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Autore: Purple_Rose    23/10/2016    2 recensioni
[Star War Rebels]
Un anno ormai è passato. L'evento che ha scombussolato l'intera galassia si ripete, il Giorno dell'Impero, fonte di tutte le orribili memorie dei ribelli. Nonostante il giovane padawan in principio non sembri affetto in particolar modo dai ricordi di quella data fatidica, ben presto Kanan si ritroverà a fare i conti con un problema: Ezra è sparito.
Senza ricevitore e senza modo di essere rintracciato, per il jedi ritrovarlo sarà una questione di indizi, intuito e, soprattutto, un tuffo nelle tracce delle memorie del lothaliano. Solo così Kanan sarà in grado di ritrovarlo, e con lui ciò che gli manca davvero per sopportare il suo passato.
(situato in modo imprecisato dopo l'apparizione di Leila nella serie)
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Ezra Bridger, Kanan Jarrus/Caleb Dume
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hide-and-Seek
Second part:

Seek

-No! No! Lasciatemi!-
Non avrebbe voluto seguirlo, ma dentro di sé Kanan non vedeva altra scelta. Dentro di lui iniziava a capire, sapeva verso cosa si stava muovendo e quelle parole erano solo la prova finale.
La città, che da lontano gli era parsa incredibilmente spenta, ora gli appariva assolutamente desolante: non c’era nessuno attorno, un’atmosfera surreale che permeava quel luogo notoriamente abitato dalle più svariate creature. Corse tra le vie minacciosamente vuote, permeate di quel costante stimolo di allerta che incuteva il timore negli ingenui passanti. Era l’unico tono udibile, no, a parte varie e grasse risate che gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
L’origine era lì, quel vicolo cieco scuro e sporco, unica fonte di movimento nei dintorni. Allora rivide la luce blu, il bambino che doveva essere cresciuto almeno di quattro anni. Attorniato da ombre brune, verde muschio, giallo rancido, l’essenza stessa del malessere.
-Che ti credi, moccioso? Restituisci la roba e poi te ne vai!-
I loro toni erano distorti, orrendamente bassi e maligni come solo la mente di un bambino avrebbe potuto percepire. Erano dei malviventi, grossi, tozzi, corpulenti e maleodoranti, che trattenevano un ragazzino in lacrime per il colletto, a quattro dita da terra.
Per quanto Ezra fosse uno dei ragazzini più forti che avesse mai conosciuto, Kanan sapeva quanta paura aveva in sé, quanto fosse schivo all’idea di mostrarlo a qualcuno. Perché aveva vissuto per strada, e lì la paura è debolezza, è un fardello che ti fa andare a fondo. Ma anche se conosceva la verità, non riuscì a realizzare a quanto terrore quel giovane sguardo color zaffiro sfoggiasse, in bilico su un baratro oscuro verso il quale pregava di non cadere. Il volto già rigato da innumerevoli lacrime era sciupato, secco, magro. Era il riflesso della sua vita.
-Non ho fatto fatto di male! Vi prego, lasciatemi!-
-Non ha fatto niente di male! Ma lo sentite? Questo ratto schifoso crede anche di poterci prendere per i fondelli!-. Quello che sembrava il capo sputò a terra, ghignando malignamente. -Adesso imparerai cosa significa essere un verme come te!-
Prima un calcio, che mozzandogli il fiato lo gettò a terra. Poi si unirono tutti loro, colpendolo ripetutamente mentre nella forma chiusa che Kanan conosceva, quella che lo allontanava dal mondo intero, Ezra tentava di sfuggire singhiozzando disperatamente. Il suo corpo ancora giovane, ancora troppo abituato ai ricordi del passato subiva tutto quel dolore, si impregnava di quell’odio e di quella malvagità, l’ingiustizia stessa dell’essere umano.
Il jedi non riuscì a rimanere immobile, ma dentro di sé sapeva di non poter muovere un dito. Come cercò di mettersi in mezzo le immagini sussultavano, sfocandosi appena per poi tornare nitide non appena lui si allontanava. Si morse il labbro, disperatamente impotente di fronte a tutto ciò.
-Non sono un ladro! Vi prego… basta…-
-Ora mi hai rotto, piccolo verme.-
Fu il sibilo più terrificante che avesse mai sentito, e per il bambino dovette essere la morte stessa. Quando poi il coltello scintillò di fronte ai suoi occhi arrossati fu il panico totale, uno stato di shock che, da secondo a secondo, avrebbe potuto divenire fatale. Solo una spanna di distanza, quel fortuito spostamento che fece conficcare l’arma nella sua spalla.
Quell’urlo fu straziante, per il padawan come per il maestro.
Non ebbe il tempo di ragionare, di studiare un piano, di pensare anche solo per un istante a quanto volesse piangere. Semplicemente urlò di nuovo, Ezra, scagliandosi contro quei malviventi solo per confonderli e poi scappare, più veloce di quanto avesse mai fatto in vita sua. Solo allora iniziò a pensare, a riflettere, a capire come poter sopravvivere a quella situazione, a sfruttare tutto ciò che aveva attorno a sé, che nulla era se non due gambe e un po’ di intuito.
I malviventi lo inseguirono, e così fece Kanan, vedendolo svoltare bruscamente con i suoi inseguitori alle calcagna. Temendo il peggio gli andò dietro, ma non fu più a portata di vista: il trio continuò a correre imprecando a gran voce, ma di Ezra non vi era più traccia.
Fu un pianto a farlo voltare, singhiozzi che si perdevano sulla sua testa. Lo sguardo rabbioso, in lacrime, frustrato di lui, arrampicatosi su un tetto per fuggire, fu l’ultima cosa che vide prima che svanisse.
-Ecco qui, tesoro.-
-Buon compleanno, Ezra.-
Lo sconforto del suo cuore si placò. Per Kanan fu scioccante sentire dei toni tanto amorevoli dove prima erano stati solo i pianti del suo padawan a dominare. Non si era quasi reso conto che, a furia di correre, erano arrivati a casa di Ezra. Gli fu evidente una volta per tutte che si trattava di illusioni: l’abitazione era integra e priva di qualunque marchio imperiale. Sembrava al contrario appena ristrutturata, graziosa per quanto non dissimile da altre nelle vicinanze.
Nonostante qualche esitazione, il jedi si convinse a dare una sbirciata, dalle finestre che a quel tempo ancora non erano state sbarrate dalle guardie. Gli cadde l’occhio su un interno umilmente essenziale, di pochi mobili e nient’altro, ma fu la scena a farlo sorridere.
-Che cos’è? Che cos’è??-
Un piccolo Ezra, probabilmente di poco meno di quattro anni, scuoteva eccitato un piccolo pacchetto marrone, incartato con ritagli vari e confusi. Brillante dei suoi soliti occhi luccicanti tentava di capire, la lingua di fuori in un adorabile moto di concentrazione. Aveva la stessa tunica che Kanan già aveva visto, segno che difficilmente i genitori avrebbero potuto permettersi altro. Ma erano le loro espressioni a ripagare ampiamente quel debito, in particolare gli occhi accorti della madre, splendente di una luce celeste che avvolgeva anche i suoi occhi.
Quelle persone erano perdutamente innamorate di loro figlio.
-Non scuoterlo troppo, non vorrai rovinarlo!-
Come preso da una scossa Ezra si bloccò, rischiando di fare cadere a terra il regalo. Ridacchiando iniziò a scartarlo con assoluta attenzione, come se ancora sperasse di indovinarlo ad ogni piccolo indizio trovato. Emerse una scatola, che non appena venne privata del suo coperchio fecero esplodere nel volto del bambino un sorriso luminoso come una stella.
-Evviva!!! Sì!!! Evviva!!!-
Prese a saltellare, stringendo forte a sé quel regalo speciale, quel piccolo picco di felicità nel cuore della sua infanzia. Come un prezioso tesoro lo teneva a sé, il sorriso più sincero che un bambino avrebbe mai potuto mostrare ad altri. La casa così si riempiva di colore, di vita, sensazioni che arrivavano perfino al jedi rimasto in pura osservazione.
Ezra si bloccò di colpo, correndo dalla mamma e abbracciandola di colpo.
-Grazie mamma!!!-
La mollò all’istante, precipitandosi come una furia allo stesso modo.
-Grazie papà!!!-
Rise, rise con forza ed euforia, portando con sé la gioia che, nel suo ingenuo cuore di bambino, era convinto che sarebbe durata per sempre.

***

-Ah, sei sveglio!-. Esclamò Kanan, alzandosi in piedi non appena lo vide entrare. -Stai bene?-
-Bene, credo… diciamo che sono ancora vivo.-. Scherzò Ezra, sedendosi al tavolo al quale il suo maestro si era posizionato in principio.
Il quale fece un mezzo sorriso, muovendosi verso i fornelli.
-Vuoi qualcosa di caldo? Mi stavo preparando qualcosa…-
-Un mistico intruglio prodigioso tramandato tra i jedi?-
Kanan si voltò a guardarlo stupito.
-No.-
-Allora va bene.-. Replicò ghignando Ezra, che non smise al vedere l’alzata di occhi dell’uomo mentre riempiva la caraffa metallica di acqua.
Rimasero entrambi in silenzio, mentre il sibilo del fornello acceso restava l’unico rumore concreto attorno a loro. Gli altri della truppa stavano sistemando gli ultimi dettagli della missione, con ogni probabilità tra le insistenze di Sabine nell’aumentare l’effetto scenico, e mentre il malato aveva riposato per diverse ore il leader si era ritrovato senza nulla di meglio da fare se non fingere che volesse prepararsi qualcosa.
Il tè, poi. I suoi piani erano sempre miseri e autolesionisti.
-… cosa ricordi?-. Chiese ad un certo punto. dando la schiena al ragazzino.
Per quanto suonasse casuale il maestro sapeva che Ezra era abbastanza sveglio da intuire cosa celasse la domanda. Difatti si abbandonò ad un sospiro, i gomiti sul tavolo e la testa, appesantita dall’emicrania, tra le mani.
-Non molto. Ci stavamo allenando, poi mi sono sentito stordito, poi tanto stordito, poi stordito al punto che non sentivo più nulla. Nemmeno se Zeb mi fosse caduto addosso.-. Scherzò, senza riuscire a coinvolgere l’altro. -Poi… c’è molta confusione. Ho sentito delle voci, forse dei ricordi, sogni strani tutti accavallati gli uni sugli altri.-. Le sue parole era titubanti, sembrava rimettesse assieme i pezzi con immane fatica, era un disegno vago che nemmeno lui capiva.
Kanan, in attesa del bollore, si accostò al ragazzo rivolgendogli un’occhiata indagatoria. Aveva           le gote ancora rosso fiamma, ma non sudava più e gli occhi erano coscienti e non troppo dilatati. Stava meglio, non serviva un medico. Ma…
-Ricordi se hai sognato qualcosa di particolare?-. Lo vide annuire. -Ne vuoi parlare?-. Stavolta scosse la testa. -… me ne parleresti, se ne avessi bisogno?-
Ezra sorrise, annuendo.
-Saresti il primo a cui ne parlerei.-. Confessò, visibilmente impacciato nell’ammetterlo.
Visibilmente inconsapevole quanto le sue parole potessero colpire al cuore gli altri. Kanan sorrise, un affetto che non credeva possibile dal giorno in cui aveva perso ogni cosa, verso una delle poche cose buone che gli erano venute incontro nella sua vita. Gli mise una mano sulla una spalla, quella spalla, e da quel contatto sentì un brivido che lo fece sussultare.
-Che succede?-. Chiese, cercando il suo sguardo.
-… riguardava… qualcosa che stavo cercando…-. Mormorò Ezra con occhi sgranati, come se non ci credesse nemmeno lui. -… qualcosa che mi manca… credo.-. Concluse, un mezzo sorriso che non celava l’ombra di sconforto che si annidava nei suoi zaffiri lucidi. -… non è il caso di pensarci, concentriamoci piuttosto sulla missione, okay?-. Affermò, l’evidente intento di cambiare argomento. Ma i suoi occhi tradivano anche un disagio distinto.
Kanan cadde letteralmente dalle nuvole, quel miscuglio di sensazioni l’aveva distolto abbastanza da fargli realizzare solo ora il fischio della caraffa bollente, al che si apprestò a toglierla dal fornello. Tirando fuori dall’armadietto due tazze si apprestò a versare.
-Ma tu non ci vieni.-. Disse poi, come si trattasse di un’ovvietà.
-COSA???-. Gridò il ragazzo alzandosi bruscamente in piedi.
-Ahi! Ezra!-. Esclamò Kanan, sfregandosi la mano sulla quale due gocce di acqua bollente erano cadute. -Sei convalescente, cosa ti aspettavi?-. Constatando che non era nulla di grave riprese il gesto, sbriciolando delle foglie secche che sciolsero un aroma delicato nell’aria. Tentò di ignorare quando alle sue narici l’effetto fosse opposto, specie considerando quanto in passato avesse rifiutato diversi incontri tra jedi proprio per l’odio per quella bevanda.
Il ragazzo non seppe come replicare, limitandosi a mettere il broncio mentre tornava seduto nonostante il confortante profumo della bevanda posta di fronte a lui.
-Non… non è giusto…-. Borbottò, affiancato dal maestro.
-Adesso non fare il bambino, non vorrai attaccarla a qualcuno di noi, vero?-. Lo intimò, ma col risultato di vederlo chiudermi maggiormente in sé. -… Ezra… se mi svieni nel bel mezzo dell’operazione, poi chi mi fa la recita da “mio padre è così patriottico”?-. Riuscì a farlo almeno sorridere, il che era una buona iniezione di razionalità nella sua testa. -Se avremo bisogno di aiuto ti chiameremo, hai sempre il comlink, no?-
Ezra ebbe un singulto, grattandosi il collo. Oh no, Kanan conosceva quel gesto.
-… potrei aver chiesto a Sabine di dipingerlo…-
-E…?-
-… la vernice potrebbe essersi infilata nei circuiti…-
Il jedi emise un sospiro esasperato, rivolgendo uno sguardo di rimprovero al ragazzo.
-E quando speravi di dirmelo?-
-Appena è successo… circa dieci minuti fa.-
Non c’erano limiti a quanto quel ragazzino potesse cacciarsi nei guai.
-Tu rimani sullo Spettro in caso di bisogno, riposati e non metterti nei guai.-. Sapeva che era un avvertimento inutile. -Noi torneremo presto.-. Concluse, posando gli occhi sulla micidiale bevanda calda che stava davanti a sé.
Rimasero in silenzio, senza che lui desse cenni di voler bere.
-Kanan.-
-Sì?-
-Hai tirato fuori la scusa del tè per parlarmi?-. Non rispose. -Non ti piace in verità?-. Non disse nulla. -… grazie.-. Infine sorrise.
Era davvero affetto quello che sentiva.

***

Lo rivide lì davanti, non appena l’immagine felice si era dissolta. Un altro Ezra, la cui luce che tanto lo aveva fatto assomigliare ad un astro della galassia era più fioca, debole, insicura. Il suo volto era rivolto alla casa che lo aveva visto nascere, ed era il cesto contenente le memorie più serene e spensierate della sua vita. Quella casa, che ora mostrava il marchio dell’Impero, un simbolo vivido e fresco che pareva una ferita appena inferta.
Il ragazzo mosse qualche passo verso l’edificio, le indicazioni minacciose, le finestre sigillate come una prigione, come un luogo abbandonato. Come un angolo del suo piccolo mondo felice, che improvvisamente diventava sbagliato.
Che inevitabilmente ti abbandona, lasciandoti da solo.
-… Kanan?-
Rimase di stucco. In quella proiezione del passato non avrebbe mai pensato di sentirsi chiamare. Ma aveva i suoi occhi su di sé, il suo volto stanco e amareggiato, il suo spirito che aveva perso la sua speranza in quel preciso momento, quando anche casa sua era diventata dell’Impero.
Kanan si avvicinò piano, non sapendo come approcciarsi a quella situazione. Vedeva il suo padawan, più giovane di almeno otto anni, riconoscerlo e chiamarlo per nome.
-Ezra?-. Lo nominò a sua volta, vedendo annuire.
-Non riesco a trovarlo.-
Non capiva, nonostante ciò annuì con enfasi. Era pronto per qualsiasi cosa, lo avrebbe aiutato per qualsiasi cosa. Anche se avesse dovuto approcciarsi ad un lui così giovane.
-Cosa devo fare?-
L’Ezra gli sorrise, il volto amaro sempre più maturo e scuro ad ogni battito di ciglia. Porse qualcosa con la mano, mostrandola nella sua interezza: la chiave di casa sua.
-Lo sai. Lo hai visto.-
Così passò la tessera sulla porta, che scattò aprendosi in un interno colmo di luce. Di colpo furono avvolti entrambi, e ogni cosa divenne più chiara.
“… che cos’è questo rumore?”
Non lo stupì più di tanto, il ritrovarsi nella sua stanza nella stessa identica posizione meditativa. Fu più che altro l’insistente martellare contro la sua porta, degno solo di un possente guerriero Lasat come Zeb, considerando il fatto che aveva lasciato la porta aperta. Indolenzito da quella che doveva essere stata una seduta quasi infinita, Kanan si rimise in piedi con un obbiettivo ben preciso in testa. Mugolò allo scrocchiare dei suoi arti, per poi aprire l’uscio.
Per poco Zeb non lo prese in faccia con quel suo bussare a cannone, mentre Hera batteva nervosamente a terra il piede e Sabine… era dinamite, quella?
-Non ci pensare nemmeno, ragazza.-. La intimò il jedi, facendole distogliere l’attenzione dal pannello di sblocco delle porte. -E prima che tu possa dire cose come “credevamo stessi male” o “non metterti tra una mandaloriana e i suoi esplosivi”, vorrei farvi notare che la porta era aperta.-. Concluse, con una pazienza da rimanere stupito a sua volta.
Sabine arretrò di un passo, ridacchiando nervosamente. Così fece Zeb, nascondendo il pugno come un’arma letale dietro la schiena. Al contrario il pilota avanzò, visibilmente innervosita.
-Chiudersi per cinque ore dentro la propria stanza non è meno preoccupante, tesoro!-. Lo rimproverò, facendogli sgranare gli occhi. -Che è successo? Hai trovato Ezra?-. Era una domanda lecita, che altro avrebbe dovuto fare un jedi segregato nella sua stanza? Ma era il tempo trascorso ad aver catturato la sua attenzione.
Erano tornati allo Spettro circa a mezzanotte, perciò a breve i due soli sarebbero sorti. Ezra era rimasto fuori per tutto quel tempo da solo.
Ora era abbastanza, però.
-Vado a prenderlo.-. Annunciò, facendosi largo e marciando deciso. -Torno subito.-
Non aspettò nulla, né proteste, né domande, né sguardi incendiari da parte del suo pilota preferito. Semplicemente si mosse, consapevole di dove doveva andare, di cosa doveva fare. Di quanto fosse importante che fosse lui, e nessun altro, ad arrivare fino in fondo.
Uscì dallo Spettro, l’atmosfera radicalmente diversa rispetto a prima. La notte quasi onnipresente, che sfumava all’orizzonte in un oro timido ed un rosa delicato, ancora miseri per costituire un’intera alba. Kanan si lasciò alle spalle l’atmosfera, correndo veloce nel bel mezzo di quel famigerato prato, nel cui ricco giallo ora si intravedevano solo pochi riflessi. Si bloccò nel mezzo, scrutando i dintorni alla ricerca di un indizio, una traccia, qualcosa che lo guidasse.
E arrivò. Miagolando con insistenza.
-Tutto ritorna a questo, vedo.-. Affermò Kanan, sorridendo alla stessa bestiona che ore prima Ezra si era messo a coccolare tranquillo dopo essersi connesso. Protrasse a sua volta la mano verso di essa, chiudendo gli occhi e percependo l’animale rilassarsi e avvicinarsi a lui, annusandolo come se avesse un odore particolarmente gradevole. Approfittando del momento Kanan lasciò che i suoi pensieri raggiungessero la sua mente, facendogli capire lentamente le sue intenzioni, pacifiche e incentrate su una sola persona.
Non appena essa fu chiara il loth-gatto scattò sull’attenti, iniziando a correre verso la città. Il jedi lo seguì, sentendosi come quel bambino dai capelli color notte che inseguiva i pelosetti nascosti nel prato, con accanto un padre premuroso. Senza farsi distrarre si ritrovò in città, fidandosi completamente dell’istinto dell’animale che, annusando a destra e a manca, sembrava sapere esattamente come muoversi in quei vicoli scuri.
Era presto, poca gente si muoveva in giro, principalmente contadini e commercianti ansiosi di mettere le mani per primi sulla merce migliore. Kanan si fece largo tra alcuni di essi, rischiando di rovesciare un carrello di yogan per poi giungere alla meta.
“Già, dovevo aspettarmelo.”. Pensò, rimirando le macerie della casa di Ezra. Il loth-gatto aveva preso ad annusare davanti alla porta, così lo lasciò fare mettendo piede nell’area.
Le pareti principali erano per la maggior parte distrutte, resti precari si innalzavano maciullati come se l’Impero stesso fosse venuto a sgranocchiarli. Era ormai da parecchio che i resti dell’abitazione dei Bridger sostavano silenti, senza che nessuno dei lothaliani se ne fosse chiesto il motivo. Un blocco più grande, recante il simbolo dell’Impero su di esso, scatenò nel jedi un’ondata di odio. Alzando la gamba lo colpì forte col tallone, rompendolo a metà.
-… il tetto…-. Sussurrò, guardandosi attorno. Con abitazioni concepite per un clima desertico, la copertura non era dissimile dalle pareti e mostrava una forma quadratica. Bianca, ora corrosa dall’esplosione che l’aveva gettata a terra.
Cercando di non ripensare alle lacrime, alla solitudine del suo padawan mentre si nascondeva in posizione rialzata piangendo lacrime di odio, Kanan prese a frugare tra i detriti, imbrattandosi di calce e polvere che il vento doveva aver accumulato col passate dei giorni. Si sentiva invadente, fuori posto in quel luogo, dentro di sé avrebbe voluto pensare ad un piano alternativo in particolare in vista di quanto fosse delicato l’argomento per lui. Ma sapeva che Ezra non stava bene, lo sentiva, e sapeva che cosa fare.
Un blocco particolarmente pesante lo costrinse a qualche sforzo in più, facendogli puntare i piedi mentre sollevava il pezzo. Appena lo ebbe scostato, generando un tonfo che alzò ulteriore polvere, nella tosse il suo sguardo color acquamarina scovò un piccolo involucro nero e arancio.
-Beccato, pelosetto.-. Affermò ridendo, prendendo tra le mani l’oggetto morbido, seppure rovinato e impregnato di una buona dose di polvere. Il dolce ricordo di quel regalo, che tra le manine del bambino era stata fonte di tale gioia gli schiarì lo sguardo teso.
Battendolo delicatamente tra le mani per pulirlo, facendo attenzione a non romperlo, il jedi si rimise in piedi soddisfatto, pensando che l’unica cosa che rimaneva da fare era trovare il proprietario. Uscì da dove un tempo sorgeva la porta, continuando a fissare l’oggetto e rendendosi conto che il loth-gatto di poco prima ancora non se n’era andato: continuava ad annusare come il segugio che apparentemente non era, guardandosi attorno per avere una visione dei dintorni.
Appena fece caso all’uomo gli si avvicinò velocemente, strusciandosi contro la sua gamba per poi rimettersi a correre. Kanan non poté fare altro che rimettersi in moto, immaginando tuttavia dove quel felino avesse intenzione di condurlo. Se in un primo momento aveva pensato che Ezra sarebbe senz’altro tornato a casa, da un altro punto di vista lui raramente parlava di quel luogo come la sua effettiva dimora. “Sono cresciuto per strada, da solo” diceva sempre.
Proprio da solo, lui sapeva che l’avrebbe trovato.
Non si stupì di veder stagliarsi all’orizzonte, poco dopo aver lasciato la città, la torre nella quale il ragazzo aveva vissuto prima di incontrarli. Anzi, se avesse avuto più tempo per pensarci, o meglio se non avesse dovuto per forza di cose fare quella deviazione necessaria a casa sua, probabilmente sarebbe venuto lì a cercarlo. Sentiva la sua presenza solo ora, vi erano solo due motivi: o non aveva voluto farsi trovare, o non aveva le forze per essere trovato.
In entrambi i casi, Kanan doveva vederlo subito.
Una volta raggiunto il luogo, scalato con quel pelosetto accanto, finalmente furono davanti alla porta spalancata, che lasciava filtrare a mala pena il sole tenue che l’alba faceva nascere. Kanan si fece avanti, un antro semibuio abitato dalla ben nota collezione di caschi di Ezra, oltre che di innumerevoli altre cianfrusaglie probabile preda del sul passato da borseggiatore.
Infine, lo vide.
Quando qualcosa di brutto succedeva, Ezra era inevitabilmente chiuso in se stesso. Che fosse a occhi bassi, chino o semplicemente con le braccia attorno al corpo, lui tendeva a prendere le distanze, voleva che ogni male andasse via. Se lo aspettava, perché in tanti anni tutto se n’era andato via, tutto l’aveva abbandonato. Perché non ora?
-Ezra.-
Ora non faceva eccezione, e con le ginocchia al petto e il capo poggiato sulle cosce, quella era una piccola fortezza fragile e tremante che si isolava da tutto e tutti. Al richiamo il castello si smosse, e due occhi zaffiri spuntarono dalle sue mura cauti, insicuri.
Forse l’aveva riconosciuto appena era entrato, non sarebbe stata la prima volta. Parve comunque sorpreso, o frastornato, la sensazione fu quella di averlo anticipato mentre lui tentava di arrancare una scusa per l’essere sparito per quasi sei ore. Aveva il volto tremendamente pallido, gelo notturno e l’onnipresente malattia lo avevano consumato fino a ridurlo a ciò che era prima di nutrirsi regolarmente assieme a tutti loro. I suoi occhi erano spessi di occhiaie, e se si fosse trattato di lacrime infinite o una notte senza sonno, Kanan non poteva saperlo.
Sperava solo una delle due.
-… sono… sono d-dovuto andare…-. Balbettò il ragazzino, stringendosi le braccia attorno al corpo scosso dai brividi. -Sentivo che d-dovevo… sono andato a casa… quella dei miei…-. Un singhiozzò ghiacciò le sue parole, facendo tremare lo sguardo lucido. -… ma non sapevo cosa… se dovevo… io… i-io…-. Si tratteneva, cercava disperatamente di ignorare tutto, i ricordi laceranti, le memorie nostalgiche, la gola che bruciava e la vista offuscata e calda.
Kanan addolcì lo sguardo, muovendosi cauto verso di lui. Il loth-gatto rimase alla porta, curioso ad osservare il maestro approssimarsi all’allievo, per poi abbassarsi di fronte a lui. Gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a guardarlo negli occhi. E gli sorrise.
-Lo so. Cercavi qualcosa.-. Disse dolcemente, porgendogli infine quel regalo. -Dovevi solo guardare un po’ più attentamente.-. Lo sentì. Sentì tutto ciò che quella vista provocava in lui.
Ezra sgranò gli occhi, incredulo, esitante mentre metteva mano ad un oggetto che non vedeva da otto anni. Quando lo toccò si sentì pervadere dalla nostalgia, era tanto ruvido ma soffice e confortante: un peluche a forma di loth-gatto, arancio a strisce nere, che con tanto affetto e sacrificio i suoi genitori gli avevano regalato invece di tenerne a casa uno. Non aveva più provato l’ingenua gioia di quando l’aveva ricevuto, non si era più sentito così spensierato davanti ad un futuro che sembrava così naturalmente roseo. Non aveva più permesso a se stesso di aver voglia di sentirsi amato, di sentire affetto e calore.
-K-Kanan…-
-Ezra.-. Il maestro lo anticipò, guardandolo dritto negli occhi per potergli cavare dallo sguardo solo la verità. -Stai bene?-
Il blu esitò. Guardò il volto dell’uomo, guardò la torre della sua solitudine. Guardò le sue mani tremanti, e quel regalo speciale che gli graffiava il cuore.
-…-. Scosse la testa, singhiozzando sempre più forte. -… no.-
Le sue guance divennero calme, la gola smise di bruciare.
Lacrime sorsero, morbide e spedite come se non vedessero l’ora di venire fuori. Prima che se ne rendesse conto singhiozzava, col volto premuto sul petto del suo maestro, che senza dire una sola parola lo chiudeva in un minuto ma caldissimo abbraccio. Tutto ciò di cui aveva bisogno, solo silenzio e calore, il primo rubato dai gemiti che le sue labbra abbandonavano man mano i suoi pianti si facevano sempre più disperati, necessari.
Il passato rimaneva, per quanto fosse forte la sua voce.
Poteva solo muoversi verso la luce, che splendeva in quella nuova alba.

***

-L’hai trovato!!!-. Esclamò Hera non appena vide il jedi tornare, con un esausto e ancora malaticcio padawan svenuto tra le sue braccia.
-Avevi dei dubbi?-. Chiese ironico, muovendosi verso la sua camera per farlo riposare.
-Diciamo che Sabine potrebbe aver perso una scommessa con Zeb…-. Mormorò ridacchiando, facendolo imbronciare leggermente. -… ma era più che altro su quanto tempo ci avresti messo.-. Precisò con un sorriso, rendendolo un po’ meno offeso.
Camminarono l’una di fianco all’altro, con un tenue e leggero respiro che spezzava la calma di quella prematura mattina. In uno stato così precario, così fragile solo Kanan l’aveva visto, quando gli erano morti i genitori: anche quella volta lo aveva tenuto stretto a sé, cercando di calmare le lacrime e la disperazione. Aveva sperato di non vederlo mai più in uno stato del genere. La forza non era mai stata generosa con quel ragazzino.
-Starà bene?-. Chiese accorta Hera, passandogli una mano tra le ciocche blu.
-Ezra starà sempre bene, è il momento in cui non lo è che mi preoccupa.-. Confessò Kanan, ringraziando con lo sguardo la twilek che apriva la porta al posto suo. -Non mi dice mai niente, lo devo scoprire da solo oppure forzarlo a parlare. Ormai è passato un anno da quando è con noi, e non è cambiato nulla.-. Concluse amaro, rimirando il volto pallido ma sereno che sosteneva.
Il pilota sorrise teneramente, sospirando appena.
-Sei cambiato tu, da quando lo hai conosciuto.-. Affermò, bloccandolo in mezzo alla stanza. -Siamo cambiati tutti, lentamente, quindi è solo una questione di tempo. E non credo che il borseggiatore menefreghista di un anno fa avrebbe pianto abbracciato al suo vecchio maestro.-. Asserì. L’istinto materno di Hera era più impressionante di qualunque trucco jedi Kanan avesse imparato durante il suo addestramento, ne era consapevole.
Come sempre aveva ragione.
Sorrise, scalando piano il letto per adagiare il ragazzino, per la seconda volta, sul letto che gli spettava. Lo adagiò piano, e la sua testa si spostò di lato facendo ricadere qualche capello notte. Kanan glieli sistemò, assicurandosi che fosse coperto e sperando che, almeno per una volta, potesse passare qualche ora di tranquillità.
Prima di raggiungere il pilota poggiò accanto al volto del ragazzino quel peluche, quel regalo che aveva fatto esplodere in lui emozioni troppo a lungo nascoste.
-Buon compleanno, Ezra.-. Mormorò dolcemente carezzandogli la fronte, lasciandolo alla pace del sonno.
All’oscuro del suo sguardo acquamarina, in un solo atto di lucidità lo sguardo zaffiro si mostrò, allungando una mano verso il piccolo loth-gatto. Nelle tenebre della stanza, un dolce sorriso si perse nei meandri della sua mente, catturata dall’oblio della stanchezza.
“Grazie, papà.”

Milla Little Corner

E rieccomi con la seconda e ultima parte! <3
Il finale me lo sono lasciata scappare, per me sono davvero troppo come padre e figlio! ^^"

Questo è stato decisamente malinconico. Non sono riuscita a trattenermi, Ezzy è davvero troppo triste secondo me... e Kanan è l'unico che può aiutarlo! Mi sembra abbia pure fatto un buon lavoro, quindi direi che possiamo tutti considerarci soddisfatti!!! ^ ^
Ringrazio nuovamente Aiko_Miura_36 per aver recensito il primo capitolo, oltre ad aver iniziato con me questo piccolo contest!

Bene, con questo mi congedo! Che la forza sia con voi eccetera eccetera!!!
Alla prossima, ciao!
Purple_Rose
  
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