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Autore: _LilianRiddle_    06/10/2016    1 recensioni
Erica annuì, spostando lo sguardo sul campo di girasoli tutto intorno a loro.
Anche Vita si lasciò distrarre da fiori che raccontavano molto più di lei, di una bellezza che non le sarebbe mai appartenuta, che apparteneva solo alle cose fragili.
- Sono così belli – disse, una mano a sorreggerle il mento, proprio dove prima altre mani le scaldavano il viso.
- Quali ti piacciono di più?
- Quelli che si nascondono sotto i fiori gialli come il sole. Quelli che sembrano una goccia di sangue in un mare di luce.
- I papaveri?
- Si chiamano così?
- Sì. Ti sono sempre piaciuti.
- Davvero?
- Sì, a me piacciono i girasoli.
- Quali sono i girasoli?
- Quelli lì gialli. Quelli che si lanciano nel mare e sembra che lo abbraccino.
- Son più belli i papaveri.
- Questo discorso lo avremo affrontato mille volte.
- Non me ne ricordo neanche una.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-Capitolo 3.3-



 

Aveva tirato fuori una chitarra da dietro la porta, piena di adesivi colorati.

C’era una scritta, tutta intorno ad essa, che le ricordava qualcosa.

Come tutto in quella casa.

- Se te lo stai chiedendo, e so che te lo stai chiedendo, sì, hai scritto tu questa frase.

Vita la sfiorò con le dita, assaporando quelle parole sulla punta della lingua.

Sapevano di casa.

- We can be heroes, just for one day. È una canzone. Una delle tue preferite.

- La sapevo suonare?

Erica rise, scuotendo la testa.

- Oh, no. Non sono mai riuscita a fartela imparare.

Vita la guardò, lo sguardo che scrutava ansioso quello di Erica.

- Ti va di suonarmela? – chiese.

Erica abbassò gli occhi, passandosi una mano tra i capelli assurdamente rossi, il suo sorriso di girasoli come spento dalle parole che non volevano uscirle dalle labbra.

- Sei sempre stata brava a fare le domande sbagliate.

- Perché è una domanda sbagliata?

- Perché porta a galla tante cose.

- Tipo cosa?

- Sei una bambina, Vita.

- Rispondimi.

 

***

 

Eri riuscita a convincerla a venire a casa tua e l’avevi fatta bere.

Non avevi messo in conto che anche lei ti avrebbe fatto bere.

Che ti avrebbe fregata ancora e ancora, con quel suo sorriso distratto.

La bottiglia di tequila che era passata così spesso dalle tue mani alle sue, adesso giaceva abbandonata in mezzo a voi.

Lei ti guardava, con gli occhi scuri come l’inchiostro e le labbra ancora sporche del rossetto rosso di cui erano state vestite.

Tu non riuscivi a staccarle gli occhi di dosso.

Le porgesti l’ennesima bottiglia di alcol, mentre lei scoppiava a ridere.

E tu con lei.

Fregata.

- È questo che fanno le brillanti studentesse di legge? – ti chiese, buttando giù il contenuto della bottiglia con una lieve smorfia.

Sorridesti anche tu, prendendo la bottiglia che lei ti passava.

- È questo che fanno le ragazze distratte?

Scosse la testa, portandosi poi una mano alla fronte.

- Questo non avrei dovuto farlo.

Scoppiò a ridere e tu con lei, mentre sentivi la testa galleggiare e la razionalità abbandonarti.

- Vuoi sentire una cosa? – chiedesti.

- Certo.

Ti alzasti lentamente, mentre ti avvicinavi allo strumento abbandonato in fondo alla stanza.

- Pensavo che quella del parco fosse solo una finta.

- Pensi sempre così male, ragazza distratta?

- Sempre.

- Tu non suoni?

- Una volta.

Non aggiunse altro e tu iniziasti a muovere le dita sulla chitarra senza sapere che cosa stessi suonando.

Ti rendesti conto con stupore che lei canticchiava la melodia che stavi suonando.

- We can be heroes, just for one day.

- Sei così bella.

L’avevi sussurrato, ma lei ti guardò con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse.

- Anche tu. – rispose, mordendosi un labbro.

Le ultime note risuonarono nella stanza, mentre tu appoggiasti la chitarra al tuo fianco, delicatamente.

Chiudesti gli occhi e lentamente ti avvicinasti a lei, fino ad esserle di fronte, le gambe incrociate.

- Sei bella. – ripetesti, portandole una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio.

Lei sorrise lievemente, fuggendo il tuo sguardo.

Poggiò la fronte alla tua, mentre ti passava le gambe magre intorno al bacino.

Vi guardaste, il tuo sorriso di girasoli e il suo sorriso distratto.

Vi baciaste, lentamente, le mani a scoprire piano piano il corpo l’una dell’altra.

La prendesti in braccio, alzandoti con un po’ di fatica e poco equilibrio.

Lei rise lievemente, smettendo di baciarti solo per vedere affiorare sulle tue labbra il tuo sorriso di girasoli.

La portasti in camera tua, bloccandoti sopra di lei.

Lei ti guardò, senza dire nulla.

Una muta domanda negli occhi.

La baciasti con più irruenza e passione di prima, abbandonando la delicatezza dei modi.

Lei sospirò contro le tue labbra, rispondendo allo stesso modo.

Notasti che si era colorata ancora del colore dei papaveri e non riuscisti a trattenere un sorriso.

- Hai un sorriso di girasoli.

- Tu hai il colore dei papaveri.

Non ci fu posto per altre parole, quella notte, mentre le vostre mani scoprivano strati di pelle prima sconosciuti.

Mentre tu ti perdevi nel rosso dei papaveri e lei si perdeva nel giallo dei girasoli.

Sentivate il mare, dentro e fuori, turchese tutto intorno a voi.

Vi sentiste fregate entrambe.

 

***

 

La guardava, mentre le ultime sillabe del suo racconto uscivano dalle sue belle labbra.

- Che successe dopo? – chiese Vita, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

- Mi svegliai la mattina e tu non eri più di fianco a me. Sapevo che sarebbe finita così, avevo sperato di svegliarmi e trovarti accanto a me… ma sapevo che sarebbe finita così. Non mi accorsi subito della scritta sulla mia chitarra. Forse perché ero troppo presa dal cercare di capire perché te ne fossi andata. Che cosa avesse significato per te. Se ti eri accorta… - Erica scosse la testa. – Poi notai la chitarra appoggiata alla poltrona del mio soggiorno, una scritta che prima non c’era tutta intorno ad essa.

Hai questa scrittura bellissima, tutta tonda, morbida. Come le onde del mare. Non avevo mai visto la tua scrittura da vicino e mi chiesi se ci fosse qualcosa di te che non avrei amato alla follia. Se ci fosse qualcosa che avrei odiato. Non sapevo ancora… - Erica scosse di nuovo la testa, senza dire una parola.

- Non sapevi cosa?

- Nulla.

- Erica, non sapevi cosa?

- Dei tuoi problemi.

- Che problemi avevo?

- Non voglio dirtelo, Vita.

- Perché?

- Perché è ancora presto.

- Ma io lo voglio sapere, Erica.

- Non ho detto che non te lo dirò. Ho detto che non è ancora giunto quel momento della storia. Siamo ancora all’inizio, nella parte felice e nuova e bella.

- Non è sempre stata felice, nuova e bella, la nostra storia?

- No, poche volte è stata una storia felice, la nostra. È stata nuova, certo. E sempre, sempre bella. Ma felice. In fondo, che cos’è la felicità? Minuscoli, minuscoli attimi di cosa? Di un nulla che diventa tutto, tutto il tuo mondo, solo per un attimo, solo per un momento.

- Non ti avevo mai vista così.

- Come?

- Sembri triste, Erica. Come i girasoli in un giorno di pioggia.

Gli occhi di Erica si riempirono di lacrime.

Onde dentro quegli occhi come il mare.

Onde che non s’infransero contro le ciglia e non scivolarono sfrontate lungo i suoi zigomi.

Onde che fecero male comunque, nell’immensità del loro mare vuoto.

Vita guardava con orrore le lacrime che Erica non avrebbe mai versato.

Una sola domanda, terribile, le danzava sulle labbra.

- Che cosa ti ho fatto?

 

Vita guardava i girasoli da vicino, il sole a colorarle le iridi scure.

- I girasoli continuano a non piacermi.

- Perché?

- Sono troppo grandi. E il giallo non mi piace.

- Non ricordi nulla di te, ma sai che non ti piace il giallo?

- Non è vero che non ricordo nulla di me.. dopo ieri sera, è tornato qualcosa.

- Come la tua avversione per i girasoli?

- Come la mia avversione per i girasoli. Ma di quella ero consapevole anche prima.

- Sei strana.

- Non è la prima volta che me lo dici.

- Ti ricordi anche tutte le altre?

- Non so se sono tutte. Però sì, mi ricordo le altre.

- Ti ricordi anche le volte che te lo dicevi da sola che sei strana?

- Me ne ricordo solo una.

 

***

 

- Io sono strana, Erica.

- Tutti lo sono.

- Ma io sono strana strana, Erica. Davvero.

Avevi le gambe incrociate e la bocca imbronciata e sembravi una bambina, in quel momento.

Cercavi disperatamente di convincere la tua nuova amica che non avevi assolutamente bisogno di conoscere nuove persone.

Di fare amicizia.

- Vita. – tu la guardasti negli occhi, sperando di averla piegata. Sapevi che di speranza, prima o dopo, saresti morta. – Ti passo a prendere alle 21.00 – ti disse invece, sorridendo ed alzandosi.

- Ma! – tentasti di dire, ma Erica era già sparita dalla tua visuale, lasciandoti sola.

Accendesti una sigaretta, consapevole che non sarebbe servita a placare le tue ansie.

Ti aggrappasti a quella piccola stecca di catrame e nicotina, pensando a quanto tu fossi strana.

Non ti era mai piaciuto stare in mezzo agli altri.

Relazionarti.

Poi avevi notato quella ragazza, molto prima che lei attirasse la tua attenzione suonando per te in mezzo ad un prato d’autunno. E, improvvisamente, ti eri ritrovata a sperare che lei, in qualche modo, si relazionasse a te. E quando finalmente l’aveva fatto, avevi provato un sollievo tale da stupirti del tuo stesso corpo.

Sapevi che Erica sarebbe stata per te quello che l’alcol è per un alcolista.

L’eroina per un eroinomane.

Il suicidio per un depresso.

Ma, in fondo, sapevi gestire i tuoi problemi.

Quello che non sapevi gestire erano le persone come Erica.

Quello che non sapevi gestire erano i sentimenti che le persone come Erica ti suscitavano.

Con un gesto stizzito, buttasti lontano da te la sigaretta fumata solo a metà e ti alzasti di scatto, allontanandoti dal quel parco deserto.

Spesso ti sentivi in trappola, all’aria aperta.

Lontana dall’unica droga che non ti avrebbe mai fatto del male: i libri.

Quando, finalmente, chiudesti la porta di casa alle tue spalle, tirasti un sospiro di sollievo.

Molti avrebbero creduto di soffocare, con tutte quelle librerie, tutta quella carta, tutte quelle grandi finestre. Tu sorridesti lievemente, chiudendo gli occhi ed ascoltando il battito frenetico del tuo cuore acquietarsi piano piano.

Dovevi assolutamente trovare una soluzione al panico che ti prendeva ogni volta che uscivi di casa. Stava diventando difficile costringerti ad affrontare il mondo.

Magari il giorno successivo saresti potuta rimanere a casa.

Per riprenderti.

Scuotesti la testa. Sapevi che cosa ti avrebbe detto la psichiatra. Eppure, potevi concederti un giorno di pausa dal mondo, visto che quella sera avresti dovuto affrontare le amiche di Erica.

Come eri arrivata a quel punto?

Decidesti che trascinarti in bagno a fare una doccia sarebbe stata la scelta giusta. Dovevi solo trovare la forza di alzarti dal pavimento e di aprire gli occhi.

Bastava poco.

Il primo passo sarebbe stato quello di alzare le palpebre, stranamente pesanti. Vedevi il mondo sfuocato e ci mettesti un po’ per capire che un velo di lacrime ti copriva gli occhi.

Una volta aperti gli occhi e asciugate le lacrime, avresti dovuto alzarti.

Oppure, avresti potuto avvicinare le gambe al petto.

Sì, decisamente meglio.

Ora, dovevi solo scivolare al contrario lungo il muro, fino a ritrovarti in posizione eretta.

Non era stato troppo difficile rimettersi in piedi, ma ci avevi comunque messo più del previsto. Dovevi ancora farti la doccia e mangiare e poi Erica sarebbe venuta a prenderti per portarti da qualche parte insieme alle sue amiche.

Come ci si relaziona con le amiche della persona che frequenti?

Decidesti che rispondere a quella domanda sarebbe stato troppo complicato, così ti dirigesti verso il bagno. Salutasti con un sospiro l’acqua calda che ti avvolse la pelle e ti liberò la mente. Era incredibile come l’acqua ti calmasse immediatamente. Avresti dovuto trasferirti al mare.

Venti minuti dopo, cercavi qualcosa da metterti con un’espressione imbronciata ad oscurarti il volto. Non sapevi dove sareste andate e, di conseguenza, non avevi idea di quello che avresti dovuto metterti.

Sportiva?

Elegante?

Avresti voluto infilarti uno dei maglioni larghissimi che indossavi di solito per andare a scuola, ma non ti sembrava il caso.

Notasti un vestitino nero, in fondo all’armadio. Sapevi a chi apparteneva. Lo sfiorasti con le dita, pensando che ti sarebbe stato bene.

I tuoi pensieri furono interrotti dal suono un po’ metallico del campanello di casa tua.

Il tuo cuore sobbalzò, abbracciando di nuovo quell’agitazione di cui avresti proprio dovuto liberarti, mentre i tuoi occhi correvano all’orologio.

Erano le nove.

Come avevi fatto a perdere la cognizione del tempo in quel modo?

Andasti alla porta e l’apristi senza pensare al fatto che eri mezza nuda.

Erica alzò un sopracciglio, mentre un sorriso sghembo le piegava la bocca.

- Esci così?

- Ti piace?

- Molto, ma potrei in tal caso decidere di rimanere a casa.

- Non so cosa mettermi.

- Siamo in ritardo.

- Lo so.

Erica scosse la testa, entrando in casa. Si guardò un po’ intorno, forse prendendo nota del disordine e dei libri, poi individuò il corridoio e si diresse verso la tua stanza.

- Dove andiamo? – chiedesti, sperando in una risposta che non sapevi se sarebbe arrivata o no.

- In un posto normale.

Alzasti gli occhi al cielo.

- “Normale” non mi aiuta nella scelta del vestito da mettermi, Erica.

La ragazza diede un’occhiata all’armadio e ai vestiti sparsi in giro per la stanza.

- Questo? – chiese additando il vestito nero che stavi osservando poco prima.

Scuotesti la testa.

- No, quello no.

- Perché no?

- Perché no.

Erica stava per riaprire bocca, ma qualcosa dovette trattenerla. Forse perché incrociò il tuo sguardo.

Sfiorò il vestito proprio come avevi fatto tu pochi minuti prima e ti chiedesti che cosa avesse letto dentro le tue iridi. Ti rendesti conto in quel momento che ti eri fermata sulla porta della tua camera, non riuscendo a muoverti da quando Erica aveva messo gli occhi su quell’abito.

- Vita. – il suono del tuo nome raggiunse le tue orecchie inaspettatamente, ma ti riscosse tanto da permetterti di riprenderti. Ti passasti una mano tra i capelli, mentre chiudesti l’altra in un pugno per far cessare il tremolio che l’aveva colta.

Sollevasti un angolo della bocca verso Erica, forse per rassicurarla.

- Penso che metterò questo. – dicesti, afferrando un vestitino azzurro malamente appoggiato sul letto e chiudendoti in bagno.

Quando finalmente fosti pronta, non trovasti Erica in camera, ma ferma davanti alla libreria.

- Che fai? – chiedesti prendendo la borsa e le chiavi di casa.

- Leggo i titoli dei libri della tua libreria.

- Ce n’è qualcuno che t’ispira?

- La maggior parte. – si girò verso di te, un sorriso di girasoli sulle labbra. Ti sentisti subito meglio. – Andiamo? – ti chiese porgendoti la mano.

Tu l’afferrasti, sorridendo.

Il viaggio in macchina fu veloce e silenzioso. Incredibilmente, non trovavi le parole per parlare, quella sera.

Il locale in cui le amiche di Erica vi aspettavano era davvero carino. Aveva l’edera che cresceva sui muri e sembrava molto antico. C’era una luce che ti piaceva.

Anche le amiche di Erica sembravano simpatiche. Ti tiravano in mezzo e non ti facevano sentire sola. Era una strana sensazione.

Il battito del tuo cuore peggiorava minuto dopo minuto e tu non capivi che cosa fare per calmarti almeno un pochino.

Inaspettatamente, Erica si mise a passarti le dita sulla schiena, dal collo fino alla base, con lenti cerchi concentrici. Ti calmasti in un momento, tanto che ti avvicinasti di più a lei, permettendole di abbracciarti.

Alzasti lo sguardo per guardarla, e rimasti incantata dal sorriso di girasoli che già le solcava il viso. Sorridesti anche tu di rimando, baciandola.

Ti chiedesti che cosa ti aveva fatto, per renderti così.

Preferisti non darti una risposta.

 

***

 

Erica era seduta sugli scalini della veranda, una tazza di the tra le mani e lo sguardo perso tra le onde.

Si chiedeva come avrebbe fatto a raccontare a Vita di problemi di cui neanche lei sapeva veramente la causa. Ma Vita l’aveva fregata molto tempo prima ed Erica non si sarebbe di certo tirata indietro. Doveva solo trovare un modo.

Uno spostamento d’aria le annunciò che non era più sola.

- Sei pensierosa, oggi.

- Vero.

- Come mai?

Sorrise, davanti alla curiosità di Vita.

- Nulla d’importante.

Vita alzò un sopracciglio, un’espressione scettica a danzarle sul volto.

- Oh, e va bene. – disse Erica, bevendo un sorso del suo the. – Pensavo al nostro primo bacio.

- Il nostro primo bacio? Non è quello di cui mi hai raccontato l’altro giorno? Quello sulla guancia, davanti alla mia classe di storia della psicologia?

- Cosa? Oh, no di certo.

- Ah. E quindi, è una bella storia, quella del nostro primo bacio?

- Certamente. È successo qualche giorno dopo quel primo appuntamento e di quel bacio di cui ti ho raccontato. Tu eri completamente sparita dalla circolazione. Per giorni non ti facesti vedere né in università né da qualsiasi altra parte. – Erica sorrise in modo strano, scuotendo la testa. – Ti cercai un po’ ovunque, inconsciamente. Mi ritrovavo a scrutare le persone per vedere se i tuoi capelli apparivano magicamente nel mio campo visivo.

- Ma dov’ero finita?

- A casa, suppongo.

- Supponi?

- A casa. Eri a casa. Ne sono sicura. Ma non è questo il punto. Un giorno tornasti in università. Come se nulla fosse, come se non fossi mancata per giorni, come se non ti fossi più fatta sentire senza alcuna ragione. Però sapevo che qualcosa non andava, perché mi evitavi. Mi ci volle una vita per riuscire a fermarti, in mezzo ad un corridoio.

- Non ne fui contenta, vero?

Erica si girò verso di lei, scrutandola attentamente.

- Ti ricordi cosa successe?

- Non ne sono sicura.

- Ti discostasti da me come se la mia mano ti avesse scottata. Ora capisco che, da qualche parte nella tua mente, qualcosa ti doveva aver davvero detto che la mia mano ti aveva scottato. – Erica scosse la testa. – Sto divagando. Ti allontanasti da me di qualche passo, ma non andasti via. Ti chiesi come stavi, se andava tutto bene. Mi hai risposto che ti piacevano le giornate come quella, con il sole e l’aria frizzante. Io non capivo, non capivo. Ti vedevo triste, ma non volevo immischiarmi nella tua tristezza. Mi sembrava troppo presto. Avevo paura che scappassi.

- E per non farmi scappare mi hai baciata?

- Sì, beh. Mi è sembrata una cosa sensata, al momento.

- Effettivamente, non è stato così male.

- Ti ricordi?

- Il tuo sorriso di girasoli che bacia il mio sorriso distratto? Sì, ricordo. Ricordo.

Un sorriso incerto illuminava le labbra e gli occhi di Vita, a quel ricordo inaspettato.

Erica le sfiorò una guancia.

- L’hai fatto anche quella volta. Mi hai sfiorato la guancia.

- Poi cos’è successo?

- Io mi sono avvicinata, così… - rispose Vita, mentre scivolava lentamente verso Erica.

- E io ti ho passato le mani dietro al collo per sfiorarti i capelli appena sopra la nuca.

- All’epoca avevo i capelli corti.

- Avevi i capelli corti, sì. E poi?

- Poi io mi sono avvicinata ancora e allora tu…

Vita non finì la frase, perché le labbra di Erica le bloccarono il resto delle parole in gola.

Il corpo di Vita non aveva mai dimenticato il sapore che le labbra di Erica lasciavano sulle sue, come di mare e girasoli.

Vita sorrise, inconsciamente, appena la bocca di Erica lasciò la sua.

- Sai di mare e girasoli, Erica.

- E tu di papaveri e pioggia, Vita.
  
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