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Autore: DaniNTI    18/10/2016    1 recensioni
"Lo spazio tra ogni punto" è il racconto interiore in prima persona di un anonimo giovane in un periodo della sua vita caratterizzato da un incontrastabile vuoto esistenziale e da un profondo sconforto.
Attraverso il racconto di momenti di vita quotidiana, che coinvolgono altri personaggi, tra cui una donna con cui egli ha una relazione di natura prevalentemente sessuale, due amici e il suo gatto, il protagonista dà voce alle sue riflessioni e ai suoi pensieri, i quali si configurano come una sorta di "flusso di coscienza" che intervalla la descrizione delle giornate.
Citazione dal testo:
"La mia quotidianità stantia è il limbo che mi spetta, e chissà chi l’ha deciso. Ho smesso di aver voglia di lottare per diventare ciò che non sono. Non porterebbe a nulla e la ragione è molto semplice: la mia coscienza è incredibilmente lucida, ma fottutamente debole. O forse sono le turbolenze con cui conviviamo ogni giorno nella nostra segreta interiorità ad essere troppo forti per chiunque provi a contrastarle".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ero andato al parco, in bicicletta. Da solo. Brandon di merda.
Mi dava un gran fastidio aver iniziato a fare qualcosa per merito suo. Non mi piace fare qualcosa di nuovo nella mia vita solo per merito di qualcuno, figuriamoci per merito di uno come lui.
Non esco quasi mai di casa senza che ci sia un motivo per farlo, non mi piace molto. Infatti c’era un motivo se ero al parco: dovevo vedermi con Elaine, a casa sua, ma lei aveva avuto un imprevisto al lavoro ed ero già uscito di casa quando lei l’aveva saputo, per cui avevo un paio d’ore da trascorrere in giro. Vicino al suo appartamento c’era un parchetto e mi ero seduto su una panchina a far nulla. Come se fossi a letto in mansarda in una delle tante mie giornate insipide, insomma. Solo che questa volta ero al parco.
Forse avrei potuto dire ad Elaine di vederci direttamente lì, al parco, e fare un giro assieme, per una volta, così. Ma non era il caso. E poi avevo voglia di scopare.
Mentre avevo lo sguardo perso nel vuoto mi accorgo che proprio alla mia sinistra , a distanza di qualche centimetro dal mio piede, c’era un enorme formicaio. Era inquietante.
Era stata la prima cosa in grado di catturare realmente la mia attenzione in quella giornata. Le formichine si muovevano in modo armonioso, entravano ed uscivano dal buco in continuazione, non si fermavano mai, erano coordinate alla perfezione. Parevano realmente indaffarate: si davano un gran da fare. Provai un forte senso di stima. 
“Sto provando stima per delle formiche”, realizzai subito dopo. Mi divertiva la cosa.
“Chissà perché noi umani non siamo nati con lo stesso spirito di collaborazione delle formiche”, pensavo.
In effetti, uno potrebbe legittimamente supporre che la capacità organizzativa, la cooperazione, la destrezza nel dividersi ruoli e compiti, la perizia nel processo che porta ogni singolo contributo a essere determinante ai fini del valore dell’insieme, siano tutte qualità direttamente collegate all’intelligenza. Sarebbe logico. E invece no.
Cos’è che ci frega quindi?
Evidentemente è la tensione individuale: l’illusione che il distacco da un gruppo coeso possa portare all’apertura di nuovi orizzonti, nuovi scenari.
Ancora una volta, il punto è quello. E cioè: se l’uomo all’alba dei tempi avesse realizzato che la vera vita è quella con sé stessi , all’interno di noi e non nella realtà al di fuori, forse non si sarebbe fatto problemi ad interfacciarsi con il mondo esterno non come ente individuale, ma come facente parte di un gruppo. E’ nel mondo interno a noi che vanno ricercati i veri obiettivi individuali, non altrove.
 Crediamo con squallida convinzione che perseguire nella realtà esterna a noi obiettivi egoistici che si distaccano dalle comuni esigenze sia un’opportunità, una porta in più che deve essere aperta a tutti i costi. Come se il potere ci consentisse di passare oltre.
La stronzata del secolo.
Del potere ci si ubriaca soltanto. E il potere in sé e per sé è come una sbronza: sei un leone, ridi, ti sballi, bevi ancora di più, va tutto alla grande, e ancora, ancora di più bevi, godi delle immagine offuscate davanti ai tuoi occhi, godi della confusione e del delirio, e ti prendi bene, ti prendi bene per tutto ciò che ti circonda, come mai hai fatto da sobrio, perché non ci riusciresti.
E poi collassi. Di colpo. Sei di nuovo a zero. E non solo: la mattina dopo ancora peggio. Sei sottozero. Contento?
Coglioni tutti.
Mi alzai soddisfatto da quella panchina, contento di quei pensieri folli che mi frullavano nella testa.
Sento rumore di passi. Poi risate, tante risate, e pestoni. Mi volto per capire cosa fosse: un bambino stava tappando il formicaio, armato di un secchiello pieno di terra. La mamma lo osservava e gli diceva che era tardi e papà li stava aspettando. Non avrei mai pensato di poter provare tanta rabbia nei confronti di un bambino, che tra l’altro non poteva nemmeno capire quello che stava facendo.
Squillò il cellulare: Elaine si era liberata. Niente di particolare quella volta, sesso tranquillo. Passionale, ma tranquillo. Ogni tanto lo facevamo così. Ci piaceva anche quello.
Le piaceva tanto guardarmi negli occhi quando scopavamo. E’ una cosa che fanno tutti, direte, lei però mi guardava con insistenza. Voleva che io capissi a pieno quello che provava, quello che sentiva, voleva farmi entrare nel suo mondo oltre che nel suo corpo. E anch’io volevo, esploravo quegli occhioni, mi ci specchiavo. Ritrovavo in essi quella passione che avevo perso, quella passione che volevo mettere in tutto ciò che facevo. Ma quasi mai ci riuscivo. Da tanto. Troppo, forse.  Indagavo la sconfinatezza di quegli occhi, non mi accontentavo di apprezzarne il colore e la forma, volevo vedere altro, volevo coglierne i particolari più profondi e poi fissare tutto nella mia mente.
Pranzai da lei quel giorno. Avrei evitato, ma lei  insistette: voleva sdebitarsi per avermi fatto girare in città a vuoto.
“Non preoccuparti”, le dissi sorridente.
“Cos’hai fatto di bello al parco?”, disse lei interessata mentre mi dava in mano il piatto fumante.
“Ho guardato le formiche”, risposi in maniera disinvolta.
E poi aggiunsi: “Hanno tanto da insegnarci, sai?”
Lei scoppiò a ridere: “Tu sei scemo!”, disse scherzosamente.
“Forse”, risposi sorridendo con il boccone ancora in bocca.
   
 
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