Capitolo 26
L’ora della verità
- I
figli e le ferite del passato -
“I figli non
conoscono la vita dei loro genitori. Quando sono giovani, non ci pensano perché
il mondo è cominciato con loro. I loro genitori non hanno storia e hanno la
brutta abitudine di parlare ai figli soltanto del futuro, mai del passato. È un
grave errore. Non parlare del passato li rende simili a dei buchi spalancati”.
Jean Michel
Guenassia
Immagine dal film “Rudderless”
Città di Fürstenberg/Havel, 30 giugno 1962
Nadine rimase seduta sul divano, inerme e sconvolta, a fissare con le
lacrime agli occhi il tavolino ribaltato e i cocci di vetro sparsi sul
pavimento, conseguenza di un’improvvisa verità: Andrej, diciassettenne, aveva
scoperto per puro caso di essere stato adottato. Rovistando in soffitta alla
ricerca spensierata della sua prima macchinina telecomandata, si era
tragicamente imbattuto nella scatola in cui erano nascosti i documenti
dell’adozione. Dopo lo shock e l’incredulità iniziali, la prima reazione fu di
rabbia. “Avete fatto della mia vita un’intera bugia!” aveva urlato ai suoi
genitori, prima di lanciare tutto in aria e andare via sbattendo la porta. Un
gesto improvviso, violento, inaspettato da parte di un ragazzo tranquillo e
gentile come Andrej. Un colpo al cuore per Nadine che, come un peso morto, si
lasciò cadere sul divano mentre Werner gli corse dietro, pregandolo di fermarsi
e ascoltare le loro motivazioni ma inutilmente. Con gli occhi pieni di lacrime
e la testa come se volesse esplodere, sordo alle parole supplichevoli e sempre
più ansimanti di suo padre, il ragazzo accelerò la sua corsa e Werner dovette
arrendersi. A testa bassa e senza più fiato, frastornato da quella situazione
imprevista che aveva reciso il loro equilibrio familiare, l’uomo tornò a casa
da sua moglie e la trovò ancora lì, seduta immobile sul divano, con lo sguardo
perso nel vuoto dell’angoscia. Quante volte avevano tentato di raccontare ad Andrej
la verità delle sue origini e del loro passato ma il coraggio era mancato. Quante
volte avevano provato quel discorso alla ricerca delle parole migliori da dire
e dei possibili atteggiamenti da assumere ma il momento non era mai quello
giusto. Era sempre troppo presto ed Andrej non abbastanza grande per comprendere
la sua e la loro storia e portare il peso degli sbagli di un’intera umanità.
Volevano proteggerlo dal dolore che la scoperta della verità nei suoi tragici
dettagli gli avrebbe procurato. Ma forse questa era soltanto una
giustificazione per proteggere se stessi dai fantasmi del passato e dalla paura
di perdere il loro bambino, la propria genitorialità. E adesso il senso di
colpa per aver sbagliato tutto li aveva colpiti come un pugno allo stomaco. Si
scambiarono un rapido e intenso sguardo atterrito, rassegnato, carico di
rimorso per poi piangere di nascosto l’uno dall’altra il proprio dolore.
Arrabbiato con se stesso, Werner si chiuse nella camera da letto sbattendo la
porta mentre Nadine rimase sul divano, con la testa china e le braccia
incrociate sul ventre, svuotata, strappata dell’amore di un figlio tanto
desiderato. Entrambi consapevoli che l’uno non avrebbe capito il dolore
dell’altra, così diverso e così uguale.
Werner uscì dalla stanza e, con le braccia conserte e lo sguardo cupo di
preoccupazione, osservò le dita di Nadine indugiare sulla cornetta del telefono
prima di sollevarla e comporre tremanti il numero di Kurt: era da lui che Andrej
era solito rifugiarsi dopo un litigio con i genitori o un problema a scuola,
nella certezza mai delusa di ricevere dal suo zio preferito una parola giusta
di conforto e incoraggiamento. Almeno fino a quel momento. Era bastata una sola
e semplice parola di Kurt, un “pronto” appena sussurrato con voce flebile e
spezzata di lacrime trattenute a far capire subito a Nadine che qualcosa non
era andata per il verso giusto. Questa volta il caro zio non era riuscito a
consolare Andrej ma in compenso aveva ferito un altro giovane cuore, quello di
sua figlia, il cuore di Brigit. Alla rabbia del ragazzo contro i suoi genitori,
Kurt aveva risposto rivelando a sua figlia che anche lei era stata adottata.
Una verità scagliata veloce come una freccia, quasi per sbaglio, ma subito
sospesa a mezz’aria perché alle domande di Brigit rispose il silenzio di un
padre paralizzato dai ricordi di un passato troppo difficile da raccontare,
doloroso da rivivere. “Adesso non so più chi sono.” aveva biascicato la ragazza
fra le lacrime tormentandosi le mani e la freccia scavava i cuori di entrambi
unendoli nello stesso, seppur diverso, dolore. Kurt non riuscì a riempire quei
buchi che lui stesso aveva spalancato e lasciò che la persona più importante
della sua vita scappasse via, confusa e tradita. Solo Engel tentò di persuadere
i due giovani ma inutilmente. Brigit ed Andrej
fuggirono insieme portandosi dietro i loro bagagli di rabbia e delusione. “Mi
dispiace, Nadine.” disse Kurt e non poté più trattenere le lacrime. Pianse con
lei, quell’amica che aveva sempre capito e condiviso i suoi dolori. E ora più
che mai.
Spreewald[1], 3
luglio 1962
“Proviamo a ragionare un attimo …”
ribatté Brigit gesticolando nevroticamente, seduta a gambe incrociate su una
vecchia poltrona “… Siamo rinchiusi da due giorni in questa topaia. Non
sappiamo dove andare. Non abbiamo un soldo. Per quanto tempo ancora riusciremo
a scappare dalla nostra vita?” Andrej rimase di spalle con le mani poggiate sui
fianchi e, con un ghigno sarcastico, disse: “Sì, una vita costruita sulle
bugie.” I due giovani avevano trovato rifugio in una baracca abbandonata vicino
alla palude e iniziavano a mettere in discussione la loro scelta, Brigit
palesemente mentre Andrej non ammetteva nemmeno a se stesso il suo
ripensamento. “A me manca quella vita e manca la mia famiglia. Loro sono la mia
famiglia e mi fa stare male pensarli in angoscia per me …” riprese la ragazza
con voce sempre più spezzata ma sicura “… Ho deciso di tornare a casa perché
non posso continuare a nascondermi da una verità che neanche conosco, non posso
dimenticare tutto l’amore che mi è stato dato per diciassette anni. Ho bisogno
di avere delle risposte ai miei tanti perché, ho bisogno di conoscere le mie
radici e togliermi dal petto questa terribile sensazione di vuoto.” Le
parole di Brigit erano un fiume in piena che spingeva sugli argini del
risentimento nel cuore di Andrej, che restava immobile ma con le braccia lungo
i fianchi di una decisione ormai compromessa. “Tu fai quel che vuoi ma io torno
a casa.” concluse la ragazza, prima di alzarsi con uno scatto e uscire di
corsa. “Brigit!” urlò Andrej.
Città di Fürstenberg/Havel
Nadine accompagnò i poliziotti alla
porta e, per l’ennesima volta, li ringraziò scusandosi per il disturbo. “È il
nostro dovere.” rispose uno dei due agenti con voce ferma e lasciarono
prontamente l’uscio. Con estrema lentezza, la donna chiuse la porta: era stanchissima.
Tutto il suo corpo tremava, ancora scosso dalle ore di preoccupazione e
angoscia; le gambe non la reggevano più in piedi per i chilometri percorsi alla
ricerca di suo figlio e di Brigit e l’incedere avanti e indietro per la casa; i
suoi occhi bruciavano di sonno perso e lacrime versate e la testa sembrava
esploderle per quel rincorrersi frenetico di pensieri e quel groviglio di
ricordi che, a breve, avrebbe dovuto districare. Raccontare ad Andrej la verità
le faceva paura. E lui era lì, seduto sul divano del soggiorno, con le gambe
accavallate “a quattro” e le braccia incrociate, lo sguardo risentito e ostile
come quello di Brigit che gli sedeva accanto ma con gli occhi coperti anche da
un velo di lacrime. I due ragazzi avevano deciso di condividere il momento più
drammatico e significativo della loro vita, insieme come se già sapessero di
essere i protagonisti di una verità che accomunava e univa la vita dei loro
genitori adottivi. Nadine non aveva dubitato nemmeno per un istante che ad
interrompere quel silenzio, alternato ai deboli sospiri di Engel e ai vani
tentativi di Kurt e Werner, sarebbe stata proprio lei. Anche questa volta le
toccava essere forte, vestire la maschera del coraggio e prendere in mano una
situazione che nessuno avrebbe smosso. Quanto le costava strapparsi quel peso
dal petto, vincere quel nodo che le stringeva la gola, vincere se stessa per
addossare il fardello del suo passato sulle spalle di due giovani figli, ferire
e ferirsi. Ma quel dolore era necessario per risanare gli affetti e ricucire un
equilibrio strappato dalla scoperta di verità taciute o dette a metà. Quelle
parole avrebbero distrutto e ricostruito allo stesso tempo. “Andrej, ti ho
sempre raccontato di essere stata a Ravensbrück soltanto durante l’ultimo anno
di guerra ma ti ho mentito. Sono stata a Ravensbrück per ben cinque anni. Era
il 2 luglio del ’39 e avevo appena compiuto diciannove anni …”
Tra
di noi
non
ci sono più ingannevoli parole
ma
il mormorio degli anni
come
onde che si infrangono nel sole.
Tiromancino,
Tra di noi
[1]La Foresta della
Sprea è una regione paludosa situata a sud-est di Berlino e attraversata dal
fiume Sprea. È caratterizzata da canali, fiumi, paludi e foreste.