Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    23/10/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

La sala dei banchetti della rocca di Ravaldino ospitava quella sera una ristretta selezione dei nobili della città e Ferrandino sembrava gradire particolarmente lo spirito di festa che si era subito instaurato, alimentato soprattutto dalla sua stessa capacità di animare quel genere di occasioni.

Fin da subito, infatti, il napoletano aveva invitato i musici a suonare canzoni allegre e aveva condiviso coi commensali più vicini tutte le battute più salaci di cui era capace risultando, in fretta, l'ospite più frizzante che fosse passato da Forlì negli ultimi anni.

Anche Ottaviano, che normalmente assisteva ai banchetti con animo cupo e la fronte aggrottata per il malumore, venne visto ridere come il ragazzino che era alle facezie del Duca di Calabria.

“Questa cacciagione è ottima.” notò Ferrandino, prendendo allegramente un altro pezzo di carne dal vassoio: “Ho sentito dire che siete voi stessa a provvedere a rifornire le cucine di selvaggina. È vero?”

Caterina, che sedeva al suo fianco, aveva già finito il primo pezzo di capriolo: “In effetti gran parte della cacciagione che viene cucinata alla rocca è frutto delle mie battute di caccia. Ma non mi prendo tutto il merito – si affrettò a specificare la donna – visto che esco spesso assieme ai miei cacciatori.”

“A voi piace la selvaggina uccisa dalla Contessa?” fece Ferrandino, sporgendosi un po' sulla tavola per poter guardare Giacomo, seduto dall'altro lato di Caterina, al posto che, normalmente, sarebbe spettato a Ottaviano Riario, il legittimo Conte.

“Mi pare ovvio.” rispose il Governatore Generale, seccamente.

Ferrandino fece spalancò un po' gli occhi, fingendosi sorpreso per la freddezza del giovane Feo, ma si distrasse subito, colpito dal fatto che la Contessa si stava servendo una seconda generosa porzione di carne.

“Mi piacciono le donne di appetito.” le disse: “Tanto quanto quelle che sanno usare una spada.”

Caterina si morse il labbro e cercò di non raccogliere nemmeno quelle allusioni, ma Giacomo aveva sentito tutto e fu lì lì per farsi sentire e rimettere al suo posto l'insolente Duca di Calabria.

Ferrandino, però, come aveva già avuto modo di dimostrare, aveva difficoltà a mantenere l'attenzione fissa sulla stessa cosa per troppo tempo ed era già passato oltre, mettendosi a vociare assieme a Luffo Numai, che sedeva al suo fianco, e che sembrava particolarmente propenso ad ascoltare le storielle colorite del napoletano.

Caterina non poté nemmeno tirarsi indietro quando Ferrandino le chiese l'onore di un ballo. Aveva provato a scusarsi, dicendo che non conosceva bene i ritmi sfrenati della musica napoletana, ma il Duca di Calabria non aveva voluto sentire ragioni e le aveva promesso che avrebbe guidato ogni suo passo.

In molti si erano già lanciati nelle danze, compresa Bianca, la figlia di Caterina, che stava saltellando assieme a uno dei giovani Marcobelli e sembrava divertirsi come una pazza.

I musici di Forlì stavano dando il meglio di loro fin dalla prima sinfonia, ma superarono se stessi quando Ferrandino chiese una ballata in particolare, il cui ritmo era decisamente il più movimentato che Caterina avesse mai sentito.

La folla esplose subito di gioia a quella sinfonia e la Contessa si lasciò guidare dal suo ospite, così come da accordi.

Vorticavano e saltavano e per qualche istante la Contessa si dimenticò di tutto e si divertì di tutto cuore, lasciandosi sospingere solo dalla musica e dalle braccia forti e sicure di Ferrandino.

Anche volendo, con tutta quella confusione e con tutto lo sforzo necessario per tenere il ritmo, non sarebbero riusciti a scambiarsi nemmeno una parola, quindi tanto valeva rimandare i discorsi privati al ballo successivo.

Giacomo, intanto, li guardava dal tavolo d'onore, torvo e silenzioso. Non si accorse neppure che Ottaviano si era atteggiato nella sua stessa identica maniera. Luffo Numai, che stava vicino a entrambi, fu l'unico a notare quel parallelismo e tano gli bastò per avvertire un pizzicore sinistro sulla nuca.

Mentre la musica stava per terminare, Ferrandino sollevò di peso Caterina tenendola per le ascelle e in molti lo imitarono, facendo fare una piroetta a mezz'aria alle loro dame.

Vedere la Contessa ridere tanto forte da avere quasi le lacrime agli occhi e ricadere nella stretta del napoletano che le stava dicendo qualcosa con la sua faccia da schiaffi accesa dalla frenesia del ballo fu troppo per Giacomo. Senza dire nulla a nessuno, il Governatore Generale spostò con sdegno il piatto d'argento che gli stava davanti, si alzò trascinando la sedia e raggiunse a grandi falcate la porta della sala.

Ottaviano lo seguì con lo sguardo finché non lo vide uscire. Un ghigno gli increspò le labbra, mentre gongolava tra sé. Benché egli stesso fosse ingelosito e infastidito dal modo impudente con cui sua madre la Contessa stava danzando con il Duca di Calabria, tutto ciò che arrecava noia o, ancor meglio, dolore allo stalliere era per lui una manna dal cielo.

Numai, che dalla sua postazione vedeva tutto, come un buon Consigliere dovrebbe saper fare, indirizzò al giovane Conte un'occhiataccia che Ottaviano incassò senza osare aprir bocca, ma oltre a quello Luffo non poté fare altro.

Ettore Ercolani, che stava bevendo appoggiato al muro, distolse un momento l'attenzione dai ballerini giusto in tempo per vedere il Governatore Generale che lasciava la sala. Diede di gomito a Filippo e Giovanni Delle Selle, che stavano accanto a lui uno per parte e quando i due capirono dove guardare, i tre uomini si scambiarono qualche sguardo carico di significati.

“Meglio così – disse Filippo Delle Selle, sovrastando con la sua voce grossa la musica – che se ne vada a dormire, prima che gli salti in mente di prendere a schiaffi in pubblico anche la Contessa.”

Ercolani alzò il calice, dandogli ragione e commentò, amaro: “Speriamo che non si azzardi a farlo nemmeno in privato.”

Le insinuazioni che il Conte Ottaviano aveva fatto qualche giorno addietro in presenza dei Delle Selle aleggiava sui tre Consiglieri. I loro occhi si puntarono sulla Contessa che stava danzando assieme al figlio di re Alfonso di Napoli e chi più chi meno si trovò a pensare che Ferrandino d'Aragona sarebbe stato un partito decisamente migliore per una donna come lei. Almeno, da vedersi. E probabilmente era proprio quel pensiero ad aver colpito il Governatore Generale spingendolo a lasciare la sala del banchetto.

Giovanni Delle Selle guardò i due mesto e concluse, ponendo fine al discorso, almeno per quella sera: “Se solo venissi a saperlo, il Governatore si ritroverebbe un coltello nel petto prima di riuscire ad aprire quella sua boccaccia...”

Pur mantenendo l'allegria tipica delle musiche napoletane, i musici si dedicarono a qualcosa di meno impegnativo e finalmente Caterina tornò a respirare regolarmente.

“Avete pensato a quello che vi ho detto oggi?” domandò Ferrandino, parlandole all'orecchio, mentre si confondevano in mezzo agli altri ballerini.

“Sì, ma vi ho detto che mi serve ancora del tempo per decidere. Non mi convince la vostra proposta.” rispose Caterina.

“E avete pensato anche alla parte che non riguarda la guerra?” fece il partenopeo, sollevando l'angolo delle labbra, mentre i capelli biondo rossicci ondeggiavano attorno al suo viso.

La Contessa si finse molto offesa e non parlò più fino alla musica successiva. Quando Ferrandino, però, notò che la donna non accennava a voler interrompere la danza o cambiare cavaliere, si fece più ardito.

“So che siete impegnata, che non siete libera, ma...” disse, con cautela.

Caterina avvertì che la stretta dell'uomo si era fatta appena più salda, mentre la sua voce tradiva una vaga incertezza. Le stava dicendo che sapeva che lei era sposata e di certo sapeva anche con chi. E allora perché non stava usando quell'informazione così pericolosa e preziosa per intimidirla?

“Solo una notte, non chiedo di più.” concluse Ferrandino, puntando gli occhi acuti in quelli distanti e imperscrutabili di Caterina.

La Contessa soffiò: “Siete mio cugino. Mio padre e vostra madre erano fratelli.”

Il Duca di Calabria represse una risata: “Se è solo quello il problema, allora è cosa fatta. Anche mia sorella Isabella e vostro fratello Gian Galeazzo sono cugini eppure sono addirittura sposati con figli.” poi il tono di Ferrandino si fece cupo: “Certo, se però la vostra mano è già impegnata con qualcuno e voi ci tenete a essere fedele a un contratto...”

La donna assecondò i passi del Duca di Calabria, e appena la musica si fece un po' più bassa, sospirò e concluse: “Non sono libera, avete ragione. È il mio cuore ha essere impegnato e dunque vi dico di no.”

Ferrandino strinse i denti, con disappunto e quando i musici si presero gli applausi alla fine della ballata, lasciò andare la Contessa e sussurrò, tanto flebilmente da mettere in difficoltà anche Caterina, che gli stava vicinissima: “Per me si è fatto tardi, mi ritiro nelle stanze che mi avete concesso per questa notte. Domattina aspetto la vostra risposta formale per quanto riguarda le proposte di alleanza di mio padre.” e con quelle parole, dopo un breve inchino, il giovane Ferrante, re della festa, uscì mestamente dalla sala del banchetto.

La Contessa sperò di non aver commesso un passo falso, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.

Cercò con lo sguardo Giacomo, ma non lo trovò da nessuna parte. Andò al tavolo di rappresentanza e chiese a Luffo Numai se sapesse dove trovarlo. Il Consigliere le disse che era uscito da qualche tempo, ma la pregò di restare al banchetto almeno fino a quando gli ospiti maggiori, come gli Orcioli o i Marcobelli, se ne fossero andati.

“Prima il Governatore, poi il Duca... Se anche voi spariste all'improvviso – le suggerì contrariato Numai – chissà cosa penserebbero, tutte queste serpi in seno.”

E così Caterina, suo malgrado, rimase fino a tardi a festeggiare assieme ai suoi ospiti.

Quando arrivò al Paradiso era notte fonda e Giacomo era già a letto, coperto dal lenzuolo. Anche se la camera era immersa nel buio quasi totale, non ci voleva un genio per capire che stava solo facendo finta di dormire, ma Caterina aveva troppa paura di andare incontro a un litigio, così si comportò come se davvero lo credesse assopito. Si svestì, facendo scivolare in terra il suo abito, si sciolse i capelli e si coricò al suo fianco cercando di far piano.

Non riusciva però a dormire e dal respiro sapeva che nemmeno Giacomo riusciva a prendere sonno, così, sperando di non far danno, disse, piano: “Tu sei mio marito, Giacomo, non sei solo un mio amante. Non ti tradirei con nessuno, per nessun motivo, nemmeno per il bene del mio Stato.”

Restando in silenzio, Giacomo, che le dava le spalle, si girò verso di lei e la strinse a sé con lentezza. Non era un abbraccio di desiderio, ma di rassicurazione. Caterina gli accarezzò lentamente la testa e per un fugace istante fu certa che egli stesse piangendo.

Preferì non indagare. Improvvisamente si sentiva stanca e il calore di suo marito la stava traghettando verso il sonno.

Quando la sentì scivolare nel mondo dei sogni, Giacomo inspirò a fondo il suo profumo e cercando di calmarsi, affondò il viso nei suoi capelli e, cullato dal suo respiro regolare e tranquillo, si addormentò pure lui.

 

Ferrandino si presentò all'incontro con la Contessa e il Governatore Generale indossando già gli abiti da viaggio, come a sottolineare che la sua visita sarebbe durata ancora lo stretto necessario e nulla di più.

“Dunque, avete finalmente raggiunto una delibera?” domandò il Duca di Calabria, una mano sul fianco, il leggero mantello bordato di seta rossa drappeggiato sulla spalla.

Caterina non aveva nemmeno fatto servire da bere, per dimostrare che anche lei desiderava chiudere il più in fretta possibile quell'incontro.

Giacomo, che per l'occasione aveva indossato uno dei suoi abiti migliori, con tanto di spada al fianco, teneva una mano sull'elsa e l'altra lungo il fianco. I suoi occhi saettavano dalla moglie al napoletano e ogni fibra del suo corpo pregava affinché Caterina avesse deciso di accettare definitivamente un accordo con Napoli.

Né la sera prima, né quella mattina Giacomo aveva trovato le parole per indurla a dire di sì. Ogni volta che si risolveva a parlarle, gli ritornavano alla mente le immagini di lei che ballava assieme al prestante e nobile Duca di Calabria e allora doveva mordersi la lingua o la sua gelosia lo avrebbe indotto a invogliarla a rifiutare, solo per sapere che la sua donna non avrebbe mai più avuto a che fare con Ferrandino d'Aragona.

Mentre raggiungeva la saletta scelta per quell'incontro, Giacomo aveva incrociato uno degli uomini che avevano scortato il Duca di Calabria a Forlì. Questi l'aveva guardato con fare insinuante, per fargli capire che sapeva tutto sull'accordo che lui aveva malauguratamente stretto qualche tempo prima con Napoli.

Il Governatore Generale si allentò appena il colletto del vestito, mentre risentiva nella sua testa il soldato napoletano sussurrargli al suo passaggio: “Sta tutto a voi, messere.”

Caterina, che stava ascoltando le parole di rito di Ferrandino, che ringraziava per l'ospitalità e per la cena della sera prima, vide con la coda dell'occhio il gesto del marito, ma non seppe come interpretarlo. Forse era solo teso perché non sapeva di preciso come lei avrebbe gestito quella faccenda, oppure stava tentando di tenere a freno la gelosia e la spiccata antipatia che pareva nutrire per il loro ospite.

Quale che fosse la ragione, la Contessa decise di ignorarla, per il momento, e tornò a Ferrandino.

“Dunque, Napoli, come sapete chiede foraggiamento, passaggio e un'alleanza esclusiva.” disse il Duca di Calabria, sulle cui labbra mancava il sorriso spavaldo del giorno prima.

“Io ho un'altra proposta da fare.” disse Caterina: “Ovvero che i vostri soldati non soggiornino nelle mie terre, non mangino il mio cibo e non arrechino disturbo ai miei cittadini.”

Ferrandino sollevò un sopracciglio e allargò un braccio, con disappunto: “Non mi paiono i termini di un accordo.”

“In cambio della vostra dichiarazione di non attaccarmi, accetterei volentieri di lasciare il passaggio per la via Emilia al vostro esercito, ma nulla di più.” riprese la Contessa, autoritaria.

Giacomo si sentì mancare. Era certo che una proposta del genere non sarebbe mai stata sufficiente per i napoletani. Caterina stava firmando la loro condanna a morte.

Ferrandino schiuse le labbra, gonfiando il petto e accigliandosi, pronto a recriminare e far valere la sua posizione, ma Giacomo lo anticipò, parlando in fretta, ma con un tono che gli dava una certa autorevolezza: “Tuttavia, se voi mandaste prontamente le vostre truppe in nostra difesa, nel caso in cui i francesi dovessero attaccarci, in qualunque modo e in uno punto qualsiasi del nostro Stato, allora abbandoneremo definitivamente la nostra neutralità e accetteremo in pieno la vostra prima proposta.”

Ferrandino era rimasto senza parole e una rapidissima occhiata alla Contessa gli diede la conferma che pure lei era stata colta alla sprovvista.

In ogni caso, quello era mille volte meglio di ciò che si aspettava di poter strappare alla Tigre di Forlì, perciò il Duca di Calabria esclamò all'istante: “E sia. A me sta bene! Contessa, avanti, chiamate il vostro cancelliere, firmiamo un accordo subito!”

Caterina non riusciva a credere a quello che suo marito aveva detto e alla piega che aveva preso quell'incontro.

Giacomo agì prima di pensare e schizzò fuori dalla saletta per andare a chiamare Cardella, il cancelliere di sua moglie. Voleva sfruttare l'occasione di chiudere in fretta il contratto, prima di dare il tempo a Caterina di riprendersi e contraddirlo apertamente.

“Il vostro Governatore Generale delle rocche e delle truppe – sottolineò Ferrandino, ritrovando il sorriso – ha avuto un'idea grandiosa. Perché immagino sia una sua idea.”

La Contessa, immobile e incapace di reagire in modo appropriato, si limitò ad annuire e confermare a voce bassa: “Infatti...”

Cardella redasse i documenti necessari sotto dettatura combinata di Giacomo Feo e Ferrandino d'Aragona e solo quando venne il momento di firmare i due rivolsero di nuovo la loro attenzione alla Contessa.

“Qualcosa che non va?” domandò il napoletano, porgendo la penna a Caterina.

La donna scosse il capo. Avrebbe voluto avere la forza di opporsi, fintanto che poteva, a quel contratto capestro che l'avrebbe prima o poi costretta a mandare sul lastrico e portare alla fame i suoi sudditi per sostentare l'esercito di Alfonso d'Aragona. Mentre intingeva la punta della piuma nell'inchiostro, però, si rese conto di non averla.

Se avesse espresso la sua contrarietà pressoché totale a quel trattato, avrebbe dimostrato non solo che Giacomo non l'aveva consultata prima di esporre quelle condizioni, ma anche che il Governatore Generale delle rocche e delle truppe non valeva assolutamente nulla ed era in disaccordo con lei.

In quel momento più che mai agli occhi del mondo il governo di Forlì doveva sembrare unito e volto allo stesso medesimo fine.

Ferrandino controllò che la Contessa avesse firmato nel modo corretto e poi appose il suo nome ai documenti con tanto di svolazzi.

Dopo aver lasciato del tempo all'inchiostro per asciugare, il Duca di Calabria prese la sua copia e la infilò nella tasca interna del suo giubbetto leggero. Ringraziò il Governatore e la Contessa e assicurò che a breve avrebbero ricevuto anche le congratulazioni da parte del re, che sarebbe stato di certo molto compiaciuto per quel patto.

“Ah – soggiunse Ferrandino, gli occhi pungenti fissi in quelli di Caterina, che stava ancora cercando di digerire quel che era accaduto – non sono affari miei, s'intenda, ma volevo dirvi che ieri sera al banchetto ho visto vostro figlio, il Conte Ottaviano e mi è parso molto teso, irrequieto, diciamo.”

La Contessa pensò subito che Ottaviano avesse potuto risultare troppo aspro con Ferrandino d'Aragona, magari con qualche frase maleducata o qualche sgarbo mentre lei era distratta, ma quando il partenopeo riprese il suo discorso le fu chiaro che non si trattava di nulla del genere.

“Forse dovreste trovargli una moglie.” fece il Duca di Calabria.

Quando vide che quell'affermazione non aveva suscitato il minimo interesse in Caterina, passò a stuzzicare Giacomo: “O ancora meglio, voi, Governatore, dovreste fargli da guida e portarlo con voi in qualche postribolo, una di queste sere.”

“Come vi permettete?!” scattò Caterina, facendo mezzo passo in avanti.

Ferrandino sorrise pacato, ben felice di essere riuscito a riaccendere gli animi. Il rifiuto ricevuto la sera prima gli bruciava ancora troppo per lasciare la corte di Forlì senza, quanto meno, irritare un po' la donna che lo aveva accantonato con tanta facilità.

“Ebbene? Che c'è?” domandò Ferrandino: “Ha quindici anni, avete detto no? È tempo che viva, che impari a conoscere le cose belle della vita oltre che le brutte. E poi proprio non vedo che ci sia di male a frequentare un lupanare. Si dà lavoro a povere donne che altrimenti non saprebbero come tirare avanti...”

“Da come ne parlate, ne sembrate un vero esperto.” controbatté la Contessa, nella vana speranza di pungerlo nel vivo.

In tutta risposta, Ferrandino rise in modo gutturale: “No, no... Io non pago mai per l'amore, mi spiace.” con disinvoltura afferrò un angolo del mantello di Giacomo Feo, passandoselo vistosamente tra i polpastrelli e proseguì: “Non compro la compagnia con bei vestiti e titoli altisonanti, io.” lasciò andare la stoffa, ignorando il modo in cui il Governatore si era ritratto a quel gesto, e concluse, appena sottotono: “Sono le donne a cercare me, non il contrario.”

“Come dite voi.” disse la Contessa, indicandogli la porta con un cenno del capo: “Tornate da vostro padre e dategli i vostri preziosi documenti. Ora sta a voi rispettare la prima parte dell'accordo.”

Ferrandino fece una stentata riverenza alla Contessa, si rimise dritto, scostandosi i capelli rossicci dalla fronte con una mossa stizzita e poi salutò anche il Governatore Generale con uno sguardo imperscrutabile che Giacomo non seppe come interpretare.

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas