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Autore: JustLena    13/10/2016    0 recensioni
Cosa succede se l’incontro di una sera si trasforma in quello di una vita?
Basta un attimo per innamorarsi, non importa che sia in un giorno o in un anno, che sia destino o caso, se è amore lo senti. Lo vivi.
Dal quarto capitolo:
“Non so cosa fu, se la musica, se il modo in cui mi guardò o il destino, ma fu un attimo. Il suo viso si avvicinò al mio, le nostre labbra si sfiorarono appena, ma quel bacio non me lo dimenticai mai più.
In quel momento avevo capito che lui era la mia magia.”
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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“ Incontri migliaia di persone, le tocchi e non accade niente. Poi ne incontri una che nemmeno sfiori e la tua vita cambia. Per sempre.”

 

Siamo entrambe sedute sul divano, ai lati opposti, tenendoci una coperta sulle gambe e un cuscino dietro la schiena.
<< Quindi?>> insiste, impaziente come suo solito.
Alzo gli occhi al cielo e mi mordo il labbro inferiore.
<< Da dove posso cominciare? ..
L’autunno era giunto al termine e il freddo era alle porte.
Da giovane lavoravo in un bar dall’altra parte della città, il nonno non poteva fare ogni giorno avanti e indietro da casa al bar, perciò ero costretta a viaggiare in metro.
Quel giorno avevo raggiunto il locale con un quarto d’ora di ritardo e Giorgio – il mio capo – mi aveva fatto una lavata di testa incredibile. Per lui era inconcepibile anche il minimo ritardo, in particolar modo nel fine settimana. I clienti, inoltre, erano stranamente più scontrosi del solito, non mi lasciavano un attimo di tregua. Uno in particolare continuava a fissarmi maliziosamente, seduto tra gli ultimi tavoli.>>
<< Era papà?>> domanda Eva, curiosa.
Faccio una smorfia disgustata e scuoto vigorosamente la testa.
<< Era solo un ubriacone, sfacciato e incredibilmente volgare. Giorgio fu addirittura costretto a cacciarlo dal locale.
Sta di fatto che non ne potevo più, il cervello mi stava per scoppiare e puzzavo incredibilmente di sudore.
Quando ebbi il permesso di tornare a casa corsi nel camerino a cambiarmi, gettai il grembiule in un angolo e me ne andai.
Le strade erano completamente buie e non c’era praticamente nessuno in giro, per cui cercavo di camminare velocemente, stringendomi la mia vecchia tracolla sul fianco e pronta a usarla come arma in caso di bisogno. Per fortuna, oltre a qualche rumore sospetto – probabilmente provocato da qualche gatto, intento a frugare tra la spazzatura – non incontrai nessun malintenzionato.
Raggiunsi la metro, con il cuore a mille per la paura, ma comunque sollevata. Avevo solo diciannove anni e non mi sentivo al sicuro, così lontana da casa, ma c’era bisogno di qualcuno che desse una mano in casa e perciò feci quel piccolo sacrificio...>> vengo interrotta nuovamente da Eva, che sembra annoiata e che ha alzato gli occhi al cielo.
<< Va bene, ma quando hai incontrato papà?>> chiede spazientita.
<< Ci sto arrivando, calma!
… Allora, dicevo che ero appena arrivata alla metro e avevo un enorme dolore ai piedi, agognavo il calore del mio letto come non mai, ma questo doveva farsi per forza desiderare, a quanto pare..
Non sono stata attenta all’orario, avevo perso l’ultimo treno per casa e non ce ne sarebbero stati altri fino al giorno seguente. Non sapevo come fare, non avevo abbastanza soldi per andare in albergo e non avevo amici da quelle parti. Provai a chiamare il nonno, ma rispondeva sempre la segreteria. Non mi restava che dormire dentro la metro insieme ai barboni.
Ero andata alla ricerca di una panchina, ma erano tutte già occupate. Non ero l’unica a non avere un posto dove andare.
Mi sedetti per terra, poggiando la testa contro il muro e stringendo la mia borsa al petto. Sarebbe bastato un attimo per rubarmi tutto quello che avevo, ed era pure poco.
Ero a pezzi, per cui ci volle poco ad addormentarmi.
Ad un tratto sentii qualcuno picchiettarmi sulla spalla e fui immediatamente sull’attenti, colpendo ripetutamente il malintenzionato con la mia borsa e urlando come un isterica.>>
Comincio a ridere, fino ad avere le lacrime agli occhi, mentre Eva mi guarda come fossi impazzita.
Cerco di tornare in me e mi asciugo gli angoli degli occhi con la manica del maglione, continuando.
<< Scattò in piedi dandomi della pazza, come dargli torto, infondo?
Ero stata interrotta nel pieno del mio sonno e avevo agito di istinto, pensavo fosse un maniaco o un ladro.
Mai provata vergogna più grande, avevo le guance che stavano andando a fuoco e non so quante volte mi ero scusata.
L’uomo non scappò, ma si risedette al mio fianco, guardandomi però diffidente.
Quando capì che non costituivo più un pericolo per la sua vita mi rivolse la parola.
Scusa, non volevo spaventarti”, ebbe pure la gentilezza di dire, dopo averlo colpito.

“Anche tu rimasta bloccata qui?” mi chiese.
“Già..”
Non volevo essere così fredda, mi sentivo solamente in colpa, eppure lui sembrava già aver archiviato l’accaduto.
“Mi dispiace, come mai non vai in albergo?”
Che gli importava?
“Non ho un soldo.” - ammisi, imbarazzata – “tu invece?”.
Distolse lo sguardo e si morse il labbro, insicuro forse su cosa rispondere.
“Ho visto una bella ragazza dormire per terra e ho pensato di andare a darle fastidio.” ridacchiò.
“Quindi importuni tutte le ragazze della metro che trovi a dormire per terra?” chiesi, non trovandola una scusa plausibile.
“ Solo quelle belle.”
Oh, certo.
Mi trattenni dall’urlargli contro e mi limitai ad alzarmi e a raccogliere le mie cose.
“Ehi, dove vai? Ho detto qualcosa di male?”, sembrava confuso. Idiota.
Mi fermai e mi rigirai nella sua direzione, spazientita.
“ Senti, è stata una giornata stressante e non ho intenzione di venire a letto con te. Ok? Cerca qualcun altro che ne abbia voglia, io ho solo bisogno di dormire e.. Me ne vado.”

Gli diedi le spalle e me ne andai a passo svelto, lasciandolo lì.
Ero stanca e non mi serviva un uomo che aveva come unico scopo quello di trovare qualcuno con cui passare la notte, per poi prendere un treno il giorno dopo e sparire nel nulla. E poi non ero di certo una poco di buono, che andava con il primo che passava.
Salii rapidamente le scale e arrivata fuori mi accorsi del fatto che stava piovendo, e anche violentemente.
Velocemente i miei vestiti e i miei capelli cominciarono a bagnarsi, quando qualcuno mi prese per il braccio e mi tirò con forza in un vicolo vicino, al riparo, sotto un balcone. Cercai di divincolarmi, quando però mi accorsi che era ancora lui.
Almeno quella volta non lo avevo colpito.

“Che diamine stai facendo? Non vedi che sta venendo giù il diluvio universale!?”, mi urlò contro.
“Non sono affari tuoi!”, urlai di rimando.
Speravo che se ne andasse e che mi lasciasse in pace, ero già abbastanza stressata e litigare non era nei miei piani. Restare lì non era nei miei piani.
Lo guardai scuotere la testa vigorosamente e alzare gli occhi al cielo, spazientito.
“Vieni qui”, mi ordinò, mentre si sfilava la giacca, ma io indietreggiai.
“Smettila di fare la testarda e prendila.” Insistette.
Strinsi i denti e afferrai la giacca, mettendomela sulle spalle.
Dio, quanto era calda. Non glielo dissi ma in quel momento gli ero terribilmente grata.
Sarei rimasta lì a prendere acqua, rifiutandomi di rientrare, se non fosse venuto. Dovevo ammettere che ero davvero testarda.
Eppure ero ancora convinta che lui avesse un solo scopo e che, solamente, non voleva rinunciarci.
Constatai che la sua giacca aveva un odore favoloso.
Lui aveva un odore favoloso.
“Vieni con me.”, ordinò nuovamente.
Per lui non esisteva chiedere, a quanto pare.
“Non se ne parla, nemmeno ti conosco.”
“Sta diluviando”.
Mi strinsi ancora di più nella giacca, guardandomi intorno, alla ricerca di una via di scampo a quella situazione. Volevo stare a letto, ma nel mio.
“Non sono un serial killer, promesso.”, ghignò.
Avrei voluto picchiarlo.
“Magari non un serial killer, ma un maniaco sì.”, replicai.
“ Non avrei già agito? Perché mai dovrei portarti fino in casa mia?”
Touché.
“Dove avresti intenzione di andare?” insistei, non volendomi muovere.
“Vivo a pochi passi da qui, lo vedi quel palazzo verde?” mi chiese, indicandomi un palazzo poco più lontano.
A quel punto ero davvero fuori di me.
“Allora perché diamine mi hai detto che eri rimasto bloccato qui!?” urlai, impaziente.
Volevo solo che se ne andasse. E dormire.
“Ho accompagnato mia sorella, che doveva tornare a casa sua. Stavo tornando a casa e ti ho visto lì, da sola.”
“E perché sei venuto a parlarmi?” chiesi acida.
Lo vidi aprire la bocca e poi richiuderla.
“ Me ne vado.”
“Scusa, non volevo essere scortese.”, mi affrettai a scusarmi, non sapevo nemmeno io cosa volessi. Doveva andarsene o restare?
“ Senti, la metro non è un bel posto dove passare la notte. Sono venuto io, ma poteva essere chiunque altro. E poi mi hai attratto e non so nemmeno il perché.
Ma tu sei testarda e non ho motivo di stare qui.”
Restammo entrambi in silenzio, avevo paura che potesse sentire il rumore del mio cuore battere violentemente nel petto.
“Ti prego, vieni con me.” >>.

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Ehilà, eccomi qua con il PRIMO capitolo. Che ne pensate?
Mi rendo conto del fatto che il prologo è risultato abbastanza noioso, perciò ringrazio di cuore se avete continuato a leggere fin qui.
J
Spero che vi piaccia, attendo vostri pareri.
Un abbraccio. :*

   
 
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