Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Nerys    19/10/2016    2 recensioni
Quante volte ad ognuno di noi è successo di sognare in modo talmente vivido da sembrare reale? Almeno una volta nella vita, giusto? Beh, se è questo il vostro caso dovreste ritenervi fortunati, perché io ormai sono settimane che sogno senza sognare. Avete capito bene, non è un errore di battitura… I miei sogni non sono invenzioni del mio subconscio, sono avvenimenti successi realmente in un altro tempo…
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Attesa

 

The first condition of immortality is death.

Stanislaw Jerzy Lec.

 

«Tesoro, non fare i capricci. Ti prometto che non durerà molto.» promise con voce flebile mamma stringendomi la mano in una presa delicata, ma ferma. Strisciai il piede destro per terra annoiata, mentre un leggero broncio si disegnava sul mio volto.

Non mi piaceva quel posto. Era troppo bianco e puzzava di disinfettante, ogni volta che andavamo lì incontravamo sempre persone tristi: alcune piangevano cercando di liberarsi dal dolore che li tormentava senza riuscirci davvero, altre, invece, sembravano spezzate dentro, come se non riuscissero più a provare nulla se non la disperazione nella sua forma più pura…

Tutti lì dentro mi davano i brividi. Non riuscivo a stare tranquilla, i loro occhi mi fissavano ogni volta che io e la mamma percorrevamo i corridoi, ma non era tanto il peso del loro sguardo a farmi vacillare, quanto più la follia e la brama che li attraversava a tratti. Una brama che non aveva niente di sano…

Terrorizzata mi strinsi al fianco di mia madre, mentre la presa tra le nostre mani diventava la mia unica ancora di salvezza. Volevo uscire da quel posto e non tornarci più, dimenticare quell’edificio e tutto ciò che lo abitava. Quella era la Casa della Disperazione, un luogo che una bambina non avrebbe mai dovuto visitare, né vedere da lontano ed invece io mi trovavo esattamente in quell’antro degno dell’Inferno con l’unico desiderio di uscire da quella struttura e scappare il più lontano possibile senza guardarmi indietro.

Con un occhio sbirciai il volto stanco della mamma, lunghe occhiaie le incidevano il viso, la carnagione chiara pareva quasi bianca, i capelli erano intrecciati in una perfetta treccia laterale le scivolava oltre la spalla donandole un’aria piuttosto austera…

Se era vero quello che si diceva in giro, vale a dire, che gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora mia madre era devastata da quello a cui stava andando incontro, perché per un attimo, quando abbassò il volto mi sembrò di vedere le sue iridi sbiadire leggermente fino a quando non mi mise bene a fuoco. Allora non poté fare a meno di cercare di sorridere, provando a rassicurarmi. Non mi lasciai incantare da quel triste sorriso…

I suoi occhi rispecchiavano la morte nel cuore.

Finalmente riuscii ad inquadrare l’edificio ospedaliero in cui ci trovavamo ed il motivo per cui ci trovavamo lì.

La struttura dell’Attesa, una specie di ricovero per i casi senza speranza che aspettavano di poter oltrepassare quel leggero velo che divideva il nostro mondo da quello delle anime. Qui venivano portati alcuni casi di malattie in stato troppo avanzato per essere curate o persone che avevano smesso di vivere da tempo, ma che i loro cari si ostinavano a trattenere al loro fianco…

Continuammo lungo il corridoio fino a raggiungere la stanza 999 e, come tutte le volte che dovevo attraversare quella soglia, venni colta dal panico. Volevo fuggire lontano ed andarmi a nascondere, lontano da tutti e da tutto, ma soprattutto lontano da Lei.

Lei, la stessa che ora giaceva impotente in un asettico e disinfettato letto ospedaliero, circondata da pareti bianche e coperta da lenzuola bianche e con la testa poggiata su un cuscino bianco, con cui i suoi lunghi capelli grigi sembravano confondersi. Detestavo quel colore con tutta me stessa, soprattutto quando mettevo piede lì dentro.

«Signora Fiore…»

Un medico in camice era appena comparso alle nostre spalle, richiamando l’attenzione della mamma con un tono di voce serio, mentre ci osservava al di là delle lenti degli occhiali che indossava. Con un gesto ci invitò ad entrare, mamma non se lo fece ripetere due volte, trascinandomi dentro e probabilmente mi richiamò anche per il comportamento che stavo dimostrando, ma io non la potevo sentire.

L’aria all’interno della stanza si era fatta di colpo irrespirabile e pesante. La vista iniziò a traballare ed i contorni del mio campo visivo si facevano via a via sempre più sfocati, non riuscivo a sentire nulla a parte il battito del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.

Volevo uscire da quella stanza e scappare il più lontano possibile. Perché mi trovavo lì? Io non volevo andarci, odiavo quel posto!

Mano a mano che mi avvicinavo a quel letto di ospedale più sentivo il bisogno di fuggire da quel luogo diventare impellente. Cominciai a strattonare la presa di mia madre e a puntare i piedi a terra pur di non avanzare nemmeno di un altro passo. «Mamma… Andiamocene, per favore…» piagnucolai, mentre lei si girava verso di me esasperata.

Prese un profondo respiro e si inginocchiò davanti a me. «Diana, tesoro… Per favore, devo sentire ancora il medico sulla situazione della nonna. Poi andiamo a casa, va bene?» mi promise prima di prendermi in braccio per impedirmi di fare altre storie.

Il medico ormai era a fianco del letto e fece cenno alla mamma di avvicinarsi, di riflesso chiusi gli occhi, non volevo vedere nulla della persona che occupava quel posto, avevo una sensazione orribile a riguardo. Se avessi guardato, sarebbe successo qualcosa di brutto.

«Lei è viva… È qui…» sussurrò una voce roca.

D’istinto aprii gli occhi per vedere di chi stesse parlando e mi ritrovai a fissare due pallidi occhi azzurri che mi tolsero il fiato… L’orrore che si rifletteva nei nostri sguardi era del tutto primordiale. Il cuore cominciò a battere all’impazzata, mentre cercavo disperatamente di respirare…

Mia madre mi mise immediatamente a terra guardandomi spaventata da quella reazione di panico che mi aveva colpita all’improvviso. La sentii chiedere disperata aiuto al dottore, ma non appena lui fece un passo nella nostra direzione, un lungo e acuto bip riempì la stanza.

In un secondo ripresi a respirare correttamente, ma da quel momento in poi cominciai a singhiozzare senza riuscire a fermarmi. Un dolore straziante aveva preso il posto della crisi di panico di poco prima. Quel repentino cambio di umore sembrò tranquillizzare mia madre, fino al momento che comprese l’origine del bip…

 

«Noioso, non trovi?»

Con uno scatto mi voltai verso la voce, ma mi ritrovai a fissare un’immensa distesa oscura. Non riuscivo a vedere chiaramente, soltanto una specie di sagoma in mezzo a quelle tenebre; qualcosa con una diversa consistenza, che, in qualche modo, la metteva in risalto rispetto all’ambiente circostante.

«Chi sei?» domandai tenendo lo sguardo fisso su quello che credevo il mio interlocutore.

Una risata fanciullesca e divertita si levò dalla sagoma, ma la sensazione che mi provocò fu tutt’altro che piacevole. Era come se mi trovassi davanti a qualcuno in grado di decidere della mia vita in base ad un suo semplice capriccio.

«Chi sono?» mi fece il verso una voce maschile. «Incredibile che proprio tu, fra tutti, me lo chieda. Ti sei già scordata di me?» domandò passando rapidamente da un tono di voce calmo e socievole ad uno lamentoso. «Ecco cosa succede quando decidi di aiutare un essere umano, si dimenticano subito di tutto ciò che hai fatto per loro…» aggiunse arrogante. Troppi cambi di umore repentini perché la sua presenza mi tranquillizzasse.

Fissai quella sagoma informe senza capire. Di cosa stava parlando? Ero sicura di non averlo mai incontrato, eppure quella voce aveva qualcosa di familiare e spaventoso allo stesso tempo, ma non per questo mi ispirava fiducia.

Ero certa di non aver mai chiesto aiuto a nessuno, avevo difficoltà a fidarmi delle persone, men che meno della fonte di quella voce! Nonostante non ne conoscessi l’identità, qualcosa nella sua arroganza e nel tono calmo mostravano quanto sarebbe stato facile per lui esaudire qualsiasi richiesta. Un’offerta allettante se non si faceva caso al pesante “ma” che alleggiava nella frase…

Tutto ha un prezzo a questo mondo, ora non rimaneva che scoprire cosa credeva di avermi promesso di esaudire e cosa avrebbe richiesto in cambio.

«Non credere di sfuggirmi, ragazzina. Il patto che abbiamo stretto più di settant’anni fa, è stato sigillato con il sangue e il sangue non mente mai!» soffiò quella voce nel mio orecchio con una vena di aggressività.

Settant’anni fa? «Impossibile. Io non ero ancora nata! Non sono io la persona con cui hai stretto il patto!» urlai girando su me stessa in mezzo a quell’infinito oscuro. «Quindi ora lasciami andare.»

Una fragorosa risata rimbombò tutto intorno a me. «Ti piacerebbe, Denise…»

Un movimento improvviso alle mie spalle mi fece voltare su me stessa, ritrovandomi faccia a faccia con me stessa. Per un attimo rimasi imbambolata a fissarmi, finché non iniziai a notare alcuni particolari come una cornice barocca che circondava la mia immagine. Non era una mia copia, ma la mia semplice immagine riflessa in uno specchio dall’aria antica.

Più fissavo il mio riflesso, più iniziavo a notare dettagli diversi fra di noi.

I suoi capelli erano perfettamente acconciati in una coda bassa, mentre i miei ricadevano spettinati e sciolti lungo la schiena; i vestiti che indossavamo erano totalmente diversi: i suoi vecchi, quasi anni ’20, mentre i miei un pantalone da ginnastica e una semplice maglia a maniche corte. La stavo ancora studiando attentamente quando mi saltò all’occhio uno scintillio. Spostai lo sguardo e mi ritrovai a fissare una collana d’ro con un ciondolo a forma di cerchio.

 

«Saremo insieme per sempre.» affermò sorridendo lanciando un ultimo sguardo al sole ed alla luna uniti.

 

«Il sole…» sussurrai flebile, mentre mille ricordi mi affollavano la mente.

Era lo stesso ciondolo di quella volta, di quel maledetto primo sogno!

Dovevo scappare, non ero al sicuro!

Provai a girarmi in ogni direzione, sperando di trovare un varco o una flebile luce che mi potesse indicare una via di fuga, ma tutto quello che mi circondava era solo un ammasso di oscurità.

Uno spostamento d’aria alle mie spalle e un improvviso calore mi fecero capire di avere qualcuno dietro di me. Non riuscii a muovermi alla sola idea che una creatura simile a quella che mi aveva attaccata in camera mia, potesse essere lì dietro, ma la curiosità era troppo forte.

Così, senza fare un movimento, sbirciai dal riflesso nello specchio. Non riuscii a vedere chiaramente, tutto il buio che ci circondava rendeva difficile metterlo a fuoco, sembrava quasi che le ombre facessero parte di lui. Perché di una cosa ero certa: si trattava di un uomo e aveva gli occhi di due colori diversi, il destro verde e il sinistro giallo che risplendevano nel buio.

«Oh no, ragazzina. Quello non è un sole.» mi sussurrò con voce melensa nell’orecchio. «Quella è una luna piena.»

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Nerys