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Autore: taisa    19/10/2016    4 recensioni
Per quanto possa essere complicata, rotta o distrutta, la famiglia resta sempre la famiglia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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FAMILY

 

Messaggio e messaggero

 

C’era una specie di tradizione in quel particolare ufficio, ogni nuovo indizio che riguardava un caso sulla quale stavano lavorando seguiva una procedura non scritta. Il primo a visionarli era sempre Vegeta, per il semplice motivo che a Goku non dispiaceva aspettare il suo turno, mentre il collega non aveva la pazienza di aspettare i comodi degli altri. Con gli anni di servizio, e per il quieto vivere, Goku aveva imparato ad attendere di poter leggere i documenti con estremo ritardo, mentre Vegeta si prendeva tutto il tempo per esaminare e verificare i fatti che gli venivano consegnati comparandoli con i suoi appunti scritti sulla scena del crimine.

Quel giorno in particolare era rimasto quasi una mezz’ora ad osservare le foto scattate dagli esperti. La testa china e una mano al mento in segno di profonda concentrazione. Dall’altra parte delle due scrivanie, Goku sorseggiò una bevanda energetica dondolando con apatia sulla propria sedia. “Cos’è questo?” domandò all’improvviso il collega, sollevando una delle fotografie e portandola più vicina al viso per esaminarla meglio. Goku inarcò un sopracciglio, non avendo ancora neanche dato un’occhiata ai referti. “Di cosa parli?” chiese a sua volta, sporgendosi per vedere ciò che aveva attirato l’attenzione dell’amico.

Vegeta lasciò cadere l’istantanea sulla superficie del tavolo, che scivolò in direzione dell’altro. Osservandola con attenzione, Goku non vide nulla di particolare, almeno non in un primo momento. Era una normale fotografia che ritraeva la scena di un crimine così come ne aveva viste a decine. Impiegò ancora alcuni istanti per capire cos’aveva attirato così l’attenzione del collega. Sullo sfondo notò qualcosa di peculiare sotto un cespuglio all’interno dell’immagine. “Sembra una palla” affermò dopo alcuni istanti, afferrando lo scatto per guardare meglio, come aveva fatto Vegeta poco prima. “Non c’è una foto in cui si vede meglio?” domandò poi, girando l’istantanea da un lato all’altro nella speranza di capire. Vegeta era già un passo davanti a lui, avendo cominciato a sfogliare le altre fotografie nella speranza di avere una migliore prospettiva sulla strana sfera dai brillanti colori arancioni.

Era stato proprio quello il motivo per la quale quel particolare oggetto aveva attirato la sua attenzione… in nessuna altra foto si vedeva nulla del genere. Vegeta poggiò sotto il naso dell’amico una seconda istantanea scattata da una prospettiva diversa, che però inquadrava lo stesso cespuglio. “Qui non c’è” affermò additando il punto in cui la prima foto mostrava la pallina misteriosa. Goku osservò con attenzione la seconda immagine, portando la sua attenzione da una all’altra, “Accidenti! Hai ragione!” esclamò pochi istanti più tardi, “Com’è possibile?”. L’altro ispettore si poggiò una mano al mento, pensieroso. “È tornato sulla scena” concluse Vegeta, “È qualcosa di importante ed è tornato per riprenderlo mentre la scientifica stava ancora lavorando”. Goku lo guardò con sgomento “Ehh! Stai scherzando?!” mormorò, poi si ricordò che Vegeta non aveva nessun senso dell’umorismo.

Mentre Goku stava ancora elucubrando sulla nuova scoperta, Vegeta si alzò dalla propria sedia dando un’occhiata all’orologio da polso. “Devo andare a prendere Bra da scuola” annunciò. Il collega sollevò lo sguardo su di lui, ricordandosi solo allora che l’amico aveva la figlia in custodia. Nel frattempo un pensiero passò per la sua mente “Ehi, Vegeta… come sta Bulma? È da tanto che non la vedo” chiese Goku, osservando l’altro. Vegeta era sul punto di afferrare la giacca dallo schienale della sedia, ma i suoi gesti si bloccarono all’improvviso. Ci fu un secondo di silenzio. “Si può sapere perché lo stai chiedendo a me?” mormorò l’ispettore a denti stretti, guardando l’amico di sottecchi. “Non ti sta ancora parlando?” continuò Goku, ma a questo Vegeta non rispose subito. Indossò la propria giacca, poi un risoluto “No” giunse dalle sue labbra.

Goku lo osservò per diversi istanti ancora. Le parole di sua moglie Chichi gli tornarono alla mente. Qualche tempo fa, mentre il discorso era finito sui due amici, Chichi aveva insinuato che a suo dire Vegeta era ancora innamorato della ex moglie. Per tutta risposta Goku l’aveva guardata come se fosse impazzita. Dopo aver chiesto spiegazioni lei gli aveva risposto “Perché ogni volta che qualcuno parla di Bulma ha sempre un’aria molto triste”. In quel momento aveva faticato a credere che quelle parole potessero essere vere, ma sua moglie aveva un certo intuito per queste cose. Più di vent’anni prima, quando Goku introdusse il suo nuovo irascibile collega alla sua esuberante amica d’infanzia, Chichi era stata la prima ad insinuare che tra i due ci fosse del tenero. Quando Bulma e Vegeta erano davvero finiti a fare coppia fissa, Chichi era stata l’unica a non esserne sorpresa.

In quel preciso istante, Goku vide lo sguardo triste di cui parlava sua moglie sul viso dell’amico.

Vegeta era a pochi passi dalla porta quando Goku richiamò la sua attenzione per l’ultima volta. “Tu e Bra potreste venire a mangiare a casa mia, una di queste sere. A mia nipote piace giocare con tua figlia” lo invitò. Per un attimo il collega sembrò pensarci, poi uscì dall’ufficio seguito da un “Hn” che detto da chiunque altro non avrebbe avuto molto senso. Nel linguaggio di Vegeta poteva essere interpretato con un “Vedremo”.

 

***

 

Quando uscirono dall’ufficio di papà stava già cominciando a calare la sera. Mezz’oretta di macchina più tardi, Vegeta trovò un parcheggio a cinque minuti di cammino dalla sua palazzina. Quella zona era un vero incubo per i posteggi e in molti avevano cercato di farlo notare a chi di dovere. Nel frattempo, mentre i cittadini stavano ancora aspettando di vedere una soluzione al loro problema, i residenti erano costretti ad accontentarsi. Vegeta non aveva nessun problema a camminare per cinque, dieci minuti o anche più a lungo per arrivare al suo appartamento, ma con Bra la situazione era diversa. Fu contento di aver trovato un parcheggio così vicino quel giorno, ma l’aria fredda della sera che stava ormai calando sulla città lo preoccupò un po'.

Guardò sua figlia scendere dalla vettura, lo zainetto sulle spalle e la giacca sbottonata. Non soddisfatto chiuse la portiera che le stava ancora tenendo aperta ad imitazione di uno chauffeur. Si chinò davanti alla bambina. Bra osservò le mani di suo padre allacciarle la giacchetta, “Non ho freddo” si lamentò, “Non m’interessa” le disse lui alzandosi e cominciando ad incamminarsi.

Bra lo seguì con lo sguardo per diversi istanti, poi lo raggiunse afferrandogli la mano, com’era sua abitudine. “Cosa mangiamo stasera, papà?” gli chiese. Vegeta ci pensò su, “Cosa vuoi?” s’informò ed il responso non si fece attendere. “Gelato!” rispose subito la bambina di sei anni e il padre sbuffò, “Tsk, quella non è la cena è soltanto un dolce” la informò solo vagamente seccato. Bra mise il muso, osservò i propri piedi, poi rivolse i suoi brillanti occhi azzurri sul viso del genitore illuminato dalle luci dei lampioni che stavano cominciando ad entrare in funzione. “Però posso averlo lo stesso?” incalzò lei, mentre cercava di mantenere il passo. Questa volta fu Vegeta ad assumere una smorfia, “Dipende” rispose vago.

“Mangeremo verdure” decretò infine l’uomo, cercando di ricordarsi il contenuto del proprio frigo. “Non mi piacciono le verdure” si lamentò Bra, mostrando la lingua con disgusto in un atteggiamento infantile. Vegeta ringhiò, “E allora cosa diavolo vuoi?” brontolò sull’orlo della propria pazienza. “Ah!” esclamò Bra additando suo padre, “Hai detto una parolaccia! La mamma non vuole che si dicano parolacce” affermò svoltando un angolo. Il padre roteò gli occhi in segno d’insofferenza, “Io non ho det…” si bloccò.

All’improvviso Bra sentì la mano del suo papà stringere la propria. Avvertì un leggero strattone che la riportò sui suoi passi, scoprendo ben presto di essere stata trattenuta dietro il muro che stavano aggirando un secondo prima. “Papà?” domandò con voce insicura, cercando di guardare l’espressione del genitore, avvolto nella penombra. Vegeta osservò dietro il muro per un istante più a lungo, poi fece alcuni passi indietro, costringendo la figlia a seguirlo. La fece roteare su sé stessa e prima che la piccola Bra potesse comprendere quanto stesse avvenendo, vide suo padre inginocchiarsi di fronte a lei.

“Bra” cominciò Vegeta in tono serio, “Ascoltami molto attentamente e non perdere una sola parola di quello che sto per dirti” lei annuì in un gesto automatico, per quanto si sentisse molto confusa. “Torna indietro, dove abbiamo parcheggiato. Non voltarti, non parlare con nessuno. In quella strada c’è un ristorante, non entrare dall’ingresso principale. Prendi la via parallela e bussa alla porta sul retro. Non dire chi sei e non fare nomi, chiedi di vedere urgentemente il proprietario” fece una breve pausa, “A lui e solo a lui devi dire che ti ho mandato io, lui capirà il resto. Digli che deve tenerti al sicuro finché non verrò a prenderti”. Ci fu un’altra pausa, questa volta più lunga, “E stai lontano dalle finestre” aggiunse.

In tutta la sua vita non aveva mai sentito il suo papà fare un discorso tanto lungo, ed unito allo sguardo misterioso che le stava rivolgendo la giovane comprese che non era quello il momento di fare domande. Ciononostante una certa paura cominciò a pervaderla. “Ma… papà?” mormorò confusa la bimba. “Non discutere con me, Bra. Dimmi solo se hai capito quello che ti ho detto” le ordinò, poggiandole le mani sulle spalle, Bra annuì. “Ripetimelo” impose, lo sguardo più serio del solito mentre scrutava gli occhi della figlia. Bra ubbidì. “Ripetimelo un’altra volta” ribadì suo padre, e di nuovo la bambina fece quanto detto.

Solo dopo aver sentito le istruzioni una seconda volta Vegeta parve soddisfatto. Si alzò, “Adesso vai. Ti raggiungerò tra pochi minuti” fu l’ultimo comando, ma questa volta la piccola esitò, “Vai, ho detto!” sbraitò l’uomo e la figlia, sul limite delle lacrime causate da una paura che non capiva, cominciò a correre nella direzione dalla quale erano venuti. Vegeta attese, senza mai perderla di vista, e solo quando fu certo che lei fosse abbastanza lontano si permise di sbirciare dietro la parete che lo stava riparando.

Alla luce di un lampione un uomo si era appoggiato al muro della palazzina a lui più vicina. Si stava guardando attorno con impazienza, attendendo di scorgere una persona in particolare. Era lì per lui, Vegeta non aveva dubbi.

In un gesto che aveva ripetuto più volte scostò la giacca per esporre il distintivo ancora allacciato alla sua cintura. Slacciò la fondina per permettergli di accedere all’arma in essa contenuta, la estrasse e verificò che fosse tutto sotto controllo, poi la rimise dove l’aveva presa. Tuttavia si assicurò di essere pronto ad estrarla in qualsiasi momento… non poteva rischiare. Un ultimo sospiro ed uscì allo scoperto.

L’uomo che lo stava aspettando lo riconobbe pochi istanti più tardi, gli sorrise in un’espressione malevola, attendendo di essere raggiunto. Lui era enorme, dalle spalle larghe, rese ancora più grandi dall’abbigliamento troppo piccolo che minacciava di esplodere, e dall’immensa statura che sembrava voler mettere in ombra l’intera via. Soprattutto se confrontato con il poliziotto, che in altezza non spiccava di certo. Vegeta però non aveva paura di lui.

“Guarda guarda, il piccolo Vegeta” lo accolse l’uomo, quando fu raggiunto dall’altro. “Cosa vuoi?” gli rispose, senza preamboli, osservandolo dal basso con aria tutt’altro che amichevole. “Ti sembra il modo di salutare una vecchia conoscenza dopo tutti questi anni?” disse l’altro affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. Vegeta lo guardò per un attimo, gli afferrò il bavero della camicia e lo costrinse ad abbassarsi alla sua altezza “Non mi piace ripetermi, Nappa. Ti ho chiesto cosa vuoi” ringhiò.

Il sorriso dell’uomo vacillò per un momento, “Ehi calma, io sono solo il messaggero” spiegò alzando le braccia in segno di resa. L’ispettore lo lasciò andare, ma solo dopo averlo spintonato, “Qualunque cosa tu abbia da dirmi sappi che non me ne frega un cazzo” Vegeta incrociò le braccia, lo sguardo fisso sull’altro con estrema serietà. Nappa si sistemò il colletto, ma scelse d’ignorare l’ultimo commento. Tossicchiò, “È arrivata la sentenza definitiva” cominciò “L’hanno condannato a due anni di carcere per falso in bilancio” spiegò, cercando di trovare la compostezza persa un secondo prima. Vegeta non mutò la sua espressione, “Hn, è allora?” volle sapere senza reale interesse… sapeva già tutto questo.

“Non vuole restare rinchiuso per due fottuti anni e vuole parlare con te” concluse Nappa, causando sul viso del suo interlocutore un’espressione contrariata. “Spero vogliate scherzare” rispose Vegeta, dopo svariati istanti, “Tu e il tuo capo potete andare a farvi fottere” “Andiamo, Vegeta” cercò di farlo ragionare l’energumeno in una specie di supplica. “No!” sbottò il poliziotto, poi fece un passo in avanti “Stammi a sentire, brutto deficiente, ti consiglio di sparire da qui. Sempre ammesso tu non voglia portare la nostra conversazione altrove” sibilò scostando la giacca quel tanto che bastava per permettere al distintivo di scintillare alla luce dei lampioni. Con grande soddisfazione vide l’altro poggiarvi sopra lo sguardo, comprendendo il suo messaggio.

Nappa tentennò per alcuni istanti, ed infine fece un passo indietro. “Mi farò di nuovo vivo” gli disse voltandosi per allontanarsi. Vegeta ringhiò, “Non osare, o il tuo capo dovrà trovarsi un altro leccaculo” lo minacciò, osservando l’altro allontanarsi con la coda tra le gambe.

 

***

 

Bra stava piangendo. Non era stata in grado di capire cosa fosse successo, ma aveva percepito la gravità della situazione. Aveva ubbidito ad ogni singola parola di suo padre, aveva fatto quanto ordinato senza fiatare.

Il proprietario del locale si era rivelato un uomo dal portamento gentile. Appena era stato convocato si era precipitato alla porta e l’aveva condotta nel piccolo ufficio sul retro, poi l’aveva ascoltata con pazienza. “Sei la figlia” aveva intuito dopo averla osservata per pochi istanti, quando lei aveva adempiuto alle istruzioni e in lacrime aveva fatto il nome di suo padre. L’uomo dalla bassa statura le aveva sorriso, “Avrei dovuto capirlo subito, sei uguale a tua madre” l’aveva rassicurata.

Sapendo che il proprietario del ristorante conoscesse entrambi i suoi genitori servì a farla sentire meglio, ma ancora non aveva smesso di piangere. Voleva il suo papà e avrebbe voluto affacciarsi alla finestra per sapere se stesse arrivando, ma lui glielo aveva proibito. Così trovò rifugio in un angolo della stanza, sedendosi sul pavimento e stringendo a sé le proprie ginocchia.

Aveva rifiutato qualsiasi tipo di refrigerio che il proprietario e quella che doveva essere la moglie le avevano offerto. Non si era nemmeno liberata di giacca e zaino che ancora reggeva sulle spalle.

Le sue lacrime si arrestarono solo quando udì delle voci provenire da dietro la porta. Tese le orecchie. Poi, con passi pesanti e fiato corto a causa della corsa, suo padre entrò nella stanza, seguito dal proprietario. Si guardò attorno, fino ad individuarla nel suo angolo, “Bra” la chiamò in un fil di voce. La bambina si alzò, andandogli incontro, “Papà!” urlò lei correndo per abbracciarlo, Vegeta s’inginocchiò. “Ho avuto paura” gli confessò la figlia e lui la strinse a sé. Fu solo quando sentì le esili braccia della bambina attorno al proprio collo che il cuore di Vegeta riprese a battere.

“Ehi, Vegeta. Si può sapere cos’è successo?” gli chiese l’uomo dal volto gentile, sulla quale era però dipinta un’espressione preoccupata. Non ottenne un’immediata risposta. Infine il poliziotto si voltò a guardarlo, “Crilin, mi serve subito un telefono” ordinò.

 

CONTINUA…

 
  
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