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Autore: innocent_wolves    28/10/2016    1 recensioni
Gerard è un abile mago, responsabile di gran parte del successo della famosa nave da crociera Envison Destiny. È anche una di quelle persone... Insomma, una di quelle persone che sembrano assorbire tutto lo spazio che le circonda con la propria arroganza e sicurezza. Non toccheresti la loro personalità neanche con un bastone lungo tre metri, ma la gente le adora comunque.
Questo non riguarda Frank. Lavorando dietro ai banconi dei bar della nave e vedendo Gerard quasi ogni giorno, non riesce a capire cos’abbia di tanto fantastico. D’altro canto, nessun altro deve sopportare i suoi commenti maliziosi o considerazioni strafottenti. Perché se c’è una cosa che Gerard sembra amare, è infastidire continuamente Frank.
[traduzione]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Porgo le mie sentite scuse a tutti quanti, avrei davvero voluto finire di tradurre qualche settimana fa ma non ci sono riuscita. ç_ç
Non ci saranno note alla fine del capitolo, quindi farò qui gli usuali ringraziamenti da termine di una storia. Grazie a tutti voi, semplicemente perché quando decisi di tradurre EtM lo feci nella speranza di far conoscere questa fanfiction a qualcun altro. Quindi, grazie per averla seguita, commentata, apprezzata e anche per non avermi tirato oggetti contundenti per i miei clamorosi ritardi.
 
Vi auguro una piacevole lettura del finale. :)
 
xoxo Coffee_Time
 
P.S.
Siete emozionati anche voi per l’uscita del secondo album da solista di Frank, vero? *^*

 
 
 

Envision the Magic
 

XVIII

 
Gli uffici dell’Envision si trovavano ad anni luce dagli appartamenti Eurona – o almeno così sembrò. A causa delle vacanze il traffico era incredibile, e le vie erano piene di persone che si facevano strada tra Babbi Natale ed altre che facevano spese all’ultimo minuto. Frank era affondato nei sedili di pelle, il caldo gli stava facendo aderire la maglia alla schiena. Aprì la finestra distrattamente nel tentativo di cogliere un qualche tipo di folata, ma tutto ciò che ottenne furono gas di scarico e una decina di clacson schiamazzanti.
 
Non gli importava. La sua mente sembrava completamente vuota, gli si era depositato dentro un senso di niente; perfino le farfalle avevano smesso di combinare disastri. Se quella sensazione significava che si stesse arrendendo allora si trovava più o meno a metà strada.
 
“Envision, Signore, proprio alla fine di strada” annunciò il tassista, strappando via Frank dai suoi bianchi e vuoti pensieri. Indicò attraverso il parabrezza. “Più veloce se corre, no?”
 
Frank si drizzò e allungò il collo. L’autista aveva ragione; poteva chiaramente vedere la fila verticale di grandi lettere argentate che formavano la parola “ENVISION”, che decorava il lato di un alto e distaccato edificio. C’erano molte grandi bandiere che sventolavano in lontananza, sopra l’entrata, e Frank poteva scorgere il logo della compagnia su quella più vicina. Vedere l’edificio gli fornì nuova energia. Si era impegnato tanto per arrivare fino lì; sarebbe stato uno spreco arrendersi ora. Trovò il portafoglio, prese un apio di banconote che sperava avrebbero coperto tutto e le piazzò nelle mani dell’autista.
 
“Tenga il resto,” gli disse “e grazie mille.”
 
“Auguro buona fortuna!” gli urlò, sportosi dal finestrino per guardarlo mentre Frank si faceva strada tra macchine in attesa e moto. “Buona fortuna e felice Natale!”
 
Per fortuna, la guardia fuori dall’edificio gli lanciò solo un pigro sguardo, senza dargli più problemi del necessario. Frank si era attaccato la tessera di lavoro al bordo della maglietta, per sicurezza; almeno nessuno poteva negargli l’accesso a questo edificio. I penetranti raggi del sole gli attaccarono senza pietà la nuca con aghi insistenti, ed essendo lui madido di sudore, la frescura dell’ingresso in marmo fu la benvenuta. Guardandosi intorno, Frank si sentì subito fuori posto; ovunque guardasse vedeva solo persone vestite in modo più o meno elegante. Esitò per uno o due secondi, ma poi fece un respiro profondo e si raddrizzò. Impedendosi di esitare ancora, con lunghi passi attraversò velocemente il piano, provando al suo meglio a dare a tutti l’impressione di controllo totale e sicurezza.
 
La grande tabella a fianco dell’ascensore gli disse che “Affari dei Dipendenti” fosse situato al quinto piano. Gli occhi di Frank poi colsero la parola “Direzione”, che lo fece esitare. Si morse pensosamente il labbro. Qualsiasi altra persona sarebbe andata negli uffici per i dipendenti se avesse avuto bisogno di discutere del contratto, tuttavia, Gerard non era qualsiasi altra persona. Si era sempre messo molto al di sopra del resto dei dipendenti della Destiny, dando l’impressione di non poter essere considerato insieme all’indegna massa di camerieri, croupier, chef e mozzi. Era più probabile che sarebbe andato direttamente dal capo, senza voler avere a che fare con cose tanto comuni come gli affari dei dipendenti.
 
“Devi pensare come lui per trovarlo” si disse Frank, incrociando mentalmente le dita e guardando la tabella un’ultima volta prima di spingere il pulsante di chiamata dell’ascensore più vicino.
 
Salendo si unirono a lui tre anziani signori che probabilmente erano diretti al suo stesso piano. Lo guardarono tutti come se si fosse allontanato dal suo branco e fosse finito in un territorio poco familiare. Frank rispose appoggiandosi con disinvoltura ad un angolo dotato di specchi ed incrociò le braccia nel tentativo di far sembrare che non gli importasse. Quando arrivarono finalmente alla loro destinazione, i suoi tre compagni di ascensore andarono per le loro differenti strade. Si guardò intorno, sentendosi un po’ perso quando realizzò che la “Direzione” fosse in effetti una cosa piuttosto complicata. Comunque cosa si era aspettato? Che tutti sarebbero stati intorno ad un tavolo e che lui ci si sarebbe imbattuto una volta uscito dall’ascensore? Inoltre, non aveva idea di dove fosse Gerard, se fosse con il dirigente, l’amministratore delegato, o il responsabile. Non sapeva chi fosse responsabile di cosa e non era che, ad esempio, avrebbe potuto andare lì a bussare ad ogni porta. Per quel che ne sapeva sarebbe potuto essere stato nella parte degli “Affari dei Dipendenti”, dopotutto.
 
“Mi scusi, ha bisogno di aiuto?”
 
Una donna gli apparve accanto. Stava portando un po’ di fascicoli e lo guardava con un cipiglio incerto. Pensò si trattasse di un qualche tipo di segretaria.
 
“Uh…” Frank esitò; sapeva che non sarebbe andato da nessuna parte se non avesse scelto con cura le proprie parole – o mentito. “Be’, sì… non è che per caso Gerard si trova qui, è così? Gerard Way, intendo. Avrei dovuto incontrarlo al piano di sotto ma penso che sia venuto qui senza di me… A meno che non sia già stato qui?”
 
“Il signor Way…” iniziò lei lentamente. “Be’, in questo momento è in riunione con il signor Markham.”
 
“Il signor Markham?” Frank provò a sembrare indifferente mentre il suo stomaco barcollò, attonito per quel colpo di fortuna.
 
“Sì – il signor Markham” ripeté, guardandolo con sospetto. “Il nostro amministratore delegato?”
 
“Oh! Giusto.” Tentò di produrre una risata spensierata e si sentì un po’ impressionato; almeno era stato abbastanza convincente da tirarle fuori quello. “Il Signor Markham, certo. Bene, allora immagino abbiano iniziato senza di me. Sarei dovuto essere lì ma ho fatto tardi e – sì, sa di che parlo.”
 
La segretaria sembrava non avere la minima idea di cosa stesse parlando Frank. “Mi scusi,” disse, gli occhi improvvisamente allarmati “non ricordavo di aver concesso un appuntamento al signor Way con… Come ha detto di chiamarsi?”
 
“No, no, va benissimo” disse velocemente Frank, muovendo noncurante la mano in sua direzione. Si stava lentamente allontanando da lei, avendo finalmente trovato il nome “J. Markham: AD” accanto ad una delle porte vicine. “Anch’io lavoro per l’Envision” aggiunse, indicando la propria tessera. “Guardi; dipendente. Non si preoccupi.”
 
“Ma – ma non lo può usare per gli appuntamenti” balbettò, il tono crescente quando si accorse che fosse diretto all’ufficio dell’AD. “Signore!” continuò, i fascicoli iniziarono a scivolarle di mano. “Signore, non può entrare lì così – !”
 
Era troppo tardi; Frank era già scattato per il corridoio e aveva aperto la porta senza bussare. Nella foga vi aveva anche messo troppa forza; si spalancò violentemente, causandogli di inciampare malamente nella stanza. Per un momento tutto quello che riuscì a vedere fu la splendida vista della città sullo sfondo, la scrivania di mogano e l’uomo seduto dietro essa. Poi notò Gerard seduto nella sedia di fronte, per ora l’unica persona che avesse visto indossare una maglietta dei Rolling Stones e jeans invece di quei pretenziosi completi Hugo Boss. Si girò appena la porta venne spalancata, un misto di incredulità e curiosità nei suoi occhi, e adesso stava guardando Frank come se fosse stato un alieno entrato dalla finestra. Tutto d’un tratto si sentì tremendamente stupido. Si pentì profondamente di averli interrotti così malamente.
 
“Cosa –” iniziò l’uomo dietro la scrivania, alzandosi lentamente dalla sedia.
 
Frank deglutì nervosamente, provando a nascondere la tessera con discrezione; sperava di non venire licenziato sul posto.
 
“Mi scusi, Signor Markham” esalò la segretaria, avendolo raggiunto. “Non sono riuscita a fermarlo.”
 
Suonava del tutto terrificata. La bocca di Frank si asciugò in un istante. “Ch – Chiedo scusa,” iniziò, pensando che sarebbe stato meglio iniziare a parlare “ma, uhm, devo parlare con Gerard, è – è davvero urgente. Tipo, urgente alla ‘dobbiamo parlare adesso’.”
 
Fissò i pollici nelle tasche, insicuro su cosa fare delle proprie mani. Non lo fece sentire meno a disagio quindi le tolse, incrociando invece le braccia.
 
“Gerard?” Markham l’AD lo guardò dubbiosamente, prima che i suoi occhi tornassero su Frank. “Conosci questo tizio?”
 
Gerard non rispose, i suoi occhi si assottigliarono leggermente mentre i due si fissarono. Frank pensò che avrebbe scosso la testa e gli avrebbe detto che no, non conosceva quel tizio e avrebbero potuto chiamare la sicurezza per portarlo via. Si doveva comunque trattare di uno svitato. Proprio lì, in quel momento, lo spazio tra loro sembrò un oceano.
 
“In realtà… Sì” disse alla fine, con grande sollievo da parte di Frank. “Sì, lo conosco. E probabilmente è meglio che vada con lui. Se Frank ha pensato che venire fino qui ed interrompere il nostro incontro in questo… uh, interessante modo, allora immagino si tratti di qualcosa di estrema importanza. Giusto, Frank?”
 
“Uh, già” Annuì subito, arrossendo violentemente. “Giusto. È giusto. Lo è.”
 
Gerard si alzò dalla sedia, ancora guardandolo con un po’ di meraviglia. Si avvicinò e lo guardò accigliato, prima di mettergli un braccio intorno alle spalle.
 
“Ne parleremo fuori” disse, spingendolo leggermente. Alzò le sopracciglia, urgendogli di muoversi. “Se ti va bene?”
 
“Oh, giusto,” rispose Frank. “Giusto. Sì – ne, uh, parleremo fuori.”
 
I suoi pensieri corsero tra qualche imprecazione; realizzò di avergli già risposto con “giusto” più o meno una dozzina di volte, ma il suo vocabolario non sembrava più ampio di quello di un bambino di due anni.
 
“Perdonaci, Jim” Gerard sorrise al proprio capo, comportandosi in modo ammirevolmente composto per quella situazione. “Devo proprio andare, mi dispiace tantissimo.”
 
Uscirono dall’ufficio. Gerard guidò con determinazione Frank via dalla segretaria, rimasta senza parole, senza fermarsi fino a quando non furono più a portata di orecchio di nessuno. Quando arrivarono agli ascensori gli lasciò finalmente il braccio. Lo guardò e basta e aspettò, l’espressione sul suo viso non lasciava trasparire niente. Frank non poté evitare di pensare che dopotutto si fosse trattato di una cattiva idea.
 
“Quindi… scusa se ho interrotto la tua riunione e… tutto” disse alla fine, non sapendo cos’altro avrebbe dovuto usare per rompere il ghiaccio. Si mosse a disagio.
 
“Va bene” Disse monocorde Gerard. “Dimmi solo cosa vuoi.”
 
“Prima… Prima ho incontrato tuo fratello.”
 
“Oh, alla fine ci sei riuscito?” La sua voce era priva di entusiasmo, la sua risposta mancava dell’interesse che avrebbe dovuto avere; invece cadde tra loro come pesante sarcasmo. “Buon per te.”
 
“Sì… e probabilmente pensa che io sia completamente matto. Senti, Gerard – mi dispiace per prima.” Scosse una spalla a disagio. “Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me. Se non fossi stato uno stronzo di prima categoria adesso non saremmo qui così. Mi dispiace così tanto” ripeté.
 
Gerard non rispose. Era a braccia conserte e si stava succhiando pensosamente il labbro, semplicemente guardandolo.
 
“Sai, c’è uno Starbucks nell’edificio a fianco a questo” disse alla fine. La sua voce era sorprendentemente disinvolta, come se fossero stati a parlare di quello per tutto il tempo; dove avrebbero comprato il caffè. “Ci si può arrivare direttamente dall’atrio quindi è piuttosto comodo. Questa mattina ne ho preso solo uno quindi se non ti dispiace, andrò lì. Puoi venire con me se vuoi.”
 
Frank lo fissò, insicuro su cosa avesse volute dire con questo annuncio a caso.
 
“Uhm… Okay” rispose alla fine, accigliato. “Bene. Direi che non mi dispiace.”
 
Senza sprecare altro tempo, Gerard si diresse direttamente verso gli ascensori e premette il pulsante di chiamata. Mentre erano lì in attesa, Frank realizzò che non ci fosse nulla in lui che suggeriva fosse nervoso o in alternativa teso. Sembrava assolutamente rilassato; le mani erano ferme e l’espressione vaga sul suo viso non era cambiata per niente. Sapeva che il ragazzo fosse un bravo attore ma il suo comportamento era un po’ snervante. Era quasi un po’ troppo sospetto, persino per Gerard.
 
Rimasero insieme in uno scomodo silenzio mentre l’ascensore scendeva – almeno Frank si sentì così. Non era mai stato in un ascensore tanto lento prima di quel momento. Allo stesso tempo sperò intensamente che qualcun altro si sarebbe unito, ma nessuno lo fece. Erano solo loro due e nessuno emise una singola parola; l’unico suono era la debole musica da ascensore che riempiva quello spazio chiuso.
 
Okay, e adesso? Pensò Frank disperato. Lisa ha detto che il resto sarebbe arrivato da solo ma quando cazzo dovrebbe succedere?
Fece l’impossibile per provare a non guardarlo. Si schiarì la voce nel tentativo di far girare Gerard di modo che invece guardasse lui, ma non reagì. Forse avrebbe dovuto smettere di girarci intorno e semplicemente andare dritto al punto. Gli convennero due idee; avrebbe potuto direttamente fermare l’ascensore e forzare Gerard a rispondergli adeguatamente, oppure avrebbe potuto buttarsi e baciarlo. Comunque sia, un leggero Ping! Interruppe i suoi pensieri prima che avesse potuto considerarli seriamente, e le porte si aprirono e rivelarono l’ingresso. Senza esitare e con le mani pesantemente in tasca, Gerard lo superò silenziosamente e camminò per il pavimento marmoreo.
 
Accennò un paio di “Ciao” qui e là a qualche persona d’affari che incontrava, prima di arrivare alle brillanti porte dello Starbucks.
 
“Un caffè normale” disse al barista. Sembrava essersi dimenticato completamente di Frank, che dovette correre un pochino per mantenere il passo. “Ne faccia due” aggiunse con nonchalance, prima che potesse immettersi ed ordinare lo stesso. “Tall, leggero, tazza piena.”
 
Frank smise di cercare il portafoglio, vide Gerard pagare per i caffè e allo stesso momento mettere una considerevole quantità di soldi nel barattolo delle mance.
 
Mentre aspettavano per l’ordine, tra loro calò nuovamente il silenzio. Guardò Gerard, che stava studiando il chiosco dei giornali con vivo interesse. Frank non era sicuro su come reagire; non l’aveva mai visto comportarsi così prima. Non disse niente quando il loro ordine arrivò, solamente gli porse uno dei bicchieri senza dire una parola.
 
“Uhm, grazie” disse Frank, incerto.
 
“Tavolo libero all’ombra” rispose, suonando come se non gli avesse neanche mai comprato un caffè. Stava accennando oltre al bar, al marciapiede fuori. “Andiamo.”
 
Uscì con lunghi passi, forzando un’altra volta Frank a correre un pochino. Iniziava ad infastidirsi.
 
Almeno mi sta dicendo di andare con lui, pensò, focalizzandosi sugli scuri capelli arruffati di Gerard mentre lo seguiva attraverso tutti i tavoli occupati. Come previsto, dopo che si furono seduti tornò il silenzio.
 
“Va bene” annuì alla fine Gerard, parlando con il proprio caffè. “C’è un limite a quanto a lungo posso continuare a fare così quindi immagino che inizierò.” Scrollò un poco le spalle; alzò lo sguardo per un attimo, prima di riabbassarlo. “Cosa posso dirti, Frank? Sono stato uno stronzo di merda.”
 
Frank non rispose. Continuò a girare il coperchio del proprio caffè assente, pensando che questa volta sarebbe stato meglio lasciarlo parlare senza interruzioni.
 
“Penso anche di saperlo da un po’,”continuò “ma questa parte del mago… è complicata, te lo assicuro. Non è facile provare ad essere una persona normale quando si ha recitato questo ruolo così a lungo – e sono stato questa persona per anni, a tutte le ore. Fin da quando avevo sette anni e mio padre mi regalò un kit di magia per principianti… Da allora, è sempre stata l’unica cosa in cui fossi bravo. Sono bravo a far credere alle persone qualcosa che non esiste. È il mio cazzo di lavoro.” Sospirò. “Non lo so, sinceramente penso di avere un carattere di merda per la magia. Ci vuole una persona piuttosto assennata per separare l’immagine dalla persona e non sono sicuro su come dovrei farlo. Avrei dovuto dividere la mia vita in privata e pubblica anni fa ma… direi che non ci sono mai riuscito. È comunque più facile essere solo l’immagine.”
 
Gerard stava ancora parlando con il proprio caffè. Si fece scorrere una mano per i capelli, solo per farseli ricadere sul viso.
 
“Ma sto provando a cambiarlo” disse con sincerità. “Ci sto provando davvero. Però adesso sto facendo passi piccoli, quindi forse non sembra molto di cui vantarsi, ma… ho deciso che avrei provato a cambiare comunque, sia che fosse stato con o senza di te. Ho pensato che se… se avessi trovato qualcun altro, per caso, non avrei fatto lo stesso errore. Come hai detto, non voglio realizzare di essere solo uno scherzo quando sarà troppo tardi per rimediare. Non ha senso giustificare tutto dicendo di essere caduti in vecchie abitudini o cosa. Non posso dire alle persone di essere fatto così; che non posso farci nulla. Non voglio nascondermi così, quindi ecco, ci sto davvero provando.” Gerard fissò assente il logo stampato sulla sua tazza. “Il punto è, migliorare da soli non è facile.”
“Mi dispiace non averti voluto ascoltare prima” disse Frank, iniziando con la prima cosa che gli venne in mente. Poi gli sfuggì una risatina che uscì solo come uno sbuffo ironico. “Penso di essere stato così preso dal voler farti capire che grande stronzo sei stato tu che tipo lo sono diventato io stesso. Se ti avessi detto di sì, pensavo che avrei finito per aspettare che tu ritornassi il vecchio te. Forse avevo paura. Ma sì, mi hai sorpreso. Non avrei mai pensato che avresti davvero lasciato tutto così. Non devi farlo.” Esitò un attimo, prima di aggiungere: “Non voglio che tu lo faccia.”
 
“L’ho già fatto, Frank.” Gerard si piegò, appoggiò i gomiti sul tavolo. “Sei entrato più o meno cinque minuti dopo che il contratto fosse cancellato ufficialmente. E non andrò a cambiarlo ora.”
 
La mano di Frank si strinse con più forza intorno al caffè caldo, quasi stringendo troppo il bicchiere di carta. Serrò la mascella e lo guardò, il cuore in gola.
 
“Cazzo” mormorò, combattendo per reprimere il bisogno di colpirsi ripetutamente la faccia. “Gerard – se sono stato io a fartelo fare, allora… mi dispiace tanto.”
 
“Nah, non dovresti dispiacerti.” Gerard sorrise debolmente ed alzò le spalle, quasi quasi in imbarazzo.
“Ci avevo già pensato, è la verità. Non penso di poter continuare a lavorare in un posto dove sia la mia mente sia il pavimento su cui cammino sono in costante movimento. E visto che avevi detto di non essere più interessato ho pensato di non avere più niente che mi tenesse lì. Anche il mio management è da un po’ che mi assilla per questo, dice che sia ora che cerchi altre possibilità e punti un’altra volta un po’ più in alto. E comunque fare carriera con l’Envision significa diventare capitano di una nave o qualcosa del genere,” aggiunse scherzosamente “e di sicuro non vogliamo che accada.”
 
“Mi dispiace ancora tanto” ripeté Frank, con di nuovo la bocca secca.
 
Gerard annuì in silenzio, accettando le scuse. Poi alzò lo sguardo verso di lui, strizzando un po’ gli occhi per i raggi di sole che erano riusciti a farsi strada nell’ombra.
 
“Sei qui per darmi un’altra possibilità?” chiese, un debole tono di speranza nella voce.
 
Frank fece cadere lo sguardo, e si morse, pensando, il labbro.
 
“Volevo, sì…” iniziò, con un profondo sospiro. “E ti perdono e tutto, ovviamente. Sono felice che ora le cose siano più o meno sistemate, ma… la ragione principale per cui volevo trovarti era per poterti fermare prima che ti licenziassi, e l’hai già fatto. Ti dirò la verità; sarebbe stato fantastico risolvere tutto a lavoro. Sarebbe stato comodo. Mi sembra di aver provato a sforzarmi così tante volte che ora affrontare altro potrebbe uccidermi. Solo non sono sicuro su dove siamo o… cosa abbiamo.”
 
“E… Se provassimo a sistemare le cose durante le vacanze?” suggerì Gerard. Sembrava leggermente preoccupato, pur facendo il proprio meglio per nasconderlo. “Capisco che ti senta così e so che è prevalentemente colpa mia, ma come ti ho detto quella sera in cui ho mandato a puttane il mio spettacolo; se avessi saputo che sarebbe finita così, non mi sarei mai comportato così. Quindi… che ne dici di passare del tempo insieme queste settimane per vedere cosa ne salta fuori? Comunque non può andare peggio.”
 
“Gerard – ho un figlio,” ricordò Frank. “Devo stare con Caden. È il mio primo Natale insieme a lui e viene sempre per primo.”
 
L’uomo dall’altra parte del tavolo esitò, le dita che stuzzicavano involontariamente il coperchio di plastica del bicchiere.
 
“Certo,” convenne alla fine “lo so. Ma… c’è molto spazio nel mio appartamento. Anche troppo per una persona sola, comunque, e Mikey e Alicia non stanno per Natale. Quindi sì. Tu hai un figlio e… io ho spazio.”
 
La frase si dissolse mentre si scambiarono un veloce sguardo. Quando lo distolsero Frank non poté evitare di ridacchiare. Era il modo di Gerard di dire che non aveva proprio nessuna scusa.
 
“Va bene, e come pensi che ti possa contattare?” chiese, la bocca ancora a forma di sorriso. “Se vogliamo vederci allora avrò bisogno del tuo numero o qualcosa. Preferirei evitare un altro adrenalinico viaggio in taxi.”
 
Quando Gerard alzò lo sguardo, Frank notò che stesse arrossendo; era la prima volta che lo vedeva arrossire.
 
“Se lo vuoi allora guarda in tasca” disse, concedendosi una risatina nervosa. “La destra. Volevo dartelo sulla Destiny, prima che ci separassimo, ma… sai.”
 
Frank alzò un sopracciglio, portando lentamente la mano in tasca. Sentì subito i polpastrelli toccare qualcosa spesso come carta e rigido; poté affermare si trattasse di una carta da gioco. Lanciò a Gerard uno sguardo per cercare conferma ed alzò gli occhi al cielo. Ovviamente, era già riuscito ad infilargli qualcosa in tasca; qualsiasi altra cosa sarebbe stata inaspettata.
 
“Quando?” chiese tirandola fuori, rivelando un Jack di Cuori.
 
“In ascensore, proprio prima di uscire.” Ammise Gerard. “È stato molto facile; eri troppo occupato ad essere preoccupato per notarlo.”
 
Frank scosse la testa. “Avrei dovuto saperlo.”
 
“Devo ammettere che volevo vedere se avresti sopportato il trattamento del silenzio,” rise. “Mi stavo solo vendicando.”
 
“Be’, fottiti” rispose Frank, anche se non poteva evitare di sorridergli di rimando. Probabilmente era giustificato, tutto sommato.
 
Studiò la carta nel proprio palmo. Sembrava qualsiasi altra, ordinaria, carta da gioco, a parte il numero a dieci cifre scarabocchiato in nero sulla stampa a quadri rossa sul retro.
 
“Ci sono orari d’ufficio per questo numero?” chiese, ritracciando le cifre distrattamente con un dito, incapace di nascondere il tono scettico nella propria voce. “Voglio dire, probabilmente lo condivido con un sacco di altre… persone.”
 
“Fammi pensare…” Iniziò Gerard, fingendo di pensarci con attenzione. “Considerando Mikey e i miei genitori direi che siete in quattro. Più il mio management, ma non trascorro molto tempo al telefono con loro. Mi sono occupato del mio numero quando Mikey è salito a bordo” spiegò. “È stata la prima cosa che mi ha detto di cambiare. Quindi se pensi alle monete che ho dato in giro, adesso sono piuttosto inutili.”
 
Frank lo guardò, colpito da un leggero senso di sorpresa. “Oh, okay. Wow.” Esitò, prima di far scivolare la carta verso di lui. “Sono curioso però; cosa ti piace tanto del Jack di Cuori? Sembra il tuo preferito.”
 
“Uh, sinceramente? Non ne sono sicuro. Ma tutti i Jack sono un po’ degli zimbelli.” Gerard alzò le spalle, inclinando la testa incuriosito verso la carta che stava loro di fronte. “Sono solo un mucchio di volgari ed incompresi imbroglioni. Un mio collega mi ha detto che il Jack di questo seme abbia la reputazione di essere irritabile ed impulsivo. In realtà, tutto sommato è una persona emotiva. Del tutto senza speranza. Ma quando fa qualcosa, che si tratti di qualcosa di bello o brutto, ci mette tutto se stesso.”
 
“Probabilmente può valere per tutti e due” Frank annuì piano. Si allungò e riprese la carta. “Che succede se la strappo?”
 
“Proverò a risanarla.” Gerard gli dedicò un altro dei suoi sorrisi pungenti, anche se questa versione era completamente differente, del tutto priva del sarcasmo e dell’arroganza. Questa volta anche gli occhi sorridevano. “Non mi interessa se devo prendere del cazzo di scotch e rimetterla insieme. Seriamente, Frank – ora che ti sei finalmente schiodato non ti libererai di me così facilmente.”
 
Frank provò a fingersi irritato meglio che poté, anche se finì solo per sorridere di nuovo. Rimasero in silenzio per un po’, condividendo un momento stranamente calmo e tranquillo. Era come se gli avessero rimosso un peso dal petto, rendendogli molto più facile pensare e respirare.
 
“Hai ragione” disse alla fine, sorridendo. “Immagino che gli oceani siano fatti per essere attraversati.”
 
“Devi ancora fare compere di Natale?” chiese allora Gerard, inarcando le sopracciglia.
 
“Se devo?” Frank sbuffò una risata. “Mi manca tutto, cazzo. Devo persino trovare qualcosa per il compleanno di mio figlio.”
 
“Hai bisogno di aiuto?”
 
Frank alzò lo sguardo. C’era ancora qualcosa di stranamente appariscente in Gerard, qualcosa di familiare che gli si sembrava sistemare intorno durante i suoi spettacoli. Si trattava di un aspetto da mago che probabilmente non sarebbe mai scomparso; l’avrebbe sempre fatto sembrare un semi dio, che lui lo volesse o meno. Dopotutto, aveva tutte le illusioni sotto controllo. L’unica differenza era che questa volta, il semi dio aveva deciso di discendere e vivere tra i mortali. Era qualcuno abituatosi all’essere umano e che si stava finalmente liberando di tutte le tendenze da prima donna, e gli andava bene mantenersi umile e un po’ in imbarazzo. Frank non lo trovava più minaccioso o penetrante.
 
“Sì,” annuì infine. “Lo apprezzerei molto.”
 
Gerard gli fece un veloce sorriso e spinse via il proprio caffè. Si alzò e stava per lasciare il tavolo quando Frank si allungò e lo afferrò per il polso. Trattenerlo così gli sembrò uno spasmo involontario, una cosa che i suoi sentimenti stavano facendo per sopraffargli mente e corpo. Frank sapeva istintivamente che non voleva che tutto iniziasse con un giorno a caso trascorso al centro commerciale. Prima di cadere nella timidezza che di solito arrivava con le seconde occasioni, aveva bisogno di rompere il ghiaccio con qualcosa che potesse quantomeno sembrare una promessa.
 
“Fallo ancora, per favore” disse alla fine, con ancora le dita strette con sicurezza attorno al polso di Gerard.
 
“Uhm…” Si accigliò, confuso. “Fare cosa ancora?”
 
“Cosa hai provato a fare prima sulla Destiny.” Frank alzò le spalle a disagio, il suo viso diventò di una sfumatura rosso scusa. “Hai presente… Baciarmi.”
 
Gerard lo fissò, la confusione nei suoi occhi verdi si trasformò in pura sorpresa. Aprì leggermente la bocca, come se stesse per chiedere perché, ma poi cambiò idea e la chiuse di nuovo. Guardò Frank con la tesa inclinata, apparentemente valutando ciò che gli era stato appena chiesto, prima di liberarsi con attenzione il polso dalla sua mano. Avvicinandosi, allungò le braccia senza dire niente e gli strinse leggermente, amichevolmente, le spalle. Per un momento Frank pensò che avrebbe riso di lui e detto: “Scusa, ma non voglio farlo qui”. Invece, dopo un altro paio di secondi, Gerard lo guardò con un sorrisetto e lo cinse con le proprie braccia, tirandolo in un abbraccio. Frank chiuse gli occhi ed appoggiò il mento sulla spalla di Gerard. Non sapeva se stesse provando a farlo rilassare o se volesse solo guadagnare tempo, ma in qualsiasi caso espirò delicatamente, godendosi l’immenso sollievo che lo attraversò.
 
“Lo sai che più o meno tutti ci stanno fissando, in questo momento?” Gli fece infine notare Gerard, la leggera tensione nella sua voce catturata da qualche parte tra la frenesia e l’impazienza.
 
Si mosse e si allontanò un pochino, con ancora i palmi contro la parte bassa della sua schiena. Gli puntò gli occhi addosso, le ciglia facevano cadere le più piccole ombre sulla pelle sotto i suoi occhi.
 
“Lo so” Frank annuì e si sporse, le labbra che aleggiavano a pochi centimetri da quelle di Gerard. “E se è per questo che stai esitando, allora bene,” mormorò per scherzo “ci vediamo a metà strada.”
 
Le loro labbra si incontrarono e Frank non poté evitare di sorridere nel bacio. Questa volta gli sembrava di star davvero baciando il Gerard Way che aveva cercato per tutto quel tempo. Era ancora l’imponente mago sul palco, l’invasivo uomo nel corridoio e il cliente che prendeva il Manhattan, ma per la prima volta credette anche che l’uomo a cui continuava a tornare si fosse finalmente rivelato in ciò che era. Frank li stava baciando tutti nello stesso momento. Uniti insieme in quel modo, aveva il mago risolto.
 
Quando si separarono, Gerard tolse alcuni dei capelli di Frank dal suo viso. Poi corrugò le sopracciglia per l’impronta rosa chiaro che gli era ancora sulla guancia.
 
“Cosa ti è successo?” chiese, i polpastrelli che gli toccavano con attenzione il leggero livido.
 
“Lisa” rispose Frank, alzando una spalla in segno di scuse.
 
“Oh.” Gerard annuì piano, e alla fine la comprensione rimpiazzò il suo cipiglio. “Ovviamente.” Inspirò, come se avesse volute dire altro, ma alla fine contrasse le labbra e rimase in silenzio. “Seriamente, non riesco a pensare a niente da dire” ammise infine, un timido sorriso intrappolato nel suo viso arrossato. “So sempre cosa cazzo dire.”
 
“Lo prenderò come un complimento per dire che sei finalmente incantato” Frank rise.
 
“Sì, lo so.” Mise le mani in tasca, ancora sorridendo. “In pratica lo dicono anche le carte che parlo troppo.”
 
“Ehi, in effetti sarebbe piuttosto figo; se tu potessi leggere le carte. Tipo, i Tarocchi o come si chiamano. Non ho mai creduto in quelle cose ma la previsione di un mago sul futuro sarebbe interessante.”
 
Gerard scosse la testa. “Penso che tu stia parlando di donne anziane con accenti marcati e turbanti” scherzò, canzonandolo un pochino. “I maghi fanno solo scomparire le carte. Ma sai cosa – eccoti la mia predizione. Il futuro è magico. O è solo incredibilmente patetico?”
 
“Oh, wow” Frank rise e storse il naso. “Sì, direi che fa pena.” Esitò e lo guardò, socchiudendo gli occhi per il sole. “Ma se lo pensi davvero allora certo, ti credo.”
 
Quando abbandonarono finalmente il bar ed i loro caffè freddi, un bus decorato con una scintillante pubblicità dell’Envision li superò. Accostò, incastrato nel mezzo di quell’infinito fiume di macchine. Frank vide lo slogan stampato a grandi lettere contro quella foto piena di colori e sorrise internamente.
 
Envision it. Now live it.

   
 
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