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Autore: Valpur    23/10/2016    2 recensioni
Quando, per accontentare una madre apprensiva, Fedra aveva accettato di partecipare a quel dannato Conclave non aveva messo in conto molte cose.
Per esempio di riuscire a evitare il maledetto cugino Frederick.
O di scoprire che le toccava salvare il mondo.
Da imbarazzo dei Trevelyan a Inquisitore il passo è più breve di quanto la goffa, testarda Fedra potesse ipotizzare. E lo percorrerà - non senza qualche bestemmia - con dei compagni inaspettati che le cambieranno la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inquisitore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Solas l’aspettava vicino a un braciere spento. Fedra sentì il freddo insinuarsi sotto ai vestiti e per un attimo, rabbridivendo, si chiese se fosse normale che l’elfo fosse così a proprio agio, praticamente scalzo e vestito solo di una camicia leggera.
Fosse questa la cosa più strana, si disse con una risata muta. Solas, di spalle, agitò la mano sul braciere ed evocò delle pallide fiamme azzurre.
“Mi piace quando lo fai”, ammise Fedra con un sorriso. Tese le mani contro il fuoco e si compiacque nel vedere il sorriso dell’elfo.
“Ti ringrazio. Sono lieto che tu sia sopravvissuta, la tua perdita mi avrebbe addolorato”.
“Uh. Grazie”.
Seguì un breve silenzio che per Fedra fu piuttosto imbarazzante, quindi Solas parlò di nuovo, le mani incrociate dietro la schiena e la voce calma e fredda.
“Immagino tu abbia sentito le parole di Leliana riguardo i Custodi Grigi”.
“Serve una risposta? Be', sì, le ho sentite ma non ho capito cosa significhino”.
L'elfo si voltò a guardarla, gli occhi azzurri cupi nella luce gelida della torcia.
“Posso darti la mia – e penso anche quella di Leliana – interpretazione. Non mi stupirei affatto se quello che abbiamo visto non fosse un drago ma un arcidemone; questo significherebbe che su di noi incombe un nuovo flagello”.
Fedra rabbrividì, le ossa che vibravano per il freddo, lo sfinimento e ora anche per la paura. Si stava parlando di leggende, di pericoli che fino a quel momento erano stati affrontati da personaggi che si erano meritati il termine di eroe.
E ora toccava a lei?
Aveva la bocca asciutta e la voce un tono implorante quando alzò gli occhi su Solas.
“Ma forse non è così, vero? Forse... forse si tratta solo di un...”
“Di un enorme drago che vomita palle di fuoco e di un magister corrotto che vuole assurgere al ruolo di divinità? Sì, forse potrebbe essere solo questo”. Le labbra sottili dell'elfo si incurvarono all'insù in un inatteso sorriso ironico. “Comunque vada, Fedra, troveremo il modo per affrontare ciò che ci aspetta”.
Le fiamme azzurre si riflettevano sulla testa calva, rendevano inspiegabilmente profondo lo sguardo. Quando parlò di nuovo il tono era serio, pragmatico.
“La minaccia di Corypheus, la sfera che ti ha mostrato… hanno origine elfica. Lui ha usato la sfera per aprire il varco, e questo ha causato l’esplosione che ha distrutto il Conclave”.
“E questo tu come lo sai?”
Di nuovo quel sorriso ma questa volta era ferino.
“Non sarò così presuntuoso da vantarmene, ma la mia conoscenza trascende i limiti delle biblioteche. Ho avuto modo di viaggiare e leggere molto, e per questo ti chiedo di avere fiducia in me”.
Fedra strinse le spalle.
“Mi sono sempre fidata di te, Solas. Non posso dire di comprendere tutto il discorso, però. Insomma, la seconda parte – un artefatto per squarciare il varco – era abbastanza intuitiva, mentre la prima… ti preoccupa, vero?”
Solas chinò il capo e sospirò.
“Quando si scoprirà l’origine della sfera tutti si volteranno verso il mio popolo”.
“No, fermo, fermo: fai un passo indietro. La sfera cos’è? Dubito fosse solo una palla di pietra, vero?”
“È un focus. Furono costruiti per incanalare il potere degli dei – o di uno specifico dio. Sono quasi leggende, la conoscenza del loro potere dimenticata da molti. Non da me”. Sollevò su Fedra i grandi occhi tristi e scosse la testa. “Non so come Corypheus abbia ottenuto il focus, ma so che si tratta di un artefatto elfico. Con cui vuole minacciare il mondo che conosciamo. Capisci che per la mia gente il pericolo ha una doppia faccia…”
“Sai, Solas, avevo proprio bisogno di un ulteriore peso sulle spalle”, disse Fedra. Se ne pentì subito: stava facendo i capricci, e in ballo c’era un intero popolo. “Scusa. Ho esagerato”.
L’elfo non si scompose.
“No, hai ragione. Guidi un popolo che ha cieca fiducia in te, ma il passo da campione a martire è breve. Spero tu non debba mai compierlo… comunque sia, Fedra, devo dirti qualcos’altro”.
Ogni ferita bruciò, ogni stilla di stanchezza diventò un macigno insopportabile. Solas dovette accorgersene perché le prese il braccio e la condusse verso le tende con espressione gentile.
“Niente brutte notizie, questa volta, solo strategia. In questo momento sei alla testa di una colonna di profughi che hanno perso tutto; hanno bisogno di un posto in cui stare e a te occorre una roccaforte”.
“Già. Dopo andrò a controllare nei bagagli, magari qualcuno ha una fortezza che gli avanza…”
Niente da fare, il sarcasmo continuava a filtrare nelle sue parole. Solas sorrise – un sorriso affilato, da lupo – e guardò oltre le montagne, a nord.
“Devo chiederti di nuovo di avere fiducia in me. Ho quello di cui abbiamo bisogno”.

Partirono all’alba, sotto un cielo di un azzurro abbagliante.
Non ci era voluto molto a convincere i consiglieri, giusto un breve discorso da parte di Solas e un sospiro di sollievo collettivo che aveva rivelato quanto tormentati fossero stati i loro pensieri.
“Si tratta di una necessità immediata, non resisteremo a lungo nei boschi”, disse Cullen, intento a caricare i soldati con bagagli e armi. “Non possiamo permetterci il lusso di non fidarci dell’elfo”.
Partirono, una colonna disordinata di vedove e orfani, soldati e contadini, feriti, malati. Gli occhi di tutti erano su Fedra e su ciascuno dei volti segnati dal dolore e dalla stanchezza aleggiava un sorriso incerto.
Speranza.
Fedra si portò in testa alla carovana. Avrebbe voluto zoppicare o lamentarsi ancora delle sue ferite, ma non ne aveva il diritto.
Non con le ultime parole di Solas che le ronzavano nelle orecchie.
“Attaccando l’Inquisizione Corypheus l’ha cambiata. Ha cambiato te, ti ha trasformata in una guida”.
E così marciavano lenti, con poco cibo e troppa speranza. Cassandra era sempre al suo fianco, forza silenziosa, roccia a cui aggrapparsi quando lo sfinimento minacciava di sopraffarla. In fondo alla file Cullen e l’esercito – e Fedra malediceva ogni giorno l’impossibilità di trovare un solo istante per parlargli da sola, anche se i sorrisi che le lanciava da lontano avrebbero sciolto la neve. Ci sarebbe stato fino in fondo, doveva solo aspettarlo. La piccola Linda non piangeva quasi più la notte e durante il cammino viveva in spalla o in braccio a Cole.
Non tutti ce l’avrebbero fatta, Madre Giselle aveva messo in guardia Fedra. Alcuni soldati avevano ferite troppo gravi e, trasportati su lettighe improvvisate, lottavano ogni giorno contro la morte. Chi alla fine si addormentava per sempre, però, lo faceva libero, sotto un cielo terso e non tra le rovine della devastazione.
Lo sapeva e una parte di lei lo accettava, ma era un pensiero cui non osava dare troppo spazio. La disperazione indugiava sempre vicina, nera, quasi più spaventosa di Corypheus.
Era facile tenerla a bada finché doveva camminare, un centinaio di metri davanti a tutti, con la neve fino alle ginocchia. Lo divenne ancora di più quando Leliana le si avvicinò il pomeriggio del terzo giorno di marcia.
“Inquisitore, posso parlarti?”
“Solo se non mi fai fermare. Se cammino non ho troppo freddo”, bofonchiò calciando via un cumulo di neve. La mano guantata di Leliana le prese il braccio con una forza inattesa.
“Ho due brutte notizie e non ho un modo gentile per comunicartele”.
“Che fortuna, non vedevo l’ora”, fu la risposta acida, l’unico modo che Fedra conoscesse per evitare il panico. Il viso esangue di Leliana era mortalmente serio. “Cos’è successo e a chi?”
“Qualcosa di diverso. La prima è che c’è uno squarcio a un paio di miglia davanti a noi…”
Uno squarcio. Di nuovo. Si era scioccamente illusa, nonostante le parole dei consiglieri, che ormai quella faccenda fosse conclusa, e invece eccolo lì. Un altro, col suo contorno di demoni e luce verde.
Fedra strinse i denti e annuì una volta.
“Abbiamo ancora dei soldati per difendere la gente e io sono in grado di chiuderlo, anche se preferirei non dovermene occupare. Notizia brutta ma non terribile, quindi immagino che la seconda sia peggio…”
“Siamo seguiti”.
Fedra si bloccò. Cassandra, poco più avanti di lei in esplorazione, la raggiunse, sudata e con il naso rosso.
“Cosa succede?”
“Qualcuno ci sta seguendo”, disse Fedra senza distogliere lo sguardo da Leliana. “Chi?”
Lo sguardo dei freddi occhi azzurri superò la spalla di Fedra e si perse nella foresta dietro di lei.
“Loro”, e tese il dito.
Fedra e Cassandra si voltarono di scatto e li videro.
Loro erano un gruppo di persone incappucciate, guerrieri a giudicare dagli archi e armi che sbucavano oltre le loro spalle. Fedra contò sei individui, poi il suo cervello registrò che l’assurdità alla loro guida doveva essere il capo e socchiuse la bocca.
Era grosso, un colosso che faceva sembrare minuta Cassandra. Grosso e grigio e seminudo, con una scure alta come Fedra appesa alle spalle. Tutto molto normale se paragonato alla faccia.
Un qunari, quelle corna da toro che gli sbucavano ai lati del cranio non lasciavano dubbi. Fedra indietreggiò di un passo: dovevano pesare quanto lei! Il guerriero sorrideva e quel gesto rendeva più evidenti le cicatrici che gli squarciavano il viso spigoloso e la benda sull’occhio.
Cassandra portò subito la mano alla spada ma Fedra la fermò, senza perdere di vista il gruppo.
“Aspetta”, disse. “Non sembrano minacciosi”.
Poi guardò meglio il qunari e non riuscì a trovarsi in disaccordo con il verso ringhiante di Cassandra.
“No, va bene, minacciosi lo sembrano eccome. Bellicosi no”.
Non fu il gigante cornuto a parlare. Un uomo dalla mascella squadrata e il collo taurino, in un’armatura un po’ troppo scintillante, per quanto ammaccata, gli si parò davanti e roteò gli occhi al cielo. Il viso liscio lo faceva sembrare molto giovane, anche se non meno pericoloso.
“Ho l’onore di presentarvi il capo della compagnia di mercenari più temuta dell’Impero, le Furie del Toro di Ferro”, cantilenò parecchio annoiato. “Le cui gesta… cazzo, Toro, ma è proprio necessaria tutta questa sceneggiata?”
“Vai avanti, Krem. L’abbiamo provata”, e gli diede una spintarella con la punta del dito.
Il soldato si prese a schiaffi la faccia e lasciò scivolare giù la mano. Fedra fu certa di leggergli negli occhi un mare di esasperazione.
“Le cui gesta eroiche sono cantate in tutte le taverne e… no, Inquisitore, io non ce la posso fare. Sono Cremisius Aclassi e questi sono i miei compagni, le Furie. Lui”, e indicò col pollice il Qunari, “è il Toro di Ferro, il nostro capo”. Sintetico, asciutto, visibilmente sollevato.
“Calzante”, ammise Cassandra.
“Hai rovinato tutto”, ringhiò il Toro. Dietro di lui il gruppetto assortito di uomini, elfi e persino un nano con dei folti baffi ridacchiò. “E voi piantatela!”
“Non riesco a capire come possa non aver freddo”, sussurrò perfettamente udibile un’elfa bionda tutta imbacuccata.
Fedra si voltò verso Cassandra.
“Ferma il gruppo. Con questo tizio dobbiamo parlarci, mi sa”. La Cercatrice annuì e se ne andò senza mai smettere di voltarsi e controllare la situazione. Fedra, con Leliana al suo fianco, rimase in guardia.
Non possono farci davvero del male. Abbiamo maghi e un esercito, li annienteremmo prima che questo Toro di Ferro possa brandire la scure.
Il marchio mandò un lampo verde e Fedra strinse il pugno.
“Toro di Ferro, giusto?” chiese guardandolo dal basso – molto dal basso – in alto.
“Quasi. Il Toro di Ferro. C’è l’articolo… mi piace, è un po’ come se fossi un’arma”, disse senza mai smettere di sorridere. Fedra e Leliana si scambiarono una lunga occhiata incerta.
Il Toro di Ferro, come preferisci. Ehm… e saresti qui per…?”
Il Toro allargò le enormi braccia. “Ma per offrire i nostri servigi all’Inquisizione!”
Cassandra tornò di corsa, seguita a breve distanza da Josephine, armata del suo solito plico di fogli.
“Ah. Molto carino da parte vostra – ehm – Furie, ma per quale motivo dovremmo accettare? Non che non apprezzi, sia chiaro!” si affrettò ad aggiungere Fedra con le mani tese in avanti.
“Perché siamo forti, affidabili e di gran compagnia. Certo, non siamo economici, ma ne vale la pena”, rispose il Toro con un’alzata di spalle. Era impressionante, l’ombra che gettava copriva del tutto Fedra e Josephine al suo fianco.
“Quanto cari?” chiese brusca.
Fu Krem a rispondere, con un sorriso inaspettamente affascinante sul viso scuro. “Per te, principessa? Un prezzo di favore, credimi”.
Josephine diventò paonazza sotto alla sciarpa che l’avvolgeva ed esitò un attimo di troppo prima di abbassare lo sguardo sulle carte.
“Possiamo parlare dopo delle tariffe e sono sicuro che troveremo un modo per metterci d’accordo. Che ne dici se prima ti facciamo vedere ciò di cui siamo capaci, eh, Inquisitore?” chiese il Toro. Fedra rimase inebetita per un attimo a guardare quanto palese fosse la reazione di Josie al sorriso di Krem, quindi scrollò la testa.
“Un duello? Per questo dovreste sentire Cassandra o Cullen, loro sono i meglio preparati. Non…”
“Non siamo qui per giocare. Sbaglio o c’è uno squarcio da chiudere a tre miglia e otto da qui?” L’espressione gioviale si fece cupa anche se il sorriso non gli lasciò le labbra. Ora sì che faceva paura.
Leliana incrociò le braccia.
“Non ho visto altri esploratori nei paraggi. Come fate a sapere del varco?”
Il Toro sollevò un sopracciglio e la benda di cuoio si mosse nell’orbita vuota.
“So parecchie cose, Usignolo. Tutte molto utili”.
Cosa passò nello sguardo incendiario che si scambiarono Fedra non sarebbe mai stata in grado di dirlo. Fu Krem a rompere l’imbarazzo.
“Il piano è questo, Inquisitore: noi andiamo lì e prendiamo a mazzate qualsiasi cosa esca dallo squarcio, tu ci guardi, ti meravigli della nostra bravura e poi chiudi il buco. Semplice ed efficace”.
Fedra si voltò verso Leliana.
Aveva stranamente senso.
“Che ne dici? Una possibilità se la meritano, no?”
Il Toro di Ferro fece un passo avanti lasciando le Furie a rabbrividire sotto ai pini, con Josie che scartabellava i suoi fogli. Si chinò sulle ginocchia per guardare Fedra dritta in faccia.
“Ben-Hassarath”, sussurrò.
Questo le fece sollevare le sopracciglia.
“Salute?”
“Cosa?” scattò Leliana, ma non proprio col tono di chi non stesse capendo. “Tu?”
“Proprio così. Spie qunari, e il fatto che io vi metta davanti questo segreto dovrebbe dirla lunga sulla mia lealtà”.
“Tu saresti una spia?” rise Fedra. “Sei parecchio improbabile per…”
“Vero? Nessuno mi prenderebbe per uno degli uccellini di Leliana. Chi mai sospetterebbe del grosso, chiassoso Toro di Ferro?”
La sensazione di pericolo che emanava si faceva più forte a ogni secondo che passava.
“Leliana? Sono nelle tue mani in questo. Non voglio sapere niente di questi sotterfugi…”
“I Ben-Hassarath vogliono informazioni su di te e sull’Inquisizione”, riprese il Toro, serio. “Ma sono disposto a far passare ogni comunicazione al vaglio dell’Usignolo”.
Leliana squadrò il Toro da capo a piedi e ci mise un bel po’, quindi si voltò verso Fedra.
“Vediamo cosa sanno fare. Del resto non preoccuparti, Inquisitore”.
“Certo che non mi preoccupo. Se mi fanno sospettare qualcosa di losco li faccio prendere a calci in culo da Cassandra, e fossi in loro righerei dritto”.
Bastarono un paio di ordini urlati da Cassandra per far montare, con un po’ di anticipo, il campo per la notte. Nel giro di un’ora raggiunse Fedra nella piana indicata da Leliana.
Lo squarcio era proprio lì, il solito passaggio slabbrato verde e luminoso circondato da un drappello di demoni ossuti.
Si appostarono dietro un macigno e Fedra sbirciò fuori. Le Furie erano dall’altro lato della spianata e le corna del Toro sbucavano dalle rocce.
“Sei sicura?” le chiese Cassandra.
“Mai. Di solito improvviso”, rispose Fedra.
Il solito verso gutturale che esprimeva disapprovazione.
“Voglio dire, non li conosci. Sei venuta qui solo con me, e potrei non bastare a proteggerti se dovessero attaccarti”.
“E allora speriamo non lo facciano, no? Stanno per… oh!”
Un dardo di luce partì dal nascondiglio delle Furie e colpì in pieno petto un demone. Non servì ad atterrarlo, anche se gli lasciò una ustione grossa come un pugno, ma l’odore di bruciato riempì la radura.
“Avete anche un mago?” esclamò Cassandra a voce molto alta.
Non sono una maga! Quella era una freccia!” gridò in rimando una voce femminile dal lato delle Furie.
“Cassandra, facciamo che questo non l'hai visto, eh?”
Rimasero a godersi lo spettacolo.
Sì, valevano la spesa. Persino Cassandra non trovò nulla da ridire mentre ammirava la carica delle Furie – Krem alla guida, un turbine di metallo e lame che decapitò il demone ferito con un solo colpo.
Erano già impressionanti così, ma poi fu il turno del Toro. Emerse lento dalle rocce proprio mentre un altro gruppo di orrori emergeva dallo squarcio.
“Forse dovrei…” azzardò Fedra. Erano tanti, e se non avesse chiuso lo squarcio ne sarebbero giutni altri. Cassandra la fermò.
“Non ti ringrazierebbero. Guarda!”
Il Toro tenne fede al suo nome. Lento, inesorabile, partì in corsa con un ghigno folle sul viso sfregiato. Il primo demone che ebbe la malaugurata idea di mettersi sul suo cammino incontrò la punta delle corna; il Toro lo trafisse in pieno ventre e gettò indietro il collo, squarciando la carne della creatura e mandandola a morire dopo un volo di parecchi metri. La seconda creatura gli mulinò contro le lunghe braccia esili; un artiglio colpì il vasto petto nudo, ma la vista del sangue sembrò eccitare ancora di più il mercenario. Prese tra le grosse mani il cranio del demone e semplicemente strinse.
Uno scricchiolio umido riecheggiò per la piana – Fedra distolse lo sguardo – e anche il secondo avversario si afflosciò a terra.
“Li prendiamo”, disse Cassandra. “Li facciamo tenere d’occhio da Leliana, da Josie – sbaglio o quel Krem l’ha spogliata con gli occhi? – o che ne so, ma li prendiamo”. Era a dir poco ammirata.
“Sono perfettamente d’accordo”.
Lo scontro non era durato che una manciata di secondi, il Toro non aveva neanche sguainato la scure e per terra c’erano una decina di demoni morti o morenti. E l’unica ferita l’aveva subita, quasi cercata, proprio il Toro stesso.
“Vado”, disse Fedra. Balzò fuori dalle rocce mentre uno dei mercenari, pelle scura e occhi grigi, finiva un demone d’ombra che si agitava per terra.
Attraversò di corsa il campo di battaglia e raggiunse lo squarcio proprio mentre un altro paio di mani artigliate iniziava a emergere dal passaggio. Inchiodò con una scivolata sulla neve – il demone stava scivolando fuori – e tese la mano. Il marchio si unì allo squarcio e la luce improvvisa gettò lunghe ombre dagli alberi circostanti.
Il demone era a metà del passaggio e lanciò un grido lacerante mentre veniva risucchiato nell’Oblio. Fedra strinse il pugno e lo squarcio si chiuse.
“Ma no!” urlò il Toro. 
“Avevamo appena iniziato a divertirci”, si lamentò Krem. Sfilò lo spadone dal petto dell’ultima bestia abbattuta e lasciò ricadere le vaste spalle.
“Avremo molte altre occasioni, ve lo garantisco. Siete assunti”, disse Fedra un po' senza fiato. Era stato facile, persino divertente: qualcosa che non aveva mai associato al suo ruolo di Araldo. Sorrise al Toro e gli tese la mano con l’ancora.
“Che ne dici, Toro?”
“Che ne dico?” Si voltò e i suoi compagni lo raggiunsero. “Furie! Su le corna!” ruggì nel crepuscolo.
Le Furie si unirono al grido, entusiaste, e la manona del qunari – mancavano un paio di falangi e il resto era una distesa di cicatrici – strinse quella di Fedra fino al polso. 
“Hai fatto l’affare della vita, capo”.
Fedra si sentì minuscola ma rispose alla stretta con entusiasmo. Il Toro inclinò le corna verso Krem.
“Allora, ci vai tu a trattare con quella bella Antivana?”
“Agli ordini!"

Fu solo una piacevole parentesi. Il mattino dopo la carovana si rimise in marcia, più numerosa di prima ma non meno sfinita. Il Toro di Ferro si rivelò subito un ottimo acquisto, ben disposto a trainare i carichi più pesanti neanche fosse un animale da soma.
“Non so”, disse Cullen sfregandosi il mento. “Una spia qunari nell’Inquisizione? Siete sicure?”
“No, e infatti lo sto tenendo d’occhio. Per ora, comunque, non ho trovato niente di troppo sospetto su di lui”, rispose Leliana. “Quindi o è molto bravo, e ne abbiamo bisogno, o ci è davvero leale, e anche di questo abbiamo bisogno”.
“Io l’ho visto combattere e non ho dubbi”, chiuse la questione Cassandra.
A Dorian, stranamente, la faccenda non dispiaceva neanche un po’.
Si avvicinò a Fedra a metà del quinto giorno, con il naso tappato dal raffreddore e i baffi meno in ordine del solito.
“Ma senti… quel Toro di Ferro”.
“Sì?”
“Del toro ha solo le corna?”
Le ci volle un attimo per decifrare l’informazione e una risata spontanea le salì alle labbra.
“Dovrai indagare da solo, temo. Non che ci voglia molto, visto che non è particolarmente vestito. Comunque no, non ne ho idea, non è molto il mio tipo”.
Dorian le arruffò i capelli.
“Dimenticavo, tu preferisci i giovani, affascinanti templari. Non me la sento di darti torto, Fedra”.
E se ne andò, lasciandola ad arrossire nella neve.
Ma lo sapevano proprio tutti? Ora che ci pensava certe battute da parte di Cassandra erano precedenti alla sua stessa ammissione di provare quaclosa per Cullen. Eppure non si erano dati neppure un bacio…
Per qualche tempo rimuginò sulla faccenda e su come avrebbe influito sul suo ruolo. Nessuno venne a disturbarla e le sue rapide occhiate le rivelarono che il gruppo marciava con più vigore di quello che suggerisse lo sfinimento. I consiglieri ronzavano da un gruppo all’altro di profughi e si lasciavano dietro una traccia di cenni di assenso e sorrisi determinati.
Fedra si gonfiò di orgoglio.
Senza di voi sarei morta mille volte.
Era mezzogiorno, il sole alto e splendente, quasi caldo nonostante il ghiaccio, quando Solas le si avvicinò.
“Ci siamo”, disse con un sorriso raggiante che non gli aveva mai visto. Fedra lo seguì fino a uno sperone di roccia e guardò giù.
L’esclamazione di sorpresa si trasformò in una specie di urlo quando il cornicione di pietra si sgretolò sotto i suoi piedi. Solas la tirò indietro e Fedra cadde seduta.
“Per il cazzo del Creatore… ma cos’è?”
“Skyhold”, rispose l’elfo.
Era enorme. Mura fortificate, dozzine di torrioni e ponti. Una fortezza colossale appollaiata su una vetta. Abbastanza grande per ospitare tre volte Haven.
Per accogliere i rifugiati. 
“Chi ci vive?”
“È abbandonata da molto tempo. Può diventare il quartier generale dell’Inquisizione, la valle retrostante è ricca di risorse e…”
Lo abbracciò di slancio. Seduta per terra, con il sedere imbrattato di fango e l’occhio ancora pesto che iniziava a guarire, improbabile guida di un popolo in fuga, Fedra si girò e strizzò l’elfo in un abbraccio che lo lasciò rigido e impacciato.
“Grazie. Grazie grazie grazie, Solas!”
Era troppo. Aveva sperato in una fattoria, un vecchio cascinale da adibire a ricovero per i feriti e i bambini attorno a cui costruire qualche baracca.
Ma quello…
Quando tutti ebbero raggiunto l’altura e visto il panorama, quando la voce che Skyhold sarebbe stata la loro nuova casa si sparse tra le fila, un brusio esaltato corse tra i sorpavvissuti.
Ci vollero un paio d’ore a raggiungere il ponte e Fedra non riusciva a smettere si sgranare gli occhi per le immense mura che accolsero la processione.
Cullen vi appoggiò la mano e le si affiancò.
“Questo posto è incredibile. Potrebbe davvero resistere all’attacco di un drago…”
Gli occhi color ambra si posarono sui suoi e Fedra gli prese la mano.
“Li abbiamo portati in salvo”, disse sotto voce.
“Non ho mai dubitato di te”, le rispose. E avrebbe detto qualcos’altro se uno dei carri non si fosse incastrato sulle pietre del ponte d’accesso. Uno dei soldati cacciò un urlo e Cullen si morse il labbro.
“Dopo… dopo”, le disse agitandole il dito davanti. 
“Quando vuoi”, rispose Fedra. Non si sentiva così leggera da troppo tempo.
Fu un pomeriggio frenetico, trascorso ad allestire un accampamento nell’immenso cortile e a esplorare la miriade di sale che Skyhold offriva. Il cortile superiore – sì, ce n’era persino uno inferiore, e chissà quanti altri nascosti nelle molte ali della fortezza! – si collegava con una scalinata di pietra a quello che sembrava l’edificio principale, alto e stretto ma abbastanza grande da ospitare la chiesa di Haven e il Tempio delle Sacre Ceneri. Fedra vi si affacciò e di nuovo trattenne il fiato per la meraviglia.
C’erano rovine dappertutto, travi crollate, tavoli in frantumi, ma le mura erano perfette. Sul lungo salone si aprivano tante porte borchiate ancora in perfetto stato e là in fondo, su una predella di pietra, si ergeva qualcosa di molto simile a un trono.
Solas le comparve di nuovo a fianco.
“Io non ho parole. Come sapevi di questo posto?”
“So parecchie cose, Fedra, tra cui che l’Inquisizione ridarà a Skyhold lo splendore che le manca da troppo tempo”.
Si aggirò per il salone mentre il sole, oltre le ampie vetrate, tingeva le ombre di rosso e oro. Alla fine Solas tossì nel pugno.
“Ero venuto a chiamarti per conto di Cassandra. Ti aspetta qui fuori, ha qualcosa di importante da dirti”.
“Cosa? Oh. Sì, sì, arrivo subito…”
Le dispiaceva interrompere l’esplorazione ma avrebbe avuto tempo – se ne rese conto solo in quel momento ed era un sollievo incredibile – per conoscere ogni recesso di Skyhold.
Voltò le spalle al trono e percorse tutta la navata fino alle scale.
In cima ad esse, però, si bloccò.
Erano tutti lì, i superstiti all’assedio e le Furie e – ma non ne era certa – anche qualche altro pellegrino raccolto lungo la strada. Assiepati nel cortile, con gli occhi puntati su di lei. Cassandra e Leliana l’aspettavano sullo spiazzo davanti al portone.
“Cosa sta succedendo?” La voce di Fedra tremò, ma Cassandra le sorrise.
“Siamo più di quando siamo partiti. Skyhold diventerà una meta di pellegrinaggio”, le disse guardando il loro popolo lì sotto. “Prima o poi anche Corypheus saprà che siamo qui; ora abbiamo più possibilità di affrontarlo, ma soprattutto sappiamo che il marchio, o l’ancora, chiamalo come vuoi, è ciò che Corypheus vuole. Ed è anche ciò che ti ha permesso di guarire i cieli. Dietro, però, ci sei tu. Le tue decisioni, il tuo coraggio… tu, semplicemente”.
Fedra sentì le mani che iniziavano a sudarle. Nonostante lo sguardo fiero e sicuro di Cassandra, nonostante l’espressione ferma di Leliana, qualcosa la agitava terribilmente.
“Non è solo per l’ancora che Corypheus ti vede come il suo acerrimo nemico. È per via del tuo coraggio, di ciò che hai fatto, e ora tutti noi lo sappiamo”.
Fece un cenno con la mano e un soldato incappucciato si fece avanti con una spada tra le mani. Leliana la prese e la tenne tese in avanti, verso Fedra.
“L’Inquisizione ha bisogno di un capo. Qualcuno che l’abbia già guidata senza chiedere alcun riconoscimento. Ha bisogno di te”.
Ecco. Avevo ragione ad angosciarmi.
Asciugandosi i palmi sulle cosce Fedra guardò verso il basso. Speranza e fiducia negli occhi di tutti, orgoglio in quelli di Josephine che teneva le mani giunte davanti a sé. Dorian e Varric avevano la faccia di chi la sapesse lunga e le Furie, al contrario, fremevano per la curiosità.

Cullen era di fronte all’esercito e c’era un mondo nel suo sguardo.
“Non potete dire sul serio, bisbigliò Fedra.
“Lo vogliono tutti. Nessuno escluso”, disse Leliana. “Vogliono che tu sia il loro capo”.
“Ma io… io…”
“Te lo meriti, Fedra. Dal profondo del cuore”.
“Io n-non so cosa dire…”
Cassandra schioccò la lingua.
“Dimmi solo che non mi pentirò di questa scelta”.
“Grazie per la fiducia!”
“Oh, smettila! Senza di te non i sarebbe stata alcuna Inquisizione, hai tutti i diritti di guidarla”, e fece un cenno a Leliana, che si avvicinò con la spada.
La stavano aspettando. 
“Ciò che farai in futuro, come ci guiderai, è tutto nelle tue mani”.
Era un’arma unica, tenuta nascosta chissà dove. Lama immacolata, filo perfetto sotto gli ultimi raggi del sole, e un drago ad avvolgersi attorno alla guardia. Fedra guardò a lungo le fauci del mostro e vide, come da una grande distanza, la propria stessa mano scivolare attorno all’impugnatura.
Pesava troppo ma riuscì a tenerla sollevata. Si vide riflessa nella spada: era diversa dalla ribelle senza una causa che era stata solo pochi mesi prima. C’era una cicatrice sul sopracciglio, le guance erano più scavate e gli occhi più cupi.
Non più solo Fedra, ma l’Inquisitore.
“Per ciò che è giusto”, disse piano. Si voltò lentamente verso la folla senza distogliere lo sguardo dalla spada; nel silenzio di tomba la sua voce echeggiò lontana. “Per ciò che è giusto. Per coloro che amiamo, per la nostra libertà”. Tese il braccio al cielo e il tramonto accese di fuoco la spada. “Per l’Inquisizione!”
Cullen fu il primo a rispondere e a levare la spada. Il boato che seguì sembrò far vibrare le fondamenta stesse di Skyhold e Fedra non si mosse.
Per ciò che è giusto.
Per ciò che amiamo.
Incrociò lo sguardo di Cullen e le lacrime le salirono agli occhi.

Non sarò abbastanza ma non sono sola.
Per l’Inquisizione!

Si girarono attorno per due giorni, troppo impegnati ad accomodare tutti e a scoprire che Skyhold era molto più grande del previsto. La prima notte Fedra era crollata addormentata davanti al fuoco senza riuscire a formulare neanche un buon proposito per il giorno dopo, mentre la successiva l’idea che le aveva ronzato in testa per ore di raggiungere Cullen prima che andasse a dormire si infranse contro il suo ruolo di comandante. Con la coperta gettata sul braccio rimase a guardarlo spingere i soldati dentro una delle ali del castello adibita a caserma, un po’ delusa. Prima di chiudere la porta i loro sguardi si incrociarono e Fedra vide chiaramente quanto gli dispiacesse lasciarla lì. Fece un cenno con il capo verso le truppe, qualcosa che sembrava voler dire “non mi lasciano stare un secondo!” e le sorrise.
Va bene, avevano tempo, ma stava iniziando a essere impaziente.
Ci aveva riflettuto anche troppo a lungo in quei primi giorni frenetici. Ovunque si girasse c’era necessità di un guaritore o di un fabbro o di un falegname, mentre per il momento nessuno sembrava sapere che farsene del nuovo capo dell’Inquisizione. Tutti erano felici di vederla, ma nessuno aveva davvero bisogno di lei, così Fedra si prese del tempo per gironzolare per la fortezza e riflettere.
Solo due settimane prima avrebbe pensato di volere Cullen nel proprio letto e basta. E già quello era un pensiero non da poco, capace di accelerarle il respiro. Ora però c’era qualcosa di diverso, di più profondo ad agitarsi in fondo al suo cuore.
Doveva solo trovare il coraggio di affrontare l’argomento, e sinceramente tirare fuori dal nulla la questione ne richiedeva molto più di quanto sperasse di avere.
Di certo non aiutava il fatto che Cullen avesse lo spirito di iniziativa di un quattordicenne e la stessa tendenza ad arrossire.
Fedra continuava a rigirarsi in testa e sulla lingua ipotesi di discorso, una più ridicola dell’altra. Era così concentrata sugli scenari che le si dipingevano nella mente da non accorgersi, durante una delle sue ronde senza meta, di aver raggiunto uno dei cortili interni di Skyhold.
Quel giardino segreto era una specie di gioiello; al centro di un chiostro incredibilmente ben conservato eruttava un rigoglio di erbe e piante di ogni tipo, nude per l’inverno ma coperte di gemme. E sotto i porticati, seduti a un tavolino scovato chissà dove, due compagni decisamente improbabili.
“Dovrai ammettere la mia superiorità, comandante. Vedrai”. Dorian spostò un pezzo sulla scacchiera e si stiracchiò, le braccia tese dietro la testa. Cullen, le sopracciglia corrugate per la concentrazione, si strofinò il mento.
“Continua a parlare, Pavus, e di sicuro mi prenderai per sfinimento”. Sfiorò un pezzo, poi cambiò idea; ne afferrò un altro e mangiò la pedina di Dorian.
“Oh! Sono quasi sicuro tu abbia barato! Non potevi arrivare fin lì!”
“Certo che potevo! Guarda, il cavallo era qui, l’ho spostato di…”
Fedra si avvicinò e tradì la propria presenza colpendo un sasso con il piede. I due contendenti si voltarono verso di lei ma Cullen cercò anche di alzarsi in piedi, tirando una ginocchiata al tavolino e mandando le pedine dappertutto.
“F-Fedra!” esclamò con quel suo solito sorriso che la faceva sentire stupida e felice. Dorian alzò le mani e sbuffò.
“Fantastico, prima bari e poi mi saboti la partita per non ammettere che stavi perdendo!”
“Non. Stavo. Perdendo”, ringhiò Cullen dall’angolo della bocca.
“Mi spiace avervi interrotti, non volevo disturbare, io…”
Dorian la fermò con un gesto della mano e si prese la radice del naso tra pollice e indice dell’altra.
“Aspetta aspetta aspetta. Sto scoprendo proprio ora di avere poteri che non immaginavo: leggo nella mente. Il comandante sta per dire ‘no, figurati, tu non disturbi mai’. Ho ragione?”
Fedra ridacchiò e Cullen, rosso in viso, si sedette sfregandosi la nuca.
Un piccolo pop risuonò alle spalle di Fedra. Ormai quasi nessuno si stupiva più della sua presenza, ma veder comparire Cole dal nulla faceva sempre uno strano effetto. Si rigirava tra le dita un topolino, una minuscola creatura che gli saltellava sulle mani senza apparente timore.
“No, non è quello che pensa. Forte, fiamme, cuore che soffoca quando la guardo allontanarsi. Torna, ti prego torna, non dovrebbe fare così male ma non voglio perderti. Guardami ancora una volta e sorridi perché se lo fai il sole sorge. Una musica diversa, pace, incubi che svaniscono nell'alba. Se…”
“C-Cole. Non credo sia il caso”. Cullen era impietrito e Fedra non riusciva a guardarlo in faccia.
Dorian si schiarì la voce e si alzò senza azzardarsi a incrociare lo sguardo di nessuno, le labbra che fremevano di una risata trattenuta sotto ai baffi.
“Basta. Vi lascio, tanto stavo comunque vincendo. Uhm… Cole, forse è meglio se vieni con me”.
Gli occhi pallidi del ragazzo si alzarono di scatto, quasi feriti.
“Ma non ho finito! Sto cercando di aiutare!” Il topolino gli corse su per il braccio e si arrampicò sulla tesa del cappello.
“Fidati, hai finito”. Dorian lo prese sotto braccio e lo trascinò via. “Andiamo, Cole, sono sicuro che ci sia qualcuno da aiutare qui in zona”.
“Ma io…”
“Su da bravo”, e se lo tirò dietro. Fedra e Cullen rimasero in piedi di fianco al tavolo da scacchi senza osare alzare il viso. Un drappello di giardinieri armati di cesoie e zappe sbucò da una scalinata secondaria e li salutò gioviale. E addio al prezioso istante di intimità che aveva sognato. Cullen sembrò condividere il pensiero e ridacchiò, guardandola di sottecchi.
“Meno male che non volevamo rimanere da soli…”
“Già”. Fedra si tormentò la lunga treccia tra le dita e cercò di non pensare alle parole di Cole. 
Lui non mente. Mai.
“Sì. Bene – ecco...” 

Cullen si guardò in giro non senza un filo d’ansia e si mise a raccogliere le pedine. 
“Potremmo fare una partita!” propose con un po’ troppo entusiasmo e con le mani piene di pezzi. 
“Una part-oh. Certo, ottima idea!”
Anche lei suonava troppo elettrizzata, ma era più semplice che ragionare su quello che aveva appena sentito. Si sedette facendo troppo rumore con la sedia e rimase a guardare mentre Cullen si toglieva i guanti e sistemava le pedine.
Fedra si accorse di non riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue mani. Mentre fissava le lunghe dita che armeggiavano sulla scacchiera un pensiero orribile le attraversò la mente.
“La caserma è quasi pronta, penso che nel giro di una settimana i soldati saranno accomodati. Un buon passo avanti, non credi?”
“Cullen, tu hai vissuto a Kirkwall per tanto tempo… hai lasciato qualcuno?”
“Cosa… oh, no, no. La mia famiglia è a sud, si sono trasferiti prima che…”
“Non in quel senso. C’era qualcuno che… che ti… interessasse, laggiù?”
La comprensione si fece lentamente strada sul viso di Cullen. Gli occhi dorati diventarono più intensi, quasi troppo per sopportarli; Fedra abbassò lo sguardo pregando per la risposta giusta.
“No. Non c’era nessuno che mi interessasse laggiù”.
Il cuore le fece un tuffo e si trovò a ridere come l’idiota che era.
“Ah. Capisco. Bene, uhm… ma dicevi della tua famiglia…”
La tensione si spezzò.
“Sì, loro… stanno bene, credo. Non scrivo da troppo tempo e Mia me la farà pagare alla prima occasione. Sai, è mia sorella maggiore; poi ci sono Branson – continuo a chiamarlo fratellino ma ha due anni meno di me e un figlio! – e la piccola Rosalie”. Il sorriso sul suo volto cambiò, si fece malinconico. “Mi mancano, ma sono al sicuro e tanto mi basta. E tu, Fedra? Mi rendo conto di non sapere tante cose di te…”
“La situazione non è molto diversa, credo. Anche io non ho loro notizie da prima del Conclave, anche se… Leliana ha fatto avere una lettera ai miei genitori. Dice che sono al sicuro”.
“Devono essere così orgogliosi di te…”
Sbuffò una risata amara.
“Lo spero. Quando sono partita erano più che altro esasperati dalla mia condotta; sai, forse non te ne sei reso conto, ma non sono esattamente una raffinata damina di corte”.
“Me ne sono accorto eccome. Ma solo un folle potrebbe volerti diversa da come sei”.
Cullen Rutherford, stai esagerando. Ora mi prenderanno fuoco le orecchie.
Fedra si torse le mani in grembo e cercò di concentrarsi sulla scacchiera. Di colpo non si ricordava neanche mezza regola; si affrettò a tornare in territorio neutro mentre un giardiniere le passava di fianco con una fascina di sterpi.

“Loro sono…” Sospirò e la vecchia nostalgia le increspò la voce. “Mio padre mi somiglia anche troppo. Ha la testa dura e una passione per la caccia, da giovane aveva i miei stessi capelli rossi e secondo mia madre litighiamo allo stesso modo. Mia madre è molto… molto mamma. Si preoccupa sempre che tutti mangino abbastanza e ricama in maniera meravigliosa; lei è così affascinante che fa quasi male guardarla. Mia sorella Evelyn ha preso da lei e penso davvero sia la ragazza più bella che abbia mai visto”.
“Non la conosco ma probabilmente dissentirei”. Voce rauca, ciglia dorate abbassate sugli zigomi. Un altro dei giardinieri transitò lì vicino e mancò la testa di Cullen di un soffio con il manico del rastrello che portava in spalla.
“Immagino tocchi a me”, ansimò Fedra. Quella faccenda stava diventando patetica, ben oltre l’imbarazzante. Indugiò con la punta delle dita su una pedina a caso, cercando disperatamente di ricordarsi come iniziare la partita, e all’improvviso la mano di Cullen si posò sulla sua.
Aveva ancora gli occhi bassi. 
Il momento perfetto. Fedra si bevve la luce che gli dipingeva d’oro i riccioli ordinatamente pettinati all’indietro e le lentiggini lievi sul naso. La gola ebbe uno spasmo al pensiero di chi aveva osato rovinarlo con quella cicatrice che gli solcava la guancia, ma con un vago senso di colpa si rese conto che la sola vista di quello sfregio – un dettaglio che lo rendeva più selvatico, che lo faceva sembrare più pericoloso - bastava a farle girare la testa.
Una campana suonò all’improvviso e Fedra sussultò, saltando sulla sedia. Cullen spalancò gli occhi e raddrizzò le spalle.
“C-Cosa… oh, no. Questa era per me!”
Si guardò in giro con espressione quasi disperata e alla fine fissò di nuovo Fedra.
“Mi dispiace, ma avevo detto che avrei ricevuto gli altri ufficiali alla quarta ora. Stando con te me ne ero completamente dimenticato… mi dispiace così tanto!”
“No, non preoccuparti, capisco, figurati, io…”
Riprese i guanti e le puntò l’indice davanti.
“Mi devi una partita. Non me ne dimenticherò”.
L’emozione si trasformò in un’inattesa ilarità e Fedra rise, la testa gettata all’indietro e le mani appoggiate sulla scacchiera.
“Promesso, mi lascerò sconfiggere alla prima occasione”. Troppo tardi si rese conto di quanto la frase suonasse ambigua. Cullen avvampò ma la tolse dall’imbarazzo con un mezzo saluto marziale prima di allontanarsi a lunghi passi tesi.
Fedra mugolò e si prese la testa tra le mani.
“Ti lascerai sconfiggere alla prima occasione, eh? Potevi direttamente lanciargli la biancheria addosso”. La voce di Dorian arrivò da dietro le scale.
“Da quanto tempo eri lì?” Fedra sentì la rabbia salirle per la testa e si alzò di scatto. Il mago avanzò con la sua solita andatura fluida e sollevò le mani.
“Non così tanto, in realtà. Non mi sono perso il bacio, vero? Non me lo perdonerei mai!”
Fedra si risedette con un sospiro.
“No, non ti sei perso niente”, esalò.
Dorian si sedette di traverso sull’altra sedia e le schioccò le dita davanti.
“Senti, InquisiFedra, non ci conosciamo da molto ma gli occhi per vedere li ho anche io, e come puoi notare sono anche particolarmente belli. Tu sei cotta di lui, lui è cotto di te e io ti invidio parecchio perché insomma, guardalo! Si può sapere cosa stai aspettando?”
“M-Ma è davvero così lampante?”
Dorian sollevò le dita di una mano e iniziò a contare.
“Josephine e Leliana hanno scommesso mesi fa sulla faccenda, Varric come prima cosa quando ci siamo incontrati mi ha parlato di voi due, Cassandra si maledice ancora per avervi interrotti ad Haven e Cole… be’, lui semplicemente lo sa”. Gli occhi grigi erano brillanti e divertiti. “Siete gli ultimi due ad esservene accorti, credo”.
“E cosa dovrei fare? Ogni volta che provo ad affrontare la questione succede qualcosa. Cassandra, draghi, giardinieri… non so cosa sia peggio!”
“Direi draghi, seguiti da vicino da Cassandra. Fedra, vai da lui. Vacci e basta, sei una donna adulta e vai sul sicuro”.
“Ora ha tutti gli ufficiali a rapporto, non posso certo interromperlo così!”
Dorian si raddrizzò e intrecciò le dita davanti al naso. Una delle donne intente a potare il giardino gli lanciò uno sguardo affamato, e Fedra non le diede torto. Era un gran bello spettacolo.
“Questa, mia cara, è una bieca scusa. Qualunque cosa stia facendo può aspettare, gli ufficiali non andranno da nessuna parte e tu puoi permetterti per una volta di abusare della tua posizione”.
“Non lo farei mai!”
“Allora”, si batté le mani sulle ginocchia e si alzò, “lo farò io per te”.
“Dorian, no. Non… non serve. Se ti prometto che più tardi vado da lui eviti di mettermi in imbarazzo?”
La guardò con sospetto, le lunghe ciglia che fremevano di malizia. Senza abbandonare l’espressione dubbiosa le tese la mano.
“Giura”.
Fedra sospirò, si alzò e gliela strinse.
“Giuro. Però niente scherzi, intesi?”
“Va bene. Devo proprio spiegarti tutto…”
E con uno svolazzo della tunica si voltò e la lasciò sola.
Fedra lo seguì poco dopo, soffocata dalle mura del chiostro e dagli sguardi dei giardinieri, che probabilmente erano pura cortesia ma che la tormentavano.
Riprese a camminare pre Skyhold, su per le scalinate e lungo le mura. Il mondo sembrava fatto di cielo e pietra da lassù, a parte la vallata verde che sprofondava alle spalle della fortezza. Lì si sarebbero potuti arare dei campi, trovare legna
nelle foreste…
Si arrotolò la treccia attorno al pugno e seguì con lo sguardo il volo di uno stormo di corvi dalla torre più alta. Leliana era in piena attività, cosa che la fece sorridere.
Si appoggiò alle merlature e si perse a contemplare il panorama, con l’aria fredda che le scompigliava i capelli.
La faceva facile, Dorian. 
Vai lì e parlagli.
Aveva perso mille occasioni – no, le erano state rubate. Certo, anche frugando in fondo alle sue insicurezze doveva ammettere che era abbastanza evidente che l’interesse fosse reciproco. Camminò avanti e indietro a lungo, rigirandosi in testa quel pensiero.

Non si era mai trovata in quella situazione. Di solito c’era sempre qualcun altro a fare il primo passo, oppure una robusta dose di alcol a rendere le cose più semplici.
Eppure non era mai stata così. Aveva sempre avuto quel che voleva subito oppure ci aveva rinunciato per pigrizia.
Rinunciare a Cullen, però? Mai.
Skyhold era un dedalo di torri e porte di cui Fedra ignorava l’utilità. Non aveva ancora scoperto, per esempio, qualche degli infiniti locali Cullen avesse scelto come alloggio.
Lo scoprì in quel momento. La porta in fondo alla balaustra si aprì e una mezza dozzina di soldati uscì salutando qualcuno alle proprie spalle.
“A presto, comandante”, disse uno di essi. Nell’avvicinarsi a Fedra ciascuno di essi sorrise e scattò sull’attenti, per poi allontanarsi di buon umore.
Eccolo lì.
La porta era ancora aperta e lui era lì dentro.
Quante occasioni. Quanti baci mancati.
Fedra raccolse tutto il coraggio che aveva, si rimboccò le maniche e sbuffò.
E andiamo.
Raggiunse la torre con il cuore che correva all’impazzata e la testa stranamente leggera. Sembrava di muoversi in un sogno. Si affacciò a quello che aveva tutto l’aspetto di uno studio improvvisato – una sedia, un tavolo e una mappa, poco

 più. In piedi alla scrivania Cullen, di fronte a lui due giovani soldati intenti a ricopiare qualcosa.
Alzò lo sguardo e la vide.
“Fedr-Inquisitore. Cosa succede?”
Testa vuota. Occhi spalancati. Doveva dire qualcosa, doveva parlargli e di nuovo non erano soli.
Basta, non possiamo andare avanti così!
Prese fiato un paio di volte e sperò che la sua voce non suonasse acuta come le sembrava.

“Comandante Cullen, possiamo parlare?”
Il tono formale lo colse di sorpresa.
“Certo, Inquisitore. Dimmi”.
“In… In privato”.
C’era un mondo di insicurezza e paura e speranze in quelle due parole e Cullen se ne accorse. Si sfregò la nuca e deglutì vistosamente.
“Sì. Sì, io… arrivo. Voi andate avanti”, disse ai due soldati.
Seguì Fedra lungo i bastioni per qualche minuto.
Era inutile aspettare, le parole non le aveva e non le avrebbe mai avute. Si fermò in quello che sembrava un punto isolato e alzò lo sguardo su Cullen.
Lo trovò ancora intento a tormentarsi il collo guardando in su verso il cielo che virava al tramonto.
“Una gran bella giornata, eh?”
“Cosa… Cullen, ma sul serio?”
“Cosa ho detto di male?”
“Sul serio stai parlando del tempo?”
“D-Di cosa volevi parlare?” Stava diventando di un rosa molto intenso e l’imbarazzo cedette all’esasperazione. Fedra alzò gli occhi al cielo.
“Di noi, Cullen. Voglio parlare di noi due!”
Gli voltò le spalle e si appoggiò ai merli. Era più facile senza guardarlo, la distraeva troppo.
“Il fatto è che mi ritrovo a pensare a te un po’ più spesso di quanto sarebbe opportuno. Vale a dire… be’, sempre”.
Una risata sommessa dietro di lei.
“Non dirlo a me. Qualche volta – piuttosto spesso, in realtà, e l’ultima non più di due ore fa – ho avuto la presunzione di pensare che forse tu…”
Le prese la mano e la fece voltare, ma teneva lo sguardo basso. Niente guanti per lei, solo pelle calda contro la sua.
“Ci ho pensato a come sarebbe potuto essere, ma poi… siamo in guerra, Fedra, e tu sei l’Inquisitore. Sarebbe strano e… e… forse sbagliato, non lo so, anche se lo vorrei così tanto. E...”
La lasciò andare e si voltò, la testa tra le mani, all’improvviso frustrato.
“Ma mi senti come parlo? Io ci provo a essere ligio al dovere, a non lasciarmi coinvolgere, ma la verità è che pur di stare con te sarei disposto a tutto. Non volevo pensare fosse possibile perché mi avrebbe reso più…”
“Felice?” azzardò Fedra. Cullen alzò lo sguardo su di lei e sorrise.
“Già. Non ci sono abituato e ho avuto mille volte paura di allontanarti”.
Erano vicini. Poteva sentire il suo calore, l’odore della sua pelle. Le gambe le stavano diventando di colpo inutili, deboli. Gli prese la mano e accarezzò i calli sul palmo, le escoriazioni sul dorso.
“E invece sono ancora qui…”
Imponente, con il vento che gli arruffava il pelo del mantello, Cullen si chinò su di lei. 
“Non mi sembra vero”.
Chiuse gli occhi, pronta e sospesa in una gioia senza nome.
“Comandante, ho qui il rapporto di sorella Leliana”.
Cullen si tese e le si staccò di dosso. Fedra si coprì il viso con le mani e gemette una lunga sequela di bestemmie a stento soffocate. 
Cosa?”
Il tono era quello di un’altra persona. Il comandante, e anche un comandante parecchio incazzato. Fedra schiuse le dita e sbirciò il profilo di Cullen parato davanti a lei. Denti digrignati, naso arricciato, era di nuovo simile a un grosso felino
che soffiasse.
Sopra al bordo di pelo del mantello riconobbe un viso noto. Jim, il soldato del trabucco. Per quanto lieta di vederlo vivo Fedra provò un improvviso desiderio di lanciarlo dalle mura. Se ne stava lì col naso sepolto tra le scartoffie, ignaro.
“Il rapporto di sorella Leliana. Mi avevate detto di protarvene una copia, no? Era urgente…”
Il ragazzo sollevò lo sguardo e si trovò di fronte Cullen, torvo e fumante. Indietreggiò di un passo, di colpo pallido, e finalmente si accorse di Fedra.
Il viso sbarbato perse ogni traccia di colore residuo. Jim aprì e richiuse la bocca due o tre volte, guardò Fedra, poi Cullen, poi il rapporto e quindi di nuovo Cullen.
“N-Nel vostro ufficio. Lo… lo lascio nel vostro ufficio, giusto”, pigolò. Lasciò cadere i fogli, li raccolse calpestandone un paio e si allontanò in fretta. Al terzo passo iniziò direttamente a correre.
Cullen rimase a guardarlo andar via e dopo un po’ le ampie spalle si rilassarono.
Solo che il momento era passato.
Di nuovo!
Fedra si passò le mani tra i capelli e, appoggiata al parapetto, alzò lo sguardo al cielo.
“Cullen, se devi andare non sarò io a…”
Successe. Dopo mesi di dubbi, di domande senza risposta, sofferenza e attesa successe. Cullen le prese il viso tra le mani e premette con forza le labbra sulle sue.
Fedra trattenne il fiato per un istante, quindi la barriera crollò. Si aggrappò al petto di Cullen, percepì il suo corpo caldo premuto contro di lei, le mani che le cullavano il viso e il tocco di quella bocca – quanto se l’era sognata! – le fece perdere un battito.
Sapeva di buono, di pane e birra e cuoio. Sapeva di Cullen e Fedra capì che un altro tassello era andato a posto dentro di lei.
Sì sì sì sì sì sì.
Non riusciva a pensare a nient’altro, solo una gioia frenetica come il battito d’ali di una farfalla.

Si staccarono solo per respirare. La fronte di Cullen si appoggiò alla sua e i loro nasi si sfiorarono.
“Mi dispiace”, mormorò contro le sue labbra. “Forse avrei dovuto…”
“F-Farlo prima”, esalò Fedra. Si sentiva la punta della lingua formicolare.
Ancora!
Cullen sorrise.

“È stato – uhm – bello”. Eccolo lì di nuovo, quell’imbarazzo da ragazzino che l’aveva tormentata. Che continuava a farla impazzire. Fedra gli passò le mani tra i capelli e si spinse contro di lui.
“Era quello che volevo da troppo tempo”.
“Davvero?”
Il fuoco si accese in fondo agli occhi d’ambra. Qualcosa che non aveva mai visto – felicità, pura e semplice, che gli trasfigurava il volto.
“Davvero”, disse piano Fedra. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò di nuovo, ma questa volta alla dolcezza si aggiunse qualcosa di più caldo che le bruciava nel basso ventre.
E non solo a lei, a giudicare dall’espressione di Cullen quando si scostò.
“Mi sembra impossibile!” Rise contro di lei.
“Credici, perché io non ho nessuna intenzione di lasciarti andare”.
“Anche se la gente parlerà?”
A quello non aveva pensato, ma in quel tramonto d’oro e fiamme non c’era spazio per quel tipo di preoccupazioni. Solo gioia.
Fedra rise.
“Se la cosa peggiore che possono dire di me è che mi sono innamorata del mio comandante io… oh. Ho detto troppo”. Si morse il labbro e abbassò il viso, ma Cullen glielo sollevò con la punta delle dita.
“Hai detto quello che io non ho avuto il coraggio di dire. Lascia che parlino, io so che provo la stessa cosa per te”.
Le sfiorò la fronte con un ultimo bacio leggero e fece un passo indietro. Non lo aveva mai visto sorridere così.
“Non ci posso credere. Mi sembra di essere tornato un…”
“… ragazzino di quattordici anni alla prima cotta? Sì, ho presente”.
Cullen rise e le sfiorò le dita con le labbra.
“Il ragazzo, Jim. Temo di averlo terrorizzato. Mi concedi di andare da lui?”
Fedra scoppiò a ridere e lo spinse via per il gomito.
“Vai. Tanto sai dove trovarmi”.
“Già. Qui”, e si toccò il cuore prima di voltarsi e allontanarsi, quasi saltellando.
Fedra rimase appoggiata al muro e si sfiorò le labbra. 
Era come l’aveva sognato? No, anche meglio. Si sentiva ancora solleticare dove la corta barba ispida l’aveva sfiorata, sentiva ancora le dita che le affondavano tra i capelli e…
“Ehi! Inquisitore!”
Dorian?
Fedra raggiunse l’altro margine delle mura e guardo giù.
Proprio Dorian. Con un sorriso da un orecchio all’altro sotto ai baffi e il pugno levato. E Cole lì vicino, naso in su e un’espressione sognante, beata.
“Ci è piaciuto un sacco!” le urlò il mago.
Fedra mugugnò e appoggiò la testa ai merli.
Sì, avrebbero parlato. E lei sarebbe morta per l’imbarazzo. Ma ne sarebbe decisamente valsa la pena.

 



Buon nuovo capitolo a tutti!
Le Furie dovevano arrivare - ho un debole per Krem prima ancora che per il Toro (e il fatto che non esista la possibilità di una romance con Krem mi è rimasta di traverso non poco) - e ho regalato loro un ingresso in scena alternativo ma, spero, ugualmente caratteristico dei nostri mercenari preferiti!
E poi, finalmente, #unagioia per Fedra e Cullen, nonostante l'intervento di Jim (poveraccio... ma anche lui avrà qualcos'altro da dire, vedrete!). Dopo l'assedio, la scalata e il trauma emotivo di essere proclamata ufficialmente il capo dell'Inquisizione direi che se lo meritava anche, stellina.
Sarò ripetitiva ma, come sempre, grazie e a domenica prossima!

 

Val

   
 
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