Wenn die Sterne leuchten.
Capitolo Undicesimo.
There's something
inside me that pulls beneath the surface consuming,
Confusing what is real.
This lack of self-control I fear is never
ending controlling,
Confusing what is real.
https://www.youtube.com/watch?v=oRJiYlJNWps
Anno 846
Nelle terre perdute di Maria.
Nina
li aveva visti arrivare dalla cima di un tetto. Un corteo di cavalli in marcia che
recavano sul dorso altrettanti soldati dalle insigne alate.
S’era
scapicollata a scendere sul selciato usando l’attrezzatura, cercando di
raggiungerli prima ancora di vederli entrare nel borgo.
Erano
venuti a prenderla, finalmente. Non le pareva quasi vero che di quella
solitudine opprimente sarebbe rimasto presto solo il ricordo lontano.
Non
portavano con loro nessun carro, segno che non avevano intenzione di rimanere
fuori molto. Levi doveva esserci riuscito, infine: aveva mantenuto la promessa,
era tornato per lei. Nina aveva cercato di incontrare lo sguardo criptico del
moro, mentre la Legione entrava nella piazzola e si disponeva ordinatamente per
disporre dei turni di vedetta e di difesa. Non le era sfuggita un’occhiata
forse un po’ cupa di Mike, ma non vi aveva inizialmente dato troppo peso, tanta
era l’euforia di essere arrivata fino a vedere di nuovo quei volti.
Erwin
era arrivato quasi per ultimo, come a chiudere il gruppo che si era apprestato
a radunarsi attorno a lei, improvvisamente non curante e indaffarato. L’aveva
visto scendere da cavallo e non aveva atteso nemmeno prima di correre da lui,
circondandogli il busto con le braccia e affondando il viso contro al suo petto
ampio. Aveva inalato quel profumo di casa, di sicurezza, concedendosi qualche
istante prima di staccarsi per quel poco che le serviva per alzare il viso e
guardarlo.
Il
sorriso rassicurante di Erwin non c’era, però. La guardava serio, con quel
cipiglio di pura disapprovazione che raramente aveva riservato a lei. Poi le aveva
appoggiato le mani sulle spalle, per farla scostare da sé.
“Erwin..?”
“Venire
a riprenderti ci è costato molto, Nina. Credevo che avessi detto che non
saresti più stata un peso per me e la Legione, ma ti sei rivelata di nuovo la
bambina bisognosa di attenzioni che sei in realtà.”
La
ragazza sentì il respiro mozzarsi in gola mentre il desiderio di sprofondare
nel terreno diventava più impellente del sollievo di sentirsi al sicuro.
“M-mi dispiace” sussurrò, contrita “Io volevo tornare e-”
“Dovevi
rimanere in un posto dove potevamo trovarti.” Erwin calcò nuovamente sulle sue
colpe, facendola sentire piccola e insignificante “Abbiamo perso degli uomini
per venire a prenderti. Molto uomini. La loro morte è stata inutile.”
Nina
abbassò il capo, lasciando scivolare in avanti i capelli sfuggiti alla treccia,
che andarono a coprire il volto. Una mano si alzò, aggrappandosi al mantello
del fratello, così come avrebbe fatto una bambina. Proprio una bambina, così
come aveva detto lui.
Sentì
il peso di quella consapevolezza schiacciarla, mentre l’altro non faceva nulla
per confortarla.
“Dov’è
Levi?” chiese quindi, intimidita da quell’uomo che hai suoi occhi era perfetto.
Un eroe.
Mentre
lei era solo Nina, la sorella minore. Il peso.
“Ancora
non l’hai capito?” domandò freddamente il biondo, mentre una brutta sensazione
iniziava a farsi strada nel petto pesante della giovane donna.
“…Cosa?”
“È
successo mentre venivamo qui. Levi è-”
Un
boato la fece scattare seduta sul materasso, svegliandola di soprassalto. Nina
portò una mano alla fronte, realizzando che quel brutto sogno non era reale,
che nessuno era venuto a salvarla e – cosa ancor più importante- che nessuno
era morto per lei. Portò una mano sul petto, sentendolo sormontato da un peso
enorme. Altri tonfi forti le fecero capire cosa stava succedendo. A destarla
era stato un gigante.
Scocciata
e ancora provata, la ragazza si stese sul materasso, tirando la coperta fin
sopra al capo e mugolando piano.
Durante
la sua permanenza lì aveva notato che anche se erano molti i giganti che ogni
tanto camminavano per la piana attorno a lei, solamente tre sembravano non
allontanarsi mai troppo, nemmeno si sentissero in qualche modo a casa. Li aveva
nominati campioni di riferimento Eins,
Zwei e Drei, ed erano rispettivamente un classe sei metri,
un classe dieci metri e un classe quattro. Erano i giganti su cui stava
‘lavorando’, dei quali annotava i comportamenti e le abitudini. Zwei raramente si
avvicinava alla borgata, preferendo costeggiare il limitare del bosco in un
perenne avanti e indietro di fronte ai tronchi degli alberi. Appariva
solitamente verso la metà del pomeriggio e tornava a sparire appena calava il
sole. Nina si era anche chiesta dove andasse, magari l’avrebbe seguito uno di
quei giorni.
I
numeri Eins
e Drei erano
tutta un’altra storia invece.
Drei rimaneva immobile anche per giornate intere nello
stesso punto, in mezzo alla piana circostante la borgata, fisso col volto
rivolto verso il bosco. Eins preferiva esplorare il villaggio nei
momenti meno opportuni e più di una volta avevo costretto Nina a salire su un
tetto e rimanere li per ore intere, in attesa di vederlo spostarsi.
Era
anche il simpatico artefice delle sue sveglie mattutine. Nina aveva pensato di
ucciderlo, ma aveva sempre preferito rimandare per non buttare all’aria i dati
delle sue osservazioni. Arrivata a quel punto, però, non ne poteva più. Ogni
giorno era una pena venir destata a quel modo; le veniva la nausea e sentiva il
cuore in gola. Senza contare che era pericoloso, oltre che avvilente. Magari
riusciva in qualche modo a fiutarla, al contrario degli altri due, per questo
era così tanto interessato alla borgata. Se si fosse distratta anche una volta
sola? Se non avesse controllato bene ogni angolo?
Non
valeva la pena rischiare.
Avrebbe
messo Eins
a dormire per sempre e l’avrebbe fatto quella sera stessa.
Si
era appostata su un albero di pesco, proprio al limitare della stradina che
conduceva dentro al paesello, e poi aveva atteso. Eins non ci aveva messo molto ad
arrivare, forse attratto dal suo profumo. Nina si era fatta un bagno per
l’occasione, usando una vecchia saponetta al limone, certa che avrebbe ottenuto
i risultati sperati. Le fronde dell’albero l’avevano comunque protetta a
sufficienza alla vista, tanto che il gigante l’aveva raggiunta e superata,
camminando verso le case con il passo strascicato di un ubriaco.
La
ragazza aveva atteso di vedergli bene la nuca, adocchiando gli altri due
giganti e giudicandoli sufficientemente distanti per tentare l’impresa. In una
condizione normale, non si sarebbe posta tutti quei problemi. Aveva
letteralmente camminato fra i giganti quando il muro Maria era crollato,
circondata da una folla isterica in fuga e da quei bestioni che tentavano in
ogni modo di afferrare quante più persone possibile.
Eppure
così lontano da casa, da sola, impossibilita a ricevere soccorso, aveva
preferito seguire una linea di basso profilo.
Solo
quando si era sentita sicura, aveva ancorato il cavo di acciaio all’attaccatura
dei capelli del mostro, dandosi subito dopo lo slancio sufficiente.
La
collottola del gigante era venuta via con un singolo movimento pulito, così
preciso da non rovinare nemmeno le preziose lame.
Nina
era caduta insieme alla carcassa immobile, scendendo con un salto agile dalla nuca,
mentre ancora teneva in mano entrambe le spade. Alle sue spalle sentì dei passi
veloci far tremare il terreno, segno che era arrivato il momento di correre.
Non attese di certo di scoprire chi dei due giganti rimanenti avesse deciso di
caricarla, strinse nelle mani i comandi del modulo e puntò alla prima casa che
sorgeva sul borgo, usando più gas di quanto avrebbe voluto e riavvolgendo
rapidamente i cavi metallici.
Era
ancora in volo quando non sentì più il gigante correre.
Attese
comunque di sentirsi al sicuro sul tetto alto, prima di voltarsi.
Proprio
mentre volgeva lo sguardo indietro, un urlo straziante squarciò il silenzio
della campagna al tramonto.
Inginocchiato
accanto al corpo fumante del suo simile, Drei stava ancora urlando. Nina lo osservò, cercando di
comprenderne il comportamento, mentre oltre il bosco, la testa di Zwei iniziava a
sparire oltre le corolle degli alberi, così come ogni sera.
Poi
il quattro metri fece qualcosa di ancor più assurdo.
Lanciando
ancora qualche grido, seppur più flebile, portò le mani al terreno, iniziando a
strappare grandi porzioni di terra, scavandola via con le unghie fino a
disintegrarsi le mani, che presero a fumare.
Nina
era così sconvolta da quella vista da non riuscire a far nulla se non tremare.
Sembrava
provare dolore.
Sembrava
provare dei sentimenti veri.
E
lei non poteva accettarlo.
To find myself again
My walls are closing in
I've felt this way before
So insecure
Anno 845
Tempo di cambiamenti.
“…Ragion per cui, qualora fossi io venir scelto per
ricoprire la carica di Comandante della Legione Esplorativa, toglierei la metà
dei fondi alle zone interne di Trost e Nedlay, in favore dei distretti di Shigashina
e Briemer. Per quasi un secolo, queste località sono
state messe in secondo piano, ma ora basta! I distretti esterni sono il cuore
della Legione, il luogo da cui noi usciamo, che nulla mancano rispetto alle
sedi principali, se non nella cura delle caserme e nel numero dei soldati. Non
ci saranno più quartieri generali di serie A e B, ma solo un unico, grande
organico paritario.”
La
fine del discorso di Schäfer venne accolta con uno scrosciare
di applausi più o meno convinti. Nina lo fece giusto per educazione, mentre i
suoi occhi indugiavano sulla figura di Erwin, seduto in prima fila, a qualche
metro da lei. Erano quasi sei ore che se ne stavano seduti su quelle sedie e
ormai non le doleva solamente il sedere. Le faceva anche male la testa.
Non
ne poteva più di discorsi, tattiche, pratiche burocratiche e altisonanti
puntualizzazioni.
Ormai
tutti avevano capito l’aria che tirava e continuare su quella linea sembrava
quasi un insulto all’intelligenza collettiva.
Shadis
lasciava la Legione e aveva designato un successore che non tutti approvavano.
Non
c’era altro da sapere.
I
soldati di Trost l’avevano saputo al ritorno da Yule, mentre fuori imperversava una tormenta di neve che
nascondeva la vista del cielo e delle campagne attorno a Irsee.
Il Comandante dell’esplorativa aveva detto tante parole belle infiocchettate,
ma il succo era uno solo: non si sentiva di continuare e aveva chiesto un
preavviso di quattro mesi in cui sarebbe stato nominato il suo successore.
Erwin,
per la precisione.
Quell’impegno
enorme era piombato sulle spalle del biondo un po’ prima di quanto l’uomo aveva
previsto, ma non si sarebbe tirato indietro. Non una volta arrivato così vicino
a vedere esaudite le sue speranze. Aveva grandi piani, aveva dei sogni e non si
sarebbe fermato, non dopo aver lavorato così tanto per arrivarci. Nina glielo
leggeva in faccia che, nonostante la sorpresa, Erwin non aspettava altro.
Zackley,
che fra tutti pareva il più annoiato e stanco da quella situazione pesante,
guardò il Capitano Schäfer tornare al suo posto,
tenendo fra le mani i fogli su cui aveva annotato pochi dettagli circa il discorso
appena concluso. Per anzianità, il posto
di Comandante sarebbe dovuto andare a Katz,
sovraintendente di Renin, che aveva terminato
l’accademia addirittura prima di Shadis. Non era
stato però nemmeno preso in considerazione, così come nessuno proveniente dalle
zone dell’est. La vera guerra si combatteva fra Trost
e Shigashina, visto che persino Erik Schmitd aveva ritirato la candidatura che i suoi uomini
avevano portato avanti, sostenendo che anche Briemer
avrebbe appoggiato Smith, se Nora Kessler non fosse tornata in Legione, lasciando
la Gendarmeria per governarli.
Nina
lanciò uno sguardo proprio a Schmitd, mentre Erwin si
alzava, sistemandosi la giacca e salendo sul gradino per fare a sua volta un
discorso.
“Che
noia” fu il solo commento divertito dell’uomo del nord, mentre alla sua destra
il Caporale Scwartz e il Capitano Jürgen
commentavano quel discorso sottovoce, la prima felice della proposta in quanto
stanziata a Briemer e il secondo, di Nedlay, un po’ meno allegro “Ci vorrà ancora molto? Mangerei
un cinghiale intero.”
La
dottoressa, che di quelle lunghe e deleterie riunioni non ne aveva mai viste
prima (e per questo quasi rimpiangeva la promozione), portò una mano a
nascondere le labbra piegate in un sorriso, mentre rispondeva “Anche io. Tra
poco la mia pancia parlerà per me.”
“Infondo
è una farsa” proseguì Mike, seduto alla sinistra di Nina. Anche lui era stato
proposto, visto che era addirittura più grande di Erwin di qualche anno, ma
velocemente Zacharius si era tirato indietro,
sostenendo di aver fiutato più lati
negativi che positivi in una tale promozione “Schäfer
più chiedere tutte le votazioni che vuole, ma il successore viene stabilito dal
Comandante in carica da sempre. Se Shadis vuole
Erwin, lo avrà.”
La
bionda annuì piano. Sapeva che suo fratello sarebbe stato giudicato il più
idoneo anche solo per le sue competenze, oltre al fatto che tutti avrebbero
votato per lui. Prima fra tutte il Comandante Kessler, che lo stava guardando
proprio in quel momento mentre Erwin si preparava a parlare, senza nemmeno aver
annotato una parola preliminare. Dietro alla bella donna, Friedelhm
fece l’occhiolino a Nina, sporgendosi poi verso Doak
per dirgli qualcosa che fece sghignazzare sotto i baffi l’uomo.
Il
discorso del Capitano Smith iniziò.
“Sono
tanti gli aspetti dell’attuale gestione che cambierei e, per la maggior parte,
non mi sento di imputare colpe al Comandante Shadis.”
Tutti
lo stavano guardando in silenzio, fremendo per ciò che l’uomo aveva da dire. La
sua reputazione lo precedeva, senza contare che era il pupillo di non uno, ma
di due Comandanti con una certa levatura. Tutti si aspettavano grandi cose da
lui e Erwin non aveva intenzione di deludere le aspettative di nessuno. “Lo
spreco di risorse a nord è la mia principale preoccupazione.” Accanto a sé,
Nina poté sentire Erik rizzare la schiena a quelle parole, mentre qualche
sedile più in là, il Caporale Scwartz e il Capitano Jurgen smettevano definitivamente di parlare sotto voce. La
questione del nord, come la chiamavano coloro che vivevano sotto Nedlay, era delicata e Nina non si era di certo stupita
quando suo fratello aveva iniziato da lì “Il Capitano Schäfer
ha parlato di dar più fondi ai distretti esterni, di dare finanziamenti laddove
c’è bisogno per le uscite e levarne alle città dell’interno. La mia domanda è:
di quali soldi parliamo? Tutti sappiamo che di soldi non ce ne sono.” Ancora,
silenzio. Aveva toccato il punto critico, quello che nessuno voleva mai
affrontare, ma che era tristemente alla base di ogni problema dell’esplorativa:
il costante bisogno di fondi che non arrivavano. O mangiavano o compravano
attrezzature di qualità, pagavano i soldati e mantenevano i loro quartier
generali. I soldi erano la loro principale preoccupazione.
Non
i giganti.
“Tutti
sappiamo che la Legione spende più di un terzo delle tasse complessive dei
cittadini delle Mura nell’arco di sedici
mesi. In molti si chiedono se sia
possibile chiedere più stanziamenti, pagare allo stesso modo i soldati del nord
e quelli del sud, delle sedi principali e le succursali esterne. Quello che mi
chiedo io è invece se abbiamo davvero bisogno di tutte queste caserme.” Fece
una pausa, spiando la platea senza davvero guardare nessuno, anche se ogni
singolo partecipante alla riunione si sentì trafitto dal suo sguardo penetrante
“Se sarò io a prendere il posto del comandante Shadis
mi impegnerò al fine di creare soli due nuclei primari. Sopprimerò non solo le
caserme ad ovest e est, dove non possiamo mantenere dieci o quindici uomini in
panciolle tutto l’anno. Prenderò anche un provvedimento per quel che riguarda Briemer e Shigashina, spostando i
soldati di istanza lì nelle caserme militari di Trost
e Nedlay, chiudendo anche il quartier generale di Irsee, poiché le caserme della Guarnigione sono anche a
disposizione dell’esplorativa e vanno benissimo per alloggiarvi gli uomini. Non
possiamo permetterci un tale dispendio di moneta. I soldi che verranno
stanziati andranno solo a sfamare e allenare i soldati, ottenendo così molti
più fondi per le spedizioni che sono e sempre saranno la nostra priorità. Non
sono d’accordo con il Capitano Schäfer. La Legione
esplorativa ha come unico compito quello di andare oltre le Mura e indagare la
natura dei giganti, non di far vivere
una bella vita ai suoi uomini sulle spalle dei cittadini. Le basi di Hanneke e di Irsee sono
superflue, così come avere sei nuclei diversi di soldati. Saranno solo due,
quello del sud guidato da me e quello del nord guidato da Erik Schmidt che avrà
la delega non solo di Capitano decorato del nord, ma anche di secondo in carica
al Comandante che poteri quasi uguali.”
Appena
Erwin smise di parlare ci fu silenzio, che però venne presto squarciato dal
malcontento di coloro che si vedevano privati di posizioni e basi. Erwin non
gli diede peso e in ogni caso, bastò una mano alzata di Zackley
per porre fine a ogni diatriba “Credi sia possibile realizzare un simile progetto,Smith?”
chiese il Comandante Supremo dell’esercito, incrociando le mani sulla
scrivania.
“Non
solo lo credo possibile, sono pronto anche a portarlo avanti e realizzarlo nel
giro di massimo tre anni.”
Fu
il turno di Pixis di parlare, questa volta “In tre
anni riformeresti completamente la Legione esplorativa? Non sono mai stati
effettuati dei cambiamenti così radicali in nessuna branca dell’esercito. Credi
davvero di riuscirci, ragazzo?”
Erwin
lo guardò, portando le braccia dietro alla schiena “Non lo credo. Ne sono
certo. Possiamo fare il doppio delle uscite e avere anche delle attrezzature e
dei ranci degni di questo nome. Non ho paura di pestare qualche piede per
garantire ai miei uomini il meglio. Al nord non è possibile effettuare delle
uscite oltre le Mura in inverno, ciò
significa che manteniamo dei soldati a far nulla per quanti? Almeno sei mesi? Lassù
il clima è rigido per molto tempo. Possono uscire da Renin
o da Pereta, nel frattempo. Se sono di istanza a Nedlay, poi, sarà molto più semplice per tutti comunicare
evitando i passi di montagna impervi. Uno dei miei uomini è rimasto bloccato a Briemer quando ha portato le disposizioni di Shadis, lo scorso novembre. Queste cose non possono e non
devono succedere. L’efficienza sarà la mia priorità.”
Pixis
l’aveva guardato con una strana luce negli occhi, mentre il Comandante Kessler,
che pareva compiaciuta, aveva lanciando un’occhiata a Zackley
“Abbiamo bisogno di parlarne ancora per molto? Ho delle questioni da sbrigare
poi Shadis, con
buonsenso, ha già scelto il Capitano Smith.”
Nina guardò nuovamente verso Erik e gli uomini del nord, che si erano
fatti assai seri. In caso di una votazione per alzata di mano, forse non
sarebbero stati più così entusiasti di votare per suo fratello.
“Non
è buona la situazione, vero?”
Nina
si era sporta verso Mike e Hanji, i cui occhi
saettavano da una parte all’altra della stanza “Non lo so. In realtà potrebbe
esserlo ma…. Non credo che i valenti uomini del nord
o i soldati del sud siamo molto felici, al momento.”
“Quel
che dirà Erwin sarà legge” decretò secco Mike “Chi non ascolterà, potrà andare
alla forca.”
“Ho solo un’altra domanda” Zackley guardò
verso Erwin, accavallando le gambe sotto al tavolo e sporgendosi verso lo
schienale, mentre ormai tutti arrivavano a capire perfettamente l’aria che
tirava. Anche un tardo ci sarebbe arrivato, soprattutto perché a Schäfer non era stata chiesta nemmeno una delucidazione,
come se le sue parole non avessero avuto alcun peso. “Come regoleresti il nord,
se è così tanto complesso da tenere in riga? Che compiti affideresti al
Capitano Schmidt?”
Erwin si umettò le labbra, guardando proprio verso il vecchio amico e
leggendoci la disapprovazione velata che sapeva avrebbe albergato la sua espressione
“Con stessi poteri, o quasi, intendo dire che a Erik Schmidt andrà la
discrezione per le uscite, se il Comandante Supremo Zackley
approverà la mia proposta. Il nord e il sud saranno due poli indipendenti,
evitando così attese e scartoffie. Inoltre, la paga sarà la medesima, a costo
di scalare un po’ di monete dai soldati di Trost.
Siamo tutti legionari allo stesso modo e un Caporale del nord vale tanto quanto
uno del sud.”
Non ci furono altri discorsi, ne altre domande.
Zackley
alzò gli occhi sul volto di Erwin, sfilandosi gli occhiali come per guardarlo
senza filtri “Non so se sto per fare la cosa giusta. Il tuo ardore….
Mi spaventa, Smith” attese ancora un attimo, prima di incrociare le mani sotto
al mento “Nonostante questo mio pensiero personale, rispetterò il volere del
Comandante in carica come è sempre stato. Erwin Smith, a quattro mesi da oggi
subentrerai al Comandante Shadis e allora disporrai
questi cambiamenti. La seduta è tolta, andate a mangiare.”
“Che
bella notizia!” E Pixis fu il primo a saltare in
piedi.
Friedhelm,
si alzò lentamente, stirando le gambe mentre con lo sguardo cercava gli occhi
della sorella, seduta fra i legionari. Quando li incontrò le fece segno di
raggiungerlo e a quel punto, Nina si alzò a sua volta. Non ne poteva più. Non
credeva che diventare il Primo Ufficiale Medico di Trost
avrebbe comportato anche quel genere di noiosissime incombenze.
“Ci
vediamo dopo.”
“Non
ubriacarti senza di me! Ordine del tuo caposquadra, Nina!”
Il Sergente Müller sorrise ad Hanji, prima di sfilare fra le sedie, appoggiando anche una
mano sulla spalla di Erik che a sua volta stava cercando di liberarsi per
raggiungere Erwin. Era arrivato il momento non solo delle congratulazioni, ma
anche di parlare per bene dei piani non decisi in comunione.
“Quell’idiota di Smith. Pensa di appiopparmi gli uomini di Briemer? Gliela farò vedere io!”
Passando, Nina colse questa frase. Riconobbe subito chi l’aveva pronunciata, anche se nessuno li aveva mai presentati “Capitano Jürgen di Nedlay?” questo si era voltato, guardando la giovane dottoressa un po’ spiazzato. Sapeva benissimo chi le fosse e forse temeva che l’avesse sentito parlare così del fratello. Peccato che alla ragazza poco importasse di quella faccenda ancora così astratta“Sono Nina Müller” aveva quindi porto la mano, sorridendogli e attendendo di sentirgliela stringere “Mi dispiace disturbarla, ma mi chiedevo se potesse portare i miei saluti a Friederich Meier. Lo conosco da molto tempo e un saluto è più veloce di una lettera. Ora, con permesso” passò fra lui e il Caporale Schwarz , sorridendo delicatamente anche alla donna, infilando poi le mani nel cappotto lungo marrone con le insigne della Legione e del suo grado, prima di affiancarsi a Fried che la guardava in attesa “Possiamo andare”
“Gli
permetti di parlare così di Erwin?”
“Chi
sono io? La sua balia? Erwin è abbastanza grosso da capire che non può far
contenti tutti.” Lo guardò vagamente divertita, prima di prenderlo a braccetto,
andando proprio verso il Capitano Smith, che ancora non pareva aver a fondo
realizzato cosa stesse succedendo. Forse erano le mani di Nora Kessler,
appoggiate alle sue guance, a distrarlo.
“Quindi è andata male?”
“No,
è andata bene, ma sei ore di riunione, a sentir parlare un po’ tutti gli alti
ufficiali dell’esercito, sono state dure. Ti ho pensato parecchio: sicuramente
ti saresti alzato e te ne saresti andato a metà del discorso di Shadis, visto che è durato un’ora e un quarto.”
Levi
aveva alzato gli occhi dalla mela che stava tagliando a spicchi, portandoli
sulla figura di Nina, in piedi a pochi metri a lui. Avevano trascorso quella
domenica mattina di riposo ad allenarsi con il modulo per lo spostamento
tridimensionale e la bionda stava ancora cercando di capire come utilizzarne i
comandi adoperando l’anulare e il mignolo, tenendo così la lama sinistra al
contrario, come faceva sempre Levi quando si dava lo slancio per affettare per
bene il collo di un gigante. “Quindi presto tuo fratello sarà il grande capo?
Speriamo di avere dei vantaggi e un aumento di stipendio.”
“Erwin
farà un buon lavoro, maledetto opportunista.”
Il
moro la guardò quasi annoiato e Nina non seppe dire se stava o meno scherzando.
Si limitò ad abbassare il braccio, portando la mano libera alla spalla e
massaggiandola piano. Sentiva tutti i nervi tesi e nel profondo del cuore
sapeva che non sarebbe mai guarita del tutto. La polvere da sparo ha di per sé
un impatto terribile sulla carne, i pallettoni poi…
Doveva
ringraziare Hans Lobov e sperare che, ovunque l’avessero
rinchiuso, gliela stessero facendo un po’ pagare.
“Ti
fa male la schiena?”
Nina
alzò gli occhi chiari sull’uomo che ancora sedeva sul tronco sdraiato a terra
di una betulla, guardandolo portarsi uno spicchio alle labbra. “Quest’inverno è
stato più duro per le artriti che per gli allenamenti” disse divertita, con
tono ironico, mentre avanzava verso di lui, rinfoderando la lama per potersi
sfilare il modulo da attorno ai fianchi. Quando si sedette accanto a lui, Levi
le passò metà del frutto, finendo di masticare velocemente mentre le faceva
segno di voltarsi in modo da fargli vedere la parte lesa “Guarda che sono io il
medico.”
“Stai
zitta e girati” fu la sola risposta che ottenne e, facendo un conto veloce
degli insulti coloriti che Levi di solito riusciva ad inventarsi, era stato
quasi gentile. Non se lo fece comunque ripetere, spostando la treccia
sull’altra spalla mentre sganciava la mantella verde. Sotto di essa non
indossava la divisa di servizio, ma un maglione nero e un paio di braghe color
crema, oltre ovviamente all’imbragatura. Aprì la fibbia al centro del petto per
sfilarsi quando possibile la parte superiore, abbassando le cinghie mentre Levi
spostava il maglione di lana grezza dalla spalla, portando la mano fredda sulla
zona ferita e causandole un brivido, oltre che un immediato sollievo.
Faceva
ancora freddo, nonostante fosse il primo giorno di marzo. La neve si era
sciolta e il cielo era più limpido del solido, ma l’aria attorno a loro odorava
ancora di un inverno che non sembrava intenzionato a cedere campo molto preso
alla primavera. Lasciò che l’uomo lavorasse sulla sua spalla, cercando di
scioglierle i muscoli, seppur i suoi
modi fossero un po’ bruschi, Nina si sentì subito meglio. Inclinò di lato il
capo così da dargli più accesso alla zona interessata, mentre finiva quella
metà di mela, guardando verso il limitare del bosco, fra le fronde, la figura
del Quartier Generale che si stagliava innanzi a loro. Non era nemmeno
mezzogiorno e non si vedeva nessuno lì attorno, eccetto i poveri cadetti di
ronda sulle mura. Gli ufficiali, i quali potevano godersi la domenica come
giorno di libertà, difficilmente si sarebbero visti in giro prima del pasto.
“Vuoi
allenarti un po’ nel corpo a corpo?” chiese lei quando le mani dell’uomo si
abbassarono, dopo averle sistemato il maglione e sollevato nuovamente il
supporto di cuoio delle spalle, collegato al solito labirinto di cinghie e
fibbie.
“…No.” La risposta ci aveva messo un po’ ad
arrivare. Levi aveva appoggiato la fronte sulla schiena di Nina, al centro
esatto, poco sotto all’attaccatura del collo. Lei era rimasta ferma, con un
sorrisetto sulle labbra e la mantella in
una mano, mentre l’altra andava ad appoggiarsi sul ginocchio dell’altro.
A un occhio esterno, le dinamiche tra loro non dovevano sembrare
cambiate. In realtà, da quella notte sul tetto di casa Müller
a Stohess, tutto era cambiato.
Ad iniziare da piccoli, insignificanti dettagli come quel contatto
fisico che Levi sembrava non voler mai richiedere, ma di cui aveva bisogno,
seppur nascondesse ogni richiesta in una muta presa di posizione. Nina, dal
canto suo, si era sempre sentita brava a
capire le persone; non l’avrebbe forzato a darle più di quanto lui
voleva ed erano quei momenti di solitudine che le facevano capire che ciò che
lui aveva intenzione di darle, era esattamente quello che lei in fondo avrebbe
chiesto.
Si era riscoperta innamorata di ogni aspetto del carattere difficile di
quell’uomo strano, a tratti incomprensibile. Aveva capito che sotto ad un primo
strato di ghiaccio, nel quale aveva rinchiuso il suo cuore molto tempo prima di
crescere e diventare ciò che era, c’era forse l’uomo più buono e gentile che
aveva mai incontrato. Perché questo era Levi, una persona buona. Lo vedeva
prima di tutto nel suo modo di rapportarsi con lei, nel suo modo di
confrontarsi con gli altri, facendo ogni giorno sempre più passi avanti verso
l’integrazione in quella comunità che infondo gli era stata imposta.
Levi non sarebbe mai stato un uomo da grandi dimostrazioni d’amore o
discorsi impegnati.
Rimanevano però quei loro momenti di intimo silenzio, seduti su un
tronco, nascosti dalle fronde degli alberi.
Lentamente si sporse in avanti per farlo scostare, prima di sollevarsi
quel tanto che bastava per voltarsi e fronteggiarlo, andando ad appoggiare le
gambe sulle cosce dell’uomo. Scivolò in avanti, appoggiandogli le mani sulle
spalle, mentre i loro sguardi si allacciavano. Poi, quando lui le concesse di
baciarlo, quasi come se ogni volta Nina dovesse chiedere il permesso, portò un
braccio sulle sue spalle, chiudendosi ancora di più contro di lui.
“Allora torniamo a letto” sussurrò quindi sulle sue labbra, soffiandoci
sopra quelle parole solo una volta che il bacio venne interrotto, “Ce lo
meritiamo.”
Eccome. Erano in piedi dall’alba, quasi come se quello fosse un giorno
come ogni altro e non una pausa dalle incombenze militari. Si alzarono insieme
e Nina allacciò il bottone della mantella, battendola sul naso di Levi mentre
la appoggiava sulle spalle. Ridacchiò di fronte alla sua espressione per niente
divertita, imitandolo nell’indossare nuovamente il modulo. Uscirono dal bosco
ripassando gli schemi che avevano studiato quella mattina, così come le regole
base che Levi si era dato per l’abbattimento dei giganti.
Anche se facevano parte di due diverse squadre – Levi era finito, come
previsione, nel gruppo di comando del Capitano Smith insieme ai migliori mentre Nina era stata
destinata alla squadra scientifica di Hanji- gli
allenamenti continui li avevano portati a impararsi qualche tattica di attacco
in coppia. Levi poi sembrava particolarmente portato nell’inventare complicate
sequenze, amante come era della ‘pulizia’ di movimento. Stavano attraversando
un pezzo di campo quando, in arrivo dalla strada principale che conduceva Trost, videro avanzare un carro carico di oggetti, anche di
grandi dimensioni. Esso non prese il bivio che conduceva verso il villaggio di Irsee, procedendo molto lentamente verso il castello della
Legione.
“Chi viene a rompere i coglioni di domenica?” chiese Levi con tono
piatto, mentre Nina portava una mano sugli occhi per schermarli dal sole.
“Che sia un mendicante? Se vende stoffe dovremmo prenderne un po’ per
rifare le tende degli alloggi degli ufficiali.”
“Tch, sempre a pensare ai vostri comodi,
maledetti graduati.”
“….Levi anche tu dormi nell’alloggio di un ufficiale. Nel mio, per la
precisione.”
E andava anche detto che quella stanza non aveva mai brillato così
tanto come da quando Levi aveva deciso di trasferirsi lì, abbandonando
definitivamente il rumoroso e caotico dormitorio dei soldati semplici. E non gliene fregava niente del fatto che
fosse contro ogni regolamento interno.
Il cigolio che caratterizzava l’avanzare del carro si fece via via sempre più nitido, mentre i due procedevano allo stesso
modo verso il castello. Solo quando furono vicini abbastanza da poter
distinguere la figura alla guida del mezzo trainato da due asini dall’aria
stanca e malandata, Nina esplose in un grido “Non posso crederci!” esalò
semplicemente, prima di iniziare a correre in quella direzione, lasciando lì
senza una spiegazione il povero Levi.
“Esaltata” fu di fatti il commento del moro, mentre la seguiva a passo
sostenuto, senza però agitarsi troppo. Vide il carro fermarsi e una piccola
figura, che da quella distanza gli parve di un bambino, scendere con un
saltello. In meno di un battito di ciglia lui e Nina erano abbracciati.
Ci mise il suo tempo a raggiungerli e solo quando fu proprio accanto a
loro, pronto a urlare qualcosa per coprire il loro chiacchiericcio
insopportabile, noto che quello non era affatto un bambino, ma un uomo
sorprendentemente basso. Persino più
basso di lui.
Non riuscì ad attribuirgli un’età precisa, perché quel volto dai tratti
sottili e dai grandi occhi color pervinca, parzialmente nascosti sotto ai
capelli che parevano tantissimi fili lisci e lucidi d’argento, sembrava avvolto
da un’aurea misteriosa. Sorrideva pacatamente, guardandolo incuriosito mentre
Nina lo metteva al corrente di ciò che stava succedendo.
“Sono tornato dalla mia licenza anche per questo motivo. Volevo vedere
cosa sarebbe successo ora che Shadis ha intenzione di
ritirarsi. È così eccitante, ci saranno sicuramente intrighi politici!”
Quando parlò, la voce squillante non tradì però una sfumatura
prettamente maschile. Levi aveva quasi pensato che quella potesse essere una
donna in effetti, forse a causa della corporatura magra, così esile e filiforme
che secondo una stima approssimativa del moro, non avrebbe mai potuto reggere
la forza applicata dalle cinghie del movimento tridimensionale. Non era un
soldato, quindi?
“Questo curioso essere umano chi è?” chiese proprio il nuovo arrivato,
sporgendosi verso Levi per guardargli bene il viso “Ah, riconoscerei quegli
occhi ovunque…. Sei un Ack-”
“Chi cazzo è questo tizio?”
Il modo sbrigativo con cui Levi aveva interrotto l’altro aveva fatto
intuire a Nina che, come sempre, il piccolo inventore non s’era smentito.
Sorrise divertita, sapendo che era meglio non chiedere “Levi, ti presento il
Tenente Pascal von Pedrick, il nostro Primo Ufficiale
Ingegneristico. Pascal, questo è Levi e
basta, è con noi dalla scorsa primavera.”
Nessuna mano venne porta a Levi, che ovviamente non la richiese. Si
sentiva troppo sotto esame per essere anche solo vagamente a suo agio con
quella macchietta degli occhi improbabilmente vacui e il sorrisetto sornione.
“
Ah, e basta eh? Ho capito, ho capito.
Come darti torto, nemmeno io esibirei troppo le mie ‘referenze’ se fossi in
te.” Con un saltello un po’ goffo, Pascal salì nuovamente sulla carrozza,
invitando gli altri a fare lo stesso “Andiamo, andiamo! Devi proporre al
Comandante la mia nuova invenzione!”
Pascal
era in assoluto il meno probabile dei soldati della Legione. Minuto, tanto da
parer quasi rachitico, con i capelli grigi lucenti, perennemente spettinati e la camicia violetta
allacciata alla meno peggio, avvolte saltando un passante o due.
Sembrava
anche il meno probabile delle personalità pubbliche, ma quel suo modo d’essere
sciroccato tradiva un nobile retaggio.
Egli
era, di fatto, l’ultimo figlio maschio in vita della famiglia Von Pedrick, baroni e conti al servizio del re da secoli. Di casta
antica, era membro di una delle casate più rispettate all’interno delle Mura, sebbene
sarebbe stato quasi sicuramente l’ultimo rappresentante di essa. Aveva, in verità,
una sorella maggiore, Ermenegarda. Lei, che sapeva
ben discernere fra vita pubblica e necessità belliche, si era ben tenuta
lontana dalla corte reale, dove la famiglia Von Pedrick
aveva sempre avuto un poggio fra i consiglieri del re, e curava gli interessi
terrieri della famiglia da sola, da quando Pascal aveva deciso di entrare nell’esercito
e prendere le Ali.
Come
già detto, era il meno probabile dei soldati, ma era un genio tale da far impallidire
chiunque. Se avessero conosciuto Leonardo da Vinci all’interno delle Mura, sicuramente
l’avrebbero paragonato a Pascal. Era brillante nell’osservare e nel creare. Sembrava
nato per indagare la natura delle cose e la fisica. Un autentico luminare, che
aveva venduto tutte le terre che gli erano state donate in eredità – la maggior
parte alla sua stessa sorella – per avere soldi per potersi finanziare da solo
ogni progetto. Era entrato in Legione per non avere vincoli verso nessuno e un
vasto, sconfinato mondo all’esterno da conoscere ed esplorare. Perché lui
faceva questo: viveva per la sete di conoscenza.
Non
era portato per fare il militare, va bene,
ma era portato per cambiare il mondo. A iniziare da tutte le modifiche
effettuate alla motoretta per lo spostamento tridimensionale, fino alla valvola
per lo sfiato delle bombole per evitare lo spreco di gas, progetto che fra l’altro
aveva portato avanti e concluso facendo lavorare il team ingegneristico prima
di sparire per la licenza.
Appena
arrivato aveva esposto a Shadis un nuovo progetto
davvero ambizioso: una serie di canne di legno per poter fare il bagno in
piedi, dentro a delle piccole cabine, così da risparmiare tempo e acqua. Non aveva
ancora trovato un nome adeguato per quella straordinaria idea, ma avrebbe
dovuto attendere per poterla realizzare, poiché l’aver inventato la doccia non lo salvò dall’addestramento
tattico organizzato per il giorno successivo al suo rientro da quella ‘licenza
indeterminata’. Che aveva richiesto qualcosa come due anni prima.
Nina
lo sentì starnutire mentre, tutto impettito, guardava un albero alto dalle snodature
contorte. La ragazza lo guardò con dolcezza, chiedendosi cosa potesse mai
vederci. Gli sistemò la mantella sulle spalle, mentre si guardava attorno,
cercando uno ad uno gli altri membri della sua squadra.
“Lo
sapevo” stava esalando con un tono sconsolato degno di nota Moblit,
tenendo una mano al cappuccio, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a
cadere “Ci siamo persi.”
“Non
essere così negativo” lo riprese la dottoressa con tono divertito, lasciando lì
impalato lo scienziato per avvicinarsi “Abbiamo ancora un giorno e una notte
per arrivare al punto di ritrovo tattico, possiamo farcela.”
Il
biondino la guardò scettico, prima di voltarsi verso Goggles
e Keiji, che stavano spiando la sola mappa che il
Comandante aveva concesso loro, sotto le fronte di un salice, per salvarla
dalla pioggia.
Lo
scopo di quell’addestramento era quello di verificare se ogni squadra aveva i
requisiti per potersi definire tale e per poter sopravvivere all’esterno nel
caso di un distaccamento dal corpo principale. Dovevano semplicemente camminare
per boschi e raggiungere il luogo in cui
Shadis aveva installato un campo base e poi
tornare indietro. Senza cibo, acqua o brande per dormire. Avevano a
disposizione quarantotto ore per farlo e la partenza, la sera precedente così
per andare incontro alla notte, era andata bene.
Ma
poi la squadra quattro, chiamata anche la squadra di Hanji
o la squadra dei matti, si era irrimediabilmente
persa.
Nina
non voleva dirlo ad alta voce, ma era d’accordo con Moblit.
Era sicura di aver visto l’albero che tanto interessava Pascal almeno quattro
volte nell’arco di due ore di cammino. Stavano girando intorno.
“Se
ci avessero lasciato una bussola…” sussurrò
amareggiato Moblit, con la mano sul viso, mentre il
capo squadra spariva fra le fronte insieme a Nifa con
la scusa di dover ottemperare a un bisogno fisiologico.
“Sei
sempre così negativo, novellino” lo prese in giro Goggles,
mentre il compare tracciava con un dito il percorso assegnato loro dal
Comandante.
Andava
detto che Moblit Berner non
brillava di ottimismo, ma forse perché dopo soli due anni dal suo arrivo in
Legione, ne aveva viste di cotte e di crude e un animo particolarmente
sensibile come il suo un po’ ne risentiva. Non solo: era ancora un cadetto e
come di tradizione, se si arriva a vivere abbastanza da vedere finita la
propria prima missione oltre le mura, ci
si sente un vincitore o comunque uno sconfitto.
Lui
si sentiva così, schiacciato, soprattutto dal numero di incombenze che Hanji gli riversava addosso. Nina, che era stata nominata
seconda in comando della squadra, pensava seriamente che avrebbe dovuto
cedergli il posto. Se anche Erwin la sfruttava come attendente personale, quanto
meno non la costringeva a badarlo come in infante. Perché questo faceva Hanji, si comportava da bambina e Moblit
doveva perennemente rincorrerla. Era arrivato anche a regolarle la vita in modo
da renderla degna di essere vissuta, costringendola a non fare la notte sui
libri e a farsi un bagno almeno una volta a settimana. Era stato acclamato
dalla folla per quest’ultima presa di posizione.
Della
sua stessa opinione, seppur non la esprimesse a parole per timidezza, c’era Alana Klein. Lei, che era ancora praticamente una recluta,
visto che non aveva terminato l’anno di addestramento interno prima delle
uscite, non faceva altro che tirarsi una delle due treccioline
brune che le scendevano morbide fino al seno, guardandosi attorno. Alana aveva addosso due grandi responsabilità,
insormontabili ai suoi occhi: prima di tutto aveva ben deciso di diventare un
ufficiale medico senza aver mai seguito corsi sanitari, se non quello di primo
soccorso durante l’addestramento. Nina aveva accettato di prenderla come
apprendista- la sua prima apprendista, come lei lo era stata di Renson- nonostante questa lacuna, ma l’aveva riempita di
libri e saggi di ogni tipo, riducendole così le ore di sonno, ma facendole
spesso compagnia fino a tarda notte all’interno dell’infermeria. Secondariamente,
Alana era la sorellina di Mira Klein, una delle più
grandi promesse della Legione esplorativa. Eguagliare la sorella, fra i primi
in combattimento e resistenza fisica e mentale, non sarebbe stato semplice e
forse non ci avrebbe nemmeno provato. Non era invidiosa di lei, voleva molto
bene a sua sorella, ma quell’eredità era pesante e scomoda.
Accanto
a lei c’era poi Nicholas Ravenstein, che così come
Nina, era stato spostato nel team scientifico per le sue conoscenze e la sua
utilità. Nick era un eccellente inventore e costruttore, e
per quanto si sentisse felice di poter lavorare nuovamente insieme al tenente
Von Pedrick, come lui non era particolarmente amante
delle scampagnate montanare.
La
pioggia, che prese a battere insistente sui loro capi, raffreddando l’aria già
di per sé gelida di marzo, scoraggiò ancora di più queste tre anime in pena, ma
non Nina. Uno dei tanti vantaggi di avere Levi come maestro di vita era che la
pioggia diventava il minore dei problemi, così come il freddo.
“Cosa
sono questi musi lunghi?” domando all’improvviso il biondo con gli occhiali,
sollevando il capo dalla mappa con un sorrisetto divertito. Mike Goggles, chiamato solo per cognome per evitare di
confonderlo con Zacharius, faceva parte dei quattro
veterani che componevano la squadra di Hanji. Portava
sempre una barbetta incolta a sporcargli il viso se no eccessivamente immaturo
per un uomo della sua età e gli occhi da felino, schermati dalle lenti,
sembravano nascondere un perenne divertimento per il comportamento abbattuto
delle reclute.
“Lasciali
in pace” lo riprese subito Keiji Rotten,
tirandogli una gomitata ben assestata sul costato che lo fece chinare in avanti
con un leggero colpo di tosse, prima di alzarsi in piedi con la mappa
arrotolata sotto al braccio “Stiamo sbagliato percorso” decretò infine,
guardandoli tutti, in particolare il sergente Müller,
“Se proseguiamo lungo questo sentiero ci ritroveremo a incrociare il percorso
della squadra uno, Nina.”
“Così
potresti salutare tuo fratello” commentò Moblit,
saltellando da un piede all’altro in un patetico tentativo di scaldarsi.
“Qualcuno
ha visto il capo squadra?” domandò leggermente stizzito Goggles,
alzandosi in piedi e tirando una pacca sulla schiena dell’amico per vendetta,
ma questi non parve nemmeno essersene reso conto.
A parlare
fu una voce sottile, armoniosa “Sono andate a fare un bisogno, torneranno
presto.”
Persino
parlando di deiezioni, Fabian Hilger
riusciva a suonare delicato e poetico. Anche lui era un veterano, poiché contava
sette anni di onorato servizio in Legione senza averci rimesso nemmeno un arto.
Il suo aspetto tradiva una certa forza, così come il suo modo di porsi: era
alto, una pertica, con il viso dai tratti femminei e una lunga treccia di
capelli color carota che scendeva quasi fino alla cintola. Capelli che le
ragazze gli invidiavano. Alle spade preferiva la penna, poiché amava scrivere
poesie d’amore e delicate descrizioni di paesaggi quasi onirici, ma era
piuttosto abile anche nell’uccidere i giganti. Nulla pareva scalfirlo, né le
missioni all’esterno, né i commenti alle volte crudeli dei commilitoni. Non si
vergognava di chi era, perché avrebbe dovuto? Non aveva studiato le scienze, ma
era stato giudicato sufficientemente intelligente per potersi integrare all’interno
di un gruppo così specializzato. Era laureato in letteratura, prediligeva la
compagnia di un buon libro a quella dei compagni in osteria. Anche lui era figlio
di buona famiglia, ma non della Capitale. Veniva da Stohess,
anche se lui e Nina non si erano mai incontrati prima dell’ingresso della
ragazza nel corpo dell’esercito, figlio di uno dei capi della gilda dei
mercanti. Francis Hilger vendeva sale, estratto dalle
miniere a est di Pereta, ovunque all’interno delle
Mura, rifornendo personalmente ogni distretto. Non riteneva Fabian
degno di prendere il suo posto come il figlio minore e l’aveva messo di fronte
a una scelta, una volta compiuti i dodici anni: la Legione esplorativa o un’accetta
in mezzo agli occhi.
Un
uomo che non ammetteva mezze misure.
Fabian aveva
sofferto di quel distacco imposto col pugno di ferro e poca diplomazia, ma
aveva scoperto cosa significasse avere una casa e una famiglia solo dopo
essersi unito all’esercito.
Fin
dal suo primo giorno di accademia si era legato a Nifa
Hertz, anche lei veterana della quarta squadra. Esuberante e brillante, Nifa era l’anima ottimista del gruppo, quanto meno quella
parte lucida e razionale che Hanji non poteva
ricoprire a causa del suo carattere. Aveva molti bei vestiti, Nifa, che metteva nei momenti di licenza. Le piaceva acconciare
il caschetto asimmetrico moro e compiere tutti quei gesti femminili che
sembravano superflui per un soldato del suo rango, ma che la contraddistinguevano
in mezzo agli altri.
C’era
dell’estro in quel gruppo un po’ disomogeneo, Nina doveva riconoscerlo, ma fra
loro si sentiva bene. Erano i meno seri della Legione, quelli perennemente
sotto torchio perché in ritardo o fuori formazione, ma c’era già del
cameratismo fra loro la prima volta che avevano cenato tutti insieme, prima
ancora che Pascal si riunisse a loro dopo la sua latitanza.
Sinceramente,
non si sarebbe aspettata una squadra migliore.
Erano
nove individui insoliti, con punti di forza e debolezze differenti. Si compensavano
bene.
Ma
condividevano lo stesso pessimo senso dell’orientamento.
Avevano
atteso il ritorno di Hanji prima di riprendere la
marcia, scoraggiati dalla pioggia che non faceva altro che aumentare rendendo
difficile il guardarsi attorno, con Nick che a un certo punto si era
addirittura offerto di portare Pascal sulla schiena.
Quando
avevano trovato un sentiero si erano imbattuti, come da previsione, nella
squadra uno, chiamata anche la squadra di
comando, con a capo il Capitano Smith.
Erano
decisamente fuori rotta se erano arrivati a incrociare il percorso degli altri,
ma Nina lo sapeva che Hanji l’aveva fatto a posta per
farsi far strada.
Per
niente scema.
“Andiamo
Erwin, hai visto che tempaccio? Che importerà da che parte arriviamo, se
arriviamo?”
Il
biondo si era lasciato coinvolgere, sospirando divertito prima di far cenno alla
squadra quattro di unirsi a loro.
Nina
si era ritrovata a camminare affianco a Levi, senza quasi accorgersene “Siete
patetici” aveva commentato senza colore il moro, guardandola da sotto il bordo
del cappuccio verde, che gocciolava fradicio di pioggia “Questa scampagnata,
per voi, deve sembrare la scalata di un monte.”
“Sei
uno stronzo.”
La
bionda aveva preso a raccontagli di come si fossero persi, tanto per ricalcare
ancor di più la pessima figura, quasi andasse orgogliosa di quel gruppo disarmoneo di menti in continuo moto .
Il
mal tempo però ci aveva messo del suo e la nebbia aveva reso difficile il
lavoro anche per l’efficientissima squadra uno.
I suo
membri erano ben diversi da quelli della quattro, Hanji
li avrebbe definiti così zelanti da essere noiosi: allo scadere del mandato di
Capitano di Erwin, in virtù della promozione a capo del corpo, sarebbero diventati
quasi tutti capi squadra. Era logico pensarlo perché laddove Levi era quasi un
novizio, gli altri erano tutti nell’esercito da almeno quattro anni. Le sole
eccezioni erano Eld, dell’anno di Nina e una giovane
recluta di nome Gunther Schultz,
così meritevole da essersi fatta solamente tre mesi di addestramento
supplementare, invece dei canonici dodici. Lars Faust
era una leggenda, oltre che un uomo molto bello. Quando lui e Mira erano
diventati Caporali, dopo aver concluso insieme l’accademia ed essere entrati in
Legione, si erano sposati. Avevano una bambina, Johanna,
che nel 845 aveva tre anni e viveva a Trost con i
nonni materni. Erano entrambi degli assi del combattimento corpo a corpo e si
erano guadagnati la nomea degli Sposi Sterminatori, per il numero elevato di
giganti che avevano fatto fuori. Non potevano nemmeno sperare di competere con
Levi, ma tra il divino e il normale, si erano guadagnati una buona posizione
mezzana.
“Zoppichi,
ti sei fatto male?”
Levi
alzò gli occhi su Nina, scuotendo poi il capo “Quella brava persona di Helga Bohm mi ha buttato dalle scale quando ero piccolo e nessuno
mi ha curato come si deve la caviglia.” Levi sbuffò, prima di concludere con
una lapidaria sentenza sulla sorella della donna che l’aveva cresciuto, e di
cui a Nina aveva già parlato in precedenza “Puttana di nome e di fatto, è
riuscita a lasciarmi un ricordo di sé.”
Non
c’era bisogno di spiegare che tutta l’umidità accumulata nelle ossa iniziava a
farsi sentire negli acciacchi, perché la spalla di Nina faceva male da ancor
prima di mettersi in marcia.
“Arrivato
al campo base potrai sederti un po’, nonnino.”
“Vorrei
tanto sapere perché ancora non ti hanno ammazzata.”
Non
che lo pensasse davvero, ma Nina era sadica nell’infierire con gusto.
Particolarmente
in quelle situazioni.
Il
clima prese finalmente a migliorare solo dalla metà di aprile in poi. A quel
punto, fu più semplice alzarsi la domenica mattina per addestrarsi. La bella
stagione sembrava voler portar con sé un’aria diversa, ma era difficile dire se
questo cambiamento sarebbe stato in positivo o meno.
Nina
perse l’equilibrio, portando la mano al naso che sanguinava copiosamente e non
riuscendo a cadere in ginocchio, nonostante la stilla di dolore che avvertì
propagarsi da quel punto, solo perché ormai si era abituata a sopportarlo. Alzò
lo sguardo verso Levi, schivando un calcio con una mezza capriola all’indietro
che di aggraziato ed elegante non aveva nulla, per poi ritirarsi in piedi e
fare qualche passo verso il bosco per guadagnare spazio.
“Sanguino”
fu il suo solo commento, abbastanza neutrale, mentre guardava le dita sporche
di liquido vermiglio.
“Lo
vedo” rispose sagace l’uomo, sistemando le maniche arrotolate della camicia
attorno al gomito, prima di attaccare di nuovo, deciso, notando che almeno era
diventata brava a schivare “Smettila di scappare, rincretinita! Ce la fai o no
a fare un attacco decente che sia uno? Vuoi dimostrarmi che non abbiamo buttato
nella latrina sei mesi di allenamento?!”
“Mi
stai uccidendo, Levi!” si lamentò lei, smettendo di tenersi il naso per potersi
difendere, anche a parole “Non mi dai il tempo di attaccare!”
“Devi
trovarlo il tempo di attaccare, Nina! Nessuno ti regalerà occasioni!”
Quasi
non terminò la frase che ci riprovò di nuovo e stavolta il pugno andò a segno. Nina
riuscì a deviarlo, tanto che al posto di colpirle lo stomaco le prese il
fianco, facendole male, ma non così tanto. Fu solo a quel punto che mossa dalla
rabbia e dalla frustrazione per quell’addestramento (Levi non era mai stato
così cattivo prima, solitamente la lasciava provare senza attaccarla
direttamente), che decise di rendergli pan per focaccia.
A condizioni
normali non avrebbe giocato sporco, ma si sentì braccata e agì di istinto.
Gli
tirò un pestone deciso sulla caviglia che sapeva essere più debole dell’altra,
facendogli scappare un mezzo gemito di dolore per la prima volta da quando
avevano iniziato a combattere nel corpo a corpo, l’estate precedente.
Poi
lo afferrò per le spalle, tirandogli una ginocchiata nella pancia e riuscendo,
non si sa bene come, a farlo cadere.
Aveva
ufficialmente steso Levi, ma non contenta, si mise su di lui bloccandogli il
braccio col ginocchio e tenendogli l’altro mentre con la mancina gli tirava il
pugno più forte che avesse mai tirato in vita sua.
S’era
fatta male, certo.
Ma
lui di più.
Ancora
ansante per i movimenti veloci, lo guardò voltare il capo di lato e sputare un
po’ di saliva mista a sangue, prima di tornare a osservarla, impassibile.
Nina
aveva ancora il pugno alzato quando realizzò.
“Ho
vinto” decretò senza nemmeno provare a mascherare la soddisfazione.
“Una
vittoria su un centinaio di sconfitte. Ti do atto, però, che hai saputo fare bene
stronza.”
Nina
sollevò il ginocchio, permettendogli di spostare il braccio. Levi portò
entrambe le mani sui fianchi della giovane, spingendola con forza per ribaltare
le loro posizioni e mettersi sopra di lei.
Lei
lo lasciò fare, continuando a sorridere tra il compiacimento e lo smaliziato,
con le braccia appoggiate sull’erba che ancora odorava di rugiada, mentre lo
guardava negli occhi “Deve bruciare parecchio per uno come te perdere, vero?”
“Non
che mi importi un granché, soprattutto se a battermi è una mocciosa con il
labbro ancora sporco di latte a cui nessuno crederebbe.”
“Pensi
già a come ti rovinerò la reputazione? Sei patetico.”
Levi
si lasciò cadere al fianco della giovane compagna, portando le mani incrociate
sul ventre mentre spiava il cielo sopra di sé.
Lei
gli tirò una pacca giocosa sulla coscia con la mano aperta, prima di andare ad
appoggiare il capo sulla spalla, anche lei con gli occhi ben puntati verso l’alto.
Si sentiva davvero fiera di sé, ma non continuò ad infierire, preferendo altri
modi per infastidirlo.
Come
le così definite dall’uomo ‘chiacchiere senza capo né coda’, per esempio.
Girò
il capo e lo morse sulla guancia, attirandosi uno sguardo ben poco soddisfatto “Quando
ero piccola giocavo sempre con Erwin a trovare delle forme nelle nuvole.”
“Intellettuale”
la prese in giro, guadagnandosi una pacca sullo stomaco. Le bloccò il braccio
per impedirle di rifarlo “Non ho mai sentito una cosa così tanto stupida e tu
ne dici parecchie nell’arco di una giornata.”
“Sei
noioso, è divertente notare come ogni persona veda cose differenti all’interno
del medesimo contesto” proseguì lei, imperterrita, prima di alzare la mano
libera per puntare l’indice verso un punto preciso “Quella nuvola, per esempio,
non ti sembra un cane?”
“Nina
sei completamente pazza. Già prima non stavi bene per niente, ma ora che stai
in squadra con quella folle quattrocchi ogni speranza di normalità è andata a fanculo.”
“Puoi
provare, almeno per una volta, a farmi contenta?”
Di
nuovo, Levi la guardò male. Poi, passando la mano sull’avambraccio della bionda,
in quella che aveva tutta l’aria di essere una carezza, alzò lo sguardo verso
il punto indicato “Oltre che pazza sei anche cieca. Quella è palesemente una
stella.”
“Una
stella?” insistette lei, socchiudendo le labbra per niente convinta “Ma dove la
vedi, una stella? Guarda bene: ci sono le quattro gambe e la testa. Si vede
persino il muso!”
“No”
anche Levi alzò la mano, tratteggiando nell’aria una forma ben definita “Ci
sono tutte le punte, Nina. Cinque punte, una fottutissima stella.”
“I
tuoi occhi sono rotti.”
“Cretina.”
La
bionda ridacchiò, sospirando piano mentre chiudeva gli occhi.
Il
naso le faceva un po’ male, lo sentiva battere doloroso dove la botta era
arrivata forte e chiara. Anche le gambe erano un po’ pesanti, perché nonostante
le avesse rinforzate correndo e correndo durante l’allenamento, ancora faticava
ad abituarsi agli scatti repentini che ogni buon lottatore doveva eseguire per
evitare di farsi colpire e per ripagare a sua volta a suon di cazzotti l’avversario.
Come
diceva sempre Erwin, non si fa un guerriero in un anno.
Nemmeno
in cinque, in realtà.
Quel
percorso era ancora ben lontano dall’essere giunto alla sua fine, ma quella
piccola seppur memorabile vittoria le fecero capire che poteva anche lei fare
qualcosa di grande. Se poteva buttar giù Levi, allora poteva fare tutto nella
vita.
“Ti
fa male la caviglia?” domandò, senza aprire gli occhi. Un’ombra ottenebrò il
sole e lei se ne accorse nonostante aveva ancora le palpebre calate per il
cambio di luce. Avvertì il respiro caldo dell’uomo sul volto, così socchiuse
gli occhi dalle iridi irregolari, per guardarlo mentre troneggiava sopra di
lei.
Le
mani di Nina andarono ad accarezzargli il viso, percorrendolo dagli zigomi fino
alle labbra, passando col pollice sul taglio che ancora sanguinava, seppur
appena. Lo tirò verso di sé, iniziando sin da subito a duellare con lui in un
bacio mordace, sentendo il sapore ferroso della bocca dell’altro sulla lingua
mentre Levi non perdeva tempo in convenevoli inutili e andava ad aprire la prima fibbia dell’imbragatura di Nina.
Lei
non oppose resistenza quando la sentì aprirsi sul petto, andando a fare lo
stesso con quella dell’uomo, mentre questi si metteva in ginocchio fra le sue
gambe e lei lo seguiva, sedendosi. Da lì iniziò l’intera operazione di svestizione, resa non poco difficoltosa dall’attrezzatura. Nina
si sbarazzò della parte di tutte le cinghie in fretta, mentre Levi le apriva le
fibbie sulle cosce e la cintura, andando poi a sfilarle rapido gli stivali. Con
sapiente conoscenza, le mani ruvide del moro le accarezzarono la pelle tesa
degli addominali e del ventre, quando lei si fu liberata anche della camicetta
bianca, che andò a far compagnia al resto degli indumenti sull’erba.
Levi
la spinse stesa con un altro bacio, mentre le sfilava i pantaloni della divisa
insieme all’intimo, decidendo di farle la grazia di non sciogliere le bende
elastiche che le tenevano costretti i seni. Fu Nina a liberarsene senza
eleganza, sfilando la spilla da balia che andò a buttare dentro a uno degli
stivali, non controllando nemmeno a chi dei due appartenesse. Ci avrebbe
rimesso il suo tempo a vestirsi in ogni caso.
Quando
si ritrovò totalmente nuda, esposta sotto lo sguardo dell’altro, non si sentì a
disagio, così come non si era sentita così la prima volta che l’aveva spogliata
e fatta sua. Al contrario del loro primo bacio, che aveva avuto la valenza e la
grazia di una promessa d’onore da parte di entrambi, la prima volta che avevano
fatto sesso non era stata così importante. Era stata la prima di molte, molte
volte dopotutto. Memorabile e attesa da entrambe le parti, Nina non s’era
nemmeno trattenuta dall’ammettere che vi aveva fantasticato su più e più volte,
ma non era stata importante.
Nessuno
dei due vedeva il sesso come un atto sul quale costruire intenti.
Nina
aveva avuto già un altro prima di lui e Levi…. Non aveva
detto il numero preciso di amanti che aveva avuto in vita, ma la giovane
stentava di credere che un uomo così sicuro di sé, oltre che affascinante, si
fosse risparmiato qualche avventura.
Per
questo avevano giusto atteso di andarsene da Stohess,
così da non rischiare di attirare ancora di più su di loro le ire di donna
Adelaide, per potersi lasciare andare anche all’amore fisico. Era successo e
basta, la prima sera appena tornati a Trost, dopo
aver saputo che avrebbero presto servito un altro Comandante e con una tempesta
di neve come non se ne vedevano da anni a far da sfondo.
Era
stato naturale per loro capirsi, da uno sguardo, senza parlarne. Lei lo aveva
invitato nella sua stanza e alla fine, quel letto, Levi non l’aveva più
lasciato.
Nina
però era consapevole che non era paragonabile a ciò che avevano condiviso su
quel tetto, perché da quel singolo primo bacio, quasi casto rispetto al resto
delle attività che potevano fare insieme e da soli, come in quel momento nel
bosco, Levi aveva aperto una porta che non sembrava intenzionato a chiudere.
Giorno
dopo giorno, Nina scopriva altri pezzi del passato di Levi, cose su Kenny, Helga,
Gretha e la loro famiglia. Sentiva racconti su di lui
e Farlan che crescevano insieme, di come avevano
preso con loro Isabel, di come il loro mondo andasse avanti più lentamente e di
nascosto, ma proseguisse. Fino all’arrivo di Erwin, in cui aveva avuto una
battuta di arresto e aveva iniziato a girare in direzione opposta.
E ogni
confessione arrivava sempre, fra un bacio e l’altro, dopo quegli attimi di
cocente passione.
Senza
esitazione, Nina aprì la cintura di Levi, andando anche a sbottonargli i
pantaloni, mentre questi portava una mano al suo capo, slacciando il cordoncino
di cuoio e lasciando cadere in una cascata dorata, i capelli della giovane
sulla schiena nuda.
La
tirò quindi sul suo bacino, aiutandosi con una mano e infine scivolando dentro
di lei e dandole il ritmo per muoversi.
La
testa di Nina divenne leggera, mentre i baci si facevano più confusi e voraci. Il
piacere la consumò per prima e buttò il capo all’indietro, gemendo quasi
disperatamente mentre il moro le baciava la pelle tempestata di lentiggini
dello scollo.
“Levi”
lo chiamò con tono ebbro, mentre un sorrisetto le nasceva sulle labbra “Mi fai
sentire le campane…”
Fece
in tempo a finire di parlare, lasciando per altro cadere la frase che suonò
come incompiuta, che l’altro le bloccò i fianchi, spingendoli verso il basso.
Nina
tirò su il capo, guardandolo sorpresa da quella interruzione. Non fece però in
tempo a parlare che udì qualcosa, in lontananza.
Istintivamente
portò una mano ai capelli, passandovi le dita in mezzo per pararli indietro.
“…Queste sono…” soppesò, prima di
realizzare la gravità della situazione.
La
Campana della Libertà non suonava mai a Trost, poiché
il suo scopo era quello di avvisare dell’apertura delle mura sull’esterno e
quindi su una potenziale situazione di pericolo. Se suonavano fin lì, all’interno,
poteva esserci un solo significato.
“Deve
essere successo di orribile a Shigashina” Nina non si
diede il tempo di pensare ad altro. Si alzò dal ventre di Levi premendo le mani
sulle sue spalle, mentre lui la guardava un po’ allucinato con i capelli
spettinati sul capo e il petto visibile dalla camicia aperta imperlato di
sudore così come la fronte “Se suonano le campane, la procedura vuole che
corriamo immediatamente al quartier generale. Noi dobbiamo andare-”
“Nina!”
La ragazza era in piedi, con in mano i pantaloni, nel panico. Si alzò a sua
volta, cercando di ricomporsi, allacciandosi i pantaloni e la cintura “Devi
calmarti. Non combinerai niente saltellando qua e la come una gallina senza la
testa.”
Lei
parve non sentirlo “Erwin è a Shigashina.”
“Lo
so. Per questo devi calmarti.”
Annuì
lentamente, cercando di stabilizzare il respiro mentre appoggiava la fronte
sulla spalla dell’altro, chiudendo un attimo gli occhi. Per iniziare, doveva
vestirsi. Poi avrebbero fatto ritorno e avrebbero domandato come era successo.
Infilò
infimo e i pantaloni lasciando perdere le bende e allacciandosi la camicetta
mentre Levi, che aveva giusto dovuto sistemarsi un po’ perché non s’era
spogliato, iniziava ad assicurarle i primi pezzi delle cinghie alle cosce.
“Cosa
pensi che potrebbe essere successo?” le domandò, con la calma nella voce,
mentre le dava una pacca sul polpaccio per farle alzare il piede e passarle l’elastico
della metà inferiore delle cinture.
“Un
gigante potrebbe essere entrato nel muro di coda alla Legione” pensò lei,
mentre infilava prima un braccio e poi l’altro sulla parte dorsale, allacciando
le cinghie sotto alle braccia e sul petto. Il fatto di doversi bardare così
ogni giorno le aveva fatto assumere una certa dimestichezza, ma era comunque un
processo lento. Quando le rimasero solo gli stivali, prese la spilla da balia e
se la ficcò in tasca, sedendosi poi a terra per infilarli “Una cosa simile è
successa sessantacinque anni fa, ma quella volta un gigante fu fatto entrare
intenzionalmente.”
Il
moro annuì, passandole la giacca e prendendo la sua, insieme alle mantelle. Arrotolò
su tutto, ficcandoselo sotto al braccio, mentre iniziavano a camminare in
fretta verso casa “Fu quando misero al bando quella stronzata della religione
sui giganti, no?”
“Sì,
esatto, ma pensandoci bene potrebbe anche essere scoppiato un incendio nelle
campagne. Non è necessario che sia successo qualcosa a Shigashina,
no?”
All’interno
della cinta muraria del castello di Irsee regnava il
caos.
Soldati
che correvano, sellavano cavalli, parlavano fra loro o fissavano impietriti
verso il muro Rose, che si stagliava visibile a chilometri di distanza, oltre
le fronte degli alberi.
“Moblit!” Nina vide il compagno di squadra camminare con
passo deciso verso di lei, pallido come un morto, “Moblit
cosa-”
“Dobbiamo
prepararci, Nina.” La sua voce tremava, mentre le parlava. Persino la mano che
si appoggiò sulla spalla della ragazza non riusciva a non tradire una paura
cieca, che negli occhi gialli del giovane si rifletteva nella sua paurosa
interezza.
“Si
può sapere cosa è successo??” chiese Levi, adocchiando Hanji
che si dirigeva nella sua direzione insieme a Mike, il quale aveva il comando
del quartier generale come membro più anziano presente.
Erwin
e Shadis, per acquetare gli animi, si erano diretti a
Shigashina dieci giorni prima per organizzare un’uscita
con i soli uomini lì stanziati, per rifornire di provviste un avamposto nelle
terre dei giganti e favorire un po’ il nuovo Comandante Smith, che fra quelle persone
non trovava favore.
“La
situazione è grave” iniziò Zacharius, guardandoli
serio come mai, mentre accanto a lui Hanji fissava la
pavimentazione ciottolata, con il viso adombrato da un’espressione cupa.
Se
persino lei aveva perso le parole, allora doveva essere davvero grave.
“Cosa
è successo?” domandò Nina, sentendo che qualcosa doveva essere successo a
Erwin.
Era
il ventisette di aprile e lui era il Comandante della Legione solamente da
cinque giorni.
Che
le campane suonassero per lui? Era caduto combattendo? O forse era morto il re
in persona?
Quel
che disse Mike però fu centinaia di volte peggio di qualsiasi supposizione Nina
e Levi potevano aver fatto.
Si
prese un attimo, come per cercare di acconciare quelle parole, realizzando poi
che non vi era modo di rendere meno nefasta quella notizia. Quindi parlò.
“I
giganti sono penetrati nelle mura Maria attraverso il distretto di Shigashina. Le Mura sono state sfondate.”
Il
mondo era già cambiato e l’aveva fatto silenzioso alle loro orecchie.
Il
mondo era cambiato e l’aveva fatto per sempre.
Nda.
Non
morta anche se ho postato un mese fa.
Lo
so, sono in ritardo, ma tra una cosa e l’altra- e un esame dall’esito catastrofico-
non ero in me per poter scrivere.
Finalmente,
però, sono tornata e non intendo cedere terreno di nuovo.
….anche
se ora sono in piena preparazione per il Lucca Comics
quindi non vogliatemene se arriverò un po’ in ritardo di nuovo.
Mai
così tanto però!
Questo
capitolo è fondamentale per tre motivi: ciò che Nina vede nella prima parte, l’introduzione
alla squadra nella seconda e beh…
La
fine.
Il
mondo che cambia e non torna più lo stesso.
D’ora
in poi è bratta nera, signore e signori.
Non
mi dilungo, penso sia meglio continuare a scusarmi per il ritardo.
Ringrazio
che mi legge e chi mi recensisce, in particolare quelle dolcissime caramelline di Shinge e Auriga.
Grazie
per tutto.
Ah
si, e grazie anche a Luna per essere seduta di fronte a me, sul mio letto, nel
tentativo di finire a sua volta il suo capitolo.
Che
bello quando postiamo sincronizzate.
(muovi
il culetto e scrivi susu).
Se
qualcuno pensa di andare al Lucca Comics che mi
faccia sapere, anche in privato.
Mi
piace conoscere gente nuova v.v
Vi
linko la mia pagina di FB, che mi sono resa conto non ho mai messo in questa
storia, giusto per scrupolo:
https://www.facebook.com/chemicallady/
Detto
questo vi auguro una buona giornata/buona notte in base all’ora in cui
leggerete questo mio piccolo strazio.
A presto!
C.L.
Ps. Che schifo
di note finali, scusatemi davvero.