mikey roteò su se stesso velocissimo, mentre gridava in totale felicità.

“D’accordo, Mikey. Sei davvero un tenerone!”- sorrise amorevolmente Leo, accarezzandogli la testolina con il dito…
 


Occhi gialli fissavano aggressivi il panorama notturno e piovoso; tutt’intorno, la fitta vegetazione sorvegliata da inquietanti occhi cremisi odorava di umidità e nel vento pronunciava la sua triste melodia frusciante.

Odiava essere lontano dalla città, senz’armi e senza il suo compare ma era una conseguenza dei malfidati Kraang. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse ma sapeva solo di essere da solo.

Completamente da solo, senza poter contare su nulla.

“Maledetti Kraang…”- ringhiò a denti stretti: “E anche di quella maledetta tartaruga con la kusarigama! Se non mi avesse spedito in quel portale, non sarei mai stato catturato e torturato dai Kraang. Ma ora che sono tornato, mi vendicherò!”.

Una risata bassa e grave si levò in contemporanea a un forte tuono; per un breve lasso di tempo, il cielo divenne bianco ma istantaneamente assunse quella terrificante sfumatura violacea mista al nero più tetro.

“Nessuno accantona Neutralizer!”- urlò alla pioggia.

Mentre avanzava ancora alla cieca, inciampò goffamente e sbatté sul soffice terreno muschioso: Neutralizer ruggì come un animale feroce e con foga si rimise in piedi ma in quell’attimo, un lampo gli illuminò per un brevissimo lasso di tempo l’oggetto del suo inciampo.
La salamandra era sconcertata, stupita e soprattutto perplessa: davanti ai suoi piedi neri c’era un contenitore di mutageno integro, avvolto da un chiarore lieve della poltiglia al suo interno.

“Che cosa ci fa qui quest’affare immondo?”- mormorò, raccogliendolo.

Lo studiò attentamente, mentre muoveva a ripetizione i suoi bulbi oculari gialli molto sporgenti, alla ricerca di qualche idea vendicativa e in pochi secondi una terrificante gli balenò in mente.

“Con questo mutageno, mischiato opportunamente con una capsula di plutonio e DNA mutante, potrei distruggere letteralmente quelle miserabili tartarughe. L’effetto che si verrebbe a creare nel loro corpo disintegrerebbe totalmente ogni tessuto, ogni vena e ogni osso, in un’implosione davvero strepitosa!”- sogghignò oscuramente: “Il loro DNA incompleto non potrebbe mai sopportare un altro completo. Si annullerebbe all’istante ed è esattamente ciò che voglio!”.

Neutralizer era eccitato all’idea di realizzare un piano così ingegnoso ma doveva solo munirsi di una capsula di plutonio.

“La discarica di New York. Lì posso trovarla con un po’ di fortuna. Chissà che non ritrovi anche Slash… lui è mio fratello…”.

Quando Neutralizer alzò gli occhi, la sua reazione fu una semplice curiosità: era arrivato davanti a una casa rurale decadente, una catapecchia distrutta dal tempo ma ancora abitabile. La casa era a due piani, con un pergolato abbastanza accomodabile e numerose finestre a indicare il numero esatto di camere.

“E’ perfetta per me!”- mormorò.

Mentre si dirigeva verso l’entrata, la sua coda urtò una cassetta per le lettere arrugginita; poiché il palo che la sosteneva era marcio, a causa dell’umidità del terreno, si spezzò come un biscotto. Neutralizer ridusse gli occhi a due fessure nel cercare di leggere il nome di quella proprietà.

“O’ Neil…”- sibilò: “Questo nome non mi è nuovo…”.

Un altro colpo di coda e anche la porta d’entrata si aprì, ormai lesionata alle cerniere arrugginite. Dentro era buio, freddo ma confortevole. Un’ottima tana momentanea.

“Posso fare qui il mio laboratorio…”- sogghignò, mentre la porta si richiudeva cigolando alle sue spalle…
 
  
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