Hide-and-Seek
Second part:
Seek
-No! No! Lasciatemi!-
Non
avrebbe voluto seguirlo, ma dentro di sé Kanan non vedeva
altra scelta. Dentro
di lui iniziava a capire, sapeva verso cosa si stava muovendo e quelle
parole
erano solo la prova finale.
La
città, che da lontano gli era parsa incredibilmente spenta,
ora gli appariva
assolutamente desolante: non c’era nessuno attorno,
un’atmosfera surreale che
permeava quel luogo notoriamente abitato dalle più svariate
creature. Corse tra
le vie minacciosamente vuote, permeate di quel costante stimolo di
allerta che
incuteva il timore negli ingenui passanti. Era l’unico tono
udibile, no, a
parte varie e grasse risate che gli faceva ribollire il sangue nelle
vene.
L’origine
era lì, quel vicolo cieco scuro e sporco, unica fonte di
movimento nei
dintorni. Allora rivide la luce blu, il bambino che doveva essere
cresciuto
almeno di quattro anni. Attorniato da ombre brune, verde muschio,
giallo
rancido, l’essenza stessa del malessere.
-Che ti credi, moccioso? Restituisci la roba
e poi te ne vai!-
I
loro toni erano distorti, orrendamente bassi e maligni come solo la
mente di un
bambino avrebbe potuto percepire. Erano dei malviventi, grossi, tozzi,
corpulenti e maleodoranti, che trattenevano un ragazzino in lacrime per
il
colletto, a quattro dita da terra.
Per
quanto Ezra fosse uno dei ragazzini più forti che avesse mai
conosciuto, Kanan
sapeva quanta paura aveva in sé, quanto fosse schivo
all’idea di mostrarlo a
qualcuno. Perché aveva vissuto per strada, e lì
la paura è debolezza, è un
fardello che ti fa andare a fondo. Ma anche se conosceva la
verità, non riuscì
a realizzare a quanto terrore quel giovane sguardo color zaffiro
sfoggiasse, in
bilico su un baratro oscuro verso il quale pregava di non cadere. Il
volto già
rigato da innumerevoli lacrime era sciupato, secco, magro. Era il
riflesso
della sua vita.
-Non ho fatto fatto di male! Vi prego,
lasciatemi!-
-Non ha fatto niente di male! Ma lo sentite?
Questo ratto schifoso crede anche di poterci prendere per i fondelli!-.
Quello che sembrava il capo sputò a terra, ghignando
malignamente. -Adesso imparerai cosa significa
essere un
verme come te!-
Prima
un calcio, che mozzandogli il fiato lo gettò a terra. Poi si
unirono tutti
loro, colpendolo ripetutamente mentre nella forma chiusa che Kanan
conosceva,
quella che lo allontanava dal mondo intero, Ezra tentava di sfuggire
singhiozzando disperatamente. Il suo corpo ancora giovane, ancora
troppo
abituato ai ricordi del passato subiva tutto quel dolore, si impregnava
di
quell’odio e di quella malvagità,
l’ingiustizia stessa dell’essere umano.
Il
jedi non riuscì a rimanere immobile, ma dentro di
sé sapeva di non poter
muovere un dito. Come cercò di mettersi in mezzo le immagini
sussultavano,
sfocandosi appena per poi tornare nitide non appena lui si allontanava.
Si
morse il labbro, disperatamente impotente di fronte a tutto
ciò.
-Non sono un ladro! Vi prego…
basta…-
-Ora mi hai rotto, piccolo verme.-
Fu
il sibilo più terrificante che avesse mai sentito, e per il
bambino dovette essere la
morte stessa. Quando poi il coltello scintillò di fronte ai
suoi occhi
arrossati fu il panico totale, uno stato di shock che, da secondo a
secondo,
avrebbe potuto divenire fatale. Solo una spanna di distanza, quel
fortuito
spostamento che fece conficcare l’arma nella sua spalla.
Quell’urlo
fu straziante, per il padawan come per il maestro.
Non
ebbe il tempo di ragionare, di studiare un piano, di pensare anche solo
per un
istante a quanto volesse piangere. Semplicemente urlò di
nuovo, Ezra, scagliandosi
contro quei malviventi solo per confonderli e poi scappare,
più veloce di
quanto avesse mai fatto in vita sua. Solo allora iniziò a
pensare, a
riflettere, a capire come poter sopravvivere a quella situazione, a
sfruttare
tutto ciò che aveva attorno a sé, che nulla era
se non due gambe e un po’ di
intuito.
I
malviventi lo inseguirono, e così fece Kanan, vedendolo
svoltare bruscamente
con i suoi inseguitori alle calcagna. Temendo il peggio gli
andò dietro, ma non
fu più a portata di vista: il trio continuò a
correre imprecando a gran voce,
ma di Ezra non vi era più traccia.
Fu
un pianto a farlo voltare, singhiozzi che si perdevano sulla sua testa.
Lo
sguardo rabbioso, in lacrime, frustrato di lui, arrampicatosi su un
tetto per fuggire, fu l’ultima cosa
che vide prima che svanisse.
-Ecco qui, tesoro.-
-Buon compleanno, Ezra.-
Lo
sconforto del suo cuore si placò. Per Kanan fu scioccante
sentire dei toni
tanto amorevoli dove prima erano stati solo i pianti del suo padawan a
dominare. Non si era quasi reso conto che, a furia di correre, erano
arrivati a
casa di Ezra. Gli fu evidente una volta per tutte che si trattava di
illusioni:
l’abitazione era integra e priva di qualunque marchio
imperiale. Sembrava al
contrario appena ristrutturata, graziosa per quanto non dissimile da
altre
nelle vicinanze.
Nonostante
qualche esitazione, il jedi si convinse a dare una sbirciata, dalle
finestre
che a quel tempo ancora non erano state sbarrate dalle guardie. Gli
cadde
l’occhio su un interno umilmente essenziale, di pochi mobili
e nient’altro, ma
fu la scena a farlo sorridere.
-Che cos’è? Che
cos’è??-
Un
piccolo Ezra, probabilmente di poco meno di quattro anni, scuoteva
eccitato un
piccolo pacchetto marrone, incartato con ritagli vari e confusi.
Brillante dei
suoi soliti occhi luccicanti tentava di capire, la lingua di fuori in
un
adorabile moto di concentrazione. Aveva la stessa tunica che Kanan
già aveva
visto, segno che difficilmente i genitori avrebbero potuto permettersi
altro.
Ma erano le loro espressioni a ripagare ampiamente quel debito, in
particolare
gli occhi accorti della madre, splendente di una luce celeste che
avvolgeva
anche i suoi occhi.
Quelle
persone erano perdutamente innamorate di loro figlio.
-Non scuoterlo troppo, non vorrai rovinarlo!-
Come
preso da una scossa Ezra si bloccò, rischiando di fare
cadere a terra il
regalo. Ridacchiando iniziò a scartarlo con assoluta
attenzione, come se ancora
sperasse di indovinarlo ad ogni piccolo indizio trovato. Emerse una
scatola,
che non appena venne privata del suo coperchio fecero esplodere nel
volto del
bambino un sorriso luminoso come una stella.
-Evviva!!! Sì!!! Evviva!!!-
Prese
a saltellare, stringendo forte a sé quel regalo speciale,
quel piccolo picco di
felicità nel cuore della sua infanzia. Come un prezioso
tesoro lo teneva a sé,
il sorriso più sincero che un bambino avrebbe mai potuto
mostrare ad altri. La
casa così si riempiva di colore, di vita, sensazioni che
arrivavano perfino al
jedi rimasto in pura osservazione.
Ezra
si bloccò di colpo, correndo dalla mamma e abbracciandola di
colpo.
-Grazie mamma!!!-
La
mollò all’istante, precipitandosi come una furia
allo stesso modo.
-Grazie papà!!!-
Rise,
rise con forza ed euforia, portando con sé la gioia che, nel
suo ingenuo cuore
di bambino, era convinto che sarebbe durata per sempre.
***
-Ah,
sei sveglio!-. Esclamò Kanan, alzandosi in piedi non appena
lo vide entrare.
-Stai bene?-
-Bene,
credo… diciamo che sono ancora vivo.-. Scherzò
Ezra, sedendosi al tavolo al
quale il suo maestro si era posizionato in principio.
Il
quale fece un mezzo sorriso, muovendosi verso i fornelli.
-Vuoi
qualcosa di caldo? Mi stavo preparando qualcosa…-
-Un
mistico intruglio prodigioso tramandato tra i jedi?-
Kanan
si voltò a guardarlo stupito.
-No.-
-Allora
va bene.-. Replicò ghignando Ezra, che non smise al vedere
l’alzata di occhi
dell’uomo mentre riempiva la caraffa metallica di acqua.
Rimasero
entrambi in silenzio, mentre il sibilo del fornello acceso restava
l’unico
rumore concreto attorno a loro. Gli altri della truppa stavano
sistemando gli
ultimi dettagli della missione, con ogni probabilità tra le
insistenze di
Sabine nell’aumentare l’effetto scenico, e mentre
il malato aveva riposato per
diverse ore il leader si era ritrovato senza nulla di meglio da fare se
non fingere che volesse prepararsi
qualcosa.
Il
tè, poi. I suoi piani erano sempre miseri e autolesionisti.
-…
cosa ricordi?-. Chiese ad un certo punto. dando la schiena al ragazzino.
Per
quanto suonasse casuale il maestro sapeva che Ezra era abbastanza
sveglio da intuire
cosa celasse la domanda. Difatti si abbandonò ad un sospiro,
i gomiti sul
tavolo e la testa, appesantita dall’emicrania, tra le mani.
-Non
molto. Ci stavamo allenando, poi mi sono sentito stordito, poi tanto stordito, poi stordito al punto
che non sentivo più nulla. Nemmeno se Zeb mi fosse caduto
addosso.-. Scherzò,
senza riuscire a coinvolgere l’altro. -Poi…
c’è molta confusione. Ho sentito
delle voci, forse dei ricordi, sogni strani tutti accavallati gli uni
sugli
altri.-. Le sue parole era titubanti, sembrava rimettesse assieme i
pezzi con
immane fatica, era un disegno vago che nemmeno lui capiva.
Kanan,
in attesa del bollore, si accostò al ragazzo rivolgendogli
un’occhiata
indagatoria. Aveva
le gote
ancora rosso fiamma, ma non sudava più e gli occhi erano
coscienti e non troppo
dilatati. Stava meglio, non serviva un medico. Ma…
-Ricordi
se hai sognato qualcosa di particolare?-. Lo vide annuire. -Ne vuoi
parlare?-.
Stavolta scosse la testa. -… me ne parleresti, se ne avessi
bisogno?-
Ezra
sorrise, annuendo.
-Saresti
il primo a cui ne parlerei.-. Confessò, visibilmente
impacciato
nell’ammetterlo.
Visibilmente
inconsapevole quanto le sue parole potessero colpire al cuore gli
altri. Kanan
sorrise, un affetto che non credeva possibile dal giorno in cui aveva
perso
ogni cosa, verso una delle poche cose buone che gli erano venute
incontro nella
sua vita. Gli mise una mano sulla una spalla, quella
spalla, e da quel contatto sentì un brivido che lo
fece
sussultare.
-Che
succede?-. Chiese, cercando il suo sguardo.
-…
riguardava… qualcosa che stavo cercando…-.
Mormorò Ezra con occhi sgranati,
come se non ci credesse nemmeno lui. -… qualcosa che mi
manca… credo.-.
Concluse, un mezzo sorriso che non celava l’ombra di
sconforto che si annidava
nei suoi zaffiri lucidi. -… non è il caso di
pensarci, concentriamoci piuttosto
sulla missione, okay?-. Affermò, l’evidente
intento di cambiare argomento. Ma i
suoi occhi tradivano anche un disagio distinto.
Kanan
cadde letteralmente dalle nuvole, quel miscuglio di sensazioni
l’aveva distolto
abbastanza da fargli realizzare solo ora il fischio della caraffa
bollente, al
che si apprestò a toglierla dal fornello. Tirando fuori
dall’armadietto due
tazze si apprestò a versare.
-Ma
tu non ci vieni.-. Disse poi, come si trattasse di
un’ovvietà.
-COSA???-.
Gridò il ragazzo alzandosi bruscamente in piedi.
-Ahi!
Ezra!-. Esclamò Kanan, sfregandosi la mano sulla quale due
gocce di acqua
bollente erano cadute. -Sei convalescente, cosa ti aspettavi?-.
Constatando che
non era nulla di grave riprese il gesto, sbriciolando delle foglie
secche che
sciolsero un aroma delicato nell’aria. Tentò di
ignorare quando alle sue narici
l’effetto fosse opposto, specie considerando quanto in
passato avesse rifiutato
diversi incontri tra jedi proprio per l’odio per quella
bevanda.
Il
ragazzo non seppe come replicare, limitandosi a mettere il broncio
mentre
tornava seduto nonostante il confortante profumo della bevanda posta di
fronte
a lui.
-Non…
non è giusto…-. Borbottò, affiancato
dal maestro.
-Adesso
non fare il bambino, non vorrai attaccarla a qualcuno di noi, vero?-.
Lo
intimò, ma col risultato di vederlo chiudermi maggiormente
in sé. -… Ezra… se
mi svieni nel bel mezzo dell’operazione, poi chi mi fa la
recita da “mio padre
è così
patriottico”?-. Riuscì a farlo
almeno sorridere, il che era una buona iniezione di
razionalità nella sua
testa. -Se avremo bisogno di aiuto ti chiameremo, hai sempre il
comlink, no?-
Ezra
ebbe un singulto, grattandosi il collo. Oh no, Kanan conosceva quel
gesto.
-…
potrei aver chiesto a Sabine di dipingerlo…-
-E…?-
-…
la vernice potrebbe essersi infilata nei circuiti…-
Il
jedi emise un sospiro esasperato, rivolgendo uno sguardo di rimprovero
al
ragazzo.
-E
quando speravi di dirmelo?-
-Appena
è successo… circa dieci minuti fa.-
Non
c’erano limiti a quanto quel ragazzino potesse cacciarsi nei
guai.
-Tu
rimani sullo Spettro in caso di bisogno, riposati e non metterti nei
guai.-.
Sapeva che era un avvertimento inutile. -Noi torneremo presto.-.
Concluse,
posando gli occhi sulla micidiale bevanda calda che stava davanti a
sé.
Rimasero
in silenzio, senza che lui desse cenni di voler bere.
-Kanan.-
-Sì?-
-Hai
tirato fuori la scusa del tè per parlarmi?-. Non rispose.
-Non ti piace in
verità?-. Non disse nulla. -… grazie.-. Infine
sorrise.
Era
davvero affetto quello che sentiva.
***
Lo
rivide lì davanti, non appena l’immagine felice si
era dissolta. Un altro Ezra,
la cui luce che tanto lo aveva fatto assomigliare ad un astro della
galassia
era più fioca, debole, insicura. Il suo volto era rivolto
alla casa che lo
aveva visto nascere, ed era il cesto contenente le memorie
più serene e
spensierate della sua vita. Quella casa, che ora mostrava il marchio
dell’Impero, un simbolo vivido e fresco che pareva una ferita
appena inferta.
Il
ragazzo mosse qualche passo verso l’edificio, le indicazioni
minacciose, le
finestre sigillate come una prigione, come un luogo abbandonato. Come
un angolo
del suo piccolo mondo felice, che improvvisamente diventava sbagliato.
Che
inevitabilmente ti abbandona, lasciandoti da solo.
-… Kanan?-
Rimase
di stucco. In quella proiezione del passato non avrebbe mai pensato di
sentirsi
chiamare. Ma aveva i suoi occhi su di sé, il suo volto
stanco e amareggiato, il
suo spirito che aveva perso la sua speranza in quel preciso momento,
quando
anche casa sua era diventata dell’Impero.
Kanan
si avvicinò piano, non sapendo come approcciarsi a quella
situazione. Vedeva il
suo padawan, più giovane di almeno otto anni, riconoscerlo e
chiamarlo per
nome.
-Ezra?-.
Lo nominò a sua volta, vedendo annuire.
-Non riesco a trovarlo.-
Non
capiva, nonostante ciò annuì con enfasi. Era
pronto per qualsiasi cosa, lo
avrebbe aiutato per qualsiasi cosa. Anche se avesse dovuto approcciarsi
ad un
lui così giovane.
-Cosa
devo fare?-
L’Ezra
gli sorrise, il volto amaro sempre più maturo e scuro ad
ogni battito di
ciglia. Porse qualcosa con la mano, mostrandola nella sua interezza: la
chiave
di casa sua.
-Lo sai. Lo hai visto.-
Così
passò la tessera sulla porta, che scattò
aprendosi in un interno colmo di luce.
Di colpo furono avvolti entrambi, e ogni cosa divenne più
chiara.
“…
che cos’è questo rumore?”
Non
lo stupì più di tanto, il ritrovarsi nella sua
stanza nella stessa identica
posizione meditativa. Fu più che altro
l’insistente martellare contro la sua
porta, degno solo di un possente guerriero Lasat come Zeb, considerando
il
fatto che aveva lasciato la porta aperta. Indolenzito da quella che
doveva
essere stata una seduta quasi infinita, Kanan si rimise in piedi con un
obbiettivo ben preciso in testa. Mugolò allo scrocchiare dei
suoi arti, per poi
aprire l’uscio.
Per
poco Zeb non lo prese in faccia con quel suo bussare a cannone, mentre
Hera
batteva nervosamente a terra il piede e Sabine… era
dinamite, quella?
-Non
ci pensare nemmeno, ragazza.-. La intimò il jedi, facendole
distogliere
l’attenzione dal pannello di sblocco delle porte. -E prima
che tu possa dire
cose come “credevamo stessi male” o “non
metterti tra una mandaloriana e i suoi
esplosivi”, vorrei farvi notare che la porta era aperta.-.
Concluse, con una
pazienza da rimanere stupito a sua volta.
Sabine
arretrò di un passo, ridacchiando nervosamente.
Così fece Zeb, nascondendo il
pugno come un’arma letale dietro la schiena. Al contrario il
pilota avanzò,
visibilmente innervosita.
-Chiudersi
per cinque ore dentro la propria stanza non è meno
preoccupante, tesoro!-. Lo
rimproverò, facendogli sgranare gli occhi. -Che è
successo? Hai trovato Ezra?-.
Era una domanda lecita, che altro avrebbe dovuto fare un jedi segregato
nella
sua stanza? Ma era il tempo trascorso ad aver catturato la sua
attenzione.
Erano
tornati allo Spettro circa a mezzanotte, perciò a breve i
due soli sarebbero
sorti. Ezra era rimasto fuori per tutto quel tempo da solo.
Ora
era abbastanza, però.
-Vado
a prenderlo.-. Annunciò, facendosi largo e marciando deciso.
-Torno subito.-
Non
aspettò nulla, né proteste, né
domande, né sguardi incendiari da parte del suo
pilota preferito. Semplicemente si mosse, consapevole di dove doveva
andare, di
cosa doveva fare. Di quanto fosse importante che fosse lui, e nessun
altro, ad
arrivare fino in fondo.
Uscì
dallo Spettro, l’atmosfera radicalmente diversa rispetto a
prima. La notte
quasi onnipresente, che sfumava all’orizzonte in un oro
timido ed un rosa
delicato, ancora miseri per costituire un’intera alba. Kanan
si lasciò alle
spalle l’atmosfera, correndo veloce nel bel mezzo di quel
famigerato prato, nel
cui ricco giallo ora si intravedevano solo pochi riflessi. Si
bloccò nel mezzo,
scrutando i dintorni alla ricerca di un indizio, una traccia, qualcosa
che lo
guidasse.
E
arrivò. Miagolando con insistenza.
-Tutto
ritorna a questo, vedo.-. Affermò Kanan, sorridendo alla
stessa bestiona che ore
prima Ezra si era messo a coccolare tranquillo dopo essersi connesso.
Protrasse
a sua volta la mano verso di essa, chiudendo gli occhi e percependo
l’animale rilassarsi
e avvicinarsi a lui, annusandolo come se avesse un odore
particolarmente
gradevole. Approfittando del momento Kanan lasciò che i suoi
pensieri
raggiungessero la sua mente, facendogli capire lentamente le sue
intenzioni,
pacifiche e incentrate su una sola persona.
Non
appena essa fu chiara il loth-gatto scattò
sull’attenti, iniziando a correre
verso la città. Il jedi lo seguì, sentendosi come
quel bambino dai capelli
color notte che inseguiva i pelosetti nascosti nel prato, con accanto
un padre
premuroso. Senza farsi distrarre si ritrovò in
città, fidandosi completamente
dell’istinto dell’animale che, annusando a destra e
a manca, sembrava sapere
esattamente come muoversi in quei vicoli scuri.
Era
presto, poca gente si muoveva in giro, principalmente contadini e
commercianti
ansiosi di mettere le mani per primi sulla merce migliore. Kanan si
fece largo
tra alcuni di essi, rischiando di rovesciare un carrello di yogan per
poi
giungere alla meta.
“Già,
dovevo aspettarmelo.”. Pensò, rimirando le macerie
della casa di Ezra. Il
loth-gatto aveva preso ad annusare davanti alla porta, così
lo lasciò fare
mettendo piede nell’area.
Le
pareti principali erano per la maggior parte distrutte, resti precari
si
innalzavano maciullati come se l’Impero stesso fosse venuto a
sgranocchiarli. Era
ormai da parecchio che i resti dell’abitazione dei Bridger
sostavano silenti,
senza che nessuno dei lothaliani se ne fosse chiesto il motivo. Un
blocco più
grande, recante il simbolo dell’Impero su di esso,
scatenò nel jedi un’ondata
di odio. Alzando la gamba lo colpì forte col tallone,
rompendolo a metà.
-…
il tetto…-. Sussurrò, guardandosi attorno. Con
abitazioni concepite per un
clima desertico, la copertura non era dissimile dalle pareti e mostrava
una
forma quadratica. Bianca, ora corrosa dall’esplosione che
l’aveva gettata a
terra.
Cercando
di non ripensare alle lacrime, alla solitudine del suo padawan mentre
si
nascondeva in posizione rialzata piangendo lacrime di odio, Kanan prese
a
frugare tra i detriti, imbrattandosi di calce e polvere che il vento
doveva
aver accumulato col passate dei giorni. Si sentiva invadente, fuori
posto in
quel luogo, dentro di sé avrebbe voluto pensare ad un piano
alternativo in
particolare in vista di quanto fosse delicato l’argomento per
lui. Ma sapeva
che Ezra non stava bene, lo sentiva, e sapeva che cosa fare.
Un
blocco particolarmente pesante lo costrinse a qualche sforzo in
più, facendogli
puntare i piedi mentre sollevava il pezzo. Appena lo ebbe scostato,
generando
un tonfo che alzò ulteriore polvere, nella tosse il suo
sguardo color
acquamarina scovò un piccolo involucro nero e arancio.
-Beccato,
pelosetto.-. Affermò ridendo, prendendo tra le mani
l’oggetto morbido, seppure
rovinato e impregnato di una buona dose di polvere. Il dolce ricordo di
quel
regalo, che tra le manine del bambino era stata fonte di tale gioia gli
schiarì
lo sguardo teso.
Battendolo
delicatamente tra le mani per pulirlo, facendo attenzione a non
romperlo, il
jedi si rimise in piedi soddisfatto, pensando che l’unica
cosa che rimaneva da
fare era trovare il proprietario. Uscì da dove un tempo
sorgeva la porta,
continuando a fissare l’oggetto e rendendosi conto che il
loth-gatto di poco
prima ancora non se n’era andato: continuava ad annusare come
il segugio che
apparentemente non era, guardandosi attorno per avere una visione dei
dintorni.
Appena
fece caso all’uomo gli si avvicinò velocemente,
strusciandosi contro la sua
gamba per poi rimettersi a correre. Kanan non poté fare
altro che rimettersi in
moto, immaginando tuttavia dove quel felino avesse intenzione di
condurlo. Se
in un primo momento aveva pensato che Ezra sarebbe senz’altro
tornato a casa,
da un altro punto di vista lui raramente parlava di quel luogo come la
sua
effettiva dimora. “Sono cresciuto per strada, da
solo” diceva sempre.
Proprio
da solo, lui sapeva che l’avrebbe trovato.
Non
si stupì di veder stagliarsi all’orizzonte, poco
dopo aver lasciato la città,
la torre nella quale il ragazzo aveva vissuto prima di incontrarli.
Anzi, se
avesse avuto più tempo per pensarci, o meglio se non avesse
dovuto per forza di
cose fare quella deviazione necessaria a casa sua, probabilmente
sarebbe venuto
lì a cercarlo. Sentiva la sua presenza solo ora, vi erano
solo due motivi: o
non aveva voluto farsi trovare, o non aveva le forze per essere trovato.
In
entrambi i casi, Kanan doveva vederlo subito.
Una
volta raggiunto il luogo, scalato con quel pelosetto accanto,
finalmente furono
davanti alla porta spalancata, che lasciava filtrare a mala pena il
sole tenue
che l’alba faceva nascere. Kanan si fece avanti, un antro
semibuio abitato dalla
ben nota collezione di caschi di Ezra, oltre che di innumerevoli altre
cianfrusaglie
probabile preda del sul passato da borseggiatore.
Infine,
lo vide.
Quando
qualcosa di brutto succedeva, Ezra era inevitabilmente chiuso in se
stesso. Che
fosse a occhi bassi, chino o semplicemente con le braccia attorno al
corpo, lui
tendeva a prendere le distanze, voleva che ogni male andasse via. Se lo
aspettava, perché in tanti anni tutto se n’era
andato via, tutto l’aveva
abbandonato. Perché non ora?
-Ezra.-
Ora
non faceva eccezione, e con le ginocchia al petto e il capo poggiato
sulle
cosce, quella era una piccola fortezza fragile e tremante che si
isolava da
tutto e tutti. Al richiamo il castello si smosse, e due occhi zaffiri
spuntarono dalle sue mura cauti, insicuri.
Forse
l’aveva riconosciuto appena era entrato, non sarebbe stata la
prima volta.
Parve comunque sorpreso, o frastornato, la sensazione fu quella di
averlo
anticipato mentre lui tentava di arrancare una scusa per
l’essere sparito per
quasi sei ore. Aveva il volto tremendamente pallido, gelo notturno e
l’onnipresente malattia lo avevano consumato fino a ridurlo a
ciò che era prima
di nutrirsi regolarmente assieme a tutti loro. I suoi occhi erano
spessi di
occhiaie, e se si fosse trattato di lacrime infinite o una notte senza
sonno,
Kanan non poteva saperlo.
Sperava
solo una delle due.
-…
sono… sono d-dovuto andare…-. Balbettò
il ragazzino, stringendosi le braccia
attorno al corpo scosso dai brividi. -Sentivo che d-dovevo…
sono andato a casa…
quella dei miei…-. Un singhiozzò
ghiacciò le sue parole, facendo tremare lo
sguardo lucido. -… ma non sapevo cosa… se
dovevo… io… i-io…-. Si tratteneva,
cercava disperatamente di ignorare tutto, i ricordi laceranti, le
memorie
nostalgiche, la gola che bruciava e la vista offuscata e calda.
Kanan
addolcì lo sguardo, muovendosi cauto verso di lui. Il
loth-gatto rimase alla
porta, curioso ad osservare il maestro approssimarsi
all’allievo, per poi
abbassarsi di fronte a lui. Gli mise una mano sulla spalla,
costringendolo a
guardarlo negli occhi. E gli sorrise.
-Lo
so. Cercavi qualcosa.-. Disse dolcemente, porgendogli infine quel
regalo. -Dovevi
solo guardare un po’ più attentamente.-. Lo
sentì. Sentì tutto ciò che quella
vista provocava in lui.
Ezra
sgranò gli occhi, incredulo, esitante mentre metteva mano ad
un oggetto che non
vedeva da otto anni. Quando lo toccò si sentì
pervadere dalla nostalgia, era
tanto ruvido ma soffice e confortante: un peluche a forma di
loth-gatto,
arancio a strisce nere, che con tanto affetto e sacrificio i suoi
genitori gli
avevano regalato invece di tenerne a casa uno. Non aveva più
provato l’ingenua
gioia di quando l’aveva ricevuto, non si era più
sentito così spensierato
davanti ad un futuro che sembrava così naturalmente roseo.
Non aveva più
permesso a se stesso di aver voglia di sentirsi amato, di sentire
affetto e
calore.
-K-Kanan…-
-Ezra.-.
Il maestro lo anticipò, guardandolo dritto negli occhi per
potergli cavare
dallo sguardo solo la verità. -Stai bene?-
Il
blu esitò. Guardò il volto dell’uomo,
guardò la torre della sua solitudine.
Guardò le sue mani tremanti, e quel regalo speciale che gli
graffiava il cuore.
-…-.
Scosse la testa, singhiozzando sempre più forte.
-… no.-
Le
sue guance divennero calme, la gola smise di bruciare.
Lacrime
sorsero, morbide e spedite come se non vedessero l’ora di
venire fuori. Prima
che se ne rendesse conto singhiozzava, col volto premuto sul petto del
suo
maestro, che senza dire una sola parola lo chiudeva in un minuto ma
caldissimo
abbraccio. Tutto ciò di cui aveva bisogno, solo silenzio e
calore, il primo
rubato dai gemiti che le sue labbra abbandonavano man mano i suoi
pianti si
facevano sempre più disperati, necessari.
Il
passato rimaneva, per quanto fosse forte la sua voce.
Poteva
solo muoversi verso la luce, che splendeva in quella nuova alba.
***
-L’hai
trovato!!!-. Esclamò Hera non appena vide il jedi tornare,
con un esausto e
ancora malaticcio padawan svenuto tra le sue braccia.
-Avevi
dei dubbi?-. Chiese ironico, muovendosi verso la sua camera per farlo
riposare.
-Diciamo
che Sabine potrebbe aver perso una scommessa con Zeb…-.
Mormorò ridacchiando,
facendolo imbronciare leggermente. -… ma era più
che altro su quanto tempo ci
avresti messo.-. Precisò con un sorriso, rendendolo un
po’ meno offeso.
Camminarono
l’una di fianco all’altro, con un tenue e leggero
respiro che spezzava la calma
di quella prematura mattina. In uno stato così precario,
così fragile solo
Kanan l’aveva visto, quando gli erano morti i genitori: anche
quella volta lo
aveva tenuto stretto a sé, cercando di calmare le lacrime e
la disperazione.
Aveva sperato di non vederlo mai più in uno stato del
genere. La forza non era
mai stata generosa con quel ragazzino.
-Starà
bene?-. Chiese accorta Hera, passandogli una mano tra le ciocche blu.
-Ezra
starà sempre bene, è il momento in cui non lo
è che mi preoccupa.-. Confessò
Kanan, ringraziando con lo sguardo la twilek che apriva la porta al
posto suo.
-Non mi dice mai niente, lo devo scoprire da solo oppure forzarlo a
parlare.
Ormai è passato un anno da quando è con noi, e
non è cambiato nulla.-. Concluse
amaro, rimirando il volto pallido ma sereno che sosteneva.
Il
pilota sorrise teneramente, sospirando appena.
-Sei
cambiato tu, da quando lo hai conosciuto.-. Affermò,
bloccandolo in mezzo alla
stanza. -Siamo cambiati tutti, lentamente, quindi è solo una
questione di
tempo. E non credo che il borseggiatore menefreghista di un anno fa
avrebbe
pianto abbracciato al suo vecchio maestro.-. Asserì.
L’istinto materno di Hera
era più impressionante di qualunque trucco jedi Kanan avesse
imparato durante
il suo addestramento, ne era consapevole.
Come
sempre aveva ragione.
Sorrise,
scalando piano il letto per adagiare il ragazzino, per la seconda
volta, sul
letto che gli spettava. Lo adagiò piano, e la sua testa si
spostò di lato
facendo ricadere qualche capello notte. Kanan glieli
sistemò, assicurandosi che
fosse coperto e sperando che, almeno per una volta, potesse passare
qualche ora
di tranquillità.
Prima
di raggiungere il pilota poggiò accanto al volto del
ragazzino quel peluche,
quel regalo che aveva fatto esplodere in lui emozioni troppo a lungo
nascoste.
-Buon
compleanno, Ezra.-. Mormorò dolcemente carezzandogli la
fronte, lasciandolo
alla pace del sonno.
All’oscuro
del suo sguardo acquamarina, in un solo atto di lucidità lo
sguardo zaffiro si
mostrò, allungando una mano verso il piccolo loth-gatto.
Nelle tenebre della
stanza, un dolce sorriso si perse nei meandri della sua mente,
catturata
dall’oblio della stanchezza.
“Grazie,
papà.”
Milla Little Corner
E rieccomi con la seconda e ultima parte! <3Il finale me lo sono lasciata scappare, per me sono davvero troppo come padre e figlio! ^^"
Questo è stato decisamente malinconico. Non sono riuscita a trattenermi, Ezzy è davvero troppo triste secondo me... e Kanan è l'unico che può aiutarlo! Mi sembra abbia pure fatto un buon lavoro, quindi direi che possiamo tutti considerarci soddisfatti!!! ^ ^
Ringrazio nuovamente Aiko_Miura_36 per aver recensito il primo capitolo, oltre ad aver iniziato con me questo piccolo contest!
Bene, con questo mi congedo! Che la forza sia con voi eccetera eccetera!!!
Alla prossima, ciao!
Purple_Rose