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Autore: Looney_Pleurite    14/10/2016    4 recensioni
|Storia ad OC|
Un brutale omicidio sconvolge la cittadina di Lumber Hill Valley.
Gli abitanti non fanno in tempo ad assimilare il lutto che un altro corpo viene rinvenuto nel bosco.
Un cadavere antico che nasconde un segreto.
Il passato ritorna con i suoi scheletri per ricordarci che non possiamo lasciarci nulla alle spalle.
La scia di sangue non si ferma.
Chi si nasconde dietro la maschera dell'assassino?
Genere: Drammatico, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Blaineley, Chris McLean, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Alberi secchi, venti freddi e cielo grigio.
Tutto sembrava annunciare l'arrivo prematuro dell'inverno: dalle scheletriche cortecce della foresta erano ormai cadute tutte le foglie, le onde del mare iniziavano ad agitarsi a causa del brutto tempo. Ormai l'estate era terminata e così anche la stagione turistica di quell'anno. Il golfo cittadino aveva riscosso parecchio successo in quei mesi, le entrate sembravano ottime per rendere l'anno successivo un capolavoro.
Eppure nessuno ne era particolarmente felice. Lumber Hill Valley sembrava spegnersi in quei mesi grigi. Nessuno passeggiava per le spiagge, i corsi erano vuoti. Sembrava quasi che ogni anno, dopo la stagione estiva, la città smettesse di esistere, per poi tornare in attività solo alla fine delle scuole.
La routine in quel periodo era sempre la stessa. Qualche festa per omaggiare l'inverno, fiere natalizie, ma niente riscuoteva molto successo. I turisti preferivano virare verso altre mete migliori, dove almeno si poteva godere di qualche fiocco di neve.
Almeno c'erano gli adolescenti e la loro energia a farsi sentire, di tanto in tanto, nei luoghi di ritrovo più comuni, come il parco cittadino e il bar del centro, ma difficilmente alla prime luci dell'alba, o più generalmente in mattinata, si poteva udire la loro vivacità come in estate.
C'era però, una casa che alle sette del mattino viveva più di quanto non facesse nelle altre ore del giorno.
La melodia di un pianoforte avvolgeva le pareti di una sala da ballo senza finestre, dai colori accesi e dalla pavimentazione lucida.
Una ragazza era lì seduta, massaggiandosi le dita doloranti dei piedi, coperti da delle ballerine rosa confetto. Aveva una corporatura minuta e lunghi capelli rossicci. Sembrava concentrata nel suo allenamento, tanto da non riuscire a percepire la voce del fratello maggiore richiamarla alle sue spalle. Lui, stanco di attendere attenzioni, le spense la radio, guardandola in malo modo.
-Shayla vatti a lavare è tardi.- Disse, per poi sparire dietro la porta da cui era arrivato.
-Scusami!- Gli gridò dietro lei, sorridendo imbarazzata. Amava immensamente la danza, ogni volta che si allenava perdeva la cognizione del tempo e dello spazio.
Si alzò e si diresse verso l'unica porta della stanza, che dava ad una lunga scalinata di legno. I suoi genitori avevano ricavato quella sala da ballo dallo scantinato, in modo da far coltivare alla figlia la propria passione.
Salite le scale spuntò direttamente in sala, dove aveva lasciato lo zaino di scuola già pronto. Si avvicinò ad esso, tirando fuori dalla tasca destra lo smartphone e dirigendosi verso il corridoio.

Chiamata persa da Eleanor

Lesse appena disattivò il blocco schermo. Pigiò sul tasto verde di chiamata e poggiò il telefono all'orecchio.

Tu… tu… tu…

Tre squilli e lei aveva già percorso le scale che conducevano al piano superiore, trovandosi in un altro corridoio. Le finestre e le mura di legno bianco rendevano l'ambiente ben illuminato, tre porte erano predisposte su una parete, altre due invece stavano nella zona alle spalle delle scale, insieme ad un armadio murato.
Finalmente l'amica rispose.
-Alleluja! E' possibile che ogni volta che ti chiamo non rispondi mai?- Sbuffò la voce dall'altra parte del telefono. Shayla sorrise, divertita dal carattere esuberante dell'amica.
-Lo sai che di mattina mi esercito per danza.- Disse, entrando nella camera che condivideva con la sorellina. Se la parte di quest'ultima era tappezzata di poster e qualche sticker sul mobile rosa, la sua era più sobria, pareti libere e con solo una bacheca sopra la scrivania, in cui primeggiavano foto della sua infanzia e con i suoi amici.
-Okay, va bene.- Rispose l'altra, sbrigativa. -Comunque, odio chiedertelo, ma mi passi l'ultimo esercizio di matematica? Proprio non mi viene.- E ancora una volta le labbra di Shayla si incurvarono verso l'alto, di un rosso vivo come di natura erano. Adorava quando Eleanor si vedeva costretta ad abbassarsi a chiederle i compiti. C'era una sorta di competizione scolastica tra di loro.
-Subito, ti passo le foto su Whatsapp.- Fiera, uscì velocemente dalla camera e tornò al piano di sotto, superando il fratello, che la guardava con un misto di rimprovero e arrendevolezza. Ogni mattina era sempre così, sua sorella finiva per girare per casa come una matta prima di riuscire ad entrare in bagno.
-Piuttosto, te sei stata invitata alla festa che stanno organizzando Heather, Dakota e Topher?- Mormorò Eleanor per colmare il silenzio.
-No, ma poco importa, mio fratello non mi avrebbe mai fatta uscire.- Rispose la ragazza senza pensarci troppo, indaffarata com'era ad aprire la cartella ed a tirare fuori il quaderno.
-Non dirmi che i tuoi sono partiti di nuovo! Tuo fratello non ti lascia mai fare nulla quando c'è lui al comando.-Sbuffò l'amica, immaginando già i salti mortali che avrebbero compiuto per farla sgattaiolare fuori casa. Però non era nemmeno colpa dei genitori di Shayla. Se volevano permettersi tutto ciò che avevano era necessario che si muovessero per promuovere le produzioni a cui lavoravano.
-Già, già, tornano tra una settimana.- La informò, fotografando la pagina degli esercizi svolti la sera prima.
-Eccoli, finalmente! Va bene dai, ci vediamo dopo allora. Ciao ciao!- Così si salutarono, Shayla lasciò quaderno e telefonino sul tavolo e corse nuovamente al piano di sopra. Tornò in camera, prese i vestiti e si catapultò in bagno, stava iniziando a farsi troppo tardi.
Si svestì e abbandonò la tuta nel cesto della biancheria, rimanendo a nudo davanti allo specchio. Si guardò le curve, troppo magre per la sua bassa statura, e la pelle chiara illuminata dalla luce della finestra.
Un'estate intera passata sotto al sole e nessun risultato.
Sbuffò, ormai sconfitta all'idea che i raggi UV si rifiutassero di dorarle l'epidermide. Legò i capelli mossi a mo' di cipolla -non aveva tempo di lavarseli- ed entrò in doccia, dove lasciò scorrere via il sudore insieme all'acqua calda.
Intanto, al piano di sotto il suo telefono vibrava sul tavolo e, appena smise, un avviso dominava sul blocco schermo:

Chiamata persa da Sconosciuto

Appena terminò la doccia, Shayla tornò davanti allo specchio, si mise il lucida-labbra trasparente sulle labbra pronunciate e un tocco di cipria sugli zigomi alti e il naso all'insù. I piccoli occhi verdi li lasciò semplici com'erano, ci pensavano già le lunghe ciglia a darle un'aria tranquilla e serena.
Indossò una semplice camicetta verde e un paio di jeans, si sciolse i capelli e tornò al piano inferiore, dove il fratello l'attendeva con la sorellina.
-Sono pronta!- Sorrise, poggiando le mani sui fianchi. Lui la guardava con aria annoiata, l'altra invece era immersa nel suo telefonino. Si somigliavano molto tutti e tre, se non che quei due avevano i capelli a spaghetto.
-Vado a prendere l'auto.- Ed intanto che il fratello si allontanava, lei lasciò la sorellina in cucina per andare a riporre le ultime cose nello zaino. Fu in quel momento, mentre rimetteva il quaderno dentro la cartella, che vibrò lo smartphone.

Si risponde alle chiamate.

Recitava il messaggio appena ricevuto. Il mittente era sconosciuto, esattamente come la chiamata di cui si era appena accorta.

Ero sotto la doccia, non potevo… chi sei?

Shayla ripose il telefonino nella tasca e, cartella in spalla, si affacciò in cucina, dove pensava di trovare la sorella, ma a quanto pare non era più lì.
-Lili? Dai che dobbiamo andare!- Urlò, nella speranza di farsi sentire. Poco dopo il telefono tornò a vibrare, ma stavolta era un avviso di chiamata.
Il mittente era ancora sconosciuto. La ragazza sorrise, scommettendo con se stessa che quello fosse un altro stupido scherzo di Eleanor.
-Pronto?- Disse, cercando di trattenere il divertimento.
-Ciao Shayla.- Al contrario della voce della sua amica si palesò un tono maschile, roco e leggermente inquietante.
-Eleanor dove hai trovato l'app per modificare la voce? La voglio pure io.- Ridacchiò, sedendosi su una delle sedie dell'isola di marmo al centro della stanza.
-Non penso che avrai occasione di usarla… com'è andata la doccia?- Domandò lo sconosciuto, altalenando le frasi da un tono serio ad uno più scherzoso ed inquietante.
-Male, non ho nemmeno avuto il tempo di lavarmi i capelli.- Sbuffò lei, continuando a credere che fosse solo uno scherzo della sua amica. -Perché non ne avrò l'occasione?- Domandò, mentre il suono di un clacson si espandeva dal giardino. Provò a richiamare la sorella, ma non ricevette risposta.
-Perché morirai prima.-Un brivido freddo fece raddrizzare la schiena della ragazza, che ora provava un misto di inquietudine e irritazione.
-Okay Ele, inizi ad essere alquanto inquietante.- Borbottò, scocciata. Scese dalla sedia e guardò fuori dalla finestra che dava sul giardino. Il fratello era in auto, che tamburellava con le dita delle mani sul volante.
-Forse perché non sono Eleanor.-
Shayla staccò istintivamente il telefono dall’orecchio.
Guardò perplessa la scritta “sconosciuto” sullo schermo nero.
-E chi saresti?- domandò con un filo di voce.
-Lo scoprirai presto.-
Fu ciò che rispose l’interlocutore prima di riattaccare.
Un’affermazione lapidaria e tagliente, una gelida promessa che, come purtroppo scopriremo, avrebbe mantenuto.


Capitolo 1 - Negazione
 

Topher Jacot, capelli biondo scuro e occhi verde oliva, raggiunse a passo svelto Echo Brownson e Lindsay Mills, l’uno nella mano dell’altra.
Il ragazzo, con gli occhi del medesimo colore e una corta acconciatura castana con le punte tinte di celeste, si era appena staccato dalle labbra rosee della compagna, una fiorente ragazza bionda con lo sguardo da cerbiatta.
-Hey, ragazzi!- li salutò Topher stringendosi al petto il libro e il quaderno di storia -Come va?-
-Mh.- mugugnò Echo come risposta mentre si aggiustava la giacca da giocatore di football.
-Ciao Tropher!- squittì Lindsay allargando la bocca in un grande sorriso.
Echo era abbastanza irritato quando qualcuno lo disturbava solo con la sua ragazza, fulminò la bionda e le fece capire di comportarsi come se non volesse che l’altro si trovasse lì.
-Volevo dire: “Male, Topher.”- si corresse facendo roteare gli occhi al suo ragazzo.
Yael Leroy, capelli bianchi come la neve e occhi verde acqua, li guardò passare rimanendo appoggiato al suo armadietto.
Si meravigliò che la tipica coppia da prima pagina non si fosse ancora lasciata e riprese ad ascoltare la musica dalle sue cuffiette.
Echo e Topher non lo degnarono nemmeno di uno sguardo, Lindsay agitò timidamente la mano in segno di saluto, sperando che il proprio ragazzo non lo notasse.
-Avete visto Heather o Dakota? E’ da ieri che non mi rispondono al telefono e avevo chiesto un par…- domandò il biondo accingendosi a spiegare le motivazioni della sua richiesta.
-No, non le abbiamo viste.- per quanto potesse essere suo amico, Echo non poteva tollerare la sua presenza in quel momento. Prima se ne fosse andato, meglio sarebbe stato per lui.
Il castano sciolse la mano da quella della compagna e gliela poggiò sui glutei, lei lo guardò languida facendosi scappare un risolino.
-Oh, se vedete una delle due ditele che le sto cercando.- disse prima di lasciarli andare per la loro strada.
Echo fece un gesto con la mano per fargli intendere di aver capito.

 

E’ un’altra giornata splendida a Lumber Hill Valley, non sarà certo l’inverno a interrompere il frusciare degli alberi e l’infrangersi delle onde sulla spiaggia e sulla dure rocce della scogliera.
Gli sventurati studenti della LHV High School si preparano ad affrontare un altro lunedì di scuola, riusciranno a terminare vittoriosi la giornata o si porteranno a casa una buona dose di tristezza e sconfitte?
Sierra Obonsawin è qui per tenervi informati.

 

L’omonima ragazza, così alta da superare quasi di una spanna Echo e con i capelli di un curioso colorito viola, finì di digitare compulsivamente sullo schermo del suo smartphone per poi studiare l’ambiente circostante.
La settimana precedente il suo blog aveva ricevuto meno visualizzazioni di quello di Tom e Jen, due fashion blogger da strapazzo che ritenevano di avere il senso della moda solo perché si vestivano sempre abbinati fra loro.
Una studentessa dai capelli castano scuro e gli occhi azzurri, dritta su due stivaletti di pelle nera attirò l’attenzione della ragazza.
Stava sistemando qualcosa dentro il suo armadietto.
Ancora non poteva credere che si trovasse lì, a qualche passo da lei. Di nuovo.

Primo giorno di scuola per Hailey Coogan, riuscirà ad ambientarsi nuovamente dopo tutti questi anni di assenza? Cosa dobbiamo aspettarci con il suo imprevedibile ritorno?

Sierra andò a sbattere contro quello che pensava essere un muro, era così persa nei suoi giochetti di osservazione che spesso si dimenticava di guardare dove stesse andando.
Invece si ritrovò davanti una sudicia maglietta beige, alzò lo sguardo e si accorse con terrore di essersi scontrata con il bidello inquietante.
Un omone di colore di quasi due metri e con due braccia possenti.
-Guarda dove metti i piedi, ragazzina.- la rimproverò innervosito.
La ragazza rise nervosamente e si allontanò correndo senza nemmeno rispondere.

Come iniziare peggio una giornata se non andando a sbattere contro Mr. Mannaia?
Quando la polizia scoprirà i corpi che probabilmente nasconde in cantina potremo finalmente dormire sonni tranquilli.

Kae Fukushima faceva scorrere la penna sulle righe di un quadernino dalla rigida copertina nera come fosse stata il prolungamento del suo braccio.
Nonostante detestasse il modo in cui rendessero il suo viso, quand’era in classe preferiva indossare un comodo paio di occhiali che andava a sfiorare la lunga frangia castano scura.
I profondi occhi quasi neri seguivano il mare di parole che prendeva forma davanti a lei senza scollarsi un momento.
Don McGurrin interruppe un attimo la spiegazione per bere un sorso d’acqua.
L’asiatica si spinse in su gli occhiali con la punta dell’indice.
Dietro di lei Shayla guardava fuori dalla finestra.
I raggi del sole erano stati offuscati da qualche nuvola grigia, il vento scuoteva gli alberi del cortile e faceva vorticare a terra le foglie arancioni.
L’inverno stava arrivando.
Il professore riprese il suo discorso.
La rossa non era molto interessata a conoscere la divisione geografica della Germania.
D’altronde l’Europa era così lontana e lei finiva inevitabilmente per distrarsi.
Pensava a quali passi avrebbe provato nel pomeriggio, a cosa avrebbe mangiato per cena, a quel o quell’altro ragazzo che aveva incontrato per caso.
In quell’istante voleva solo incontrare Eleanor per chiederle quale razza di scherzo le era venuto in mente di giocarle quella mattina.
Un rumore di tacchi proveniente dal corridoio attirò la sua attenzione.
Era come se qualcuno stesse correndo forsennatamente tra le porte chiuse delle aule.
Il tamburellare incessante si fece più vicino, la ragazza doveva esser passata di fianco alla sua classe.
Un grido strozzato dal pianto rimbombò tra le pareti dell’edificio.
Il rumore si allontanò.
Don smise di spiegare.
Alcuni ragazzi si guardarono fra di loro.
Qualcuno bussò alla porta e l’aprì.
Un’agente rotondetta e con i capelli raccolti in una coda di cavallo fece cenno al professore se gli era possibile raggiungerla.
Gli sussurrò qualcosa nell’orecchio, cercando di non farsi sentire.
Kae credette di aver sentito il nome “Heather”.
Il professore annuì.
La poliziotta bisbigliò qualcos’altro, lui deglutì e guardò la classe con gli occhi lucidi.
-Ragazzi.- mormorò con un filo di voce -Mi addolora comunicarvi la perdita di due ragazze dell’istituto.-
Shayla incollò la schiena alla sedia e spalancò gli occhi.
Noah Hayden, dai tratti indiani, smise di leggere il romanzo che aveva nascosto dietro il libro di geografia, sollevò lo sguardo con assoluta lentezza.
Kae premette la punta della penna sul quaderno.
-Si tratta di Heather Wilson e Dakota Beverly.- concluse abbassando lo sguardo.
La prima frequentava il corso di storia e geografia proprio durante quell’ora, Shayla si coprì la bocca con la mano destra.
Una lacrima le scivolò lungo il volto delicato, guardò istintivamente il banco vuoto nell’angolo della classe.
Da quando era finita la scuola elementare non aveva quasi più parlato con nessuna delle due, eppure le sembrava così assurdo che le due non ci fossero più, che al loro posto fosse rimasto un vuoto.
Si trovava dentro un sogno, le persone attorno a lei agivano lentamente, quasi frenati da un’invisibile sostanza densa.
I suoni arrivavano ovattati, appesantiti, alle sue orecchie.
Kae bucò la pagina rendendosene conto solo troppo tardi.
Le dita smisero da sole di stringere la penna.
Tic, tac.
La biro nera rimbalzò sul pavimento freddo.
Non la raccolse.
Guardava nel vuoto, persa.
Solo il gracchiare dell’alto parlante richiamò la sua attenzione.
Il preside, Chris McLean, parlò sincopatamente, interrompendosi quasi ogni parola per tirare un sospiro.
Kae capì solamente che erano state uccise e che la polizia avrebbe potuto porre delle domande a qualcuno di loro.

Una ragazza ispanica dal volto costellato di lentiggini uscì dall’ufficio del preside e si diresse verso un piccolo gruppo di ragazzi seduto su dei divanetti.
-Cosa ti hanno chiesto, Courtney?- le domandò Scott, un pel di carota dagli occhi grigi, osservandola sedersi accanto a lui. Gli poggiò la testa sulla spalla, mentre nuove lacrime le scendevano dagli occhi gonfi. Echo si allontanò sotto la scorta di una poliziotta di colore e dalla corporatura minuta, sostituendo l’amica in un nuovo interrogatorio.
-Dov’ero ieri, quando è stata l’ultima volta che le ho viste… se conosco qualcuno con un motivo per assassinarle.- Spiegò, trattenendo i singhiozzi. Nei divanetti accanto Lindsay piangeva disperata abbracciando un altrettanto scioccato Topher, mentre davanti all’ispanica Kae si era lasciata scivolare lungo la guancia una lacrima.
-Metà scuola aveva motivo di ucciderle, erano delle stronze.- Il pomo d’adamo dell’artefice di quelle parole si abbassò e rialzò poco dopo, ingoiando la poca saliva che gli era rimasta in bocca. Justin aveva la pelle abbronzata, capelli scuri e occhi azzurri, ora patinati di rosso. Come tutti anche lui era crollato durante l’interrogatorio. 
-Le hanno uccise dopo le dieci, ne sono sicuro. Ero al telefono con Heather fino a quell’ora.- Topher riferì ciò che aveva detto anche ai poliziotti, facendo scattare in piedi Kae.
-Vado in bagno.- Si asciugò la lacrima e senza tradire l’aria seria di cui si era avvolta si incamminò verso uno dei corridoi.

L’asiatica andò a poggiarsi su uno dei lavandini del bagno, cercando di controllare il mal di testa che da poco più di un’ora le attanagliava le tempie. Afferrò la borsa e la poggiò sul lavabo, tirandone fuori una pasticca che si affrettò a ingoiare.
-Se è qualcosa di più forte dell’aspirina la vorrei pure io.- Così presa dalle sue fitte al cranio che non si accorse della presenza di una seconda ragazza, che andò a lavarsi le mani accanto all’altra dopo aver lasciato una delle cabine dei water alle loro spalle. Era bassa, con una coda di cavallo castana e un naso a patata pronunciato. Le sue iridi verdi stavano osservando lo scorrere dell’acqua quando si lasciò scappare un basso sospiro. Era una situazione assurda e inquietante.
-Mi spiace deluderti, Eleanor.- Kae strinse la borsa a sé, osservando pochi attimi dopo l’uscita dell’altra ragazza dalla stanza. Voleva solo stare sola per cinque minuti, non sentire altro che il suo respiro. Si chiuse in una delle cabine, appoggiando la nuca contro la porta.
Il telefono le vibrò nella tasca, facendole lanciare un’imprecazione. Proprio non avevano intenzione di lasciarla in pace.

Sarai tu la prossima?

Recitava il messaggio anonimo.

Eleanor attraversò il grande atrio in cui era riunita la stragrande maggioranza degli studenti, raggiungendo ad uno degli angoli Shayla e un ragazzo dai capelli rossi e perennemente spettinati, che incorniciavano un viso chiaro e pieno di lentiggini sotto gli occhi marrone scuro.
-Sembra di essere tornati a dieci anni fa.- Borbottò Keith, facendo riaffiorare ricordi che sarebbe stato meglio lasciare sepolti.
Un altro ragazzo raggiunse i tre, un tipo di bell’aspetto, alto e dai capelli castani.
-Ehy, voi state bene?- sussurrò mettendo una mano sulla spalla di Shayla.
-Certo che stiamo bene Viktor, sono solo morte due nostre vecchie compagne.- il rosso arricciò le labbra.
Il nuovo arrivato lo fulminò con lo sguardo, poi si concentrò nuovamente sulle due ragazze.
-Sapete cos'è successo?- chiese il castano.
Shayla scosse la testa.
-La polizia sta parlando con delle persone nell’ufficio del preside.- disse Eleanor -La polizia, capisci? Le hanno uccise, me lo sento. È successo qualcosa di terribile.-
Una scossa gelida percorse la schiena della rossa fino a farla tremare.
Un’improvvisa certezza si era insinuata nella sua mente.
-Eleanor.- sussurrò -Sei stata tu a chiamarmi questa mattina?-
L’amica la guardò perplessa.
-Certo che ti ho chiamata, ti sei dimenticata?- rispose.
-Dopo che ho fatto la doccia intendo.- bisbigliò mentre il volto si contraeva in una smorfia di terrore.
-No?- disse Eleanor con tono interrogativo -Chi ti ha chiamata?-
Un conato di vomito salì lungo la gola di Shayla.
La ragazza lo ricacciò a fatica da dove era venuto.
Se non era stata l’amica, allora chi?
-Qualcuno che ha modificato la sua voce. Sapeva cosa stavo facendo. Ha detto che ci saremmo visti presto, che sto per morire.- pronunciò ogni parola senza rendersene conto, come se le frasi uscissero da sole dalle sue morbide labbra.
Si sentiva precipitare in un abisso e non vi era nulla a cui poteva aggrapparsi.
Era proprio come dieci anni prima.
Viktor le afferrò la mano.
-Dobbiamo parlare con la polizia.- disse serio -Devi.- si corresse.
-Come so lo sceriffo riuscisse a capire una cosa del genere, a malapena sa fare le addizioni.- puntualizzò Keith.
Il castano gli lanciò un’altra occhiata.
-Non è il momento, Keith.- lo rimproverò.
Il rosso alzò gli occhi al cielo.
-Guardate.- Eleanor richiamò la loro attenzione, balbettando.
Hailey Coogan era a pochi metri da loro, camminava incerta con uno zainetto di pelle sulle spalle.
-Allora è vero che si è ritrasferita qui.- si stupì Keith.
-Sembra davvero di essere tornati indietro nel tempo.- soffiò Shayla.
Viktor sorrise alla ragazza e la salutò con la mano, questa si avvicinò al gruppo.
-Hey ragazzi.- sorrise timidamente -Ne è passato di tempo.-
-Già.- Shayla si sforzò di sembrare il meno turbata possibile.
La castana si morse il labbro, quasi come se si sentisse in colpa.
-Mi spiace per quello che è successo. Mi spiace sia successo proprio oggi, avrei voluto vedere che fine avevano fatto dopo le elementari.- disse.
Viktor fece per dire qualcosa, ma Keith lo interruppe.
-Esattamente la fine che ti saresti aspettata, sono diventate due stronze.-
L’altro ragazzo gli tirò una gomitata sul braccio, ricevendo di tutta risposta uno schiaffetto sulla spalla.
-Quello che Keith voleva dire- cercò di rimediare -è che pensano solo a loro stesse.- 
-Pensavano.- lo corresse Shayla -Pensavano, ora non ci sono più.- ribadì mentre una lacrima le rigava il volto. 
Eleanor l’abbracciò.
-Quando sei tornata?- le chiese Viktor per cambiare discorso.
-Sabato.- rispose.
Keith se la ricordava bene, ai tempi era stata la sua migliore amica, una sorella maggiore.
Il pomeriggio giocavano al parco, insieme, erano mostri, draghi, cavalieri e principi e principesse.
Spesso il ragazzo saliva sul piccolo castello di legno e gridava aiuto, lei fingeva di andare al galoppo su di un cavallo e lo salvava dalle grinfie di qualche bestia immaginaria.
Poi Taylor era scomparsa e lei se n’era andata.
-Non ho visto Dan, sta bene?- si informò Hailey.
-Ha lasciato la scuola, lavora al Northern Pub.- rispose Eleanor.
-Non è più come quando te ne sei andata.- nella voce di Keith sembrava esserci una nota di rimprovero -Non siamo più bambini, non siamo più tutti amici.-
-Non è stata una mia scelta.- ribatté seria la ragazza, cogliendo la provocazione.

Yael appoggiò la schiena al suo armadietto e sospirò.
Chiuse gli occhi.
Non riusciva a credere che stesse succedendo davvero.
Era come se quella mattina non si fosse mai svegliato e avesse continuato a sognare.
Allora bastava sforzarsi e sarebbe riuscito a sollevare le palpebre, ma non era così.
-Non devi permetterti di essere così turbato.-
Una voce calda e tranquilla lo richiamò dal suo mondo.
Dawn Medrek, una ragazza di bassa statura, dai capelli chiari e pallida come la luna lo guardava dal basso verso l’alto.
-E’ dannoso per la nostra anima e per il nostro corpo.- continuò.
Yael le sorrise.
-Non preoccuparti.- disse.
-Spesso pensiamo che la morte sia qualcosa di terribile, io credo sia solo un passaggio. Heather e Dakota non sono più qui, sono da un’altra parte. Forse stanno giocando con Taylor in un campo di margherite.- cercò di rassicurarlo la bionda.
Il cuore di Yael si fermò un istante.
Taylor.
-Magari Taylor è ancora viva.- bisbigliò.
Dawn non rispose niente.
-Sai…- cominciò a spiegare il ragazzo -A volte mi piace sdraiarmi sul letto e pensare che sia ancora qui, che non sia mai scomparsa. Te la ricordi? Faceva sempre i capricci quando le cose non andavano come voleva lei. Credo che sarebbe diventata un po’ come Dakota. Sarebbero state amiche, sì.- rimase a fissare un punto indefinito del pavimento, mentre una lacrima gli scendeva da un occhio. Un attimo dopo si riprese e tornò a sorridere alla figura di Dawn che lo guardava dispiaciuta.
-Ovunque sia in questo momento è sicuramente meglio che qui.- Nemmeno un metro più avanti un armadietto venne chiuso e una ragazza dai grandi occhi azzurri osservò tristemente i due.
Michaela Sandstorm aveva origliato il discorso e deglutendo a vuoto si avvicinò a loro. Era molto più alta di entrambi, aveva la pelle chiara e lunghi capelli tinti di verde acqua. 
-Sono state uccise… me l’ha detto mio padre.-

-Quei ragazzini non fanno altro che causare problemi.- Don si era ritrovato in sala insegnanti con il bidello inquietante che tutti chiamavano Chef, braccio destro di Chris McLean, il preside, a sentire le sue lamentele su ciò che stava accadendo.
Ormai aveva praticamente smesso di ascoltarlo, non faceva altro che pensare a quelle due povere ragazze. In quell’istante gli vibrò il telefono.

Tre ragazze in dieci anni.

La notifica gli comparve sulla home subito dopo aver sistemato il blocco schermo. Il mittente era anonimo. L’uomo sbiancò improvvisamente, che diavolo significava?
Appena dall’ufficio del preside uscì il ragazzo interrogato ci si intrufolò lui, non degnò di uno sguardo lo sceriffo e si diresse verso Chris, capelli e occhi scuri, con una barba ispida a scurirgli il volto.
-Dobbiamo parlare.- Disse, in un tono che non ammetteva repliche. L’altro lo guardò storto, mentre gli occhi curiosi del poliziotto li osservava. Era un uomo di mezza età, con i capelli di un biondo spento e gli occhi color nocciola.
-Non è il momento.- Il preside gli fece cenno di andarsene, disattivando per l’ennesima volta una delle chiamate del sindaco. In quel momento delle grida attirarono l’attenzione dei tre, che corsero verso l’atrio della scuola.
Lì, tenuta dalla poliziotta che aveva avvisato Don e una sua collega dalla pelle scura, c’era una giornalista vestita di rosso e dai lunghi capelli biondi.
-Lasciatemi passare! Devo parlare con lo sceriffo! Devo sapere come sono state uccise quelle ragazze!- Continuava a divincolarsi, ma con scarso successo.
-Uccise? Come fai a saperlo?- Le domandò la poliziotta Sanders, la donna minuta e dalla pelle scura.
Sierra osservò col telefonino la pagina del suo blog, dove era riportato da una mezz’oretta un post in cui spiegava che Heather e Dakota erano state uccise e per un attimo si sentì veramente importante, Blaineley Stacey O’halloran leggeva i suoi articoli! Aveva fatto proprio bene a sedersi vicino agli amici delle due ragazze morte.
-Non semplicemente uccise! Massacrate! Ma non si preoccupi, l’assassino è stato così poco furbo da lasciare la maschera sul luogo del delitto… lo prenderemo di sicuro!- La collega si fece scappare tutto ciò che avrebbe dovuto tenere nascosto.
-MacArthur...- Sanders cercò di zittirla digrignando i denti.
-Massacrate?- esclamò la giornalista prendendo appunti su un taccuino spiegazzato.
-Un vero bagno di sangue! E la poveretta, quella asiatica, era pure quasi riuscita a scappare! Si figuri che la madre della bionda ha assistito all’aggressione via telefono!- proseguì la donna con leggerezza.
-MacArthur!- l’agente di colore aveva alzato il volume per assicurarsi che l’altra recepisse il messaggio.
Valentina MacArthur non sembrava cogliere i segnali della collega e, quando fece per dar fiato nuovamente alla bocca, si beccò una gomitata al braccio sinistro.
-Ahi!- mugolò guardando offesa l’agente Sanders.
-Che sta succedendo?- borbottò lo sceriffo, arrivato nel frattempo.
-Sceriffo Dwayne, stavo cercando lei, potrebbe rilasciare una dichiarazione?- insistette la bionda.
Sanders alzò gli occhi al cielo.
-Sceriffo Crone.- puntualizzò senza essere considerata.
-Non ho niente da dire, sparisca prima che perda la pazienza.- sbottò Dwayne spazientito.
Avrebbe preferito rimanere in centrale a mangiare ciambelle, non succedeva mai niente a Lumber Hill Valley.
Il massimo che poteva accadere era qualche lite o scippo, ma solo durante la stagione estiva.
Quello era il periodo dell’anno in cui Sanders e MacArthur compilavano multe per i cittadini distratti e lui poteva rimanersene comodo alla scrivania a fare solitari.
Non gli era mai capitato in venticinque anni di carriera di vedere un corpo ridotto nelle condizioni di quelle due povere ragazze.

Michaela sedeva su una fredda panchina del parco pubblico.
Ormai era quasi sera e il sole, arancione, cominciava ad abbassarsi dietro le chiome dei sempreverdi per inabissarsi nel mare.
Un alito di vento gelido le accarezzò il collo spostandole i capelli verde acqua.
Aveva bisogno di pensare, di stare da sola.
Non voleva vedere nessuno.
Odiava essere la figlia di un professore, ma ancora di più essere la figlia di quel professore.
Il telefono vibrò sulle assi di legno verde.
Ecco. Don la stava chiamando.
Tolse la vibrazione e appoggiò nuovamente il cellulare.
L'altalena dondolava leggermente.
La luce soffusa si rifletteva debolmente sulla superficie argentata dello scivolo.
Michaela sfilò una piccola Polaroid dalla borsetta nera che si portava appresso.

Click.

Agitò la stampa con la mano sinistra e guardò il risultato.
Forse era un po' sottoesposta.
Lo schermo del telefono si illuminò.

Bello scatto.

 

Non era suo padre.
Il numero era anonimo, qualcuno era lì? La stava guardando?

Chi sei?

Digitò frettolosamente.
Le lunghe unghie smaltate del medesimo colore dei capelli ticchettarono sullo schermo di vetro.
Si guardò intorno, non vedeva nessuno.

Come sono venuto?

Le rispose lo sconosciuto.
Michaela si morse il labbro inferiore, lo faceva sempre.
Il rossetto chiaro le rimase sui denti.
Non capì subito a cosa si riferiva, riguardò la foto quasi per scherzo.
Dietro un cespuglio, fra lo scivolo arrugginito e il tronco di un abete, un'indistinta macchia bianca attirò la sua attenzione.
Abbassò la foto, ora la macchia non c'era.
Guardò meglio la stampa, poteva essere un errore di impressione?
Magari qualche riflesso.
Strizzò gli occhi.
Un brivido gelido le salì lungo la schiena come un ragno dalle zampe di vetro, obbligandola a scattare in piedi.
Non era una macchia, c'erano degli occhi, o meglio, delle cavità nere.
Una maschera?
Sierra Obonsawin aveva pubblicato sul suo blog un post dove spiegava che l'assassino che aveva ucciso Dakota ed Heather indossava una maschera.
Ma perché doveva trovarsi lì?
Lei non aveva mai dato fastidio a nessuno, non era come le altre.
Nessuno avrebbe mai pensato ad ucciderla.

Bello da morire?

Lo schermo si illuminò ancora.
Michaela si sentiva esposta.
Fece guizzare lo sguardo tutt'intorno a lei, non sembrava esserci anima viva.
Il sentiero per arrivare all'ingresso del parco era dietro le altalene, si addentrava leggermente fra gli alberi.
Si sentiva osservata, studiata, come se uno squalo le stesse girando intorno prima di sferrare l'attacco.
Si avviò camminando, ma non fece nemmeno due passi che già stava correndo.
La foto le scivolò di mano, posandosi sull'erba umida.
Il cancello era davanti a lei, poche falciate e l’avrebbe raggiunto. Ce la fece, avvolse il metallo freddo nei palmi delle mani, provando a tirarlo verso di sé, ma era bloccato.
-Aprite! Apritemi!- Iniziò a gridare, facendosi prendere dal panico. Dietro di lei i passi svelti di qualcuno iniziarono a farsi sempre più vicini, accompagnati dallo scricchiolare dei sassolini al suo passaggio.
Una mano l’afferrò per il braccio, facendola urlare dal terrore.
-Gesù, stai calma! Ma non vedi che ore sono? Il parco chiude a quest’ora.- Davanti a lei c’era un uomo di mezza età, tarchiato e con i capelli nascosti da un cappellino verde muffa.

Due minuti dopo il cancello del parco si richiuse alle sue spalle ed il custode si allontanò verso il boschetto al suo interno. Aveva proprio fatto una figuraccia.
-Michaela?- Lei alzò lo sguardo da terra, incrociando quello di un ragazzo che non vedeva da un’infinità di tempo.
Dan Lake era davanti a lei, con un nuovo biondo platinato e un piercing a cerchietto sul naso che non credeva di aver mai visto prima. La osservava con curiosità con i suoi occhi castano chiaro, stretto in una giacchetta di pelle nera.
Se di mattina le strade di Lumber Hill Valley facevano paura, al calar del sole era decisamente peggio. Dan decise di riaccompagnare a casa Michaela, non tanto per quello che stava succedendo, ma perché ci passava durante il tragitto verso la sua. Così iniziarono a parlare di come si erano evolute le loro vite dalla fine delle elementari, da ciò che era successo in quel periodo.
-Non mi è mai mancata. Era solo una bimbetta viziata.- Una lattina vuota venne calciata dal ragazzo, che a differenza dell’altra aveva alzato fieramente il capo, sculettando molto più di lei.  
-Non ti piaceva soltanto perché era esattamente come te.- Ridacchiò l’azzurra mentre superavano l’ennesimo lampione spento della via principale. Lui le lanciò un’occhiataccia, diventando leggermente rosso, colto in flagrante.
-Non sei riuscito a chiarire con Heather? Dopo che te ne sei andato dalla scuola e il relativo scandalo non vi ho più visti insieme...- Michaela cercò di rompere il silenzio che stava andando a calarsi tra i due, probabilmente non scegliendo nemmeno l’argomento migliore.
-Non c’era nulla da chiarire. Mi sono portato a letto il suo ragazzo e da quel momento Dakota e gli altri non hanno voluto continuare a parlarmi. Nemmeno scopasse bene poi.- Borbottò il ragazzo, cercando di nascondere quella sensazione strana che da quella mattina gli si era appoggiata sullo stomaco. Rimorso, forse. Alla fine lui e Heather potevano odiarsi quanto volevano, dirsene di tutti i colori, ma sapeva che poteva parlarci, e forse risolvere la situazione, quando voleva… ormai non poteva più.
Improvvisamente un vociferare abbastanza forte attirò la loro attenzione. Poco più avanti, davanti alla caserma della polizia, si era riunita una folla abbastanza nutrita di cittadini.
I due si avvicinarono, notando, in testa a tutti, la silhouette magra della giornalista più conosciuta della città davanti a una telecamera.
-Fonti attendibili ci informano che la maschera ritrovata nel luogo del delitto è stata trafugata dai reperti della polizia. Non si sa come sia successo, ma a detta dello sceriffo i filmati di sorveglianza incastreranno sicuramente il colpevole.-

-Ordino la pizza, non ho voglia di cucinare.- Appena tornati a casa il fratello di Shayla digitò sul tastierino del telefono il numero della pizzeria più vicina, mentre la sorella si spaparanzò sul divano.
Lei invece ne approfittò per andarsi a distendere in camera. Un’emicrania allucinante le stava tartassando la testa.
Raggiunse la stanza e poggiò lo zaino sulla scrivania, facendole notare un particolare che prima non c’era sulla sua bacheca. Una foto ritagliata stava sopra le altre. Raffigurava un’ombra scura con all’altezza del volto un'inquietante maschera bianca. Pareva essere in un parco o in un bosco, visto lo scivolo arrugginito e l’abete accanto a lui.
Il telefono iniziò a suonare, facendole prendere un colpo.
Numero sconosciuto.
Una morsa le afferrò lo stomaco.
Con indecisione premette la cornetta verde.

-Ora sai chi sono.- Rise la stessa voce di quella mattina. Lei cercò di mantenere la calma, ma non fu molto brava.
-Cosa vuoi da me?- Domandò, quasi altalenando un tono nervoso a uno impaurito.
-Fartela pagare. Vederti implorare pietà mentre distruggo tutto ciò che ami. E’ tempo che paghi per i tuoi sbagli, questa volta non esiste un lieto fine.-

 

 



 
   
 
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