“
Incontri migliaia di
persone, le tocchi e non accade niente. Poi ne incontri una che nemmeno
sfiori
e la tua vita cambia. Per sempre.”
Siamo
entrambe sedute sul divano, ai lati opposti, tenendoci una coperta
sulle gambe
e un cuscino dietro la schiena.
<< Quindi?>> insiste, impaziente come suo
solito.
Alzo gli occhi al cielo e mi mordo il labbro inferiore.
<< Da dove posso cominciare? ..
L’autunno era giunto al termine e il freddo era alle porte.
Da giovane lavoravo in un bar dall’altra parte della
città, il nonno non poteva
fare ogni giorno avanti e indietro da casa al bar, perciò
ero costretta a viaggiare
in metro.
Quel giorno avevo raggiunto il locale con un quarto d’ora di
ritardo e Giorgio
– il mio capo – mi aveva fatto una lavata di testa
incredibile. Per lui era
inconcepibile anche il minimo ritardo, in particolar modo nel fine
settimana. I
clienti, inoltre, erano stranamente più scontrosi del
solito, non mi lasciavano
un attimo di tregua. Uno in particolare continuava a fissarmi
maliziosamente,
seduto tra gli ultimi tavoli.>>
<< Era papà?>> domanda Eva,
curiosa.
Faccio una smorfia disgustata e scuoto vigorosamente la testa.
<< Era solo un ubriacone, sfacciato e incredibilmente
volgare. Giorgio fu
addirittura costretto a cacciarlo dal locale.
Sta di fatto che non ne potevo più, il cervello mi stava per
scoppiare e
puzzavo incredibilmente di sudore.
Quando ebbi il permesso di tornare a casa corsi nel camerino a
cambiarmi,
gettai il grembiule in un angolo e me ne andai.
Le strade erano completamente buie e non c’era praticamente
nessuno in giro,
per cui cercavo di camminare velocemente, stringendomi la mia vecchia
tracolla
sul fianco e pronta a usarla come arma in caso di bisogno. Per fortuna,
oltre a
qualche rumore sospetto – probabilmente provocato da qualche
gatto, intento a
frugare tra la spazzatura – non incontrai nessun
malintenzionato.
Raggiunsi la metro, con il cuore a mille per la paura, ma comunque
sollevata.
Avevo solo diciannove anni e non mi sentivo al sicuro, così
lontana da casa, ma
c’era bisogno di qualcuno che desse una mano in casa e
perciò feci quel piccolo
sacrificio...>> vengo interrotta nuovamente da Eva, che
sembra annoiata e
che ha alzato gli occhi al cielo.
<< Va bene, ma quando hai incontrato
papà?>> chiede spazientita.
<< Ci sto arrivando, calma!
… Allora, dicevo che ero appena arrivata alla metro e avevo
un enorme dolore ai
piedi, agognavo il calore del mio letto come non mai, ma questo doveva
farsi
per forza desiderare, a quanto pare..
Non sono stata attenta all’orario, avevo perso
l’ultimo treno per casa e non ce
ne sarebbero stati altri fino al giorno seguente. Non sapevo come fare,
non
avevo abbastanza soldi per andare in albergo e non avevo amici da
quelle parti.
Provai a chiamare il nonno, ma rispondeva sempre la segreteria. Non mi
restava
che dormire dentro la metro insieme ai barboni.
Ero andata alla ricerca di una panchina, ma erano tutte già
occupate. Non ero
l’unica a non avere un posto dove andare.
Mi sedetti per terra, poggiando la testa contro il muro e stringendo la
mia
borsa al petto. Sarebbe bastato un attimo per rubarmi tutto quello che
avevo,
ed era pure poco.
Ero a pezzi, per cui ci volle poco ad addormentarmi.
Ad un tratto sentii qualcuno picchiettarmi sulla spalla e fui
immediatamente
sull’attenti, colpendo ripetutamente il malintenzionato con
la mia borsa e
urlando come un isterica.>>
Comincio a ridere, fino ad avere le lacrime agli occhi, mentre Eva mi
guarda
come fossi impazzita.
Cerco di tornare in me e mi asciugo gli angoli degli occhi con la
manica del
maglione, continuando.
<< Scattò in piedi dandomi della pazza, come
dargli torto, infondo?
Ero stata interrotta nel pieno del mio sonno e avevo agito di istinto,
pensavo
fosse un maniaco o un ladro.
Mai provata vergogna più grande, avevo le guance che stavano
andando a fuoco e
non so quante volte mi ero scusata.
L’uomo non scappò, ma si risedette al mio fianco,
guardandomi però diffidente.
Quando capì che non costituivo più un pericolo
per la sua vita mi rivolse la
parola.
“Scusa, non volevo spaventarti”,
ebbe
pure la gentilezza di dire, dopo averlo colpito.
“Anche tu rimasta bloccata
qui?” mi
chiese.
“Già..”
Non volevo essere così fredda, mi sentivo solamente in
colpa, eppure lui
sembrava già aver archiviato l’accaduto.
“Mi dispiace, come mai non vai in albergo?”
Che gli importava?
“Non ho un soldo.” - ammisi, imbarazzata
– “tu invece?”.
Distolse lo sguardo e si morse il labbro, insicuro forse su cosa
rispondere.
“Ho visto una bella ragazza dormire per terra e ho pensato di
andare a darle
fastidio.” ridacchiò.
“Quindi importuni tutte le ragazze della metro che trovi a
dormire per terra?”
chiesi, non trovandola una scusa plausibile.
“ Solo quelle belle.”
Oh, certo.
Mi trattenni dall’urlargli contro e mi limitai ad alzarmi e a
raccogliere le
mie cose.
“Ehi, dove vai? Ho detto qualcosa di male?”,
sembrava confuso. Idiota.
Mi fermai e mi rigirai nella sua direzione, spazientita.
“ Senti, è stata una giornata stressante e non ho
intenzione di venire a letto
con te. Ok? Cerca qualcun altro che ne abbia voglia, io ho solo bisogno
di
dormire e.. Me ne vado.”
Gli diedi le
spalle e me ne andai a passo svelto, lasciandolo lì.
Ero stanca e non mi serviva un uomo che aveva come unico scopo quello
di trovare
qualcuno con cui passare la notte, per poi prendere un treno il giorno
dopo e
sparire nel nulla. E poi non ero di certo una poco di buono, che andava
con il
primo che passava.
Salii rapidamente le scale e arrivata fuori mi accorsi del fatto che
stava
piovendo, e anche violentemente.
Velocemente i miei vestiti e i miei capelli cominciarono a bagnarsi,
quando
qualcuno mi prese per il braccio e mi tirò con forza in un
vicolo vicino, al
riparo, sotto un balcone. Cercai di divincolarmi, quando
però mi accorsi che
era ancora lui.
Almeno quella volta non lo avevo colpito.
“Che diamine stai facendo? Non vedi
che
sta venendo giù il diluvio universale!?”, mi
urlò contro.
“Non sono affari tuoi!”, urlai di rimando.
Speravo che se ne andasse e che mi lasciasse in pace, ero
già abbastanza
stressata e litigare non era nei miei piani. Restare lì non
era nei miei piani.
Lo guardai scuotere la testa vigorosamente e alzare gli occhi al cielo,
spazientito.
“Vieni qui”, mi ordinò, mentre si
sfilava la giacca, ma io indietreggiai.
“Smettila di fare la testarda e prendila.”
Insistette.
Strinsi i denti e afferrai la giacca, mettendomela sulle spalle.
Dio, quanto era calda. Non glielo dissi ma in quel momento gli ero
terribilmente grata.
Sarei rimasta lì a prendere acqua, rifiutandomi di
rientrare, se non fosse
venuto. Dovevo ammettere che ero davvero testarda.
Eppure ero ancora convinta che lui avesse un solo scopo e che,
solamente, non
voleva rinunciarci.
Constatai che la sua giacca aveva un odore favoloso.
Lui aveva un odore favoloso.
“Vieni con me.”, ordinò nuovamente.
Per lui non esisteva chiedere, a quanto pare.
“Non se ne parla, nemmeno ti conosco.”
“Sta diluviando”.
Mi strinsi ancora di più nella giacca, guardandomi intorno,
alla ricerca di una
via di scampo a quella situazione. Volevo stare a letto, ma nel mio.
“Non sono un serial killer, promesso.”,
ghignò.
Avrei voluto picchiarlo.
“Magari non un serial killer, ma un maniaco
sì.”, replicai.
“ Non avrei già agito? Perché mai
dovrei portarti fino in casa mia?”
Touché.
“Dove avresti intenzione di andare?” insistei, non
volendomi muovere.
“Vivo a pochi passi da qui, lo vedi quel palazzo
verde?” mi chiese, indicandomi
un palazzo poco più lontano.
A quel punto ero davvero fuori di me.
“Allora perché diamine mi hai detto che eri
rimasto bloccato qui!?” urlai,
impaziente.
Volevo solo che se ne andasse. E dormire.
“Ho accompagnato mia sorella, che doveva tornare a casa sua.
Stavo tornando a
casa e ti ho visto lì, da sola.”
“E perché sei venuto a parlarmi?” chiesi
acida.
Lo vidi aprire la bocca e poi richiuderla.
“ Me ne vado.”
“Scusa, non volevo essere scortese.”, mi affrettai
a scusarmi, non sapevo
nemmeno io cosa volessi. Doveva andarsene o restare?
“ Senti, la metro non è un bel posto dove passare
la notte. Sono venuto io, ma
poteva essere chiunque altro. E poi mi hai attratto e non so nemmeno il
perché.
Ma tu sei testarda e non ho motivo di stare qui.”
Restammo entrambi in silenzio, avevo paura che potesse sentire il
rumore del
mio cuore battere violentemente nel petto.
“Ti prego, vieni con me.” >>.
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Ehilà, eccomi qua con il PRIMO capitolo. Che ne pensate?
Mi rendo conto del fatto che il prologo è risultato
abbastanza noioso, perciò
ringrazio di cuore se avete continuato a leggere fin qui.J
Spero che vi piaccia, attendo vostri pareri.
Un abbraccio. :*