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Autore: MaDeSt    11/10/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

YOUNG RULER OF THE SKY

Tanto per cominciare con la sua vendetta, appena Jorel fu rientrato in casa Lily corse giù per le scale e gli disse che Cedric non cacciava da molto, eppure quel giorno era andato a svagarsi con Susan nel bosco, come faceva ormai troppo spesso. Bastò quel piccolo parere perché l’uomo lo rimproverasse e gli ordinasse di andare a caccia l’indomani, rovinando così la loro giornata coi draghi prima ancora che cominciasse. Lily sorrise vittoriosa: per almeno quattro giorni non l’avrebbe avuto tra i piedi.
La mattina dopo dunque lui uscì a chiamare Ilion perché rimanesse in casa con Lily e Susan fosse libera di andare da Sulphane. La bambina ne approfittò per chiedere alla ragazza se le andava di insegnarle a fare i biscotti, e lei si vide costretta ad accettare per non insospettirla ulteriormente – o per non aizzarsela contro, dal momento che era già piuttosto arrabbiata col fratello.
Quando Cedric tornò in casa per prepararsi – Ilion li avrebbe raggiunti più tardi – Lily disse ad alta voce, per essere certa che la sentisse: «Sono sicura che verranno buonissimi! Vorrei tanto aver sempre avuto una sorella come te!» e appena lo vide gli rivolse un’occhiata bieca.
Quindi il ragazzo decise di uscire senza aspettare Ilion, augurando loro buona fortuna ma in realtà rivolgendosi solo a Susan, come a dire ‘Divertiti con questa sciagurata’. Si diresse verso il bosco armato di arco, dove gli altri già giocavano, e dovette spiegargli la situazione e la mancanza dell’altra. Nulla però gli avrebbe impedito di passare a dare il buongiorno a Smeryld.
Quando il draghetto venne a sapere della novità scodinzolò tutto contento e insistette per seguirlo, ritenendo di essere ormai cresciuto abbastanza per poterlo accompagnare per i boschi a caccia. E con sua sorpresa questa volta Cedric non rifiutò, gli fece cenno col capo di seguirlo, salutò gli altri, poi s’incamminò verso nord. Smeryld lo precedeva correndo allegro e presto costrinse il ragazzo a correre a sua volta per non perderlo.
Mentre i due cacciavano e Sulphane tornava ad acciambellarsi alla tana per riposare, gli altri ragazzi questa volta si divisero per passare del tempo da soli coi loro piccoli draghi, e Mike non tardò ad accorgersi di provare delle strane emozioni contrastanti. Solo in seguito capì che non erano sue, ma di Zaffir, eppure gli sembravano così intense da non poter appartenere a qualcun altro; non riusciva a smettere di sorprendersi di quanto il loro legame fosse intenso sebbene si conoscessero da poche settimane.
Lo guardò sorpreso e incuriosito, Zaffir tremò intuendo ancora prima che parlasse ciò che voleva chiedergli: «Cosa c’è?»
Nulla brontolò lui.
«Non mentire, so che qualcosa non va.» gli disse con un sorriso beffardo.
Il draghetto lo guardò per una frazione di secondo, poi tornò a guardare davanti a sé e rispose: Non so spiegarlo...
«Sì, mi stai facendo sentire piuttosto confuso.» ammise.
Mi dispiace, non posso controllarlo.
«Vuoi dirmi cosa pensi di avere?»
Io... non ho nulla, solo che... da quando ho conosciuto Nerkoull e l’ho visto volare ho una voglia terribile di spiegare le mie ali e provare cosa vuol dire.
«Non sei ancora troppo piccolo?» domandò preoccupato guardandolo attentamente; le ali erano lunghe, certo, ma non avendo mai volato non era sicuro che sarebbe riuscito, tantomeno in un bosco.
Non lo so, mi sento pronto ma ho paura... disse, e Mike avvertì quella paura, paura di schiantarsi al suolo o di perdere il controllo. Ma nello stesso tempo vide e sentì ciò che Zaffir pensava che significasse volare. E anche a lui parve magnifico, sebbene Mike, con qualche anno di esperienza in più, immaginava che sarebbe stato diverso.
«Perché hai paura? Tu sei nato per volare! È così difficile?»
Non lo so... disse, e di nuovo lo guardò negli occhi Non ho nessuno che m’insegni, non so se ho davvero bisogno di qualcuno che m’insegni... penso che l’istinto sia il maestro migliore, ma ho paura di sbagliare a fidarmi.
«Fidati della tua paura allora, e prova quando ti sentirai più pronto.» gli disse accarezzandolo piano dietro la nuca «Magari Nerkoull ti chiamerà quando penserà sia giunto il momento!»
Zaffir chiuse gli occhi e brontolò, ora contento, poi si strusciò contro la gamba di Mike e si sdraiò a terra chiedendogli del solletico, che aveva scoperto essere piacevole in determinati punti.
Era l’unico tra i giovani draghi a porsi quel dilemma, al momento, tutti gli altri si limitavano a planare giù dagli alberi o a sbattere qualche volta le ali per saltare più in alto, o per planare paralleli al terreno tra un balzo e l’altro durante una corsa, per andare più veloci. Correndo erano più lenti dei ragazzi, ma appena balzavano e spiegavano le ali per compiere quelle brevi planate guadagnavano velocità, e potevano addirittura planare più veloci di un cavallo al galoppo.
Dopo mezzogiorno però l’angoscia tornò a tormentare il giovane drago blu, e Mike non riuscì a trovare un modo per farlo stare meglio. Il solletico non funzionò, e nemmeno la compagnia degli altri sembrò rallegrarlo.
Tornarono a passeggiare da soli nel bosco, Mike calciava tutti i sassi che vedeva, senza alzare mai troppo lo sguardo, e Zaffir proseguiva con la coda che strisciava a terra, la punta della falce blu segnava il terreno.
Ad un tratto il ragazzino gli disse di seguirlo e Zaffir alzò la testa guardandolo incuriosito perché aveva affrettato il passo. Si sbrigò per stargli dietro per quanto la goffa andatura su zampe e ali gli consentisse, e camminarono a lungo. Molto a lungo, tanto che arrivarono al limitare del bosco a sud; davanti a loro si estendeva la prateria, lontanissime c’erano delle colline verso sud-est, e a destra scorreva il fiume Rimer, ma il villaggio era così lontano che non riuscivano a scorgerlo.
Mike indicò davanti a sé allargando le braccia e gli disse: «Qui non rischierai di schiantarti contro i tronchi!» poi lo guardò attendendo una sua reazione.
Alcuni secondi dopo Zaffir smise di guardarlo negli occhi per studiare la prateria innevata: No, ma... posso sempre perdere l’equilibrio e cadere...
«Sei un drago! Sei nato per questo!» gli ripeté incoraggiante «Se non è oggi sarà domani, e se non sarà domani tra una settimana. Ma prima o poi il tuo primo volo arriverà, piccolo. Vuoi aspettare i tuoi fratelli e provare insieme a loro?» non ottenendo una risposta s’inginocchiò accanto a lui e lo accarezzò: «Questo malumore non ti passerà finché almeno non farai un tentativo. Prova! Se fallisci ritenterai! Vola basso.»
Di nuovo Zaffir ci mise un po’ a rispondere, ma alla fine annuì piano: Comincerò planando. Poi se riesco andrò più in alto.
«Non troppo, mi raccomando. Anche perché non devi farti vedere nemmeno per errore.»
Certo. Va bene disse un po’ più deciso.
Si allontanò lentamente da Mike, che si rialzò e lo osservò alle sue spalle, cominciò a correre, impacciato dalle ali. Smise di aiutarsi a rimanere in piedi con esse e le tenne mezze aperte lungo i fianchi, prese velocità e poi balzò, spiegò le ali con un rumoroso schiocco, e quelle lo tennero sollevato da terra per una lunga planata.
Mike gli era corso dietro riuscendo a tenere il passo finché correva a terra, ma appena Zaffir spalancò le ali lo perse, perché la sua planata era molto più veloce della sua corsa.
Emozionato gli gridò: «Sbattile piccolo! Come gli uccelli! Sbattile!»
Zaffir lo sentì, ma non si guardò alle spalle per paura di capovolgersi in aria. Tuttavia fece come gli aveva suggerito, le sbatté una volta, due, tre. E ad ogni battito guadagnava velocità e quota. Provò paura, ma anche una gioia irrefrenabile. Ruggì piano perché solo Mike potesse sentirlo, portò le ali parallele al terreno e con la forza di tutti i muscoli del corpo si spinse verso l’alto, contemporaneamente sbattendo le ali verso il basso. E si alzò verso il cielo, inclinandosi rispetto alla linea dell’orizzonte.
Ora le ali lo frenavano, quindi capì di doverle tenere il più possibile parallele al terreno e continuare a spingersi, se voleva salire. Lo fece, e solo quando raggiunse l’altezza degli alberi smise di sbattere le ali, sforzandosi di riportare tutto il corpo in assetto orizzontale.
Il suo volo era ancora instabile, traballante, irregolare, sbatteva le ali prima velocemente, poi lentamente, in base a quanto sentiva di essere vicino a precipitare; niente a che vedere con gli eleganti movimenti di Nerkoull. Cercò di rallentare un po’ sbattendo le ali perpendicolari al terreno, non abbastanza simultaneamente quindi traballò. Tornò a planare sbattendo le ali di tanto in tanto per tenere la quota, e alla fine si decise a provare la virata.
Inclinò le ali, una verso il basso e l’altra verso l’alto, piegando così tutto il corpo a sinistra, e cominciò la sua virata a sinistra, tenendo la testa immobile per non vedere tutto mosso. Sbatté le ali un paio di volte quando ebbe del tutto invertito la direzione, per tornare in posizione orizzontale. Stava tornando da Mike, e lo vedeva saltare sul posto coi pugni in aria, sentiva il suo entusiasmo e decise di fargli provare cosa voleva dire volare.
Aprì completamente la sua coscienza a lui, così che se il ragazzino avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto vedere coi suoi, con gli occhi di un drago, com’era il mondo da lassù. Poi ruggì e riprese quota, portandosi più in alto degli alberi del bosco, e gli enormi alberi della Foresta comparvero davanti a lui, così grandi da sembrare a portata di mano. Virò a destra così rapidamente da perdere quasi l’equilibrio e per un attimo ebbe paura, perse quota, s’inclinò troppo e girò su se stesso prendendo velocità; in men che non si dica toccò terra e rotolò per alcune braccia.
Mike rimase senza fiato, travolto dallo spavento del piccolo drago e avendo visto – come in un sogno ad occhi aperti – come se lui stesso fosse precipitato a terra. Corse subito da lui per accertarsi che stesse bene, anche se lo sentiva, non si era fatto nulla, aveva solo avuto molta paura. Lo vide raggomitolato a terra in posizione fetale, con la lunga coda che avvolgeva tutto il suo corpo e le ali richiuse sopra, sotto la cui membrana s’intravedeva tutto.
S’inginocchiò accanto a lui e lo sfiorò con entrambe le mani, scoprendo così che tremava: «Stai bene?» gli chiese preoccupato.
Credo di sì rispose Zaffir, finalmente si mosse e aiutandosi con le ali si sedette, poi guardò il ragazzino negli occhi: Volare è pericoloso. Non credevo bastasse così poco...
«Imparerai, non crucciarti. Era la tua prima volta. Ma almeno hai provato, no? Non sei contento?»
Non proprio... sussurrò ora guardando il cielo Speravo di riuscirci.
«Ma sei riuscito!» esclamò allegramente «Devi solo imparare a controllarlo, ma sei riuscito!»
Rincuorato dal suo buonumore il cucciolo strofinò il muso sulle sue spalle e si lasciò accarezzare, rotolarono un po’ a terra facendo una specie di lotta, ma il desiderio di prendere il controllo del vento ancora bruciava, e Mike poteva sentirlo. Smisero nello stesso istante di giocare, e sedettero nella neve con aria pensierosa.
Finché Zaffir decise di fare un secondo tentativo promettendo che sarebbe stato l’ultimo, così prese la rincorsa e sbatté le ali prima ancora che il ragazzo potesse impedirglielo. Fallì e riprovò, il balzo si allungò, la planata lo portò più lontano. Saltò una terza volta e ora si sentiva così leggero da spingersi abbastanza in alto per poter sbattere le grandi ali. Una, due, tre, quattro volte. Prendeva quota e di nuovo sentì quell’euforia pervaderlo, la certezza di poter dominare i cieli un giorno. Sbatteva le ali non in sincronia e senza un ritmo preciso, traballava prima a destra poi a sinistra, e la coda accentuava questa sensazione, ondeggiando pericolosamente. Di questo passo avrebbe perso l’equilibrio, di nuovo.
La coda... era un pensiero per se stesso, ma lo sentì anche Mike perché erano ancora profondamente legati.
Gli gridò: «Gli uccelli la usano come timone!»
Come cosa?
«Timone! Per frenare o decidere dove andare!» la gola gli bruciava tanto stava urlando, perché Zaffir era piuttosto lontano.
Timone... ripeté pensieroso, guardò giù e vide la lunga coda penzolare inerte, appesantita da quella doppia cresta. La irrigidì e la tirò su, con sua sorpresa senza fare grandi sforzi, e appena quella smise di agitarsi il suo equilibrio migliorò, all’istante. Certo ancora non perfetto, ma traballava meno, sentiva calato il rischio di perdere il controllo.
Ruggì orgoglioso e tentò un’altra pericolosa virata per invertire la direzione, si sbilanciò così tanto che rischiò di girare nuovamente su se stesso, ma la sua coda parve agire da sola correggendo la traiettoria. Ringhiando felice smise di virare e mostrò a Mike l’immensità della prateria, che da lì sembrava ancora più vasta. Virò ancora a destra e gli fece vedere il fiume e il villaggio, da lì visibili.
Solo allora si ricordò che non doveva farsi vedere, e per la prima volta si pose il problema contrario: atterrare senza schiantarsi. Chiuse la mente al ragazzo per potersi concentrare sulle sue manovre, perché la sua incredulità lo emozionava e non poteva permettersi distrazioni nella fase forse più delicata del suo secondo volo.
Sbatté le ali con forza due volte, le richiuse per perdere quota e precipitò così rapidamente che le spalancò subito dopo, ricominciando a planare. Non sapeva come fare, provò a muovere la coda con cautela, e quello lo sbilanciò, dovette aggiustare il bilanciamento con le ali per non inclinarsi su un fianco, sbattendone una più veloce dell’altra.
Pensò agli uccelli, quelle volte che li aveva visti prendere il volo e atterrare su un ramo; sbattevano forte le ali e allungavano le zampe per attutire l’impatto. Ma prima doveva arrivare vicino a ciò su cui voleva atterrare, e quella era la parte difficile.
Lentamente fece un tentativo, muovendo appena verso l’alto le falangi sui gomiti delle ali per vedere se lo aiutavano a scendere, e infatti fu così: cominciò a planare verso il basso, dunque alzò un poco di più le falangi verso il cielo, inclinando ancora di più la membrana quasi trasparente e dirigendo l’aria in modo che lo aiutasse a discendere. Provò anche a irrigidire la coda e ad alzarla, e scese ancora più rapidamente.
Con una brusca virata s’inclinò tanto da sfiorare il terreno con la punta dell’ala, sollevando cristalli di neve e ciuffi di erba. Riportò le ali parallele al terreno che ormai distava pochi piedi dalle sue zampe, il ragazzo batteva le mani e lo incitava. Quando gli fu abbastanza vicino, Zaffir si sbilanciò portando le ali perpendicolari al terreno, la coda tesa e allungata dietro di sé, e infine si preparò a toccare terra: sbatté con forza le ali, rallentando ulteriormente, e tese le zampe pronto ad attutire l’impatto.
Toccò il terreno una volta e il contraccolpo lo spinse nuovamente in alto un poco, sbatté le ali per prendere quota, poi planò e di nuovo frenò, toccò il terreno con meno violenza, e di nuovo, sempre meno forte, finché infine si fermò e sbatacchiò le ali per sistemarsele ai fianchi.
Mike letteralmente gridò dalla gioia e gli corse incontro per abbracciarlo e per ringraziarlo di aver condiviso le intense emozioni del suo primo volo con lui; era stato un momento davvero unico e speciale per il suo draghetto, non poteva chiedere di meglio che assisterlo – e assistere – in un modo così coinvolgente a un evento tanto importante.
C’era stato un momento cui gli era parso di volare lui stesso, come se avesse sognato ad occhi aperti, e gli era impossibile descrivere cos’avesse provato in quei pochi secondi.
«Hai visto? Sei fortissimo!»
Sembra buffo, ma non ce l’avrei fatta senza il tuo consiglio.
«Ma smettila, ce l’avresti fatta benissimo!» esclamò stringendolo in un forte abbraccio.
Uccelli. Siamo molto più simili di quanto pensassi.
«Ti dà fastidio?»
No, ma è... imbarazzante. Imparare da creature così...
«Insignificanti? Sono molto intelligenti in realtà, sai? I corvi che abbiamo qui sono davvero scaltri!» e gli raccontò un aneddoto cui aveva assistito anni prima mentre si avviavano verso il boschetto per tornare alla tana, e poi gli raccontò del falchetto di suo padre che suo malgrado per un attimo riportò anche la malinconia.
Teneva una mano costantemente appoggiata dietro la testa di Zaffir per grattargli le scaglie, e lui emetteva dei ringhi simili a fusa, contento e orgoglioso come non mai e presto scacciando la tristezza per Mike, sostituendola con le sue emozioni.

  
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