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Autore: Marianna 73    05/10/2016    14 recensioni
Scelte che uniscono, trascinano, separano e ricongiungono. Scelte che condizionano un'esistenza ma che spesso poco possono contro l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tutto ciò che rimane

“Spero che abbiate gradito la parata in vostro onore Comandante.” La voce di Girodel la raggiunge quando non ha fatto che pochi passi all’interno della stanza, diretta al camino ed al fuoco che vi scoppietta, nel tentativo di trovare un poco di calore, dopo le lunghe ore trascorse in sella, irrigidita nella posizione marziale che quell’evento le imponeva. Il giorno era lentamente sfumato in una sera insolitamente fresca di un vento già  autunnale mentre i reparti avevano sfilato, uno dopo l’altro e quel primo freddo le era penetrata dentro, nelle ossa e nel cuore. 
“Gli uomini l’hanno preparata con molta cura” riprende la voce del suo secondo “Ci tenevano a sfilare per voi nel miglior modo possibile, per dimostrarvi tutto il loro rammarico… Sono” prende una piccola pausa e la voce muta, perde la freddezza composta che di solito la caratterizza per velarsi di una nota calda e malinconica “Siamo, tutti dispiaciuti per la vostra partenza”
Oscar rimane voltata verso il guizzare arancione delle fiamme ancora un minuto, prima di sollevare il viso per incontrare la cerulea limpidezza dello sguardo di Girodel, fermo a pochi passi da lei, in attesa.
“Gli uomini sono stati impeccabili. ”  dice poi, avvicinandosi a lui, la voce arrochita dal vento di poco prima che si ammorbidisce per omaggiare l’amicizia sincera che ha sempre colto nei gesti del suo secondo e che, se ne rende conto d’improvviso, le mancherà moltissimo. “E anche voi mi mancherete. Tutti.”
Le pare di scorgere un lieve tormento nello sguardo di Victor e comprende che forse meriterebbe di più, dopo anni interi trascorsi a condividere giorni e problemi, di quelle poche parole che certo non sono sufficienti ad esprimergli la sua gratitudine ed il suo affetto ma è così  difficile per lei affrontare ciò che la attende, che un nodo secco e tagliente le sbarra la gola e, altro, davvero non le riesce di dire.
Si irrigidisce nel saluto militare, determinata a mettere fine a quel colloquio al più presto ed il metallo pervade di nuovo la sua voce “È  stato un onore, avervi al mio fianco, Colonnello, ” lo saluta, usando appositamente il nuovo grado di cui è  stato appena insignito, per rafforzare la sua intenzione a passargli le consegne senza indulgere in altri discorsi. “E sono certa di lasciare i miei uomini in buone mani, affidandoli a voi.” Ancora un pensiero, negli occhi di lui, mentre porta la mano alla fronte per rispondere al saluto, ma altrettanto evidente, l’esitazione a dargli voce “ Anche per me è  stato un  onore e vi assicuro che cercherò di essere degno del ruolo per il quale mi avete proposto. Ma, Oscar...” La mano scende, e, finalmente sembra che quell’inquietudine abbia la meglio sul resto dei pensieri. “C’è  una cosa di cui vorrei parlarvi...” Non può  dar corpo a questa nuova intenzione, interrotto dall’arrivo di una rappresentanza dei soldati venuti a porgere i loro saluti al Comandante. Ancora uno sguardo, ed il tempo di scorgere una preoccupazione sincera nel fondo di quell’azzurro, poi le formalità di nuovo riempiono i minuti, ed il resto della sera si compie, colmato dagli ultimi doveri  per condurla lì, all’ultimo saluto, quello con la sua vita, così  come è  stata sino a quel momento.
Il tonfo della pesante porta di quercia, appena rinchiusa alle sue spalle le sembra trasformarsi nel fragore di un macigno, sceso a depositarsi sul suo cuore, a toglierle fiato e volontà.
Deve appoggiare un istante le spalle al battente, e chiudere gli occhi, il cuore lacerato che urla e si dibatte, indomito, nell’assurdo tentativo di prevalere sulla ragione
È l’attimo che ha temuto di più, quello in cui avrebbe udito quel rumore, per l’ultima volta.
È  un distacco definitivo, senza ritorno, e nella stretta al petto che non può impedirsi di provare non si stupisce di ritrovare l’eco del sorriso di André.
Alza gli occhi e, in un lampo di sofferenza così  intensa da temere di esserne annientata, lo rivede in piedi, a pochi passi da lei, bello e vitale e impaziente, come era stato nei primi anni del loro amore, quando di appartenersi non erano mai sazi ed ogni minuto lontani era una tortura, il sorriso formale di sempre arricchito di una dolcezza infinita, preludio alle ore che sarebbero seguite in cui null’altro avrebbe contato se non loro… 
Da quanto tempo lo aveva perduto quel sorriso?
Cosa ne aveva fatto lei, di quel ragazzo innamorato e paziente, in cosa lo aveva trasformato con la sua protervia e la sua noncuranza?
Ne risente la voce, in quella mattina fredda e nebbiosa, insieme al profumo perduto dell’infanzia, nella cucina di palazzo.
“È  proprio perché ti amo così tanto che non posso più vivere così...” le aveva detto, dolente “Davvero non lo capisci?”
Lo aveva compreso, infine. Ma troppo tardi.
“Dio, André” sussurra “darei l’anima per poterti vedere ancora una volta…per potertelo dire che ho capito…”
Ma non può.  Non deve.
C’è un altro suono, ora, a sovrastare quel tono dolente, ed è  il suono lontano della sua risata, quella calda e piena d’amore delle loro notti ebbre di pelle e sospiri, quella che la accompagnava, rauca e soddisfatta fino  all’ultimo palpito. Quella che si era affievolita sempre più sino a scomparire, soffocata in una coltre di bugie  e ipocrisia. Non le riesce di trattenere un singhiozzo, appoggiata a legno scuro della porta, le dita di una mano a premere sulle labbra per provare a ritrovare il miele grezzo dei suoi baci.
Non può farlo. Non può  cercarlo, non può pretenderlo di nuovo per sé
Deve lasciare che viva la vita che si è scelto, deve permettergli di ritrovare quella risata, deve lasciarlo libero di amare qualcun’altra che sappia renderlo felice, come lei non è mai riuscita a fare.
Deve lasciarlo andare.
Le dita salgono a scacciare una lacrima che brucia, dolorissima, su una guancia e, forte di quel pensiero trova il coraggio di muoversi, di staccarsi da quel luogo, l’ultimo, che ancora la lega a lui.
Andrà lontano, anche se non vorrebbe farlo.
Andrà  in un luogo nuovo, tra persone che non conosce dove non ha mai vissuto con lui, dove forse il ricordo di ciò  che sono stati piano piano si tramuterà da spina rovente che avvelena greve ogni respiro a sofferenza sorda, presente sempre ma più simile ad una rimembranza preziosa e dolcissima.
E lì forse, dove nulla le parlerà di lui, restare salda nel proposito di non cercarlo sarà  meno difficile…
Si stacca lentamente dal battente e prova a governare il respiro mente ripassa mentalmente tutto ciò  che in quella giornata l’ha avvicinata al momento della partenza. 
Ha preso commiato dalle loro Maestà, in un colloquio informale che ha visto i begli occhi della Regina velarsi di pianto, mentre le stringeva le mani in un nodo che ha fatto fatica a districarsi, quasi anche Maria Antonietta riuscisse a scorgere, in quel congedo, un addio ben più  definitivo del saluto colmo di affetto che la portava a separarsi da una delle sue amiche più leali.
Ha salutato anche sua madre, nel pomeriggio, prima della parata, ed è  stato difficile non sciogliersi in lacrime, stretta da quelle braccia morbide tra le quali tante volte avrebbe voluto poter cercare conforto e rifugio e consiglio.
Infine, pochi minuti prima ha preso congedo anche dai suoi superiori, il Generale Bouillet ed il Generale Jarjayes, assumendo ufficialmente l’incarico che dal giorno successivo l’avrebbe vista a capo della guardia personale del Conte di Peynard, in partenza per Madrid.
Non ci sono state parole di affetto tra lei e suo padre.
Si erano già detti tutto qualche giorno prima, quando lei gli aveva domandato udienza per comunicargli la sua decisione di accettare il nuovo incarico.
“Non lo faccio perché me lo avete domandato,” gli aveva detto, guardandolo dritto negli occhi come mai aveva osato fare prima “lo faccio per me stessa, perché  questa vita, questo lavoro, è tutto ciò che mi rimane.” 
Aveva fatto una pausa e le era parso di vedere un’incrinatura di sofferenza  nella maschera altera di suo padre. La sua voce invece non aveva tremato. “E lo faccio perché  se un giorno, grazie a questo lavoro, potrò davvero essere utile per salvare la mia famiglia, almeno saprò  di essere vissuta per uno scopo.”
Se ne era andata senza aspettare risposta, e aveva raggiunto l’ufficio di Bouillet, per accettare la nuova nomina, senza indugi.
Le resta solo una cosa da fare, ora, poi sarà davvero pronta.
Deve tornare a Palazzo, per riposare un’ultima sera in quella che è  stata la sua casa e salutare Marie.
Non può partire senza il suo abbraccio, senza respirare ancora una volta il profumo delle sue vesti e ricevere sui capelli la sua carezza, colma di un affetto che le parole non avevano mai dovuto raccontare. Non può  andarsene senza ritrovare in quegli occhi chiarissimi, trasparenti come l’acqua quando si sfuma di verde sulle rocce muschiose, la stessa dolcezza di quelli di André.
Deve affidarglielo, il suo amore per lui, prima di andar via, e dirlo, almeno a lei, che ha capito di averlo ferito in modo insanabile, e che  tutto ciò che sta facendo lo sta facendo per lui, per provare a dargli la possibilità di essere felice.
Il pensiero di André e dei suoi occhi, a guardarla innamorato, le stanno nuovamente colmando lo sguardo di lacrime quando il rumore di passi frettolosi sul marmo lucido, la obbliga a riprendere il controllo.
Un istante dopo è la voce di Girodel quella che risuona nell’atrio illuminato dai doppieri.
“Comandante…” la raggiunge in fretta, la sua ombra lunga che la circonda come un oscuro presagio “Comandante… per fortuna siete ancora qui…ho bisogno di parlarvi con urgenza…”

C’è il sole, ed un cielo azzurrissimo ad accogliere il suo gesto.
La mano guantata, alzata nell’ordine della partenza si staglia nettissima, nell’aria tersa.
E  la sua voce è sicura, quando impartisce il comando.
“Colonna, pronti alla partenza!”
Non vi è  più  traccia della preoccupazione che l’aveva colta quando, la sera prima, Girodel l’aveva messa al corrente delle notizie che aveva avuto da uno dei suoi numerosi informatori.
“Dovrete prestare la massima attenzione Comandante,” aveva detto, il tono gravato da una profonda inquietudine.
“Nella zona di Montpellier si sono già verificati parecchi agguati, tutti a danno di esponenti della nobiltà. Pare che vi sia una vera e propria organizzazione che coordina i ribelli, facente capo ad un nobile decaduto, Gerard Bonnard, e pare che si stiano preparando per un colpo di grandissima importanza… quando mi è  stato riferito il mio pensiero è  andato subito al vostro viaggio, ed alla tappa che dovrete fare in quella zona…” Oscar aveva annuito, mentre assimilata la gravità della notizia, la mente volava a come reagire, già occupata dall’organizzazione di turni da predisporre e precauzioni da prendere.
Ci aveva pensato tutta la notte, e stranamente quell’occupazione l’aveva traghettata verso l’alba senza che altri pensieri prendessero il sopravvento e l’avevano condotta al momento della partenza, nel fresco di quella mattinata di inizio ottobre, con una determinazione ferrea a scacciare ogni rimpianto.
Doveva scortare quelle persone, farle giungere sane e salve alla meta.
Era il suo lavoro, quello per cui aveva sacrificato ogni cosa e lo avrebbe fatto nel migliore dei modi.
Sprona piano i fianchi di Cesar e si mette in cammino, senza voltarsi.
 “In marcia, uomini, a Montpellier!"



Continua….

Sono a chiedervi scusa, amiche, per la lentezza degli aggiornamenti. Negli ultimi tempi molte cose sono successe e ancora non tutte si sono risolte. Per questo, malgrado scrivere sia sempre la mia valvola di sfogo preferita, non riesco a dedicare a “Scelte” il tempo che vorrei. Spero che avrete la pazienza di attendermi …nel frattempo come sempre vi ringrazio tutte e vi stringo al cuore. A presto.
   
 
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