Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: kissenlove    07/10/2016    0 recensioni
Iris Valenti, diciannove anni, frequenta per la seconda volta il quinto anno al liceo.
Federico Raggi, stessa età e situazione.
Entrambi hanno qualcosa che li accomuna, oltre al loro “rifugio” solitario dove accettano pacificamente la presenza dell'altro. Entrambi utilizzano lo squallido vizio del fumare per riuscire a dimenticare i loro problemi adolescenziali. Le loro anime, più volte distrutte e ricostruite, hanno deciso di non innamorarsi, ma qualcosa come “il loro passato” e il loro destino li unisce alla ricerca dell'infinito che entrambi hanno perduto drasticamente.
Nonostante tutto riusciranno a non finire nel turbine della passione? Riusciranno a tenersi alla larga da un casino del genere?
"We look for an endless different, that cannot be touched neither to see with the eyes of the mind, but only with those of the heart."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
TU SEI IL MIO INFINITO       
                                                                                      2 - Presta–ombrello      



                                                  



                                               COVER UFFICIALE DELLA STORIA SU #WATTPAD

                                                                        Tutti i diritti riservati © 



«È morta

Quella risposta rimbombò tra i muri come se in quella stanza ci fosse l’eco. Per la prima volta Iris aveva dato voce ai suoi più intimi pensieri, pensieri che nessuno si sarebbe sognato di ascoltare, pensieri troppo profondi per essere rivelati così, a cuor leggero, senza un minimo di anestesia. Ecco cosa era successo a quella ragazzina debole e insicura, quella che aveva paura della sua ombra e davanti agli altri teneva il capo chino. Ammazzarsi sarebbe stato troppo “facile” bastava prendere una fune abbastanza robusta, camminare, allontanarsi per un po’ e trovare un silenzio posto dove lasciarsi penzolare giù, mentre l’agghiacciante rumore di muscoli afflosciati, tendini malconci e ossa spezzate fendeva il vento per una sola volta. Ci aveva pensato molte volte, quando era sola nella sua stanza e non aveva nulla da fare che maledire la sua esistenza, ma il coraggio le era mancato in più d’un occasione. Iris aveva preferito uccidere il suo spirito e farne sopravvivere un altro più vigoroso e impenetrabile. Abbandonò la forchetta nel piatto, ormai anche il cibo più buono sapeva di fiele, e il suo stomaco non avrebbe sopportato altri bocconi chiuso com’era. 
Sua madre smise di mangiare e reclinò il capo, con le mani chiuse a pugni tra i capelli. Zio Carlo continuava a far tintinnare il manico della forchetta contro la tazza di porcellana, l’unico rumore percepibile nell’aria stantia. Iris, invece, immobile non reagiva a nessun stimolo. Non badò alla metà del pancake che non aveva voluto mangiare, né a quei due diventati due pezzi di ghiaccio a quella dichiarazione, voleva solo alzarsi, lasciare quella stanza e sbattersi la porta d’ingresso prima che quel “è morta” diventasse il centro di una successiva discussione. Si alzò e abbassandosi recuperò il monospalla, poi uscì senza dire nulla, come un fantasma senza artè né parte. Dietro alle sue spalle si lasciò sguardi carichi di paura. 


***

Iris arricciò le labbra in un sorriso quando uscendo di casa i suoi occhi cangianti inquadrarono nuvoloni grigiastri, ammassati nel cielo, carichi di pioggia. Amava la pioggia per molti motivi per cui altri la odiavano. L’aria uggiosa invase le sue narici, solleticandole i polmoni di prima mattina. La pioggia le ricordava, quando da bambina saltava con al piede gli stivaletti di gomma in delle piccole pozzanghere, schizzando acqua e improvvisando una danza spensierata mentre suo padre, poco più in là con l’ombrello sulla testa, la ammirava rapito mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso. Non era mai triste in queste giornate così piovose, segno che l’inverno era alle porte e della bella stagione non c’era più nulla. Il cortile di casa era il suo palcoscenico. Balzava, come nel gioco della settimana, da una pozzanghera a un’altra affondandoci i piedi, sentendo l’acqua piovana scorrerle tra le dite. A causa dell’avanzare della malattia suo padre era costretto a controllarla dalla finestra in salone, ma quel sorriso – nonostante le complicanze avute – non l’aveva abbandonato fino al suo ultimo giorno di vita e alla fine di quel calvario piovò forte. Iris osservò le goccioline che scendevano in piccoli rivoli contro quella superfice, mentre un viavai initerrotto di persone non smettevano di invadere casa sua, seduti su qualche sedia, accanto al corpo senza vita di suo padre. Anche quel giorno la pioggia avrebbe tenuto testa al flebile sole, ed era in giornate come queste che la diciannovenne avvertiva la presenza di suo padre più che mai. La viscida pioggia, quella sostanza capace di infradiciarti, era la carezza che suo padre cercava di donarle dal cielo. Camminò nel vialetto in pietra senza ombrello, non voleva nulla che la riparasse. Ogni volta che la pioggia percorreva copiosa le sue guance era il padre che gliele accarezzava come aveva sempre fatto. Nessun ombrello avrebbe ostacolato questo gesto, questo miracolo che possedeva solo lei. Una goccia scese giù dal cielo e le colpì la guancia. 
Iris sollevò lo sguardo.  «Grazie, papa.»
Arrivò al cancello nero arruginato e lo oltrepassò chiudendoselo alle spalle.
Svoltò a destra e si immise nella strada principale per arrivare alla fermata dell’autobus che sarebbe arrivato alle sette e quindici, mentre la pioggia le bagnava i capelli. In pochissimo tempo la pioggia cambiò d’intensità, diventando un vero e proprio diluvio, allagando strade, ponti, sottopassaggi. Iris non aveva
l’ombrello, era zuppa dalla testa ai piedi, ma non le interessava. Procedeva come se niente fosse sul marciapiede, con il diluvio che la investiva e il vento furioso che la spingeva indietro. Il giorno degli innamorati, il giorno che lei odiava non era mai stato più bello di quello. Un po’ di pioggia non avrebbe fatto male a nessuno, non avrebbe guastato niente. Tutti erano al corrente che l’unione di due bocche inumidite dalla pioggia scrosciante era un gesto romantico. Doveva ringraziare suo padre per questo dono. Non avrebbe sopportato la rivoltante visione di Vanessa e di tutte le altre ragazze che baciavano, ruotavano, consumavano la bocca dei propri ragazzi, mentre i caldi raggi del sole scolpivano la loro pelle bronzea. La pioggia di quella mattina le aveva fatto ritrovare il buon umore. Si ritrovò a canticchiare allegra, come se fosse un po’ brilla dai fumi dell’alcol, mentre intravedeva la panchina della fermata vacante. La giornata le stava andando una meraviglia. Era in orario, pioveva, non aveva avvistato baci nelle vicinanze e persino il posto libero assicurato. Qualcuno lassù, a quanto pareva, aveva avuto pietà per lei almeno per il quattordici
«Che cosa fai?» si fermò dopo aver udito quella voce. Un ombrello nero con le strisce bianche apparì d’improvviso sulla sua testa. Si voltò per fissare il volto del suo proprietario.
«Ho visto che eri tutta zuppa, Iris.» aggiunse, facendo un cenno con la mano alla situazione pietosa dei suoi capelli attaccati al suo volto. «Perché non ti prendi mai l’ombrello?»
«A te cosa importa?» rispose, come suo solito, acida. «Non mi pare di averti chiesto di ripararmi.» cercò di farlo allontanare da lei, non voleva nessuna compagnia in quel momento, ma lui non la ascoltò. 
Non si mosse di un millimetro e continuò a sostenere l’ombrello sulle loro teste.
«Te ne pentiresti dopo. Con questa pioggia ti verrà una bella febbre da cavallo!»
Iris si mostrò indifferente alle sue parole, pur sapendo che a quel ragazzo le stava a cuore la sua salute. Fin da quando era piccola la sua salute era stata compressa molte volte, costringendola, anche per mesi, a restare inchiodata a letto per combattere la febbre che le debilitava il corpo. Non aveva mai goduto di buona salute, ricordava più un fragile giunco in estate. Il dottore le aveva spiegato che nonostante la debolezza fisica il suo corpo aveva combattuto e vinto con il valido aiuto di piccoli omini con una navicella speciale che aveva distrutto quei brutti mostri che la facevano stare male. Iris si divertiva a sentire quella strana favoletta, ma infondo era vero, essere cagionevole di salute impegnava il suo corpo in dure battaglie. Suo padre, a causa di questa sua predisposizione le aveva dato il soprannome di “bambolina di porcellana” perché fragile e destinata a disintegrarsi. 
«Se mi verrà, l’avrò voluto io.» replicò ancora più dura. Si girò di nuovo verso il presta ombrello. «Non devo darti alcuna spiegazione sul mio comportamento, non sei mia madre né mio zio, quindi stanne fuori–» si avvicinò di più. «per il tuo bene.» provò a seminarlo, ma quel testone la raggiunse a grandi falcate.
«Non posso fare questo.»
«E perché non puoi?» chiese fermandosi di colpo, e l’ombrello tornò a ripararli.
«Ho sempre avuto un debole per questi tipi di ragazze..» confessò picchiettando l’indice sul mento. La sua altezza vertiginosa la superava di molto. 
«Io non sono quel “tipo”– virgolettò con le dita– di ragazze che cadono ai tuoi piedi, Raggi.» protestò lei, mettendo in chiaro la sua posizione.
«Non mi riferivo a quello, ma a un’altra cosa.» fece lui, diminuendo le distanze tra quel corpicino esile e il suo, anche grazie alla presenza dell’ombrello, che li faceva irrimediabilmente avvicinare. «Io intendo che mi sono sempre sentito attratto dalle ragazze... coi tuoi occhi–» e agitò il dito contro quelli cerulei di Iris, mentre lei si arrovellava a capire il significato latente di quella dichiarazione. «Così espressivi. Nascondono tanto dolore e se potessero parlare... urlerebbero, un po’ come la tua anima.»
Iris distolse lo sguardo dal volto del presta ombrello. Al mondo aveva trovato solo quella persona, mentre gli altri l’avevano fatta sentire incompresa, incompresa nel suo muto dolore che le squarciava il petto. 
«E tu come lo sai? Sei per caso un veggente.»
«No, non lo sono. Ho imparato a leggere lo sguardo delle persone.»
«Forse è anche l’effetto delle canne.» gli fece notare ridacchiando. «Perché le fumi? Vuoi sfogarti?» si morse la lingua e l’odore metallico del sangue le giunse alle papille gustative. 
«Nessun sfogo in particolare. Fumo canna perché mi va.»
«Che razza di risposta!» obiettò lei. 
«Un po’ come le tue, no? Ora siamo pari.» strizzò un occhio e Iris sbuffò incassando la prima sconfitta del giorno dritto nel petto. La giornata non poteva continuare ad andare meglio, c’era sempre qualcuno che doveva - o voleva - rovinargliela. Incrociò le braccia delusa, tanto quanto lo sarebbero stati gli altri e i suoi familiari se avessero ricevuto quella risposta tanto vaga da lei. 
«Deficiente.» roteò un indice contro la tempia. «La canna ti avrà dato alla testa.»
«Beh, può anche essere..» sorrise quel tanto che bastava per far dissipare le nuvole in cielo e far tornare a splendere il sole in ogni parte di quella città. Iris non aveva mai visto Federico Raggi, il suo “procura canne” increspare un sorriso, neanche il più piccolo. Non ci aveva mai fatto caso, perché ogni volta che lo scontrava sul tetto o per i corridoi del liceo ne stringeva fra le labbra una preconfezionata e non era mai in sé.
Fumava quando poteva, canna o sigaretta non faceva differenza, entrambe gli davano quel piacere interiore che la vita gli negava. Se la accendeva solo se era veramente sicuro che nessuno lo scoprisse, altrimenti rimaneva nelle sue tasche. Quel giorno uggioso di febbraio infatti Raggi aveva la testa sulle spalle.
«Niente canna quest’oggi?»
Federico fece spallucce.
«Nemmeno una?»
«Purtroppo no. Mi sono preso una pausa per superare le verifiche del prossimo mese e, diciamoci la verità, devo finalmente superare con un bel voto il mio secondo quinto anno.»
«La cosa allora è reciproca.» concordò Iris, visto che anche lei l’anno precedente era stata bocciata.
«Molto strano che succeda a una come te
Iris pensò che non ci fosse nulla di male ad avere almeno un anno storto nella vita.
«Sono umana, dopotutto.»
«Non l’avrai mai detto da una studente modello come Iris Valenti.»
«E invece mi dispiace deluderti, ma è così. Sono stata bocciata anche io.»
«Oggi è la festa degli innamorati.» fece un verso di disgusto. «Il 14 febbraio, giorno dei baci.» pensò ad altra voce senza guardare la coetanea, che intanto aveva arricciato il naso al sentire quella nefasta data.
«Allora regalerai qualcosa al tuo ragazzo, scommetto.» e si ritrovò di nuovo a osservare gli occhi cereulei di lei con un pizzico di ansia nel sentire la sua risposta, che non si fece attendere.
«Io n-non ce l’ho»
«Come?» finse di domandarle Raggi. 
«Vai da un otorino! Mettiti un apparecchio acustico, non ci senti per caso?» Federico si chinò verso di lei.  «Sono single per il momento.» terminò con un sospiro.
«Senti... senti un po’ qui.. » rimuginò sorpreso, ma in parte sollevato nel sapere che la scrocca canne non aveva nessun pretendente che le girasse attorno come un moscone.  «E come mai? Forse la tua tossicità è leggermente più alta del previsto e nessun ragazzo è capace di soppportarla?»
Iris gli lanciò un’occhiataccia. 
«Perché, genio, non sono interessata a nessuno semplicemente – sottolineò sollevando un sopracciglio – e ti correggo, la vostra tossicità è dannosa»
«La nostra tossicità?» ripetè.
«Quella di voi maschi. Credete che facendo gli spavaldi noi donne cadremo ai vostri piedi con così tanta facilità da non aver bisogno nemmeno di pregarci» il ragazzo continuò ad ascoltare l’arringa di Iris. 
«Con me però questo tuo atteggiamento malizioso non attacca. Io, a differenza di tutte quelle mezze galline, non cadrò mai ai vostri piedi–» e per dare più enfasi gli puntò un dito contro. «Afferrato il concetto? Afferrato la parola m-a-i
Federico sorrise teneramente, guardandola con i suoi occhi scuri intrisi di pietà.
«Se sei convinta tu.»
«Certo che né sono convinta! Altrimenti non lo direi proprio a te, mister senza-cervello!»
«Ma non sono io che scrocco canne ogni volta che posso per fumarmela..» ribatté lui, prendendola in contropiede.
Iris si vide costretta a ribattere. 
«Questo cosa vuol dire?»
«Beh, ovvio no?»
«Non ho ancora la laurea per capire il linguaggio dei deficienti come te.»
«Tu sei già alle mie dipendenze fin da ora, Iris»
«Ah, davvero?» esclamò sardonica. «E per cosa sarei alle tue dipendenze?» accennò una risata nervosa.
«Alle canne... e dopo quelle cosa pretenderai da me?»
La rabbia le fece andare in fumo l’ultimo neurone non ancora intaccato. Sentì il sangue bollirle nelle vene, mentre la vena del collo le si ingrossava al punto tale che sarebbe potuta scoppiare. La pioggia smise a poco a poco, mentre la sua mano si chiuse a pugno e le nocche delle mani divennero pallide. In un battito di ciglia affondò il pugno nella perfetta guancia del coetaneo.
«Vorrò questo, idiota» alzò la mano e gli diede un sonoro ceffone, che gli fece spostare la faccia dalla parte opposta. Non appena colpì la guancia si sentì subito meglio, come se tutta quell’energia negativa fosse fluita via via dal suo corpo.
«Posso dartene ancora, se vuoi.»
«Sto tremando.» la sfidò lui.
Iris fece un sorrisetto, e finalmente notò che la pioggia aveva smesso. Sollevata potè allontanarsi dal suo ombrello senza il rischio di bagnarsi ancora di più. Dopo la prima ora di Pirozzi con la sua lunga spiegazione sulla follia e la lanterninosofia, urgeva una canna, qualsiasi cosa perché potesse calmarsi, ma era certa che non l’avrebbe scroccata a lui. Lo superò velocemente, perché lui non aveva mosso un solo muscolo.
Non l’aveva neanche seguita. Se ne stava lì, immobile come una statua, con una mano poggiata sul livido violastro e con l’ombrello ancora sulla testa. Iris si voltò e divertita gli fece il segno del dito medio. Si accasciò stanca sulla panchina, infilò le cuffie nelle orecchie, la musica inondò i suoi sensi isolandola dal mondo.






 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: kissenlove