Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Chemical Lady    19/10/2016    3 recensioni
"La tradizione vuole che i soldati che muoiono oltre le Mura diventino stelle" aveva iniziato lui con quel suo tono che aveva un che autoritario anche mentre suonava rassicurante, facendole alzare gli occhi sulla volta celeste con un cenno. "Il loro ardore non smetterà mai di risplendere e illuminare il cammino di coloro che verranno dopo. Per ogni vita che si spezza, si accende una luce."
Lei sapeva che quello era un contentino, una storia per bambini, ma per il cielo, la forza che le aveva dato quel discorso l'aveva rinvigorita. Suo fratello sembrava crederci sinceramente. Una tradizione della Legione, della loro gente, di quelle persone che conoscevano il dilaniante dolore della perdita come lo conosceva lei. Nina non aveva mai capito cosa significasse davvero appartenere a qualcosa, prima di tornare dalla sua prima missione e scorgere sul volto dei compagni lo stessa amarezza che provava lei. Ma anche la stessa forte determinazione nel voler davvero credere che, quelle luci, non si sarebbero mai spente o avrebbero smesso di vegliare.
[[ Levi x OC || Un sacco di OC, like un sacco davvero]]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Levi, Ackerman, Nuovo, personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Wenn die Sterne leuchten.

 

 

 

 

 

Capitolo Undicesimo.

 

 

 

There's something inside me that pulls beneath the surface consuming,
Confusing what is real.
This lack of self-control I fear is never ending controlling,
Confusing what is real.

https://www.youtube.com/watch?v=oRJiYlJNWps

 

 

                  Anno 846

Nelle terre perdute di Maria.

 

 

 

 

Nina li aveva visti arrivare dalla cima di un tetto. Un corteo di cavalli in marcia che recavano sul dorso altrettanti soldati dalle insigne alate.

S’era scapicollata a scendere sul selciato usando l’attrezzatura, cercando di raggiungerli prima ancora di vederli entrare nel borgo.

Erano venuti a prenderla, finalmente. Non le pareva quasi vero che di quella solitudine opprimente sarebbe rimasto presto solo il ricordo lontano.

Non portavano con loro nessun carro, segno che non avevano intenzione di rimanere fuori molto. Levi doveva esserci riuscito, infine: aveva mantenuto la promessa, era tornato per lei. Nina aveva cercato di incontrare lo sguardo criptico del moro, mentre la Legione entrava nella piazzola e si disponeva ordinatamente per disporre dei turni di vedetta e di difesa. Non le era sfuggita un’occhiata forse un po’ cupa di Mike, ma non vi aveva inizialmente dato troppo peso, tanta era l’euforia di essere arrivata fino a vedere di nuovo quei volti.

Erwin era arrivato quasi per ultimo, come a chiudere il gruppo che si era apprestato a radunarsi attorno a lei, improvvisamente non curante e indaffarato. L’aveva visto scendere da cavallo e non aveva atteso nemmeno prima di correre da lui, circondandogli il busto con le braccia e affondando il viso contro al suo petto ampio. Aveva inalato quel profumo di casa, di sicurezza, concedendosi qualche istante prima di staccarsi per quel poco che le serviva per alzare il viso e guardarlo.

Il sorriso rassicurante di Erwin non c’era, però. La guardava serio, con quel cipiglio di pura disapprovazione che raramente aveva riservato a lei. Poi le aveva appoggiato le mani sulle spalle, per farla scostare da sé.

“Erwin..?”

“Venire a riprenderti ci è costato molto, Nina. Credevo che avessi detto che non saresti più stata un peso per me e la Legione, ma ti sei rivelata di nuovo la bambina bisognosa di attenzioni che sei in realtà.”

La ragazza sentì il respiro mozzarsi in gola mentre il desiderio di sprofondare nel terreno diventava più impellente del sollievo di sentirsi al sicuro.

M-mi dispiace” sussurrò, contrita “Io volevo tornare e-”

“Dovevi rimanere in un posto dove potevamo trovarti.” Erwin calcò nuovamente sulle sue colpe, facendola sentire piccola e insignificante “Abbiamo perso degli uomini per venire a prenderti. Molto uomini. La loro morte è stata inutile.”

Nina abbassò il capo, lasciando scivolare in avanti i capelli sfuggiti alla treccia, che andarono a coprire il volto. Una mano si alzò, aggrappandosi al mantello del fratello, così come avrebbe fatto una bambina. Proprio una bambina, così come aveva detto lui.

Sentì il peso di quella consapevolezza schiacciarla, mentre l’altro non faceva nulla per confortarla.

“Dov’è Levi?” chiese quindi, intimidita da quell’uomo che hai suoi occhi era perfetto. Un eroe.

Mentre lei era solo Nina, la sorella minore. Il peso.

“Ancora non l’hai capito?” domandò freddamente il biondo, mentre una brutta sensazione iniziava a farsi strada nel petto pesante della giovane donna.

…Cosa?”

“È successo mentre venivamo qui. Levi è-”

 

Un boato la fece scattare seduta sul materasso, svegliandola di soprassalto. Nina portò una mano alla fronte, realizzando che quel brutto sogno non era reale, che nessuno era venuto a salvarla e – cosa ancor più importante- che nessuno era morto per lei. Portò una mano sul petto, sentendolo sormontato da un peso enorme. Altri tonfi forti le fecero capire cosa stava succedendo. A destarla era stato un gigante.

Scocciata e ancora provata, la ragazza si stese sul materasso, tirando la coperta fin sopra al capo e mugolando piano.

Durante la sua permanenza lì aveva notato che anche se erano molti i giganti che ogni tanto camminavano per la piana attorno a lei, solamente tre sembravano non allontanarsi mai troppo, nemmeno si sentissero in qualche modo a casa. Li aveva nominati campioni di riferimento Eins, Zwei e Drei,  ed erano rispettivamente un classe sei metri, un classe dieci metri e un classe quattro. Erano i giganti su cui stava ‘lavorando’, dei quali annotava i comportamenti e le abitudini. Zwei raramente si avvicinava alla borgata, preferendo costeggiare il limitare del bosco in un perenne avanti e indietro di fronte ai tronchi degli alberi. Appariva solitamente verso la metà del pomeriggio e tornava a sparire appena calava il sole. Nina si era anche chiesta dove andasse, magari l’avrebbe seguito uno di quei giorni.

I numeri Eins e Drei erano tutta un’altra storia invece. 

Drei rimaneva immobile anche per giornate intere nello stesso punto, in mezzo alla piana circostante la borgata, fisso col volto rivolto verso il bosco. Eins preferiva esplorare il villaggio nei momenti meno opportuni e più di una volta avevo costretto Nina a salire su un tetto e rimanere li per ore intere, in attesa di vederlo spostarsi.

Era anche il simpatico artefice delle sue sveglie mattutine. Nina aveva pensato di ucciderlo, ma aveva sempre preferito rimandare per non buttare all’aria i dati delle sue osservazioni. Arrivata a quel punto, però, non ne poteva più. Ogni giorno era una pena venir destata a quel modo; le veniva la nausea e sentiva il cuore in gola. Senza contare che era pericoloso, oltre che avvilente. Magari riusciva in qualche modo a fiutarla, al contrario degli altri due, per questo era così tanto interessato alla borgata. Se si fosse distratta anche una volta sola? Se non avesse controllato bene ogni angolo?

Non valeva la pena rischiare.

Avrebbe messo Eins a dormire per sempre e l’avrebbe fatto quella sera stessa.

 

Si era appostata su un albero di pesco, proprio al limitare della stradina che conduceva dentro al paesello, e poi aveva atteso. Eins non ci aveva messo molto ad arrivare, forse attratto dal suo profumo. Nina si era fatta un bagno per l’occasione, usando una vecchia saponetta al limone, certa che avrebbe ottenuto i risultati sperati. Le fronde dell’albero l’avevano comunque protetta a sufficienza alla vista, tanto che il gigante l’aveva raggiunta e superata, camminando verso le case con il passo strascicato di un ubriaco.

La ragazza aveva atteso di vedergli bene la nuca, adocchiando gli altri due giganti e giudicandoli sufficientemente distanti per tentare l’impresa. In una condizione normale, non si sarebbe posta tutti quei problemi. Aveva letteralmente camminato fra i giganti quando il muro Maria era crollato, circondata da una folla isterica in fuga e da quei bestioni che tentavano in ogni modo di afferrare quante più persone possibile.

Eppure così lontano da casa, da sola, impossibilita a ricevere soccorso, aveva preferito seguire una linea di basso profilo.

Solo quando si era sentita sicura, aveva ancorato il cavo di acciaio all’attaccatura dei capelli del mostro, dandosi subito dopo lo slancio sufficiente.

La collottola del gigante era venuta via con un singolo movimento pulito, così preciso da non rovinare nemmeno le preziose lame.

Nina era caduta insieme alla carcassa immobile, scendendo con un salto agile dalla nuca, mentre ancora teneva in mano entrambe le spade. Alle sue spalle sentì dei passi veloci far tremare il terreno, segno che era arrivato il momento di correre. Non attese di certo di scoprire chi dei due giganti rimanenti avesse deciso di caricarla, strinse nelle mani i comandi del modulo e puntò alla prima casa che sorgeva sul borgo, usando più gas di quanto avrebbe voluto e riavvolgendo rapidamente i cavi metallici.

Era ancora in volo quando non sentì più il gigante correre.

Attese comunque di sentirsi al sicuro sul tetto alto, prima di voltarsi.

Proprio mentre volgeva lo sguardo indietro, un urlo straziante squarciò il silenzio della campagna al tramonto.

Inginocchiato accanto al corpo fumante del suo simile, Drei stava ancora urlando. Nina lo osservò, cercando di comprenderne il comportamento, mentre oltre il bosco, la testa di Zwei iniziava a sparire oltre le corolle degli alberi, così come ogni sera.

Poi il quattro metri fece qualcosa di ancor più assurdo.

Lanciando ancora qualche grido, seppur più flebile, portò le mani al terreno, iniziando a strappare grandi porzioni di terra, scavandola via con le unghie fino a disintegrarsi le mani, che presero a fumare.

Nina era così sconvolta da quella vista da non riuscire a far nulla se non tremare.

Sembrava provare dolore.

Sembrava provare dei sentimenti veri.

E lei non poteva accettarlo.

 

 

 

 

 To find myself again
My walls are closing in
I've felt this way before
So insecure

 

 

 

Anno 845

Tempo di cambiamenti.

 

 

…Ragion per cui, qualora fossi io venir scelto per ricoprire la carica di Comandante della Legione Esplorativa, toglierei la metà dei fondi alle zone interne di Trost e Nedlay, in favore dei distretti di Shigashina e Briemer. Per quasi un secolo, queste località sono state messe in secondo piano, ma ora basta! I distretti esterni sono il cuore della Legione, il luogo da cui noi usciamo, che nulla mancano rispetto alle sedi principali, se non nella cura delle caserme e nel numero dei soldati. Non ci saranno più quartieri generali di serie A e B, ma solo un unico, grande organico paritario.”

La fine del discorso di Schäfer venne accolta con uno scrosciare di applausi più o meno convinti. Nina lo fece giusto per educazione, mentre i suoi occhi indugiavano sulla figura di Erwin, seduto in prima fila, a qualche metro da lei. Erano quasi sei ore che se ne stavano seduti su quelle sedie e ormai non le doleva solamente il sedere. Le faceva anche male la testa.

Non ne poteva più di discorsi, tattiche, pratiche burocratiche e altisonanti puntualizzazioni.

Ormai tutti avevano capito l’aria che tirava e continuare su quella linea sembrava quasi un insulto all’intelligenza collettiva.

Shadis lasciava la Legione e aveva designato un successore che non tutti approvavano.

Non c’era altro da sapere.

I soldati di Trost l’avevano saputo al ritorno da Yule, mentre fuori imperversava una tormenta di neve che nascondeva la vista del cielo e delle campagne attorno a Irsee. Il Comandante dell’esplorativa aveva detto tante parole belle infiocchettate, ma il succo era uno solo: non si sentiva di continuare e aveva chiesto un preavviso di quattro mesi in cui sarebbe stato nominato il suo successore.

Erwin, per la precisione.

Quell’impegno enorme era piombato sulle spalle del biondo un po’ prima di quanto l’uomo aveva previsto, ma non si sarebbe tirato indietro. Non una volta arrivato così vicino a vedere esaudite le sue speranze. Aveva grandi piani, aveva dei sogni e non si sarebbe fermato, non dopo aver lavorato così tanto per arrivarci. Nina glielo leggeva in faccia che, nonostante la sorpresa, Erwin non aspettava altro.

Zackley, che fra tutti pareva il più annoiato e stanco da quella situazione pesante, guardò il Capitano Schäfer tornare al suo posto, tenendo fra le mani i fogli su cui aveva annotato pochi dettagli circa il discorso appena concluso.  Per anzianità, il posto di Comandante sarebbe dovuto andare a Katz, sovraintendente di Renin, che aveva terminato l’accademia addirittura prima di Shadis. Non era stato però nemmeno preso in considerazione, così come nessuno proveniente dalle zone dell’est. La vera guerra si combatteva fra Trost e Shigashina, visto che persino Erik Schmitd aveva ritirato la candidatura che i suoi uomini avevano portato avanti, sostenendo che anche Briemer avrebbe appoggiato Smith, se Nora Kessler non fosse tornata in Legione, lasciando la Gendarmeria per governarli.

Nina lanciò uno sguardo proprio a Schmitd, mentre Erwin si alzava, sistemandosi la giacca e salendo sul gradino per fare a sua volta un discorso.

“Che noia” fu il solo commento divertito dell’uomo del nord, mentre alla sua destra il Caporale Scwartz e il Capitano Jürgen commentavano quel discorso sottovoce, la prima felice della proposta in quanto stanziata a Briemer e il secondo, di Nedlay, un po’ meno allegro “Ci vorrà ancora molto? Mangerei un cinghiale intero.”

La dottoressa, che di quelle lunghe e deleterie riunioni non ne aveva mai viste prima (e per questo quasi rimpiangeva la promozione), portò una mano a nascondere le labbra piegate in un sorriso, mentre rispondeva “Anche io. Tra poco la mia pancia parlerà per me.”

“Infondo è una farsa” proseguì Mike, seduto alla sinistra di Nina. Anche lui era stato proposto, visto che era addirittura più grande di Erwin di qualche anno, ma velocemente Zacharius si era tirato indietro, sostenendo di aver fiutato più lati negativi che positivi in una tale promozione “Schäfer più chiedere tutte le votazioni che vuole, ma il successore viene stabilito dal Comandante in carica da sempre. Se Shadis vuole Erwin, lo avrà.”

La bionda annuì piano. Sapeva che suo fratello sarebbe stato giudicato il più idoneo anche solo per le sue competenze, oltre al fatto che tutti avrebbero votato per lui. Prima fra tutte il Comandante Kessler, che lo stava guardando proprio in quel momento mentre Erwin si preparava a parlare, senza nemmeno aver annotato una parola preliminare. Dietro alla bella donna, Friedelhm fece l’occhiolino a Nina, sporgendosi poi verso Doak per dirgli qualcosa che fece sghignazzare sotto i baffi l’uomo.

Il discorso del Capitano Smith iniziò.

“Sono tanti gli aspetti dell’attuale gestione che cambierei e, per la maggior parte, non mi sento di imputare colpe al Comandante Shadis.”

Tutti lo stavano guardando in silenzio, fremendo per ciò che l’uomo aveva da dire. La sua reputazione lo precedeva, senza contare che era il pupillo di non uno, ma di due Comandanti con una certa levatura. Tutti si aspettavano grandi cose da lui e Erwin non aveva intenzione di deludere le aspettative di nessuno. “Lo spreco di risorse a nord è la mia principale preoccupazione.” Accanto a sé, Nina poté sentire Erik rizzare la schiena a quelle parole, mentre qualche sedile più in là, il Caporale Scwartz e il Capitano Jurgen smettevano definitivamente di parlare sotto voce. La questione del nord, come la chiamavano coloro che vivevano sotto Nedlay, era delicata e Nina non si era di certo stupita quando suo fratello aveva iniziato da lì “Il Capitano Schäfer ha parlato di dar più fondi ai distretti esterni, di dare finanziamenti laddove c’è bisogno per le uscite e levarne alle città dell’interno. La mia domanda è: di quali soldi parliamo? Tutti sappiamo che di soldi non ce ne sono.” Ancora, silenzio. Aveva toccato il punto critico, quello che nessuno voleva mai affrontare, ma che era tristemente alla base di ogni problema dell’esplorativa: il costante bisogno di fondi che non arrivavano. O mangiavano o compravano attrezzature di qualità, pagavano i soldati e mantenevano i loro quartier generali. I soldi erano la loro principale preoccupazione.

Non i giganti. 

“Tutti sappiamo che la Legione spende più di un terzo delle tasse complessive dei cittadini  delle Mura nell’arco di sedici mesi.  In molti si chiedono se sia possibile chiedere più stanziamenti, pagare allo stesso modo i soldati del nord e quelli del sud, delle sedi principali e le succursali esterne. Quello che mi chiedo io è invece se abbiamo davvero bisogno di tutte queste caserme.” Fece una pausa, spiando la platea senza davvero guardare nessuno, anche se ogni singolo partecipante alla riunione si sentì trafitto dal suo sguardo penetrante “Se sarò io a prendere il posto del comandante Shadis mi impegnerò al fine di creare soli due nuclei primari. Sopprimerò non solo le caserme ad ovest e est, dove non possiamo mantenere dieci o quindici uomini in panciolle tutto l’anno. Prenderò anche un provvedimento per quel che riguarda Briemer e Shigashina, spostando i soldati di istanza lì nelle caserme militari di Trost e Nedlay, chiudendo anche il quartier generale di Irsee, poiché le caserme della Guarnigione sono anche a disposizione dell’esplorativa e vanno benissimo per alloggiarvi gli uomini. Non possiamo permetterci un tale dispendio di moneta. I soldi che verranno stanziati andranno solo a sfamare e allenare i soldati, ottenendo così molti più fondi per le spedizioni che sono e sempre saranno la nostra priorità. Non sono d’accordo con il Capitano Schäfer. La Legione esplorativa ha come unico compito quello di andare oltre le Mura e indagare la natura dei giganti, non di far  vivere una bella vita ai suoi uomini sulle spalle dei cittadini. Le basi di Hanneke e di Irsee sono superflue, così come avere sei nuclei diversi di soldati. Saranno solo due, quello del sud guidato da me e quello del nord guidato da Erik Schmidt che avrà la delega non solo di Capitano decorato del nord, ma anche di secondo in carica al Comandante che poteri quasi uguali.”

Appena Erwin smise di parlare ci fu silenzio, che però venne presto squarciato dal malcontento di coloro che si vedevano privati di posizioni e basi. Erwin non gli diede peso e in ogni caso, bastò una mano alzata di Zackley per porre fine a ogni diatriba “Credi sia possibile realizzare un simile progetto,Smith?” chiese il Comandante Supremo dell’esercito, incrociando le mani sulla scrivania.

“Non solo lo credo possibile, sono pronto anche a portarlo avanti e realizzarlo nel giro di massimo tre anni.”

Fu il turno di Pixis di parlare, questa volta “In tre anni riformeresti completamente la Legione esplorativa? Non sono mai stati effettuati dei cambiamenti così radicali in nessuna branca dell’esercito. Credi davvero di riuscirci, ragazzo?”

Erwin lo guardò, portando le braccia dietro alla schiena “Non lo credo. Ne sono certo. Possiamo fare il doppio delle uscite e avere anche delle attrezzature e dei ranci degni di questo nome. Non ho paura di pestare qualche piede per garantire ai miei uomini il meglio. Al nord non è possibile effettuare delle uscite oltre le Mura  in inverno, ciò significa che manteniamo dei soldati a far nulla per quanti? Almeno sei mesi? Lassù il clima è rigido per molto tempo. Possono uscire da Renin o da Pereta, nel frattempo. Se sono di istanza a Nedlay, poi, sarà molto più semplice per tutti comunicare evitando i passi di montagna impervi. Uno dei miei uomini è rimasto bloccato a Briemer quando ha portato le disposizioni di Shadis, lo scorso novembre. Queste cose non possono e non devono succedere. L’efficienza sarà la mia priorità.”

Pixis l’aveva guardato con una strana luce negli occhi, mentre il Comandante Kessler, che pareva compiaciuta, aveva lanciando un’occhiata a Zackley “Abbiamo bisogno di parlarne ancora per molto? Ho delle questioni da sbrigare poi Shadis, con  buonsenso, ha già scelto il Capitano Smith.”

Nina guardò nuovamente verso Erik e gli uomini del nord, che si erano fatti assai seri. In caso di una votazione per alzata di mano, forse non sarebbero stati più così entusiasti di votare per suo fratello.

“Non è buona la situazione, vero?”

Nina si era sporta verso Mike e Hanji, i cui occhi saettavano da una parte all’altra della stanza “Non lo so. In realtà potrebbe esserlo ma…. Non credo che i valenti uomini del nord o i soldati del sud siamo molto felici, al momento.”

“Quel che dirà Erwin sarà legge” decretò secco Mike “Chi non ascolterà, potrà andare alla forca.”

“Ho solo un’altra domanda” Zackley guardò verso Erwin, accavallando le gambe sotto al tavolo e sporgendosi verso lo schienale, mentre ormai tutti arrivavano a capire perfettamente l’aria che tirava. Anche un tardo ci sarebbe arrivato, soprattutto perché a Schäfer non era stata chiesta nemmeno una delucidazione, come se le sue parole non avessero avuto alcun peso. “Come regoleresti il nord, se è così tanto complesso da tenere in riga? Che compiti affideresti al Capitano Schmidt?”

Erwin si umettò le labbra, guardando proprio verso il vecchio amico e leggendoci la disapprovazione velata che sapeva avrebbe albergato la sua espressione “Con stessi poteri, o quasi, intendo dire che a Erik Schmidt andrà la discrezione per le uscite, se il Comandante Supremo Zackley approverà la mia proposta. Il nord e il sud saranno due poli indipendenti, evitando così attese e scartoffie. Inoltre, la paga sarà la medesima, a costo di scalare un po’ di monete dai soldati di Trost. Siamo tutti legionari allo stesso modo e un Caporale del nord vale tanto quanto uno del sud.”

Non ci furono altri discorsi, ne altre domande.

Zackley alzò gli occhi sul volto di Erwin, sfilandosi gli occhiali come per guardarlo senza filtri “Non so se sto per fare la cosa giusta. Il tuo ardore…. Mi spaventa, Smith” attese ancora un attimo, prima di incrociare le mani sotto al mento “Nonostante questo mio pensiero personale, rispetterò il volere del Comandante in carica come è sempre stato. Erwin Smith, a quattro mesi da oggi subentrerai al Comandante Shadis e allora disporrai questi cambiamenti. La seduta è tolta, andate a mangiare.”

“Che bella notizia!” E Pixis fu il primo a saltare in piedi.

Friedhelm, si alzò lentamente, stirando le gambe mentre con lo sguardo cercava gli occhi della sorella, seduta fra i legionari. Quando li incontrò le fece segno di raggiungerlo e a quel punto, Nina si alzò a sua volta. Non ne poteva più. Non credeva che diventare il Primo Ufficiale Medico di Trost avrebbe comportato anche quel genere di noiosissime incombenze.

“Ci vediamo dopo.”

“Non ubriacarti senza di me! Ordine del tuo caposquadra, Nina!”

Il Sergente Müller sorrise ad Hanji, prima di sfilare fra le sedie, appoggiando anche una mano sulla spalla di Erik che a sua volta stava cercando di liberarsi per raggiungere Erwin. Era arrivato il momento non solo delle congratulazioni, ma anche di parlare per bene dei piani non decisi in comunione.

“Quell’idiota di Smith. Pensa di appiopparmi gli uomini di Briemer? Gliela farò vedere io!”

Passando, Nina colse questa frase. Riconobbe subito chi l’aveva pronunciata, anche se nessuno li aveva mai presentati  “Capitano Jürgen di Nedlay?” questo si era voltato, guardando la giovane dottoressa un po’ spiazzato. Sapeva benissimo chi le fosse e forse temeva che l’avesse sentito parlare così del fratello. Peccato che alla ragazza poco importasse di quella faccenda ancora così astratta“Sono Nina Müller” aveva quindi porto la mano, sorridendogli e attendendo di sentirgliela stringere “Mi dispiace disturbarla, ma mi chiedevo se potesse portare i miei saluti a Friederich Meier. Lo conosco da molto tempo e un saluto è più veloce di una lettera. Ora, con permesso” passò fra lui e il Caporale Schwarz , sorridendo delicatamente anche alla donna, infilando poi le mani nel cappotto lungo marrone con le insigne della Legione e del suo grado, prima di affiancarsi a Fried che la guardava in attesa “Possiamo andare”

“Gli permetti di parlare così di Erwin?”

“Chi sono io? La sua balia? Erwin è abbastanza grosso da capire che non può far contenti tutti.” Lo guardò vagamente divertita, prima di prenderlo a braccetto, andando proprio verso il Capitano Smith, che ancora non pareva aver a fondo realizzato cosa stesse succedendo. Forse erano le mani di Nora Kessler, appoggiate alle sue guance, a distrarlo.

 

“Quindi è andata male?”

“No, è andata bene, ma sei ore di riunione, a sentir parlare un po’ tutti gli alti ufficiali dell’esercito, sono state dure. Ti ho pensato parecchio: sicuramente ti saresti alzato e te ne saresti andato a metà del discorso di Shadis, visto che è durato un’ora e un quarto.”

Levi aveva alzato gli occhi dalla mela che stava tagliando a spicchi, portandoli sulla figura di Nina, in piedi a pochi metri a lui. Avevano trascorso quella domenica mattina di riposo ad allenarsi con il modulo per lo spostamento tridimensionale e la bionda stava ancora cercando di capire come utilizzarne i comandi adoperando l’anulare e il mignolo, tenendo così la lama sinistra al contrario, come faceva sempre Levi quando si dava lo slancio per affettare per bene il collo di un gigante. “Quindi presto tuo fratello sarà il grande capo? Speriamo di avere dei vantaggi e un aumento di stipendio.”

“Erwin farà un buon lavoro, maledetto opportunista.”

Il moro la guardò quasi annoiato e Nina non seppe dire se stava o meno scherzando. Si limitò ad abbassare il braccio, portando la mano libera alla spalla e massaggiandola piano. Sentiva tutti i nervi tesi e nel profondo del cuore sapeva che non sarebbe mai guarita del tutto. La polvere da sparo ha di per sé un impatto terribile sulla carne, i pallettoni poi…

Doveva ringraziare Hans Lobov e sperare che, ovunque l’avessero rinchiuso, gliela stessero facendo un po’ pagare.

“Ti fa male la schiena?”

Nina alzò gli occhi chiari sull’uomo che ancora sedeva sul tronco sdraiato a terra di una betulla, guardandolo portarsi uno spicchio alle labbra. “Quest’inverno è stato più duro per le artriti che per gli allenamenti” disse divertita, con tono ironico, mentre avanzava verso di lui, rinfoderando la lama per potersi sfilare il modulo da attorno ai fianchi. Quando si sedette accanto a lui, Levi le passò metà del frutto, finendo di masticare velocemente mentre le faceva segno di voltarsi in modo da fargli vedere la parte lesa “Guarda che sono io il medico.”

“Stai zitta e girati” fu la sola risposta che ottenne e, facendo un conto veloce degli insulti coloriti che Levi di solito riusciva ad inventarsi, era stato quasi gentile. Non se lo fece comunque ripetere, spostando la treccia sull’altra spalla mentre sganciava la mantella verde. Sotto di essa non indossava la divisa di servizio, ma un maglione nero e un paio di braghe color crema, oltre ovviamente all’imbragatura. Aprì la fibbia al centro del petto per sfilarsi quando possibile la parte superiore, abbassando le cinghie mentre Levi spostava il maglione di lana grezza dalla spalla, portando la mano fredda sulla zona ferita e causandole un brivido, oltre che un immediato sollievo.

Faceva ancora freddo, nonostante fosse il primo giorno di marzo. La neve si era sciolta e il cielo era più limpido del solido, ma l’aria attorno a loro odorava ancora di un inverno che non sembrava intenzionato a cedere campo molto preso alla primavera. Lasciò che l’uomo lavorasse sulla sua spalla, cercando di scioglierle i muscoli,  seppur i suoi modi fossero un po’ bruschi, Nina si sentì subito meglio. Inclinò di lato il capo così da dargli più accesso alla zona interessata, mentre finiva quella metà di mela, guardando verso il limitare del bosco, fra le fronde, la figura del Quartier Generale che si stagliava innanzi a loro. Non era nemmeno mezzogiorno e non si vedeva nessuno lì attorno, eccetto i poveri cadetti di ronda sulle mura. Gli ufficiali, i quali potevano godersi la domenica come giorno di libertà, difficilmente si sarebbero visti in giro prima del pasto.

“Vuoi allenarti un po’ nel corpo a corpo?” chiese lei quando le mani dell’uomo si abbassarono, dopo averle sistemato il maglione e sollevato nuovamente il supporto di cuoio delle spalle, collegato al solito labirinto di cinghie e fibbie.

…No.” La risposta ci aveva messo un po’ ad arrivare. Levi aveva appoggiato la fronte sulla schiena di Nina, al centro esatto, poco sotto all’attaccatura del collo. Lei era rimasta ferma, con un sorrisetto sulle labbra e la mantella in  una mano, mentre l’altra andava ad appoggiarsi sul ginocchio dell’altro.

A un occhio esterno, le dinamiche tra loro non dovevano sembrare cambiate. In realtà, da quella notte sul tetto di casa Müller a Stohess, tutto era cambiato.

Ad iniziare da piccoli, insignificanti dettagli come quel contatto fisico che Levi sembrava non voler mai richiedere, ma di cui aveva bisogno, seppur nascondesse ogni richiesta in una muta presa di posizione. Nina, dal canto suo, si era sempre sentita brava a  capire le persone; non l’avrebbe forzato a darle più di quanto lui voleva ed erano quei momenti di solitudine che le facevano capire che ciò che lui aveva intenzione di darle, era esattamente quello che lei in fondo avrebbe chiesto.

Si era riscoperta innamorata di ogni aspetto del carattere difficile di quell’uomo strano, a tratti incomprensibile. Aveva capito che sotto ad un primo strato di ghiaccio, nel quale aveva rinchiuso il suo cuore molto tempo prima di crescere e diventare ciò che era, c’era forse l’uomo più buono e gentile che aveva mai incontrato. Perché questo era Levi, una persona buona. Lo vedeva prima di tutto nel suo modo di rapportarsi con lei, nel suo modo di confrontarsi con gli altri, facendo ogni giorno sempre più passi avanti verso l’integrazione in quella comunità che infondo gli era stata imposta.

Levi non sarebbe mai stato un uomo da grandi dimostrazioni d’amore o discorsi impegnati.

Rimanevano però quei loro momenti di intimo silenzio, seduti su un tronco, nascosti dalle fronde degli alberi.

Lentamente si sporse in avanti per farlo scostare, prima di sollevarsi quel tanto che bastava per voltarsi e fronteggiarlo, andando ad appoggiare le gambe sulle cosce dell’uomo. Scivolò in avanti, appoggiandogli le mani sulle spalle, mentre i loro sguardi si allacciavano. Poi, quando lui le concesse di baciarlo, quasi come se ogni volta Nina dovesse chiedere il permesso, portò un braccio sulle sue spalle, chiudendosi ancora di più contro di lui.

“Allora torniamo a letto” sussurrò quindi sulle sue labbra, soffiandoci sopra quelle parole solo una volta che il bacio venne interrotto, “Ce lo meritiamo.”

Eccome. Erano in piedi dall’alba, quasi come se quello fosse un giorno come ogni altro e non una pausa dalle incombenze militari. Si alzarono insieme e Nina allacciò il bottone della mantella, battendola sul naso di Levi mentre la appoggiava sulle spalle. Ridacchiò di fronte alla sua espressione per niente divertita, imitandolo nell’indossare nuovamente il modulo. Uscirono dal bosco ripassando gli schemi che avevano studiato quella mattina, così come le regole base che Levi si era dato per l’abbattimento dei giganti.

Anche se facevano parte di due diverse squadre – Levi era finito, come previsione, nel gruppo di comando del Capitano Smith  insieme ai migliori mentre Nina era stata destinata alla squadra scientifica di Hanji- gli allenamenti continui li avevano portati a impararsi qualche tattica di attacco in coppia. Levi poi sembrava particolarmente portato nell’inventare complicate sequenze, amante come era della ‘pulizia’ di movimento. Stavano attraversando un pezzo di campo quando, in arrivo dalla strada principale che conduceva Trost, videro avanzare un carro carico di oggetti, anche di grandi dimensioni. Esso non prese il bivio che conduceva verso il villaggio di Irsee, procedendo molto lentamente verso il castello della Legione.

“Chi viene a rompere i coglioni di domenica?” chiese Levi con tono piatto, mentre Nina portava una mano sugli occhi per schermarli dal sole.

“Che sia un mendicante? Se vende stoffe dovremmo prenderne un po’ per rifare le tende degli alloggi degli ufficiali.”

Tch, sempre a pensare ai vostri comodi, maledetti graduati.”

“….Levi anche tu dormi nell’alloggio di un ufficiale. Nel mio, per la precisione.”

E andava anche detto che quella stanza non aveva mai brillato così tanto come da quando Levi aveva deciso di trasferirsi lì, abbandonando definitivamente il rumoroso e caotico dormitorio dei soldati semplici.  E non gliene fregava niente del fatto che fosse contro ogni regolamento interno.

Il cigolio che caratterizzava l’avanzare del carro si fece via via sempre più nitido, mentre i due procedevano allo stesso modo verso il castello. Solo quando furono vicini abbastanza da poter distinguere la figura alla guida del mezzo trainato da due asini dall’aria stanca e malandata, Nina esplose in un grido “Non posso crederci!” esalò semplicemente, prima di iniziare a correre in quella direzione, lasciando lì senza una spiegazione il povero Levi.

“Esaltata” fu di fatti il commento del moro, mentre la seguiva a passo sostenuto, senza però agitarsi troppo. Vide il carro fermarsi e una piccola figura, che da quella distanza gli parve di un bambino, scendere con un saltello. In meno di un battito di ciglia lui e Nina erano abbracciati.

Ci mise il suo tempo a raggiungerli e solo quando fu proprio accanto a loro, pronto a urlare qualcosa per coprire il loro chiacchiericcio insopportabile, noto che quello non era affatto un bambino, ma un uomo sorprendentemente basso. Persino più  basso di lui.

Non riuscì ad attribuirgli un’età precisa, perché quel volto dai tratti sottili e dai grandi occhi color pervinca, parzialmente nascosti sotto ai capelli che parevano tantissimi fili lisci e lucidi d’argento, sembrava avvolto da un’aurea misteriosa. Sorrideva pacatamente, guardandolo incuriosito mentre Nina lo metteva al corrente di ciò che stava succedendo.

“Sono tornato dalla mia licenza anche per questo motivo. Volevo vedere cosa sarebbe successo ora che Shadis ha intenzione di ritirarsi. È così eccitante, ci saranno sicuramente intrighi politici!”

Quando parlò, la voce squillante non tradì però una sfumatura prettamente maschile. Levi aveva quasi pensato che quella potesse essere una donna in effetti, forse a causa della corporatura magra, così esile e filiforme che secondo una stima approssimativa del moro, non avrebbe mai potuto reggere la forza applicata dalle cinghie del movimento tridimensionale. Non era un soldato, quindi?

“Questo curioso essere umano chi è?” chiese proprio il nuovo arrivato, sporgendosi verso Levi per guardargli bene il viso “Ah, riconoscerei quegli occhi ovunque…. Sei un Ack-

“Chi cazzo è questo tizio?”

Il modo sbrigativo con cui Levi aveva interrotto l’altro aveva fatto intuire a Nina che, come sempre, il piccolo inventore non s’era smentito. Sorrise divertita, sapendo che era meglio non chiedere “Levi, ti presento il Tenente Pascal von Pedrick, il nostro Primo Ufficiale Ingegneristico. Pascal, questo è Levi e basta, è con noi dalla scorsa primavera.”

Nessuna mano venne porta a Levi, che ovviamente non la richiese. Si sentiva troppo sotto esame per essere anche solo vagamente a suo agio con quella macchietta degli occhi improbabilmente vacui e il sorrisetto sornione.

“ Ah, e basta eh? Ho capito, ho capito. Come darti torto, nemmeno io esibirei troppo le mie ‘referenze’ se fossi in te.” Con un saltello un po’ goffo, Pascal salì nuovamente sulla carrozza, invitando gli altri a fare lo stesso “Andiamo, andiamo! Devi proporre al Comandante la mia nuova invenzione!”

 

Pascal era in assoluto il meno probabile dei soldati della Legione. Minuto, tanto da parer quasi rachitico, con i capelli grigi lucenti,  perennemente spettinati e la camicia violetta allacciata alla meno peggio, avvolte saltando un passante o due.

Sembrava anche il meno probabile delle personalità pubbliche, ma quel suo modo d’essere sciroccato tradiva un nobile retaggio.

Egli era, di fatto, l’ultimo figlio maschio in vita della famiglia Von Pedrick, baroni e conti al servizio del re da secoli. Di casta antica, era membro di una delle casate più rispettate all’interno delle Mura, sebbene sarebbe stato quasi sicuramente l’ultimo rappresentante di essa. Aveva, in verità, una sorella maggiore, Ermenegarda. Lei, che sapeva ben discernere fra vita pubblica e necessità belliche, si era ben tenuta lontana dalla corte reale, dove la famiglia Von Pedrick aveva sempre avuto un poggio fra i consiglieri del re, e curava gli interessi terrieri della famiglia da sola, da quando Pascal aveva deciso di entrare nell’esercito e prendere le Ali.

Come già detto, era il meno probabile dei soldati, ma era un genio tale da far impallidire chiunque. Se avessero conosciuto Leonardo da Vinci all’interno delle Mura, sicuramente l’avrebbero paragonato a Pascal. Era brillante nell’osservare e nel creare. Sembrava nato per indagare la natura delle cose e la fisica. Un autentico luminare, che aveva venduto tutte le terre che gli erano state donate in eredità – la maggior parte alla sua stessa sorella – per avere soldi per potersi finanziare da solo ogni progetto. Era entrato in Legione per non avere vincoli verso nessuno e un vasto, sconfinato mondo all’esterno da conoscere ed esplorare. Perché lui faceva questo: viveva per la sete di conoscenza.

Non era portato per fare il militare, va bene, ma era portato per cambiare il mondo. A iniziare da tutte le modifiche effettuate alla motoretta per lo spostamento tridimensionale, fino alla valvola per lo sfiato delle bombole per evitare lo spreco di gas, progetto che fra l’altro aveva portato avanti e concluso facendo lavorare il team ingegneristico prima di sparire per la licenza.

Appena arrivato aveva esposto a Shadis un nuovo progetto davvero ambizioso: una serie di canne di legno per poter fare il bagno in piedi, dentro a delle piccole cabine, così da risparmiare tempo e acqua. Non aveva ancora trovato un nome adeguato per quella straordinaria idea, ma avrebbe dovuto attendere per poterla realizzare, poiché l’aver inventato la doccia non lo salvò dall’addestramento tattico organizzato per il giorno successivo al suo rientro da quella ‘licenza indeterminata’. Che aveva richiesto qualcosa come due anni prima.

Nina lo sentì starnutire mentre, tutto impettito, guardava un albero alto dalle snodature contorte. La ragazza lo guardò con dolcezza, chiedendosi cosa potesse mai vederci. Gli sistemò la mantella sulle spalle, mentre si guardava attorno, cercando uno ad uno gli altri membri della sua squadra.

“Lo sapevo” stava esalando con un tono sconsolato degno di nota Moblit, tenendo una mano al cappuccio, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere “Ci siamo persi.”

“Non essere così negativo” lo riprese la dottoressa con tono divertito, lasciando lì impalato lo scienziato per avvicinarsi “Abbiamo ancora un giorno e una notte per arrivare al punto di ritrovo tattico, possiamo farcela.”

Il biondino la guardò scettico, prima di voltarsi verso Goggles e Keiji, che stavano spiando la sola mappa che il Comandante aveva concesso loro, sotto le fronte di un salice, per salvarla dalla pioggia.

Lo scopo di quell’addestramento era quello di verificare se ogni squadra aveva i requisiti per potersi definire tale e per poter sopravvivere all’esterno nel caso di un distaccamento dal corpo principale. Dovevano semplicemente camminare per boschi e raggiungere il luogo in cui  Shadis aveva installato un campo base e poi tornare indietro. Senza cibo, acqua o brande per dormire. Avevano a disposizione quarantotto ore per farlo e la partenza, la sera precedente così per andare incontro alla notte, era andata bene.

Ma poi la squadra quattro, chiamata anche la squadra di Hanji o la squadra dei matti, si era irrimediabilmente persa.

Nina non voleva dirlo ad alta voce, ma era d’accordo con Moblit. Era sicura di aver visto l’albero che tanto interessava Pascal almeno quattro volte nell’arco di due ore di cammino. Stavano girando intorno.

“Se ci avessero lasciato una bussola…” sussurrò amareggiato Moblit, con la mano sul viso, mentre il capo squadra spariva fra le fronte insieme a Nifa con la scusa di dover ottemperare a un bisogno fisiologico.

“Sei sempre così negativo, novellino” lo prese in giro Goggles, mentre il compare tracciava con un dito il percorso assegnato loro dal Comandante.

Andava detto che Moblit Berner non brillava di ottimismo, ma forse perché dopo soli due anni dal suo arrivo in Legione, ne aveva viste di cotte e di crude e un animo particolarmente sensibile come il suo un po’ ne risentiva. Non solo: era ancora un cadetto e come di tradizione, se si arriva a vivere abbastanza da vedere finita la propria prima missione oltre le mura,  ci si sente un vincitore o comunque uno sconfitto.

Lui si sentiva così, schiacciato, soprattutto dal numero di incombenze che Hanji gli riversava addosso. Nina, che era stata nominata seconda in comando della squadra, pensava seriamente che avrebbe dovuto cedergli il posto. Se anche Erwin la sfruttava come attendente personale, quanto meno non la costringeva a badarlo come in infante. Perché questo faceva Hanji, si comportava da bambina e Moblit doveva perennemente rincorrerla. Era arrivato anche a regolarle la vita in modo da renderla degna di essere vissuta, costringendola a non fare la notte sui libri e a farsi un bagno almeno una volta a settimana. Era stato acclamato dalla folla per quest’ultima presa di posizione.

Della sua stessa opinione, seppur non la esprimesse a parole per timidezza, c’era Alana Klein. Lei, che era ancora praticamente una recluta, visto che non aveva terminato l’anno di addestramento interno prima delle uscite, non faceva altro che tirarsi una delle due treccioline brune che le scendevano morbide fino al seno, guardandosi attorno. Alana aveva addosso due grandi responsabilità, insormontabili ai suoi occhi: prima di tutto aveva ben deciso di diventare un ufficiale medico senza aver mai seguito corsi sanitari, se non quello di primo soccorso durante l’addestramento. Nina aveva accettato di prenderla come apprendista- la sua prima apprendista, come lei lo era stata di Renson- nonostante questa lacuna, ma l’aveva riempita di libri e saggi di ogni tipo, riducendole così le ore di sonno, ma facendole spesso compagnia fino a tarda notte all’interno dell’infermeria. Secondariamente, Alana era la sorellina di Mira Klein, una delle più grandi promesse della Legione esplorativa. Eguagliare la sorella, fra i primi in combattimento e resistenza fisica e mentale, non sarebbe stato semplice e forse non ci avrebbe nemmeno provato. Non era invidiosa di lei, voleva molto bene a sua sorella, ma quell’eredità era pesante e scomoda.

Accanto a lei c’era poi Nicholas Ravenstein, che così come Nina, era stato spostato nel team scientifico per le sue conoscenze e la sua utilità. Nick era un eccellente inventore e costruttore, e per quanto si sentisse felice di poter lavorare nuovamente insieme al tenente Von Pedrick, come lui non era particolarmente amante delle scampagnate montanare.

La pioggia, che prese a battere insistente sui loro capi, raffreddando l’aria già di per sé gelida di marzo, scoraggiò ancora di più queste tre anime in pena, ma non Nina. Uno dei tanti vantaggi di avere Levi come maestro di vita era che la pioggia diventava il minore dei problemi, così come il freddo.

“Cosa sono questi musi lunghi?” domando all’improvviso il biondo con gli occhiali, sollevando il capo dalla mappa con un sorrisetto divertito. Mike Goggles, chiamato solo per cognome per evitare di confonderlo con Zacharius, faceva parte dei quattro veterani che componevano la squadra di Hanji. Portava sempre una barbetta incolta a sporcargli il viso se no eccessivamente immaturo per un uomo della sua età e gli occhi da felino, schermati dalle lenti, sembravano nascondere un perenne divertimento per il comportamento abbattuto delle reclute.

“Lasciali in pace” lo riprese subito Keiji Rotten, tirandogli una gomitata ben assestata sul costato che lo fece chinare in avanti con un leggero colpo di tosse, prima di alzarsi in piedi con la mappa arrotolata sotto al braccio “Stiamo sbagliato percorso” decretò infine, guardandoli tutti, in particolare il sergente Müller, “Se proseguiamo lungo questo sentiero ci ritroveremo a incrociare il percorso della squadra uno, Nina.”

“Così potresti salutare tuo fratello” commentò Moblit, saltellando da un piede all’altro in un patetico tentativo di scaldarsi.

“Qualcuno ha visto il capo squadra?” domandò leggermente stizzito Goggles, alzandosi in piedi e tirando una pacca sulla schiena dell’amico per vendetta, ma questi non parve nemmeno essersene reso conto.

A parlare fu una voce sottile, armoniosa “Sono andate a fare un bisogno, torneranno presto.”

Persino parlando di deiezioni, Fabian Hilger riusciva a suonare delicato e poetico. Anche lui era un veterano, poiché contava sette anni di onorato servizio in Legione senza averci rimesso nemmeno un arto. Il suo aspetto tradiva una certa forza, così come il suo modo di porsi: era alto, una pertica, con il viso dai tratti femminei e una lunga treccia di capelli color carota che scendeva quasi fino alla cintola. Capelli che le ragazze gli invidiavano. Alle spade preferiva la penna, poiché amava scrivere poesie d’amore e delicate descrizioni di paesaggi quasi onirici, ma era piuttosto abile anche nell’uccidere i giganti. Nulla pareva scalfirlo, né le missioni all’esterno, né i commenti alle volte crudeli dei commilitoni. Non si vergognava di chi era, perché avrebbe dovuto? Non aveva studiato le scienze, ma era stato giudicato sufficientemente intelligente per potersi integrare all’interno di un gruppo così specializzato. Era laureato in letteratura, prediligeva la compagnia di un buon libro a quella dei compagni in osteria. Anche lui era figlio di buona famiglia, ma non della Capitale. Veniva da Stohess, anche se lui e Nina non si erano mai incontrati prima dell’ingresso della ragazza nel corpo dell’esercito, figlio di uno dei capi della gilda dei mercanti. Francis Hilger vendeva sale, estratto dalle miniere a est di Pereta, ovunque all’interno delle Mura, rifornendo personalmente ogni distretto. Non riteneva Fabian degno di prendere il suo posto come il figlio minore e l’aveva messo di fronte a una scelta, una volta compiuti i dodici anni: la Legione esplorativa o un’accetta in mezzo agli occhi.

Un uomo che non ammetteva mezze misure.

Fabian aveva sofferto di quel distacco imposto col pugno di ferro e poca diplomazia, ma aveva scoperto cosa significasse avere una casa e una famiglia solo dopo essersi unito all’esercito.

Fin dal suo primo giorno di accademia si era legato a Nifa Hertz, anche lei veterana della quarta squadra. Esuberante e brillante, Nifa era l’anima ottimista del gruppo, quanto meno quella parte lucida e razionale che Hanji non poteva ricoprire a causa del suo carattere. Aveva molti bei vestiti, Nifa, che metteva nei momenti di licenza. Le piaceva acconciare il caschetto asimmetrico moro e compiere tutti quei gesti femminili che sembravano superflui per un soldato del suo rango, ma che la contraddistinguevano in mezzo agli altri.

C’era dell’estro in quel gruppo un po’ disomogeneo, Nina doveva riconoscerlo, ma fra loro si sentiva bene. Erano i meno seri della Legione, quelli perennemente sotto torchio perché in ritardo o fuori formazione, ma c’era già del cameratismo fra loro la prima volta che avevano cenato tutti insieme, prima ancora che Pascal si riunisse a loro dopo la sua latitanza.

Sinceramente, non si sarebbe aspettata una squadra migliore.

Erano nove individui insoliti, con punti di forza e debolezze differenti. Si compensavano bene.

Ma condividevano lo stesso pessimo senso dell’orientamento.

Avevano atteso il ritorno di Hanji prima di riprendere la marcia, scoraggiati dalla pioggia che non faceva altro che aumentare rendendo difficile il guardarsi attorno, con Nick che a un certo punto si era addirittura offerto di portare Pascal sulla schiena.

Quando avevano trovato un sentiero si erano imbattuti, come da previsione, nella squadra uno, chiamata anche la squadra di comando, con a capo il Capitano Smith.

Erano decisamente fuori rotta se erano arrivati a incrociare il percorso degli altri, ma Nina lo sapeva che Hanji l’aveva fatto a posta per farsi far strada.

Per niente scema.

“Andiamo Erwin, hai visto che tempaccio? Che importerà da che parte arriviamo, se arriviamo?”

Il biondo si era lasciato coinvolgere, sospirando divertito prima di far cenno alla squadra quattro di unirsi a loro.

Nina si era ritrovata a camminare affianco a Levi, senza quasi accorgersene “Siete patetici” aveva commentato senza colore il moro, guardandola da sotto il bordo del cappuccio verde, che gocciolava fradicio di pioggia “Questa scampagnata, per voi, deve sembrare la scalata di un monte.”

“Sei uno stronzo.”

La bionda aveva preso a raccontagli di come si fossero persi, tanto per ricalcare ancor di più la pessima figura, quasi andasse orgogliosa di quel gruppo disarmoneo di menti in continuo moto .

Il mal tempo però ci aveva messo del suo e la nebbia aveva reso difficile il lavoro anche per l’efficientissima squadra uno.

I suo membri erano ben diversi da quelli della quattro, Hanji li avrebbe definiti così zelanti da essere noiosi: allo scadere del mandato di Capitano di Erwin, in virtù della promozione a capo del corpo, sarebbero diventati quasi tutti capi squadra. Era logico pensarlo perché laddove Levi era quasi un novizio, gli altri erano tutti nell’esercito da almeno quattro anni. Le sole eccezioni erano Eld, dell’anno di Nina e una giovane recluta di nome Gunther Schultz, così meritevole da essersi fatta solamente tre mesi di addestramento supplementare, invece dei canonici dodici. Lars Faust era una leggenda, oltre che un uomo molto bello. Quando lui e Mira erano diventati Caporali, dopo aver concluso insieme l’accademia ed essere entrati in Legione, si erano sposati. Avevano una bambina, Johanna, che nel 845 aveva tre anni e viveva a Trost con i nonni materni. Erano entrambi degli assi del combattimento corpo a corpo e si erano guadagnati la nomea degli Sposi Sterminatori, per il numero elevato di giganti che avevano fatto fuori. Non potevano nemmeno sperare di competere con Levi, ma tra il divino e il normale, si erano guadagnati una buona posizione mezzana.

“Zoppichi, ti sei fatto male?”

Levi alzò gli occhi su Nina, scuotendo poi il capo “Quella brava persona di Helga Bohm mi ha buttato dalle scale quando ero piccolo e nessuno mi ha curato come si deve la caviglia.” Levi sbuffò, prima di concludere con una lapidaria sentenza sulla sorella della donna che l’aveva cresciuto, e di cui a Nina aveva già parlato in precedenza “Puttana di nome e di fatto, è riuscita a lasciarmi un ricordo di sé.”

Non c’era bisogno di spiegare che tutta l’umidità accumulata nelle ossa iniziava a farsi sentire negli acciacchi, perché la spalla di Nina faceva male da ancor prima di mettersi in marcia.

“Arrivato al campo base potrai sederti un po’, nonnino.”

“Vorrei tanto sapere perché ancora non ti hanno ammazzata.”

Non che lo pensasse davvero, ma Nina era sadica nell’infierire con gusto.

Particolarmente in quelle situazioni.

 

Il clima prese finalmente a migliorare solo dalla metà di aprile in poi. A quel punto, fu più semplice alzarsi la domenica mattina per addestrarsi. La bella stagione sembrava voler portar con sé un’aria diversa, ma era difficile dire se questo cambiamento sarebbe stato in positivo o meno.

Nina perse l’equilibrio, portando la mano al naso che sanguinava copiosamente e non riuscendo a cadere in ginocchio, nonostante la stilla di dolore che avvertì propagarsi da quel punto, solo perché ormai si era abituata a sopportarlo. Alzò lo sguardo verso Levi, schivando un calcio con una mezza capriola all’indietro che di aggraziato ed elegante non aveva nulla, per poi ritirarsi in piedi e fare qualche passo verso il bosco per guadagnare spazio.

“Sanguino” fu il suo solo commento, abbastanza neutrale, mentre guardava le dita sporche di liquido vermiglio.

“Lo vedo” rispose sagace l’uomo, sistemando le maniche arrotolate della camicia attorno al gomito, prima di attaccare di nuovo, deciso, notando che almeno era diventata brava a schivare “Smettila di scappare, rincretinita! Ce la fai o no a fare un attacco decente che sia uno? Vuoi dimostrarmi che non abbiamo buttato nella latrina sei mesi di allenamento?!”

“Mi stai uccidendo, Levi!” si lamentò lei, smettendo di tenersi il naso per potersi difendere, anche a parole “Non mi dai il tempo di attaccare!”

“Devi trovarlo il tempo di attaccare, Nina! Nessuno ti regalerà occasioni!”

Quasi non terminò la frase che ci riprovò di nuovo e stavolta il pugno andò a segno. Nina riuscì a deviarlo, tanto che al posto di colpirle lo stomaco le prese il fianco, facendole male, ma non così tanto. Fu solo a quel punto che mossa dalla rabbia e dalla frustrazione per quell’addestramento (Levi non era mai stato così cattivo prima, solitamente la lasciava provare senza attaccarla direttamente), che decise di rendergli pan per focaccia.

A condizioni normali non avrebbe giocato sporco, ma si sentì braccata e agì di istinto.

Gli tirò un pestone deciso sulla caviglia che sapeva essere più debole dell’altra, facendogli scappare un mezzo gemito di dolore per la prima volta da quando avevano iniziato a combattere nel corpo a corpo, l’estate precedente.

Poi lo afferrò per le spalle, tirandogli una ginocchiata nella pancia e riuscendo, non si sa bene come, a farlo cadere.

Aveva ufficialmente steso Levi, ma non contenta, si mise su di lui bloccandogli il braccio col ginocchio e tenendogli l’altro mentre con la mancina gli tirava il pugno più forte che avesse mai tirato in vita sua.

S’era fatta male, certo.

Ma lui di più.

Ancora ansante per i movimenti veloci, lo guardò voltare il capo di lato e sputare un po’ di saliva mista a sangue, prima di tornare a osservarla, impassibile.

Nina aveva ancora il pugno alzato quando realizzò.

“Ho vinto” decretò senza nemmeno provare a mascherare la soddisfazione.

“Una vittoria su un centinaio di sconfitte. Ti do atto, però, che hai saputo fare bene stronza.”

Nina sollevò il ginocchio, permettendogli di spostare il braccio. Levi portò entrambe le mani sui fianchi della giovane, spingendola con forza per ribaltare le loro posizioni e mettersi sopra di lei.

Lei lo lasciò fare, continuando a sorridere tra il compiacimento e lo smaliziato, con le braccia appoggiate sull’erba che ancora odorava di rugiada, mentre lo guardava negli occhi “Deve bruciare parecchio per uno come te perdere, vero?”

“Non che mi importi un granché, soprattutto se a battermi è una mocciosa con il labbro ancora sporco di latte a cui nessuno crederebbe.”

“Pensi già a come ti rovinerò la reputazione? Sei patetico.”

Levi si lasciò cadere al fianco della giovane compagna, portando le mani incrociate sul ventre mentre spiava il cielo sopra di sé.

Lei gli tirò una pacca giocosa sulla coscia con la mano aperta, prima di andare ad appoggiare il capo sulla spalla, anche lei con gli occhi ben puntati verso l’alto. Si sentiva davvero fiera di sé, ma non continuò ad infierire, preferendo altri modi per infastidirlo.

Come le così definite dall’uomo ‘chiacchiere senza capo né coda’, per esempio.

Girò il capo e lo morse sulla guancia, attirandosi uno sguardo ben poco soddisfatto “Quando ero piccola giocavo sempre con Erwin a trovare delle forme nelle nuvole.”

“Intellettuale” la prese in giro, guadagnandosi una pacca sullo stomaco. Le bloccò il braccio per impedirle di rifarlo “Non ho mai sentito una cosa così tanto stupida e tu ne dici parecchie nell’arco di una giornata.”

“Sei noioso, è divertente notare come ogni persona veda cose differenti all’interno del medesimo contesto” proseguì lei, imperterrita, prima di alzare la mano libera per puntare l’indice verso un punto preciso “Quella nuvola, per esempio, non ti sembra un cane?”

“Nina sei completamente pazza. Già prima non stavi bene per niente, ma ora che stai in squadra con quella folle quattrocchi ogni speranza di normalità è andata a fanculo.”

“Puoi provare, almeno per una volta, a farmi contenta?”

Di nuovo, Levi la guardò male. Poi, passando la mano sull’avambraccio della bionda, in quella che aveva tutta l’aria di essere una carezza, alzò lo sguardo verso il punto indicato “Oltre che pazza sei anche cieca. Quella è palesemente una stella.”

“Una stella?” insistette lei, socchiudendo le labbra per niente convinta “Ma dove la vedi, una stella? Guarda bene: ci sono le quattro gambe e la testa. Si vede persino il muso!”

“No” anche Levi alzò la mano, tratteggiando nell’aria una forma ben definita “Ci sono tutte le punte, Nina. Cinque punte, una fottutissima stella.”

“I tuoi occhi sono rotti.”

“Cretina.”

La bionda ridacchiò, sospirando piano mentre chiudeva gli occhi.

Il naso le faceva un po’ male, lo sentiva battere doloroso dove la botta era arrivata forte e chiara. Anche le gambe erano un po’ pesanti, perché nonostante le avesse rinforzate correndo e correndo durante l’allenamento, ancora faticava ad abituarsi agli scatti repentini che ogni buon lottatore doveva eseguire per evitare di farsi colpire e per ripagare a sua volta a suon di cazzotti l’avversario.

Come diceva sempre Erwin, non si fa un guerriero in un anno.

Nemmeno in cinque, in realtà.

Quel percorso era ancora ben lontano dall’essere giunto alla sua fine, ma quella piccola seppur memorabile vittoria le fecero capire che poteva anche lei fare qualcosa di grande. Se poteva buttar giù Levi, allora poteva fare tutto nella vita.

“Ti fa male la caviglia?” domandò, senza aprire gli occhi. Un’ombra ottenebrò il sole e lei se ne accorse nonostante aveva ancora le palpebre calate per il cambio di luce. Avvertì il respiro caldo dell’uomo sul volto, così socchiuse gli occhi dalle iridi irregolari, per guardarlo mentre troneggiava sopra di lei.  

Le mani di Nina andarono ad accarezzargli il viso, percorrendolo dagli zigomi fino alle labbra, passando col pollice sul taglio che ancora sanguinava, seppur appena. Lo tirò verso di sé, iniziando sin da subito a duellare con lui in un bacio mordace, sentendo il sapore ferroso della bocca dell’altro sulla lingua mentre Levi non perdeva tempo in convenevoli inutili e andava ad aprire la  prima fibbia dell’imbragatura di Nina.

Lei non oppose resistenza quando la sentì aprirsi sul petto, andando a fare lo stesso con quella dell’uomo, mentre questi si metteva in ginocchio fra le sue gambe e lei lo seguiva, sedendosi. Da lì iniziò l’intera operazione di svestizione, resa non poco difficoltosa dall’attrezzatura. Nina si sbarazzò della parte di tutte le cinghie in fretta, mentre Levi le apriva le fibbie sulle cosce e la cintura, andando poi a sfilarle rapido gli stivali. Con sapiente conoscenza, le mani ruvide del moro le accarezzarono la pelle tesa degli addominali e del ventre, quando lei si fu liberata anche della camicetta bianca, che andò a far compagnia al resto degli indumenti sull’erba.

Levi la spinse stesa con un altro bacio, mentre le sfilava i pantaloni della divisa insieme all’intimo, decidendo di farle la grazia di non sciogliere le bende elastiche che le tenevano costretti i seni. Fu Nina a liberarsene senza eleganza, sfilando la spilla da balia che andò a buttare dentro a uno degli stivali, non controllando nemmeno a chi dei due appartenesse. Ci avrebbe rimesso il suo tempo a vestirsi in ogni caso.

Quando si ritrovò totalmente nuda, esposta sotto lo sguardo dell’altro, non si sentì a disagio, così come non si era sentita così la prima volta che l’aveva spogliata e fatta sua. Al contrario del loro primo bacio, che aveva avuto la valenza e la grazia di una promessa d’onore da parte di entrambi, la prima volta che avevano fatto sesso non era stata così importante. Era stata la prima di molte, molte volte dopotutto. Memorabile e attesa da entrambe le parti, Nina non s’era nemmeno trattenuta dall’ammettere che vi aveva fantasticato su più e più volte, ma non era stata importante.

Nessuno dei due vedeva il sesso come un atto sul quale costruire intenti.

Nina aveva avuto già un altro prima di lui e Levi…. Non aveva detto il numero preciso di amanti che aveva avuto in vita, ma la giovane stentava di credere che un uomo così sicuro di sé, oltre che affascinante, si fosse risparmiato qualche avventura.

Per questo avevano giusto atteso di andarsene da Stohess, così da non rischiare di attirare ancora di più su di loro le ire di donna Adelaide, per potersi lasciare andare anche all’amore fisico. Era successo e basta, la prima sera appena tornati a Trost, dopo aver saputo che avrebbero presto servito un altro Comandante e con una tempesta di neve come non se ne vedevano da anni a far da sfondo.

Era stato naturale per loro capirsi, da uno sguardo, senza parlarne. Lei lo aveva invitato nella sua stanza e alla fine, quel letto, Levi non l’aveva più lasciato.

Nina però era consapevole che non era paragonabile a ciò che avevano condiviso su quel tetto, perché da quel singolo primo bacio, quasi casto rispetto al resto delle attività che potevano fare insieme e da soli, come in quel momento nel bosco, Levi aveva aperto una porta che non sembrava intenzionato a chiudere.

Giorno dopo giorno, Nina scopriva altri pezzi del passato di Levi, cose su Kenny, Helga, Gretha e la loro famiglia. Sentiva racconti su di lui e Farlan che crescevano insieme, di come avevano preso con loro Isabel, di come il loro mondo andasse avanti più lentamente e di nascosto, ma proseguisse. Fino all’arrivo di Erwin, in cui aveva avuto una battuta di arresto e aveva iniziato a girare in direzione opposta.

E ogni confessione arrivava sempre, fra un bacio e l’altro, dopo quegli attimi di cocente passione.

Senza esitazione, Nina aprì la cintura di Levi, andando anche a sbottonargli i pantaloni, mentre questi portava una mano al suo capo, slacciando il cordoncino di cuoio e lasciando cadere in una cascata dorata, i capelli della giovane sulla schiena nuda.

La tirò quindi sul suo bacino, aiutandosi con una mano e infine scivolando dentro di lei e dandole il ritmo per muoversi.

La testa di Nina divenne leggera, mentre i baci si facevano più confusi e voraci. Il piacere la consumò per prima e buttò il capo all’indietro, gemendo quasi disperatamente mentre il moro le baciava la pelle tempestata di lentiggini dello scollo.

“Levi” lo chiamò con tono ebbro, mentre un sorrisetto le nasceva sulle labbra “Mi fai sentire le campane…

Fece in tempo a finire di parlare, lasciando per altro cadere la frase che suonò come incompiuta, che l’altro le bloccò i fianchi, spingendoli verso il basso.

Nina tirò su il capo, guardandolo sorpresa da quella interruzione. Non fece però in tempo a parlare che udì qualcosa, in lontananza.

Istintivamente portò una mano ai capelli, passandovi le dita in mezzo per pararli indietro.

…Queste sono…” soppesò, prima di realizzare la gravità della situazione.

La Campana della Libertà non suonava mai a Trost, poiché il suo scopo era quello di avvisare dell’apertura delle mura sull’esterno e quindi su una potenziale situazione di pericolo. Se suonavano fin lì, all’interno, poteva esserci un solo significato.

“Deve essere successo di orribile a Shigashina” Nina non si diede il tempo di pensare ad altro. Si alzò dal ventre di Levi premendo le mani sulle sue spalle, mentre lui la guardava un po’ allucinato con i capelli spettinati sul capo e il petto visibile dalla camicia aperta imperlato di sudore così come la fronte “Se suonano le campane, la procedura vuole che corriamo immediatamente al quartier generale. Noi dobbiamo andare-”

“Nina!” La ragazza era in piedi, con in mano i pantaloni, nel panico. Si alzò a sua volta, cercando di ricomporsi, allacciandosi i pantaloni e la cintura “Devi calmarti. Non combinerai niente saltellando qua e la come una gallina senza la testa.”

Lei parve non sentirlo “Erwin è a Shigashina.”

“Lo so. Per questo devi calmarti.”

Annuì lentamente, cercando di stabilizzare il respiro mentre appoggiava la fronte sulla spalla dell’altro, chiudendo un attimo gli occhi. Per iniziare, doveva vestirsi. Poi avrebbero fatto ritorno e avrebbero domandato come era successo.

Infilò infimo e i pantaloni lasciando perdere le bende e allacciandosi la camicetta mentre Levi, che aveva giusto dovuto sistemarsi un po’ perché non s’era spogliato, iniziava ad assicurarle i primi pezzi delle cinghie alle cosce.

“Cosa pensi che potrebbe essere successo?” le domandò, con la calma nella voce, mentre le dava una pacca sul polpaccio per farle alzare il piede e passarle l’elastico della metà inferiore delle cinture.

“Un gigante potrebbe essere entrato nel muro di coda alla Legione” pensò lei, mentre infilava prima un braccio e poi l’altro sulla parte dorsale, allacciando le cinghie sotto alle braccia e sul petto. Il fatto di doversi bardare così ogni giorno le aveva fatto assumere una certa dimestichezza, ma era comunque un processo lento. Quando le rimasero solo gli stivali, prese la spilla da balia e se la ficcò in tasca, sedendosi poi a terra per infilarli “Una cosa simile è successa sessantacinque anni fa, ma quella volta un gigante fu fatto entrare intenzionalmente.”

Il moro annuì, passandole la giacca e prendendo la sua, insieme alle mantelle. Arrotolò su tutto, ficcandoselo sotto al braccio, mentre iniziavano a camminare in fretta verso casa “Fu quando misero al bando quella stronzata della religione sui giganti, no?”

“Sì, esatto, ma pensandoci bene potrebbe anche essere scoppiato un incendio nelle campagne. Non è necessario che sia successo qualcosa a Shigashina, no?”

 

All’interno della cinta muraria del castello di Irsee regnava il caos.

Soldati che correvano, sellavano cavalli, parlavano fra loro o fissavano impietriti verso il muro Rose, che si stagliava visibile a chilometri di distanza, oltre le fronte degli alberi.

Moblit!” Nina vide il compagno di squadra camminare con passo deciso verso di lei, pallido come un morto, “Moblit cosa-”

“Dobbiamo prepararci, Nina.” La sua voce tremava, mentre le parlava. Persino la mano che si appoggiò sulla spalla della ragazza non riusciva a non tradire una paura cieca, che negli occhi gialli del giovane si rifletteva nella sua paurosa interezza.

“Si può sapere cosa è successo??” chiese Levi, adocchiando Hanji che si dirigeva nella sua direzione insieme a Mike, il quale aveva il comando del quartier generale come membro più anziano presente.

Erwin e Shadis, per acquetare gli animi, si erano diretti a Shigashina dieci giorni prima per organizzare un’uscita con i soli uomini lì stanziati, per rifornire di provviste un avamposto nelle terre dei giganti e favorire un po’ il  nuovo Comandante Smith, che fra quelle persone non trovava favore.

“La situazione è grave” iniziò Zacharius, guardandoli serio come mai, mentre accanto a lui Hanji fissava la pavimentazione ciottolata, con il viso adombrato da un’espressione cupa.

Se persino lei aveva perso le parole, allora doveva essere davvero grave.

“Cosa è successo?” domandò Nina, sentendo che qualcosa doveva essere successo a Erwin.

Era il ventisette di aprile e lui era il Comandante della Legione solamente da cinque giorni.

Che le campane suonassero per lui? Era caduto combattendo? O forse era morto il re in persona?

Quel che disse Mike però fu centinaia di volte peggio di qualsiasi supposizione Nina e Levi potevano aver fatto.

Si prese un attimo, come per cercare di acconciare quelle parole, realizzando poi che non vi era modo di rendere meno nefasta quella notizia. Quindi parlò.

“I giganti sono penetrati nelle mura Maria attraverso il distretto di Shigashina. Le Mura sono state sfondate.”

 

Il mondo era già cambiato e l’aveva fatto silenzioso alle loro orecchie.

Il mondo era cambiato e l’aveva fatto per sempre.

 

 

 

Nda.

Non morta anche se ho postato un mese fa.

Lo so, sono in ritardo, ma tra una cosa e l’altra- e un esame dall’esito catastrofico- non ero in me per poter scrivere.

Finalmente, però, sono tornata e non intendo cedere terreno di nuovo.

 

….anche se ora sono in piena preparazione per il Lucca Comics quindi non vogliatemene se arriverò un po’ in ritardo di nuovo.

Mai così tanto però!

 

Questo capitolo è fondamentale per tre motivi: ciò che Nina vede nella prima parte, l’introduzione alla squadra nella seconda e beh…

La fine.

Il mondo che cambia e non torna più lo stesso.

D’ora in poi è bratta nera, signore e signori.

 

Non mi dilungo, penso sia meglio continuare a scusarmi per il ritardo.

Ringrazio che mi legge e chi mi recensisce, in particolare quelle dolcissime caramelline di Shinge e Auriga.

Grazie per tutto.

Ah si, e grazie anche a Luna per essere seduta di fronte a me, sul mio letto, nel tentativo di finire a sua volta il suo capitolo.

Che bello quando postiamo sincronizzate.

 

(muovi il culetto e scrivi susu).

 

Se qualcuno pensa di andare al Lucca Comics che mi faccia sapere, anche in privato.

Mi piace conoscere gente nuova v.v

Vi linko la mia pagina di FB, che mi sono resa conto non ho mai messo in questa storia, giusto per scrupolo:

https://www.facebook.com/chemicallady/

 

Detto questo vi auguro una buona giornata/buona notte in base all’ora in cui leggerete questo mio piccolo strazio.

A presto!

C.L.

 

Ps. Che schifo di note finali, scusatemi davvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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