Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Ormhaxan    14/10/2016    5 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Hrafnhildr giunge con il mutare della marea nell'isola di Fyn, regno danese sotto il dominio di Guthrum, spietato comandante vichingo al quale offre i suoi servigi di donna guerriera e di veggente. Guthrum non si fida di lei, così come non si fida Einarr, temuto jarl al suo servizio, eppure ben presto le profezie di Hrafnhildr si dimostreranno vere: quando giungerà il momento di salpare verso le terre a ovest degli angli e dei sassoni, di conquistare i loro fragili regni, entrambi gli uomini si ritroveranno ad avere disperato bisogno del suo consiglio e dei suoi divini presagi, affascinati da quella giovane donna tanto bella quanto misteriosa.
I corvi sono pronti a spiccare il volo, ad affondare i loro artigli nella carne di sovrani deboli e corrotti, far conoscere al mondo la forza e la grandezza dei Figli del Nord.
[Secondo capitolo (indipendente) della serie dedicata ai condottieri norreni che, nel tardo IX secolo, conquistarono con la loro Grande Armata i regni dell'allora Inghilterra.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Medioevo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ImagesTime.com - Free Images Hosting





 
La luna primaverile era una pozza luminosa nel cielo. I suoi raggi, pallide carezze pervase da ombre, si infrangevano nell’esatto punto in cui, distesa, giaceva Hrafhildr.
Un tempo, tanti anni prima, sua madre le aveva detto che la luna, astro divino trainato dal carro di Máni1, aveva il potere di influire sulla memoria delle persone nello stesso modo in cui influenzava le maree; in quel momento, lontana dalla dimora di Einarr, dal luogo in cui, tra chiacchiere e musica, si stava consumando un ricco banchetto a cui non era stata invitata, la giovane veggente comprese che le parole pronunciate da sua madre erano vere.
Da molte lune, oramai, non pensava al suo passato, a ciò che era avvenuto in una notte non molto diversa da quella, durante un banchetto non molto diverso da quello che stava venendo consumato nella grande sala situata oltre le piccole case di contadini: a quel tempo, lei era una fanciulla innocente e pura, promessa sposa di un uomo di quasi vent’anni più vecchio dall’animo gentile e dai sentimenti sinceri. In quella notte così simile a quella, lei stava sorseggiando pregiato vino, cantando sulle note di una melodia spensierata, festeggiando il suo fidanzamento e il prossimo matrimonio con un uomo che, a modo suo, l’avrebbe resa felice.
Sorrise malinconicamente: attorno a lei tutto era silenzioso, talmente da farle percepire il tempo scorrere lentamente, quasi fosse stato congelato in un eterno istante da una forza superiore.
Hrafhildr non aveva consultato le rune in quella mattina precedente al banchetto in onore della promessa coppia, troppo impegnata con i preparativi; aveva ignorato gli dèi, il fato che, spietato, la stava attendendo tra le ombre della sera e fu questa sua mancanza la sua condanna: quando il banchetto stava per giungere al termine, e il suo promesso sposo, uno jarl minore del posto, aveva consumato abbastanza vino da annebbiare i propri sensi, suo figlio maggiore, un bastardo avuto in giovanissima età che lui aveva accolto nella sua dimora e allevato con gli onori che sarebbero spettati al suo erede, svelò finalmente il suo tradimento: in meno di un’ora, il suo promesso sposo e i suoi fedeli uomini vennero assassinati, le loro gole squartate da parte a parte con coltelli affilati e lei, bella veggente e pura promessa sposa, venne trascinata per i capelli nella stanza matrimoniale poco distante.
Per tutta la notte e per tutto il giorno successivo Canut, figlio patricida dell’uomo che Hrafnhildr avrebbe dovuto sposare, abusò di lei, privandola della sua innocenza, della sua dignità, di ogni cosa: quando ne ebbe abbastanza e la sua lussuria fu sufficientemente saziata, la lasciò andare con addosso solo una tunica sbrandellata e un mantello blu ricamato, dono di nozze che la madre le aveva donato prima di separarsi da lei, promettendole che l’avrebbe uccisa se, anche solo per sbaglio, le loro strade si fossero incontrare una seconda volta.

Non se ti uccido prima io. – pensò affondando le dita affusolate nella nuda terra resa leggermente umida dall’aria della notte.
Aveva giurato che avrebbe ucciso Canut, un giorno, vendicando il suo promesso sposo e i suoi uomini; aveva giurato che sarebbe diventata un’abile combattente, che non avrebbe mai più messo in secondo piano il suo compito di veggente e gyðja e, soprattutto, aveva giurato a se stessa di non permettere a nessun uomo di sfiorarla o possederla nuovamente contro la sua volontà.


“Vi ho trovata, finalmente!”
La voce alle sue spalle la fece scattare e, afferrata una pietra di medie dimensioni, Hrafnhildr levò il braccio a mezz’aria per difendersi da un ipotetico aggressore.
“Calmatevi, Mær,2 – le disse l’ombra – sono solo io, Gyda.  Ho pensato aveste fame e vi ho portato qualcosa da mangiare dalle cucine.”
La fanciulla abbassò l’improvvisata arma e si concesse un sorriso rilassato: “Perdonatemi, non avevo intenzione di farvi del male. Mi avete solo spaventata e, considerato il modo ostile in cui mi hanno accolto nel villaggio, ho temuto che fosse qualche malcapitato.”
“Nessuno vi farà del male, Veggente, non se siete una protetta dello jarl. – si sedette accanto a lei con movimenti goffi a causa della sua schiena e le porse il piatto d’argilla – Mangiate, forza.”
“Ci penserà lui stesso a togliermi la vita se le mie profezie dovessero svelarsi fasulle. – rispose di rimando, iniziando a sbocconcellare un pezzo di pane – In ogni caso, so cavarmela benissimo da sola… anche se preferirei riavere la mia ascia.”
“Siete una skjaldmær, dunque. – Gyda increspò le labbra in un flebile sorriso – Una giovane dalle mille risorse, lo ammetto. Ditemi, c’è altro che nascondete dietro il vostro candido viso?”
“Queste giovane ha visto molte più cose nei suoi vent’anni di quanto immagini, Snort. – disse piccata – La mia vita non è mai stata facile, fin da piccola io e mia madre siamo sempre state emarginate dal villaggio in cui sono nata; solo la posizione di mia madre, veggente e amante dello jarl del posto, ci proteggeva, ma quando lui è morto mia madre è stata costretta a fuggire lontano per scampare all’ira della moglie e dei suoi figli, miei fratellastri.”
“Dov’è vostra madre adesso?”
“Non saprei… - rispose con un sospiro, scrollando le spalle – Non la vedo da quasi cinque anni, da quando mi ha consegnato una modesta dote e mi ha vista partire per sposare un uomo più grande, un nobile minore, signore di una terra brulla e arida nell’entroterra dello Jutland.”
“Quindi siete sposata?”
Hrafnildr la guardò per qualche secondo con la coda dell’occhio, indecisa se rispondere sinceramente o mentire: Gyda sembrava una donna onesta, non ora ostile, eppure qualcosa dentro di lei le diceva di non fidarsi, le diceva che quella poteva essere una tattica di Einarr per conoscere il suo passato e screditarla in qualche modo agli occhi di Guthrum.
“Sono scappata prima di arrivare a destinazione. – mentì, preferendo la menzogna alla difficile e ancora dolorosa verità – Il mio promesso sposo era vecchio, un uomo famoso per la sua poca pazienza e per la sua indole violenta: non volevo essere un suo trofeo, una moglie-mucca con il solo scopo di generale figli. Io sono nata per imprese ben più grandi, per servire le divinità, combattere fianco a fianco con i vichinghi, diventare immortale e guadagnare un posto nel Valhalla.”
“Mi sembra di sentire il mio padrone Einarr. – provocò Gyda – Anche lui sogna da sempre la grandezza, la gloriosa morte in battaglia e neanche la sua adorata sposa…”
Gyda smise bruscamente di parlare, portandosi una mano sulla bocca quando, dandosi della sciocca, si rese conto di aver parlato troppo: la giovane moglie di Einarr era un argomento di cui nessuno parlava più, persino il suo nome era bandito dalla sua tavola e dal villaggio.
“Perdonatemi, è meglio che vada. – si alzò, aiutata dalla veggente – Dimenticate ciò che vi ho detto, ve ne prego: la mia anziana mente spesso vacilla, dimentica il mio posto e la mia bocca pronuncia parole che dovrebbero rimanere mute.”


 
**

 
Quando Gyda si allontanò, Hrafnildr tornò a stendersi sulla nuda terra e ai suoi volatili pensieri: dunque anche Einarr, proprio come lei, aveva perso qualcuno; anche lui aveva affrontato il dolore e la disperazione, sentimenti che probabilmente lo avevano quasi condotto alla follia.
Non che questo giustificasse il suo atteggiamento, il modo in cui si era comportato con lei, le sue parole piene di rabbia e il suo brusco modo di fare.
Sospirò, portandosi a sedere e, sciolto il laccio che legava il sacchetto in cui erano racchiuse le rune al suo vestito, lo aprì e ne estrasse alcune:

Uruz, il Bisonte: periodo pieno di energie e salute. Come aveva predetto, la sua vita non si sarebbe conclusa molto presto e neanche quella di chi la circondava.

Ansuz, Odino: messaggio, una rivelazione. Il messaggero di Ivar Ragnarsson era in procinto di raggiungere Fyn, era questione di ore oramai.
 
Sowilo, il Sole: onore, cambiamento significativo nella propria vita. Vittoria. La vittoria che avrebbe seguito la discesa in guerra di Guthrum e dei suoi uomini, le conquiste delle terre nemiche.

Infine Wunjo, la Gioia: annunciava prosperità, amicizia e ricompense spirituali, ma anche piacere fisico, una forte estasi, bramosia dei sensi verso qualcosa, o qualcuno, a cui è impossibile resistere.


Hrafnhildr si morse un labbro: possibile che l’ultima runa parlasse di un uomo? Dopo ciò che le era capitato tre anni prima, la giovane non aveva mai più preso in considerazione di sposarsi o di poter riuscire ad amare qualcuno, tantomeno entrarci in intimità.
Eppure, da qualche notte – era tutto iniziato quando aveva lasciato lo Jutland e si era imbarcata su quella malandata imbarcazione – continuava a sognare l’ombra di un uomo, la sua figura nascosta tra le ombre della notte, la sua ascia che brillava nell’oscurità, il profumo muschiato della sua pelle che arrivava ai suoi sensi spinto da un alito di vento.

Divinità: si divertono a burlarsi di me, mettendomi alla prova e facendomi desiderare cose che non saranno mai.
L’uomo dei suoi sogni era un mezzo per indagare il suo animo, per saggiare la sua debolezza umana, il suo essere di donna: a nessun uomo avrebbe mai permesso di possederla, di domarla, di decidere sulla sua vita.
Era un corvo libero, lei, una prescelta di Odino che aveva dedicato la sua vita alla divinazione: non le serviva un uomo, un qualche tracotante vichingo dalla fluente chioma e mai le sarebbe servito.
Lei era padrona del suo destino, la sua sola e unica signora e lo sarebbe sempre stata.
 


*




1. Máni: nella mitologia norrena, era il dio che trainava il carro che trasportava la luna; era in contrapposizione con Sòl, sua sorella, che trainava il carro del sole. Entrambi i due fratelli erano inseguiti da due lupi, i quali, si narra, raggiungeranno le due divinità, divorandole, allo scaturire del Ragnarök, la fine del mondo.
2. Mær: in norreno significa fanciulla.






Angolo Autrice: Hello, folks! Lo confesso, questo capitolo mi soddisfa tantissimo. Finalmente scopriamo buona parte del passato della nostra protagonista e intravediamo quello del protagonista maschile, il nostro freddo Einarr. C'è ancora molto da svelare, non lo nascondo, ma oramai non manca moltissimo all'inizio della storia vera e propria, in cui sarà presente la vera azione! E poi, chissà, magari andando avanti questi due riusciranno ad avere un rapporto civile... forse! :3
Grazie, al solito, a tutti voi che leggete, seguite e recensite! Vi adoro! <3

Alla prossima,
V.
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Ormhaxan