Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Rossini    05/10/2016    0 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 30
NUOVE CORONE
 
 
                «A nord, io vi presento Gino: vostro indiscusso signore» proclamò per la terza volta il Septon di Altogiardino, dopo aver già ripetuto la medesima formula spostandosi all’estremo est e all’estremo ovest del grande santuario che sorgeva dirimpetto al palazzo dei signori dell’Altopiano, in quella che usualmente veniva chiamata “piazza dei papaveri gialli”. La tradizione voleva che il Septon cominciasse da est, per poi passare a ovest e a nord e solo in ultimo a sud. Una volta Sir Rollo, che adesso si trovava al suo fianco sinistro, gli aveva spiegato perfino la ragione, e Gino della Casa Barron non l’aveva dimenticata: il sud era il punto verso il quale da sempre i signori dell’Altipiano guardavano; l’area a cui si sentivano di appartenere, e dunque anche la più sacra. Quando diversi secoli prima i Tyrell si erano andati a prendere pure Dorne nella ben nota Guerra dei Girasoli, venne considerato come un momento essenziale della storia di quella parte di continente: il momento in cui il sud si era finalmente unito sotto un unico stemma.
                Era dunque logica la ragione per cui adesso il sacerdote, sollevando la corona al cielo, si era diretto infine verso l’abside più in basso, proclamando: «A sud, io vi presento Gino: vostro indiscusso signore». Adesso era il momento della vera e propria incoronazione: il Septon tornò al centro della sala e poggiò il prezioso oggetto sulla testa del nuovo protettore dell’Altopiano. Come gioiello signorile – almeno stando sempre a Rollo, di cui però Gino aveva una considerazione piuttosto elevata – la corona del signore di Altogiardino era il secondo per valore, dopo quello ovviamente del Re degli Andali e dei Primi Uomini, di tutto il continente occidentale. Sia i materiali usati che la manifattura lo rendevano un pezzo molto pregiato. Il terzo era forse quello del vecchio trono del nord e che adesso apparteneva ad Uryon Worchester, ma si trattava sostanzialmente di un gelido pezzo di ferro.
                Al proprio fianco sinistro, come già detto, Gino aveva voluto il vecchio amico Sir Rollo, visto che l’etichetta permetteva al protettore dell’Altopiano di scegliere chi collocare da quella parte della navata. Alla sua destra, invece, doveva necessariamente sedere il secondo più eminente tra i notabili della regione, e dunque quello che una volta era stato Lord Barron, e che adesso era Jon Barthalo. Poi c’erano via via altri signorotti, tra cui l’ultimo Tyrell maschio rimasto, uno zio di Shane e Lorthan, e sua figlia: la piccola Shanty, nel suo orribile abito a fiori rosa con foglie verdi.
                Shanty non era cambiata, se non in peggio. Quando, sempre in compagnia di Jon Barthalo, il giovane Barron era andato a fare la sua doverosa visita all’ultimo dei Tyrell, Shanty gli si era gettata addosso come se fossero vecchi amici, anche se Gino praticamente non la vedeva da quando lei aveva da poco messo i denti definitivi. E d’altro canto, di una cosa era sicuro: Shanty non agiva per vero affetto; lo faceva perché sapeva che lui sarebbe diventato qualcuno di importante, e a lei era sostanzialmente questo che interessava. Avere sempre più vestiti, sempre nuovi gioielli, sempre nuove dame da compagnia, sempre nuove stanze, in poche parole: sempre nuove ricchezze. Oltretutto era oltremodo stupida e, per quel poco tempo che Gino era tornato a passare con lei, non aveva fatto altro che parlare di fiori, e vestiti, e gioielli, e dame di compagnia. Il solo pensiero di dover passare una parte della sua vita con lei – anche se una parte di corte e perciò meramente formale – gli faceva salire i brividi da sotto la schiena fin oltre il collo. Ma per sua fortuna, per il resto del viaggio, benché non fossero mancate occasioni in cui Shanty – malauguratamente intestarditasi nel suo proposito di seguire la fazione paterna fino ad Altogiardino, insieme a quella del nuovo signore – avesse cercato di riappiccicarsi a lui, c’erano anche un mucchio di altri uomini e donne che desideravano conferire col nuovo grande protagonista della politica dell’Altopiano, e dunque Gino cercò il più possibile, riuscendoci, di dare spazio a questi ultimi piuttosto che alla cugina dei Tyrell. Eppure Shanty era lì presente al momento dell’incoronazione, anche se la sua presenza non fosse stata necessaria neanche per ragioni di protocollo: suo padre era necessario, ma lei assolutamente no.
                Per quanto riguardava Rollo – l’unica persona veramente cara rimastagli a Lungotavolo, visto che Gino era figlio unico e sua madre era morta quando lui era ancora in fasce (peraltro in circostanze che il giovane Barron non aveva neanche mai capito appieno) – Gino aveva avuto modo di rivedere e riabbracciare il suo vecchio mentore, ma non di parlarci quanto e come avrebbe voluto. Non solo c’era stato il problema della fretta che la delegazione dei Barron aveva di organizzarsi per raggiungere ogni singola tappa (ivi incluso il castello di Shanty e di suo padre Lord Tyrell), e che quindi aveva impedito quasi fisicamente a Gino di concedersi un po’ di tempo con il suo vecchio amico… ma la verità era che il giovane nuovo protettore dell’Altopiano aveva avuto l’impressione che Rollo avesse appositamente evitato il momento della lunga conversazione con il suo vecchio allievo. Come se fosse ben felice di rivederlo, riabbracciarlo e discutere magari del suo futuro e di tutto quello di lieto che stava accadendo e che ancora sarebbe accaduto, ma non lo sarebbe stato altrettanto di spendere qualche attimo in solitudine, solo loro due, anche semplicemente a scambiarsi delle opinioni o in un certo senso a “stare in famiglia”, cosa invece a cui Gino da troppo tempo ormai anelava. Era stufo di tutti quegli accadimenti da grandi ballate, di spie, di morti, di guerre, di giochi di palazzo… sentiva di aver solo un po’ bisogno di “casa” e, ancora al momento della sua incoronazione ad Altogiardino, questo suo antico bisogno, che covava da quando aveva lasciato la casa di suo padre per far da guardaspalle a Lorthan Tyrell, non era stato neanche lontanamente soddisfatto. Poteva anche essere solo un impressione – e come poteva saperlo, se non ci parlava? – ma Gino ebbe come la sensazione che anche perfino il vecchio Rollo non avesse inteso spendersi molto per provare ad accontentarlo e farlo sentire, per la prima volta da chissà quanto tempo, veramente stabile, veramente al sicuro, veramente voluto bene.
                Il Septon era ormai a un passo da lui quando Gino, osservando con il suo unico occhio tutto quello che gli stava attorno, e in particolare gli uomini e le donne benvestiti che lo circondavano, tutt’a un tratto vide passargli davanti l’intera sua vita recente. Lord Braff, con i suoi sorrisi e i suoi intrallazzi, che però avevano portato il giovane Barron sul seggio dove ora sedeva. Il giovane Kellan e i suoi straordinari poteri, che però non gli avevano dato modo di scampare dalla forza devastante di quel diavolo dal teschio nero che una notte sì e l’altra pure Gino ritrovava nei suoi peggiori incubi. Suo padre Lord Barron, così vilmente giocato e assassinato dall’uomo cui Gino aveva giurato la propria vendetta: il meschino traditore Constant della Casa Lannister. E poi lei: Daessenya, troppo più bella di Shanty della Casa Tyrell, e di lei troppo più furba, capace, abile, intelligente e – a dirla tutta – perfino meglio vestita. Erano tutte cose che, in quel momento, Gino della Casa Barron sentiva di aver perso per sempre: era in effetti così per Kellan e suo padre, ma non per Braff e neanche per Daessenya, che erano invece vivi e vegeti, seppure a una distanza che in quel momento al giovane Barron pareva simile a un baratro. Aveva perduto Braff e Daessenya e per chi? Per Jon Barthalo e Shanty Tyrell…
                Il sacerdote dei sette dèi poggiò dunque il regale gioiello sul capo di Gino e iniziò a declamare l’ultima parte della formula consacrata. La folla presente scoppiò in un fragoroso quanto festoso applauso: forse Lorthan e Shane non erano poi stati chissà quali grandi sovrani… eppure il nuovo giovanissimo protettore dell’Altopiano non fece molta attenzione a questo. Fece invece attenzione agli sguardi, apparentemente non dissimili a quelli di tutti gli altri, di Jon e in particolar modo di Shanty. Quegli occhi rapaci era come se gli dicessero: ben presto mi attaccherò a quella tua corona, per non mollarla mai più.
 
 
 
                Xenya, il suo storico secondo Pashamanyna, e quell’arciere Sayun – inviato di Muldrow – dal nome Tampepe, dopo la faticosa scalata di una ripida collina, durata diversi giorni, riuscirono infine a raggiungere la città degli uomini-drago. Era enorme e apparentemente meglio organizzata sia dei complessi abitativi dei Kowacz sia di quelli dei Sayun, o almeno i suoi abitanti parevano molto più sereni. Si collocava in una radura ai piedi di una enorme montagna di cui la giovane esploratrice non riusciva a scorgere la punta. Per quanto la riguardava, quel monte poteva anche essere più alto di quello che usualmente le carte del Westeros consideravano come “il tetto del mondo”: il nordico famigerato Monte di Cabuk. Solo che presso Cabuk – Xenya c’era stata – c’era freddo fin dalle pendici: ghiaccio e neve un po’ dovunque. Alle falde di quel nuovo colosso di terra e roccia, invece, anche se di montagna di sicuro si trattava, non c’era freddo, ma anzi un caldo asfissiante; anche più caldo di quello pure presente presso gli accampamenti di Xenya e Pashamanyna alla collina dei Kowacz. Era come se più si avvicinassero alla montagna, più un calore anomalo si propagasse nell’aria, fuoriuscendo direttamente dalle fondamenta della terra.
                Agli autoctoni la cosa non pareva recare alcun fastidio; una volta che i tre si furono avvicinati, sempre prestando molta attenzione alla loro copertura, poterono osservare che gli uomini-drago non solo praticavano ogni azione quotidiana – dai giochi per i bambini al mercanteggio per gli altissimi e muscolosissimi maschi adulti – come se lì non ci fosse caldo, ma Pashamanyna fece perfino attenzione al particolare che loro… non sudavano. Il navigatore dell’Essos, la sua comandante e il Sayun-sama, da quando si trovavano in quella pianura, avevano praticamente ogni piccolo lembo di ogni loro vestito bagnato fradicio, mentre quei grossi omoni dalle corporature invidiabili… non avevano neanche una goccia ad imperlargli la lunga fronte. Caratteristica decisamente inquietante quest’ultima, a giudizio di Xenya l’esploratrice. Decisamente inquietante. Quei tizi erano incredibilmente alti, incredibilmente grossi, incredibilmente forti, incredibilmente resistenti, incredibilmente agguerriti e… non pativano le alte temperature. Dei guerrieri perfetti.
                Spiavano il popolo degli uomini-drago ormai dal pomeriggio. Dei maschi giovani, e più alti e più muscolosi degli altri, erano tornati da chissà dove con circa cinque grosse bestie pelose – animali che non esistevano nei continenti che Xenya aveva già avuto modo di esplorare – trafitte ognuna da almeno cinque dei loro lunghissimi dardi. Il villaggio si era praticamente nutrito tutto assieme di quella ricca cacciagione: ivi compresi le donne (che dunque esistevano, diversamente da come era stato detto a Xenya dai Kowacz), i vecchi e i bambini. Le donne, in particolare, si erano occupate del tagliare la carne e cuocerla sul fuoco, arricchendola anche di quelle che nel proprio continente Xenya avrebbe definito spezie. Dopodiché, ciascuno era tornato alla propria capanna. Eppure adesso, a sera inoltrata, per qualche ragione gli uomini-drago si stavano riunendo di nuovo. I maschi non erano andati a cacciare stavolta: Xenya, Tampepe e Pashamanyna li avrebbero visti allontanarsi dal villaggio altrimenti. E infatti anche loro vennero fuori dalle abitazioni, con le loro donne, i loro vecchi e i loro bambini. Tutti assieme si diressero nuovamente sul piazzale, direttamente connesso con le falde della montagna, dove già avevano condiviso il pasto comune di poco tempo prima. E tutti assieme, a un certo punto, quasi all’unisono, cominciarono a cantare e ballare come invasati. Finalmente, i loro osservatori riuscirono a scorgere qualche goccia di sudore fuoriuscire dalle loro membra.
                Xenya cercò di mantenersi lucida quanto più poté, ma capì che c’era qualcosa di oscuro in quella musica che gli autoctoni stavano suonando. Quel fastidioso, ridondante e fortissimo scroscio prodotto dai loro tamburi tribali, aveva il potere di insidiarsi nella testa e confondere le idee… rimase lucida per tutto il tempo della danza fanatica degli uomini-drago, ma certo l’esposizione continua a quel suono la fece sentire come minimo intontita. Si guardò attorno e capì che anche Tampepe e Jorando (Pashamanyna) si trovavano nella sua stessa situazione; il Sayun-sama addirittura non aveva resistito e si era ficcato i palmi delle mani a tappargli i padiglioni auricolari. Il delirio stava ormai raggiungendo momenti estremi: quei selvaggi stavano incominciando a fornicare tra loro e davanti a tutti – e non soltanto gli uomini con le donne – quando improvvisamente la terra cominciò a tremare. Dalla montagna si riuscì a sentire chiaramente un profondo boato brulicante, come un gorgoglio tra le rocce, come se l’intera enorme struttura avesse vita propria e si stesse lamentando. Con fatica Xenya, Tampepe e Pashamanyna riuscirono a mantenersi in equilibrio, visto che il terremoto durò anche parecchio. Ma gli uomini-drago non la smisero con la loro musica e i loro tamburi: anzi, mentre gli alberi oscillavano e le pietre cadevano dalla parete della montagna, quelli avevano perfino intensificato i loro suoni, dei loro gesti e dunque della loro follia.
                Fu in quel momento che Xenya osservò con i propri occhi della nuova carne, cotta a puntino, piovere giù dall’alto sul popolo in delirio, e questo naturalmente avventarcisi sopra come un branco di cani affamati: ancora una volta, donne, vecchi e bambini compresi. Anzi, questi ultimi, forse perfino più agguerriti e più violenti di tutti gli altri. Ma i tranci di carne che piovvero dalla montagna furono abbondanti, e chiaramente ce ne sarebbe stato per tutti. A poco a poco, la musica cessò, sostituita dallo scroscio vomitevole di animali che trangugiano avidamente come se dovessero far la scorta per il prossimo mese. C’era anche un certo fetore; l’esploratrice non avrebbe saputo dire bene di che cosa si trattasse, e certo non era il peggior olezzo che avesse mai annusato in vita sua… ma, unitamente al resto del quadro, anche questo dettaglio rendeva il tutto non proprio piacevole.
                Accadde dunque che da una crepa sulla roccia, che fino ad allora Xenya non aveva completamente notato, schizzò fuori dapprima un po’ di lava bollente. Poi gli spruzzi si fecero sempre più irruenti, fin quando da dentro quel buco infuocato nella montagna, la ragazza non ebbe modo di poter notare niente meno che… un braccio. Un braccio che non veniva ustionato dalla lava bollente. Poi, sempre insieme agli schizzi di lava, un altro braccio e poi una gamba e un’altra gamba. E mentre giustamente Xenya e Pashamanyna, e anche Tampepe, rimanevano sempre più basiti da quello che stavano osservando, gli uomini-drago invece continuavano nella loro danza del pasto, o pasto danzante, come se nulla fosse. Certo, era come se attendessero che qualcosa venisse fuori dalla roccia, ma non erano affatto sorpresi o spaventati, anzi… erano entusiasti!
                L’uomo del fuoco venne fuori in tutta la sua interezza. Strano, come altrimenti non poteva essere, eppure umano. Non aveva capelli né peli da nessuna parte: niente baffi o barba, né ciglia o sopracciglia. Anche lui era alto come un uomo-drago, e muscoloso come un uomo-drago. Senza dubbio la sua natura apparteneva più al genere di quei selvaggi del nord del nuovo continente, piuttosto che a qualsiasi altro tipo umano di qualsiasi regione del mondo. Eppure, era diverso anche da loro. La sua pelle era lucida e, almeno all’apparenza, coriacea: era come se avesse il doppio dello strato di pelle che normalmente un uomo possiede, anche uno degli uomini-drago. Venne fuori da quella crepa sulla montagna, con la testa alta e lo sguardo di uno che non teme niente. Un nobile, un sovrano, o forse ancora più esattamente: un dio. Era completamente nudo, ma alcune femmine degli uomini-drago provvidero subito a coprirlo di sotto con una sorta di lunga gonna color porpora scuro, e di sopra con un mantello color porpora brillante. Dopodiché, stavolta un maschio gli collocò sul capo pelato una specie di corona artigianale, sostanzialmente composta di ossa. Inutile negarlo: le urla festose, da quando il nuovo sovrano degli uomini-drago era venuto fuori dalla sua crepa nella montagna, erano tornare ad intensificarsi. C’era un qualche tipo di rapporto tra l’uomo pelato, che uomo-drago non era, e gli uomini-drago, che a loro volta, sebbene simili, chiaramente non appartenevano alla stessa razza del re dentro la montagna. Ma certo lo riconoscevano come loro superiore, qualcuno verso il quale rivolgere la propria festa e il proprio entusiasmo, qualcuno da servire, vestendolo e incoronandolo. Quanto e come il nuovo arrivato potesse entrarci con il fenomeno della carne cotta piovuta dal cielo, o del forte terremoto di poco prima, questo Xenya non riuscì a determinarlo. Eppure il nuovo re del nuovo continente, senza partecipare al banchetto dei suoi sudditi, rimase comunque con loro, osservandoli, come un padre benevolo. A un certo punto, senza che il re lo domandasse, un uomo-drago decise di sua sponte di buttarsi ai suoi piedi e farseli appoggiare sulla schiena. Il re con la corona d’ossa non aveva chiesto quel servigio, eppure non lo rifiutò. Una donna gli portò da bere, in una specie di assai artigianale coppa di legno. E in quel preciso istante, Xenya l’esploratrice si sentì osservata…
                Il re dentro la montagna in effetti sollevò il proprio gelido (incredibile a dirsi data la temperatura soffocante) sguardo proprio in direzione delle fronde dove la ragazza se ne stava nascosta insieme al suo secondo e all’arciere dei Sayun-sama. Solo allora Xenya vide che le pupille all’interno degli occhi di quello strano re erano di un color rosso vivido. Un colore che, stando alla sua esperienza, umano non poteva essere. E fu proprio mentre l’omaccione sollevava quei suoi diabolici occhi verso di loro, che Xenya l’esploratrice si sentì scrutata fin nel profondo dell’anima da parte di quella ambigua creatura. Certo, non poteva dire con sicurezza che il re della montagna stesse guardando proprio esattamente loro, o se invece aveva solo casualmente rivolto per un momento lo sguardo in quella direzione, ma quando lo fece… Xenya si sentì nuda, debole… e anzi proprio inerme.
 
 
 
                Per tutto quel tempo, Daniel di Cowain non si era ancora abituato al freddo del nord. Era salito non solo fin sulla montagna del tetto del mondo, ma anche nell’enorme distesa di ghiaccio dove risiedeva il drago Requiem, a un palmo dall’ultimo oceano del mondo: il Cuore di Actonon. Aveva sopportato freddo di tutti i generi, e oltretutto… da quando aveva appreso l’arte della Piromanzia – per quel poco che ancora pensava di saperne – il suo corpo normalmente era anche dotato di una specie di sistema di auto-riscaldamento non trascurabile. Riusciva benissimo a distinguere la differenza, anche se in verità marginale, tra il Monte Cabuk o il ghiacciaio dove risiedeva Requiem e la regione dove si trovava in quel momento: quella molto più a sud che, fino a quel momento, era stata la dimora della Casa Applegate. Poi c’era un “nord” più a sud, quello che si spartivano i Bolton e i Worchester, dove una volta era sorta la leggendaria Grande Inverno, roccaforte della Casa Stark, e da dove pure Daniel era passato. E oltretutto, anche se non veniva più definito “nord”, anche la parte del Regno dove sorgeva l’enorme palude detta “Incollatura”, e anche la Valle di Arryn di dominio della Casa Baelish, erano luoghi dove occasionalmente poteva nevicare. Per il Daniel d’un tempo, quello che era stato principe di Cowain, e che ancora non aveva visitato il Monte Cabuk e veduto i draghi, anche quei luoghi sarebbe risultati “piuttosto freddini”. La verità era che lui era stanco di tutto quel freddo e, anche se ci si era in parte abituato, continuava a non sentire quei luoghi come “casa sua”. Ci stava da anni ormai nel nord, eppure nella sua testa continuava a pensare a quella regione del mondo come a un luogo dove passare una parte breve della sua vita. Questo sino a quando non era stato fatto prigioniero dai Willoughby sulla piana di Alberocasa…
                Con ancora addosso, naturalmente, quella Pietra di Luna che ne rendeva impossibile non solo l’esercizio dei proprio poteri di Piromante, ma anche una serie di altre funzioni come il camminare, il parlare e il muoversi in generale, Daniel venne preso e messo seduto su una sedia all’interno di una tenda molto ben agghindata. La tenda più ampia, e in particolar modo più alta, che lui avesse mai veduto. Certo, senza dubbio, si trattava sempre di un giaciglio temporaneo dovuto a una condizione di guerra, ma dati questi già citati elementi, e dato l’arredamento non di poco conto che ci trovava dentro, Daniel non poté che concludere che quella fosse la tenda di un capo.
                Aveva già sentito parlare di Uryon della Casa Worchester, l’orso del nord. L’uomo incredibilmente alto e deforme, ma dalle impressionanti cultura e intelligenza, che governava la casata occupante il territorio dove una volta avevano regnato gli Stark. Non si sarebbe però mai sognato in vita sua di trovarcisi un giorno a conversare dentro una tenda. Anche se “conversare” in effetti non era il termine più adatto, visto che quella sera ad Alberocasa, Uryion Worchester parlò e parlò molto, ma senza permettere a Daniel di Cowain di rispondergli alcunché, perché farlo parlare avrebbe richiesto il suo scagionamento dalla Pietra di Luna, e un suo scagionamento dalla Pietra di Luna avrebbe reso Daniel di nuovo libero di far di quella tenda un falò.
                Però, per qualche ragione, non appena Lord Uryion ebbe varcato la soglia della propria tenda e si fu seduto nella sua sedia, che solo allora Daniel si accorse essere particolarmente grande, il principe Piromante non poté fare a meno di ammettere con se stesso di essere piuttosto deluso. Certo, Lord Worchester era sicuramente un individuo di aspetto raro, e Daniel non aveva mai visto nessuno come lui prima di allora… ma, da quello che aveva sentito dire, l’aristocratico del nord avrebbe dovuto essere una specie di figura leggendaria: per quanto orrenda e mostruosa, dotata di caratteristiche “magiche”, mezzo uomo e mezzo animale. Invece quello che si era appena seduto davanti al principe Daniel era semplicemente un uomo malato. Uno che, per camminare, necessitava di una grossa stampella scolpita, altrimenti quelle ossa ritorte che si ritrovava non gli avrebbero permesso neanche di reggersi bene in piedi. Uno che aveva sul viso tutta una serie di anomale sacche carnose che ne rendevano deforme l’aspetto e che per la gran parte della gente più ignorante potevano pure rappresentare dei tratti demoniaci, ma Daniel sapeva bene invece che si trattava di gravi forme di malessere della pelle, delle ossa, e forse pure perfino di qualche altro tessuto. Era vero: Uryon aveva i denti appuntiti come quelli di una belva selvaggia, come un orso insomma. Ma, dato il fatto che la deformazione delle ossa del viso lo aveva portato a ritrovarsi tutta la bocca e la mascella ritorte, non era improbabile che anche lì ci fosse un problema di natura organica e niente di più. D’altro canto, non aveva nemmeno tutti i denti di un normale uomo della sua età, nonostante in effetti il Piromante non avesse saputo dire bene quanti anni Uryon avesse. Insomma, diversamente da come gli avevano detto e da come si era aspettato, il principe di Cowain non aveva provato terrore alla prima vista del Lord dei Worchester… al massimo un sentimento di contrita pietà.
                «Se devo essere sincero…» esordì dunque quel gigante malato dalla sua poltrona su misura, e Daniel si accorse che almeno su una cosa i racconti popolari avevano ragione: Worchester pronunciava male le parole, «Sono un po’ deluso. Mi aspettavo un impareggiabile guerriero. Non dico esattamente uno della mia stazza, ma comunque un uomo… discretamente temibile. Invece il nostro Piromante… si muove su quattr’ossa un po’ secche. D’altro canto, la giovane età combacia con quell’altro profilo che mi aspettavo… quello di Daniel della Casa Lannister, principe di Cowain e… primo erede al Trono di Spade, stando almeno a una rivendicazione basata sulla vecchia linea successoria…». Era come se Uryon si aspettasse una risposta da lui, come se non fosse consapevole del fatto che la Pietra di Luna, tra le altre cose, impediva al principe di Cowain di aprir bocca. Dopo una breve pausa, visto che Daniel non rispondeva, il gigante uomo malato si decise a continuare: «Domando scusa per il trattamento che state subendo… mi impegno a che possiamo trovare una qualche soluzione di qualche genere. Nella mia biblioteca alla Torre di Amergoth, ho letto che probabilmente – se tagliata – la pietra potrebbe in qualche modo limitare il suo potere invalidante nei confronti dei Piromanti. Continuare a tenerli sotto controllo, ma… permettergli quanto meno di muoversi e di parlare. È… una questione complessa, non vi prometto che di sicuro accadrà: non posso rischiare che voi mi infiammate la casa, visto che è lì che siamo diretti… ma… prometto che mi informerò. E, se troverò la cosa sicura, verrete subito liberato: non si conviene a un uomo del vostro rango essere trattato in questo modo, non si conviene a nessun uomo in effetti. E poi, se voi siete Daniel Lannister, mi servite vivo e in salute». Nuovamente Uryon si concesse una pausa. Si mise in piedi e Daniel poté osservarne con maggiore attenzione l’impressionante altezza: quanto due uomini messi assieme, anche due uomini e mezzo. Lord Worchester si diresse a una piccola cassa rotonda collocata su un piano a lui accessibile, la aprì e ne prese una bottiglia di vino e un calice un po’ grezzo. Se li portò entrambi alla sua sedia e fu degustando il suo vino che riprese il monologo: «L’età è quella. E, stando alle mie fonti, l’ultimo Primo Cavaliere designato, ovvero per l’appunto: Daniel di Cowain, è salito al Monte Cabuk per riceverne un non meglio precisato addestramento… ma un addestramento di natura magica, questo va da sé. Siete un Piromante, siete un coetaneo del principe Daniel, e siete magro e fisicamente non molto ben formato, come capita più spesso a un aristocratico che a un popolano. Il lavoro richiede prestanza fisica, gli offici di un nobile normalmente no… sì, rimane ancora un margine di dubbio, ma credo che non possiate volermene se d’ora in avanti mi rivolgerò a voi con il termine “principe Daniel”. Se anche foste un popolano, vi avrei perfino elevato di grado e comunque… come fareste mai a sollevare qualche rimostranza?». Nuova degustazione di vino, e poi nuova ripresa: «Vostro fratello Axelion è morto. Un non meglio precisato signore dell’est è da un po’ di tempo che mette in subbuglio la vostra regione di provenienza e alla fine… è andato a prendersi Roccia del Re. È anche grazie a questa circostanza che noi oggi siamo qui, in questa tenda, a conversare. Non vi nego che con un intervento della Casa Bolton le cose sarebbero potute andare diversamente qui a nord… ma adesso Alberocasa è mia. Tecnicamente appartiene ai Willoughby, ma i Willoughby appartengono a me, per cui… è mia. Sono miei il suo freddo e la sua desolazione, ma anche… tutto il suo così inestimabile legname. Un rifornimento… quasi infinito. Rifornimento che direi, adesso, fa di me l’indiscusso signore del nord. Non è superbia, badate! È una questione assolutamente tecnica; il dominio sul nord passa necessariamente da tre strade principali: il controllo sul legname della gigantesca ultima foresta prima dei ghiacciai, quello sul punto geografico di dislocamento tra sud ed estremo nord, e infine l’amicizia con i signori del sud. Prima questi tre elementi appartenevano a tre famiglie diverse: Applegate, Worchester e Bolton. Ma se uno dei due passa sotto il comando dell’altro e dunque uno di quei tre signori, per esempio: io, si ritrova a gestirne due su tre… per il terzo è finita. Quel signore è il signore del nord. Per cui, Daniel di Cowain, penso che possiamo dire che tu in questo momento stia parlando… con il re del nord». Ancora una volta Uryon bevve il suo vino, e ancora una volta parve scrutare Daniel come se attendesse da lui una risposta che non poteva arrivare. Continuò: «Non so bene questo cosa causerà in merito ai nostri rapporti con i signori del sud, ivi incluso il nuovo re degli Andali e dei Primi Uomini. Non ho alcun motivo di inimicarmelo: sono un uomo pragmatico, e ho già la mia corona sulla testa e tutta l’autosufficienza che la mia gente abbisogna e merita… perciò, se sarà solo un riconoscimento formale quello che vorrà… per quanto mi riguarda, potrà anche averlo. Ma i Bolton devono capitolare. Rivolgerò contro di loro tutte le mie nuove forze molto presto. E da quel momento, per la prima volta da millenni, il nord avrà un unico sovrano unitario. Il re del sud, d’altro canto, avrà la sua propria corona sulla testa e io non intendo minacciargliela: la verità è che il Westeros si compone di due diverse regioni formalmente autonome e non ci sono ragioni per cui esse si mischino, e vi sono ragioni ancora minori perché si scontrino. Poi naturalmente se questo signore che siede attualmente sul Trono di Spade è un pazzo ingestibile, provvederemo agli eventuali risvolti, così come d’altronde abbiamo già provveduto a tuo padre, io e il vecchio Senus Willoughby. Io non lo volevo morto, sono stati i Willoughby ad insistere: sono sempre così estremisti e guerrafondai… però certo ho suggerito il veleno come metodo: pulito e silenzioso. Non lascia traccia e fa sospettare di tutti e dunque… rende assai più complesso intercettarne l’autore. Vi chiederete perché io vi stia riferendo tutte queste cose… in verità la questione dell’assassinio di Lionel avrei potuto serenamente tralasciarla. Ma voi state per venire con me, a sud. O meglio: più a sud di qui; a Biancavilla del Nord, presso il mio palazzo. Lì si cercherà il modo di rendere la vostra prigionia quanto più “aurea” possibile. E naturalmente vi terrò sotto il mio controllo diretto, evitando di lasciarvi qui in preda ai Willoughby che sono… alleati preziosi e fedeli, ma… non molto buoni per le questioni “politiche”. E a Biancavilla, come si conviene a un signore del vostro rango, voi verrete trattato quanto più bene possibile. E il trattare bene qualcuno coincide di solito primariamente, oltre che nel nutrirlo e nel farlo sentire quanto più comodo e quanto più al sicuro possibile, nel renderlo partecipe delle informazioni che riguardano il suo immediato futuro, almeno di quelle più importanti. E… nel rivolgersi a lui con quanto più garbo possibile, cosa che ho cercato di fare incontrandovi qui oggi presso la mia tenda. Badate bene, Daniel di Cowain: la mia è solo una formale intenzione di mantenere buoni i rapporti. Ma non esiterei a farvi coprire di sale per poi scuoiarvi da vivo come farebbe un qualsiasi Bolton, se per caso doveste minacciare un tentativo di fuga, o se qualche vostro “magico” amico volesse tentare di liberarvi, o se peggio ancora qualche vostro familiare alla testa di un qualche sgangherato esercito di disperati volesse venire a cercare di riprendervi. In quel caso cospargerei di sale scuoierei vivi anche loro. Ci siamo capiti, figliolo?».
                A questo punto Lord Uryon ordinò che Daniel fosse preso e condotto in un’altra tenda, molto meno comoda. Ma prima di farlo, non rinunciò a scrutare il giovane Piromante dritto negli occhi con quello suo sguardo ferino. Fu allora che Daniel si rese conto che le voci relative a Lord Uryon non erano poi così sbagliate: forse nel corpo quell’orrendo gigante era davvero solo un uomo ammalato. Ma nell’animo egli era senza dubbio quello che si diceva in giro: un mostro.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Rossini