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Autore: StewyT    14/10/2016    5 recensioni
E se Magnus e Alec fossero due semplici studenti di Oxford che per chissà quale strana combinazione si trovano ad essere compagni di stanza e grandi amici?
E se fossero destinati ad essere i "Malec" anche nel nostro mondo? Sicuramente troverebbero il modo per complicarsi la vita per poi arrendersi al destino.
Alec, finto ingenuo etero, nascosto in una relazione falsa, che scappa da quello che prova scambiandolo per omofobia; Magnus, finto disinteressato, nascosto in una relazione falsa, che cerca qualsiasi modo per far venire fuori il vero Alec. Il dormitorio di Oxford illuminato dalle luci dell'amore e il peso delle bugie, che fa da sfondo ai piccoli grandi segreti che entrambi tengono stretti.
Dal 1° capitolo.
“Ero venuto qui con tante belle idee per festeggiarci, ma sai cosa? Ti lascio il tuo sacchetto di cibo e me ne vado al pub!” disse facendo il finto offeso Magnus.
“Festeggiarci…?”
“Oh Dio santo, che testa di merda hai” sbuffò “Che giorno è oggi?”
“Ventitré settembre?”
“È un anno che siamo compagni di stanza, zuccone!”.
“Non ho molto ben compreso cosa festeggiamo...”
“Il fatto che tu sia stato l'unico uomo a dormire nella mia camera, che non mi sono portato a letto!".
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sogno o son desto?
 
“Non ci credo” sospirò Raphael prendendo un sorso del suo drink.
“Lo giuro! È…non ha neanche il gel per capelli!” rispose Catarina con fare preoccupato; erano parecchi giorni ormai, quelli trascorsi dal grande, enorme, colossale litigio tra Alec e Magnus; altrettanti giorni che quell’ultimo trascorreva in casa di Catarina, strusciando con le sue ciabatte da bagno a camera, camera a bagno; mangiava persino a stento quello che lei gli portava, e dormiva, dormiva gran parte del giorno.
“Ucciderò quel Lightwood” bofonchiò Ragnor “Ha distrutto emotivamente Magnus”.
Imasu scosse la testa “Non è distrutto è solo ferito. È Magnus, lo conoscete da più tempo di me, si riprenderà”
“Non si tratta di questo” rispose Ragnor “Magnus è stato distrutto, o ferito o come preferisci dirlo, tante di quelle volte da averci fatto il callo ormai. L’amore non è la cosa più importante nella vita e lo sa persino lui”
“Il problema è che a ferirlo è stato uno stronzo che credeva amico” Concluse la frase Catarina. “Magnus crede profondamente nei suoi amici, nelle persone che sceglie e mette al proprio fianco come se fossero parte della sua famiglia”.
Imasu annuì e guardò attentamente il volto dei tre ragazzi seduti sul divano di pelle; erano così preoccupati, tristi e arrabbiati allo stesso tempo.
Quelli sì che erano degli amici; quella sì che era una famiglia.
Era grato a Magnus per averlo fatto riavvicinare al suo migliore amico nonché ragazzo, ma lo era ancora di più per averlo fatto entrare nella sua vita e in quel circolo di passione e risate che era la sua famiglia di amici.
“Quando a farci male è qualcuno di cui si fida tutto diventa più difficile” sussurrò Imasu “Lo so bene. Sentite dobbiamo parlargli, secondo me. Non va bene che se ne stia in camera sua e noi siamo qui a parlare di lui come se non potesse sentirci. Deve uscire qui fuori e capire che anche se lo ha tradito qualcuno della sua famiglia, il resto è qui pronto ad accoglierlo”.
“Lo capirà” sussurrò Raphael, che era stato in silenzio fino a quel punto; si stropicciò gli occhi e sospirò.
“Sì, ma quando!?” chiese Catarina con ancora quello sguardo preoccupato, affogato negli occhi azzurri come il cielo.
Magnus era poggiato dietro la parete che separava il salottino dal corridoio, ed era lì ad ascoltare quello che si dicevano, non tanto perché volesse origliare, ma perché non voleva tornare di lì e sentirsi addosso gli occhi di tutti i suoi amici; sentirsi dire tutto i ‘te l’avevo detto’ che di sicuro avrebbero avuto in serbo per lui.
Gliel’avevano detto tutti, persino Imasu, il nuovo entrato nel gruppo.
Affezionarsi subito alle persone fa male, e Magnus lo aveva capito a proprie spese per l’ennesima volta.
“Non è importante il quando, Catarina!” rispose Raphael “È più importante il ‘quanti’. Quanti cazzotti darò a quel maledetto ragazzo dagli occhi blu. Nessuno fa male ai miei amici e la passa liscia, amigos”.
Sorrise sentendo Raphael; lui sembrava il più discostato, quello capitato lì per caso, quello un po’ acido che neanche voleva essere amico di tutti, in realtà, però, era uno di quelli che avrebbe dato seriamente la vita per la famiglia, per gli amici.
Si sentì in colpa a guardare gli amici con quell’espressione tutta corrucciata e triste dipinta in volto; quello era stato un suo errore non il loro. Quella era la sua battaglia, non la loro, e non poteva permettere che il suo malumore, i suoi capelli senza gel e la sua voglia di non far altro che sbuffare, li contagiassero.
Buttò una mano tra i capelli cercando di scompigliarli in modo da sembrare il meno malaticcio possibile e il più carino possibile e si fece coraggio.
La sua famiglia era lì ad aspettarlo, non poteva ritardare troppo.
“Ehi che ci fate tutti qui!” sorrise sedendosi al fianco di Imasu.
“Tu hai un nuovo ragazzo, potresti essere con lui in questo momento, e voi due, miei cari, Santiafell, potreste essere a scopare nel vostro comodo letto, mentre tu, Cat, potresti trascorrere le tue vacanze da Malcolm a casa mia. Potreste tutti essere a fare delle cose molto più interessanti” si accarezzò nuovamente i capelli.
“Ma siamo qui” sospirò Catarina “E smettila di parlare di Malcolm” sorrise e diede un buffetto all’amico.
“E anche di chiamarci Santiafell” sbottarono contemporaneamente i due ragazzi ridacchiando.
“E anche di….” Imasu alzò gli occhi al cielo e sbuffò “Volevo completare il discorso in grande stile ma niente!”.
Scoppiarono a ridere, e fu in quelle risate che Magnus ritrovò il proprio cuore, la propria anima e quello che più amava al mondo, la propria famiglia, perché in fondo è vero, la famiglia non si può scegliere, ma gli amici sì, e lui li aveva scelti benissimo.
A volte gli sembrava di vivere in un sogno grazie a quei ragazzi; erano così perfetti che gli facevano temere di star sognando, e invece erano veri, e lui era sveglio, e quella era la sua vera famiglia.
 
 
“La devi smettere di farti così tanto del male, Alexander”.
Isabelle lo guardava con quello sguardo pieno di ansia e premura, lo stesso che aveva quando da piccoli giocavano assieme e Alec cadeva e si sbucciava un ginocchio per evitare che Iz, facendo qualcosa di pericoloso, si facesse del male.
Era uno sguardo che rattristava Alec, che si sentiva un peso, ma allo stesso tempo gli dava felicità, perché quello sguardo era un puro e semplice “mi interessa di te”.
“Perché lo fai?”.
Gli sarebbe piaciuto saper rispondere a quella domanda, ma purtroppo non era così; forse a quindici anni aveva capito che sarebbe stato meglio nascondere la propria omosessualità al mondo, che sarebbe stato più semplice per lui, che non ce l’avrebbe fatta a sentirsi preso in giro, insultato, trattato diversamente, perché lui e tutti gli altri come lui, erano esattamente come tutti gli altri.
Non era giusto, pensava, che dovessero sentirsi così diversi quelli come lui; quelli che amavano ragazzi del proprio sesso.
Non era giusto che dovessero nascondersi perché pensavano di essere deboli per sopportare le conseguenze di quello che irreparabilmente erano.
Non era giusto che dovessero odiare quello che erano perché gli altri li vedevano e giudicavano diversi, e no, non era giusto neanche che dovessero avere paura di quello che erano a causa delle reazioni dei genitori.
Non erano altro che esseri umani che si innamorano di altri esseri umani.
Una delle più grandi paure di Alec era sempre stata la reazione di suo padre; forse sua madre sarebbe riuscita ad accettarlo, ma suo padre, l’uomo con i paraocchi che guardava solo avanti e a quello che gli interessava? No, lui proprio non ci sarebbe riuscito.  Ma era arrivato il momento.
Se prima non fosse riuscito lui stesso a capire che non c’era nulla da accettare, perché era tutto normale, non ci sarebbero riusciti anche gli altri.
Lui era gay, ed era innamorato di Magnus, e non c’era niente di male se non il fatto che aveva trattato Magnus nel peggiore dei modi.
“Non lo so, Iz, non lo so” riuscì finalmente a dire “Ma non posso più farlo”.
E così velocemente da non accorgersene neanche, aveva attaccato il telefono, era sceso di corsa dal letto, aveva aperto la porta e aveva iniziato a correre verso casa di Imasu, a pochi isolati dal loro dormitorio; aveva iniziato a battere le mani pesantemente sulla porta fino a sentirsi sfinito, e poi aveva capito che lì non avrebbe mai trovato quello che cercava. Aveva sospirato, aveva iniziato a correre di nuovo e a battere nuovamente le mani contro del legno, quello della porta di Catarina.
Era avvenuto tutto così velocemente che non si era neanche accorto dei polmoni a corto di aria, della testa che gli girava, della silenziosa preghiera ‘fa che succeda, fa che apra la porta’. Fu in quel momento che l’ansia odiosa di aver perso Magnus lo degradò, lo fece accasciare alla porta e se quell’ultima non si fosse aperta, probabilmente l’ansia data da quella falsa concezione, lo avrebbe fatto scoppiare in lacrime.
Ma Magnus era lì, con dei pantaloni della tuta logori che somigliavano più ai suoi che a quelli di Magnus, il solito petto nudo, i capelli scombinati e un sorriso dolce sulle labbra.
Alec era lì, gli occhi lucidi e la voglia di sfogarsi; si alzò velocemente da terra e altrettanto velocemente saltò al collo del ragazzo che non voleva più considerare amico, non solo, almeno.
Il profumo di Magnus arrivò velocemente alle sue narici, così come il calore di quell’abbraccio arrivò al suo cuore; non voleva più staccarsi da lui. Sarebbe voluto restare per sempre tra quelle braccia.
“Mi dispiace” sussurrò all’orecchio di Magnus, stringendo le sue spalle con sempre più forza “Sono stato un pessimo amico”. Magnus sorrise, sentì il suo petto vibrare e solleticare il proprio. “Ma… per quanto riguarda la distruzione della nostra amicizia…”
“È tutto okay” sussurrò Magnus, tirandolo nell’appartamento con un braccio e chiudendo la porta con l’altro.
“Non lo è. Sono felice di averla fatta a pezzettini perché non voglio essere tuo amico”.
Le braccia di Magnus si erano leggermente allentate, Alec era riuscito ad allontanarsi il giusto per guardarlo negli occhi e sorridergli; il viso dell’altro era contratto in un’espressione dubbiosa e stranita, quello di Alec invece era rosso dall’imbarazzo.
Imbarazzo. Sospirò. Doveva far finta che non esisteva.
“Non voglio essere tuo amico” sussurrò guardandolo attentamente negli occhi “Ti amo” disse guardandolo ancora; le sopracciglia di Magnus si rilassarono, ma il sorriso non ebbe tempo di nascere sulle sue labbra, che furono subito coperte da quelle di Alec. Quello era il suo primo vero bacio con un ragazzo. Quello era il suo primo vero bacio con qualcuno che gli piaceva.
Gli tremavano le gambe, aveva paura di cadere; aveva la bocca secca ma allo stesso tempo aveva paura di averci messo troppa lingua e troppa saliva in quel bacio; reagiva ai movimenti di Magnus, che non si era fatto chiedere due volte di ricambiarlo, eppure aveva paura di non essere perfetto in quel bacio.
Alec era senza aria. Magnus era senza aria. Entrambi avevano desiderato quel bacio per così tanto tempo che non gli importava di essere in piedi in mezzo a salotto, di essere sfatti, senza aria e di poter svenire da un momento all’altro. Gli interessava solo di essere l’uno nella bocca dell’altro.
Alec sorrise contro, ma ricordò cosa era successo la prima volta che aveva baciato qualcuno senza respirare, e in quel momento voleva fare tutto tranne che svenire; si allontanò leggermente e prese una boccata d’aria che fece rilassare i suoi polmoni spaventati.
“Dimmi che non è un sogno” sussurrò Magnus al suo orecchio.
“Spero che non lo sia” rispose Alec con voce roca e calda.
“I tuoi pantaloni dicono proprio che non lo è” ridacchiò Magnus indicando i pantaloni gonfi di Alec, che ovviamente arrossì come un peperone.
“Scusa” disse sedendosi sul divano “Sono comparso a casa tua, ti ho baciato, ora ho un’ erezione..”
“Alexander” Magnus ridacchiò accarezzandogli una guancia “Questo succedeva tutte le notti nei miei migliori sogni”.
Alec sorrise e guardò l’altro negli occhi “E tu…?”
“E io cosa?” rispose Magnus perdendosi in quello sguardo preoccupato e blu come non mai.
“Mi ami?”.
Magnus deglutì. Alec era sempre così schietto. Annuì sorridendo.
“Questo non me lo hai mia chiesto nei miei sogni, ma sì, ti amo” sorrise e gli si avvicinò per dargli un bacio a stampo, che ovviamente degenerò in un bacio dolce, sì, ma anche appassionato.
Alec si ritrovò steso sul divano, guance arrossate, pantaloni perennemente gonfi, capelli già disordinati, il cuore che non riusciva più a restargli nel petto.
Magnus era sopra di lui respirava affannosamente, e assaggiava, continuando a non prendere fiato, ogni piccolo pezzetto della pelle di Alec.
Quelle labbra dolci come il miele, quel collo caldo, quel cuore veloce.
“Cosa altro?” sussurrò Alec, in un filo di voce dolce e roco.
“Eh?” chiese Magnus allontanandosi dalle sue labbra; non riusciva a credere che quello stava accadendo davvero, non riusciva a capire quello che stava succedendo, non riusciva a capire le parole di Alec, perché il suo cervello era offuscato dal suo sapore e dalla sua bellezza.
“Cosa altro succedeva nel tuo sogno?” chiese il ragazzo dagli occhi blu liquidi e le guance rosse come il fuoco.
Sul viso di Magnus si affacciò un sorrisetto malizioso; quello era il posto esatto in cui voleva morire: le braccia di Alec.
Gli diede un altro bacio, assaporando ancora a fondo la sua dolcezza, e poi con le labbra ancora umide e piene, si avvicinò al suo orecchio.
“Vuoi davvero vederlo? Potresti pentirtene”
“Non voglio vederlo” sussurrò Alec aggrappando le dita alle sue scapole “Voglio sentirlo, Magnus. Voglio sentirti”.
Mai parole erano state più semplici e al tempo stesso complicate da dire; mai parole erano state più vere.
Voleva sentire il suo corpo sul proprio, voleva sentire la sua forza contro la propria.
Alec sorrise mentre le mani ferme e sapienti di Magnus si avvicinavano al bordo della sua maglia e la tiravano via. Perché ci aveva messo tanto ad ammetterlo? Perché aveva aspettato così tanto prima di ammettere che era innamorato di Magnus e aveva bisogno delle sue attenzioni, di quelle attenzioni?
Le labbra del più grande scesero sul suo collo, e per poco riuscì a trattenere un gridolino di approvazione; erano dolci e morbide; sfioravano ogni piccolo nervo con attenzione e dedizione; scendevano sapientemente sul suo petto, sui suoi capezzoli, sull’addome, all’altezza dei pantaloni. Le sue labbra lo facevano sognare, gli facevano rimpiangere di aver aspettato tanto, gli facevano le migliori torture al mondo. E lui era soli in grado di sospirare, di chiedere a Magnus di continuare e non fermarsi perché quello era il paradiso, di ripetergli che lo amava, di lanciare qualche gridolino sottile quando la lingua di Magnus lo sfiorava.
Tutto quello era la perfezione.
Non aveva mai fatto l’amore con nessuno, e non sapeva se quello era fare l’amore, ma di una cosa era certo: le labbra, la lingua, le mani, il corpo di Magnus, quella notte, lo avevano fatto innamorare di lui ancora di più.
Era stata la notte migliore della sua vita.
“Allora, Alexander” sospirò Magnus allontanandosi dal suo cavallo, per avvicinarsi alle sue labbra. “Sei sicuro?”
“Di cosa?” chiese Alec afferrandogli il viso per poterlo guardare attentamente; quei tratti così eleganti, quegli occhi così luminosi da non riuscire a distinguere perfettamente il verde dall’oro. Quello era Magnus. il Magnus che aveva desiderato per tanto tempo.
“Di questo. Che una relazione con un uomo sia quello che fa per te”.
Alec sorrise e scosse la testa “Una relazione con te, è quello che fa per me”.
Si leccò le labbra e sospirò; gli mancava già il suo sapore. Doveva baciarlo ancora.
Si avvicinò di nuovo a lui, ma Magnus si ritrasse leggermente.
“Sei sicuro che questo non sia un sogno?”.
Gli sorrise, un sorriso malizioso, sarcastico e allo stesso tempo gentile; il sorriso che Alec amava.
“Se lo è, desidero non svegliarmi mai più”
“Ti deve essere piaciuto parecchio il mio regalino di benvenuto”.
Alec rise e gli diede un colpetto sulla scapola.
“Perché continui a chiedermi se questo è un sogno?”
“Perché è troppo perfetto per essere reale. Perché in questo momento probabilmente sei nel tuo letto, io sono nel mio, e questa è solo una fantasia. Ma mia, o tua?”
Alec deglutì e scosse la testa.
Non poteva non essere la realtà. Non poteva essere un sogno. Non avrebbe sopportato l’idea di svegliarsi e ritrovarsi di nuovo solo, coperto solo dai propri complessi e la voglia di baciare Magnus.
Non voleva che quello fosse un sogno. Si sentiva sveglio, il suo corpo era sveglio, eppure quello davvero era tutto frutto della mente di qualcuno.
Era Magnus a sognare Alec, o Alec a sognare Magnus?
Una cosa era sicura, quel sogno era il desiderio proibito di entrambi.
 
 


Spazio autrice.
Prima nota prima di iniziare la mia solita lamentela, mi dispiace tantissimo non aver potuto correggere il capitolo, spero di non aver creato tanti casini, ma non ho proprio tempo stasera, dunque avevo due possibilità, non postare o postare così, ho preferito la seconda, spero non mi odierete!
Ora posso iniziare la mia lamentela LOL
LO SO LO SO è cattivo questo capitolo e io un pochino ho pianto scrivendolo perchè mi sono immedesimata in loro e ho pensato che questa sia proprio una situazione odiosa!
MA non temete, mancano pochissimi capitoli e il grande è fatto, quindi non resta che......

Nada, devo scappare, ma volevo dirvi un'ultima cosa, e cioè, che se aveste voglia di darmi qualche bella idea per una OS Malec, vi aspetto qui -----> 
Out of ~Malec~ ideas (storia 'interattiva')

Ci sono già un paio di richieste che io proverò a completare qunanto prima :3

Grazie mille per aver letto, spero di leggere qualche vostro commento (senza una minaccia di morte, eh......).
StewyT~




Spoiler
. Aveva sempre odiato un po’ gli ospedali. Camminò a testa bassa verso l’entrata, e poi verso la hall, piena di ragazzi feriti che normalmente era sicuro di non trovare. Insomma era un campus, come potevano mai esserci tanti ragazzi in un pronto soccorso?
Vide una figura familiare correre verso di lui, era Catarina, con i suoi capelli azzurri che facevano pandant con la divisa, tirati in un codino morbido sulle spalle, e il suo sorriso confortante.
“Alec” lo salutò poggiandogli una mano sulla spalla “Anche tu coinvolto nell’incidente?”
“Quale incidente?” chiese allarmandosi. 


 
 
  
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